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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

APRILE 1989

 

 

 

 

SABATO 1 APRILE 1989

 

“Il timore del Signore è principio della scienza; gli stolti disprezzano la sapienza e l’istruzione”. (Pr. 1,7)

 

Spesso confondiamo timore e paura. Tante volte, magari involontariamente, fin da bambini ci è stata inculcata la paura di Dio: “Se fai questo Dio ti castiga” e anche quel triangolo con l’occhio di Dio disegnato sulle pareti delle camerate del collegio, più che aiutarci a vivere alla presenza di Dio appariva come un grande occhio di Inquisitore pronto a cogliere il minimo sbaglio. La paura di Dio, lo rende giudice severo, quasi da fuggire; il timore, invece, è dargli il giusto posto. Chi teme Dio riconosce la sua santità e la sua misericordia, la sua giustizia e il suo amore, vive alla sua presenza con la consapevolezza che non ci abbandona mai, che è nostra forza, nostra gioia. Fa sì che le nostre azioni siano rendimento di grazie per il suo amore e il nostro agire preghiera continua di adorazione, richiesta e impegno di testimonianza. “Dio ti vede” non tanto per condannarti al più piccolo peccato ma per essere il buon Pastore che ti guida.

                                                        

 

DOMENICA 2  APRILE

“Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre e non disprezzare l’insegnamento di tua madre perché saranno una corona graziosa sul tuo capo".  (Pr. 1,5)

 

Vi è sempre un momento nella vita in cui uno sembra aver trovato e imboccato la strada della verità. E in quel momento giunge la tentazione di correre per questa strada dimenticando tutta la fatica fatta dagli altri prima di noi. Penso che questo brano dei Proverbi non voglia solo insegnarci obbedienza cieca ai genitori, ma rispetto per il cammino e la storia degli altri e umiltà nel nostro agire. Per costruire un capolavoro ci vuole del tempo. Si racconta che Chaplin, girò 374 volte la scena finale del suo film “Luci sulla città” prima di trovare la strada giusta.

La fretta e l’autosufficienza sono i grandi nemici e ci fanno dimenticare che altri prima di noi hanno faticato, sofferto.

Il saggio non dice “Roba vecchia, ciarpame da buttare” ma l’uomo saggio come dice Gesù e come un buon padre di famiglia che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e cose antiche al momento opportuno” (Mt. 13,52).

 

 

LUNEDI' 3  APRILE

“Confida nel Signore e non appoggiarti sulla tua intelligenza”. (Pr. 3,5)

 

Nella nostra era tutto deve trovare una spiegazione logica. L’intelligenza, la scienza sono state esaltate a tal punto che l’uomo ha sacrificato ad esse il suo essere spirituale. Mai come oggi l’uomo ha possibilità di conoscenze scientifiche e mai come oggi si è sempre più soli, insoddisfatti, bisognosi di un qualcosa che vada al di là delle cose. Confidare nel Signore significa anche imparare a vedere le cose e a viverle nella loro essenza. Abraham Heschel in questo brano ci invita a “cantare per tutte le cose. Fino a quando non vediamo che oggetti, noi siamo soli. Quando cominciamo a cantare, noi cantiamo per tutte le cose. La musica, nella sua essenza, più che descrivere ciò che esiste, cerca di trasmettere ciò che la realtà significa. L’universo è una partitura di musica eterna, e noi siamo il suo grido, siamo la sua voce. La ragione esplorando le leggi della natura tenta di decifrare le note, ma non afferra l’armonia; il senso dell’ineffabile, invece, ricerca il canto. Quando pensiamo, noi usiamo parole o simboli di ciò che sentiamo riguardo alle cose. Quando cantiamo, invece, veniamo trascinati dalla meraviglia; e gli atti di meraviglia sono segni o simboli di ciò che le cose significano”.

 

 

MARTEDI' 4 APRILE

“Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno, se è in tuo potere di farlo. Non dire al tuo prossimo: “Va’ ripassa, te lo darò domani, se tu hai ciò che ti chiede”. (Pr. 3,27—28)

 

Tra le decine di bisognosi o pseudo bisognosi che ogni giorno passano in parrocchia, sempre più spesso si incontrano persone che vengono continuamente fatte passare da “Pilato od Erode”: “questo non è competenza del mio ufficio”, “vada prima a fare queste carte “siamo oberati di lavoro, ripassi”. E’ vero che spesso è difficile credere a certe storie e che è bene che la società e la chiesa si organizzino per poter distribuire al meglio le poche risorse esistenti per non fare il gioco di lestofanti o di persone che non volendo darsi da fare hanno per metodo quello del vivere di accattonaggio. Rimane però il problema di chi ha veramente bisogno e non può mangiare carte, documenti, e non può aspettare mesi. Vi dico che per me è sempre un dramma, un interrogativo profondo. Penso anche, però, che con le debite e possibili attenzioni, non si possa rischiare di lasciare un fratello nel bisogno mentre io oggi ho da mangiare, da dormire ed anche del superfluo. Chiedo per me e per voi al Signore che ci illumini ma anche che ci faccia più generosi e meno burocrati.

 

 

MERCOLEDI' 5  APRILE

“Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore e non aver a noia la sua esortazione. Perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto”. (Pr. 3,11—12)

 

Quando un bambino piccolo cerca di prendere in mano un coltello o, nella sua curiosità sta per infilare qualcosa nella presa della corrente, la mamma interviene. E se occorre, anche lo scapaccione può servire. Certo il bambino piange, ha l’impressione che la mamma non gli voglia più bene perché gli ha vietato una cosa che per lui in quel momento era un gioco desiderabile; non riesce a capire che la reazione della madre è un atto di amore educativo per la sua incolumità. Quante volte la legge del Signore ci sembra un peso che un Padre buono non dovrebbe mettere sulle nostre spalle! E quante volte ci sembra ingiusto che dopo tante preghiere Dio non ci ascolti. Quella cosa ci sembrava giusta, buona per noi e per altri e invece Dio non ha voluto così, allora magari ce la prendiamo con Lui. Mi chiedo: “Io so quello che è il mio vero bene?” Nella Bibbia c'é scritto: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri “. Dio vede il nostro bene al di là delle cose immediate che noi vediamo. E allora non devo più pregare? No, come uomo piccolo e finito continuo a chiedere a Dio ciò che mi sembra buono e opportuno per me, ma faccio anche un atto di fede accettando che Dio, il Padre Buono che sa quello che è meglio mi darà certamente ciò che è più giusto. La preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi è il più bell’insegnamento in questo senso: “Padre, se è possibile, questo calice si allontani da me, ma non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.

 

 

GIOVEDI' 6  APRILE

“Fino a quando, o pigro te ne starai a dormire? Quando ti scuoterai dal sonno? Un po' dormire, un po’ sonnecchiare, un po' incrociare le braccia per riposare e intanto giunge a te la miseria, come un vagabondo, l’indigenza, come un mendicante”.

(Pr. 6,9—11)

 

La pigrizia tocca tanti aspetti della nostra vita. Spesso siamo pigri nel lavoro, nei rapporti umani che costano fatica o anche nella nostra fede. Come letto nel numero 5 di “Presenza Cristiana 1989” vi riporto questo fatto intitolato: “I funerali della Parrocchia”. Le aveva esperimentate tutte il parroco per portare i suoi fedeli alle sacre celebrazioni. Niente da fare: la sua chiesa restava quasi vuota. E ne soffriva. Finché un’idea gli è sembrata piuttosto originale. Fece stampare nei giornali, nella pagina dei lutti, la solita croce con questo messaggio: “Dopo lunga e grave malattia è morta la nostra parrocchia. I funerali si svolgeranno domenica prossima alle 11,00 nella chiesa parrocchiale”. Furono in molti a leggerlo, e piuttosto con stupore. La curiosità poi ha fatto il resto: alle 10,30 di domenica in chiesa non c'era più un posto a sedere. E prima di iniziare la funzione, il parroco chiese a tutti i fedeli di avvicinarsi pian piano alla bara per vedere l’ultima volta la parrocchia morta. Poi la gente doveva uscire di chiesa dalle porte laterali, quindi decidere: o rientrare per le porte principali o tornare a casa. E così avvenne: ognuno si avvicinò in silenzio alla cassa, guardò dentro, uscì di chiesa e di nuovo questa si riempì. Solo alcuni tornarono a casa. Cos‘era accaduto? Ognuno ha visto se stesso nello specchio sistemato dentro la bara e ha capito. Così la parrocchia tornò a vivere, perché la gente si rese conto che la chiesa erano le persone e aveva bisogno della loro presenza reale.

                                             

 

VENERDI' 7  APRILE

“Non rimproverare il beffardo per non farti odiare, rimprovera il saggio ed egli ti amerà". (Pr. 9,8)

 

Un proverbio che tutti conosciamo dice che “lavar la testa all’asino si spreca tempo e sapone, un altro che “non c'é uno più sordo di chi non vuoi sentire”. E’ solo chi é saggio che sa ascoltare e portar frutto dell’altrui esperienza.

“Scusa”, disse un pesce dell’oceano ad un altro, “tu sei più vecchio e più esperto di me, e probabilmente potrai aiutarmi. Dimmi: dove posso trovare quella cosa che chiamano oceano? L’ho cercato dappertutto inutilmente”. “L’oceano”, disse il pesce più vecchio, e quello in cui stai nuotando adesso “Oh, questo? Ma questo à solo acqua. Quello che sto cercando è l’oceano”, disse il giovane pesce e, deluso, nuotò via per cercare altrove.

 

 

SABATO  8  APRILE

“L’odio suscita litigi, l’amore ricopre ogni colpa”. (Pr. 10,12)

 

“Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno è una delle parole che Gesù pronuncia sulla croce. Sotto un certo aspetto è quasi una bugia, quella di Gesù, una scusa: qualcuno sapeva quello che faceva o per lo meno era conscio di uccidere un uomo giusto. Eppure Gesù, invece di invocare la vendetta di Dio, nasconde le colpe dell’uomo, se le prende Lui sulla croce. Quante volte abbiamo sperimentato l’amarezza dell’odio e quante volte ci siamo accorti che non dire una parola in una discussione valeva molto di più che difendere ad oltranza un’idea che in ogni caso, in quel momento, non sarebbe stata capita. Conosco una signora che scoprendo un tradimento del marito in un primo momento aveva deciso di farla finita con il suo matrimonio, poi ci ripensò e una sera con semplicità chiese a suo marito che cosa avesse sbagliato lei nel suo rapporto con lui. L’uomo rimase meravigliato, poi capì e nel giro di qualche mese ritrovarono i valori per cui valeva la pena vivere pienamente il loro matrimonio.

 

 

DOMENICA 9  APRILE

“Il salario del giusto serve per la vita, il guadagno dell’empio è per i vizi". (Pr. 10,16)

 

Quanti guai e problemi in meno se non fossimo attaccati al denaro: pensate a quante famiglie divise per problemi di eredità andrebbero d’accordo; quanta gente in meno soffrirebbe a causa di crac fallimentari dovuti alla ingordigia di altri, quante meno ansie che ci impediscono di gustare la vita pur di “pensare al nostro futuro”. Eppure, se chiedete, molta gente risponderà alla domanda “che cosa desiderate di più?” “Denaro!”. “Non accumulate denaro qui sulla terra, dove la tignola e la ruggine distruggono, accumulatevi un tesoro nei cieli", dice Gesù, ed ha ragione: quando sono troppo attaccato alle cose materiali esse diventano lo scopo; man mano che me ne stacco so gustare ogni giorno i valori della vita senza desiderare di più e si allargano gli orizzonti in cui è più facile intravedere Dio, l’unica vera ricchezza dell’uomo.

 

 

LUNEDI' 10  APRILE

“La bilancia falsa è in abominio al Signore ma del peso esatto Egli si compiace”. (Pr. 11,1)

 

Siamo talmente abituati dai giornali agli scandali economici, alle truffe di miliardi) a “mangerie” da parte di potenti e di politici che di fronte a queste enormità il senso morale delle piccole cose svanisce o è molto diminuito. Mi raccontava un amico che tornato a casa dal supermercato, confrontando il conto con gli oggetti comprati, si accorgeva che la cassiera aveva dimenticato di battere due piccoli oggetti, probabilmente finiti in mezzo al grosso della spesa. Il mio amico ripartì da casa, andò dalla cassiera che guardandolo come se fosse un extraterrestre gli disse che lei non poteva battere questi oggetti e che “se proprio voleva” doveva rivolgersi al direttore. Dopo aver trovato il direttore questi, quasi allibito ritirò le 2.300 lire, ma guardandolo in modo strano. Troppe volte abbiamo riferito il “non rubare” solo ai ladri professionisti, ma una buona coscienza dovrebbe farci pensare che rubare ad esempio è non dare il giusto tempo alla propria famiglia, è trattare male le cose di uso comune, è approfittare del proprio ruolo per ottenere qualcosa di individuale... Certo, tutte queste cose le capiremo ma solo in misura della crescita dell’amore per Dio e per la sua giustizia.

 

 

MARTEDI' 11  APRILE

“Un anello d’oro al naso di un porco, tale è la donna bella, ma priva di senno". (Pr. 11,22)

 

Una bella donna, come un bell’uomo attirano l’occhio e l’attenzione. Guardate l’esempio delle Televisioni: e ben difficile che soubrette, cantanti non siano anche delle “superdotate”. Ma se questo è fatto per “appagare l’occhio” diventa molto triste quando chiedendo ad un ragazzo quali sono le qualità che desidererebbe in una sua compagna, sentirsi dire: “Che sia bella, ben dotata, capace di soddisfare”. L’apparire poi porta con sé anche tutta un’altra serie di cose che fanno la felicità economica di qualcuno: trucco, cosmesi, cure dimagranti, mode.., e questo non solo per donne ma anche per gli uomini. C’è così il rischio che si incontrino due trucchi, due maschere, due corpi magari ma non due persone. E anche un matrimonio fondato su questi valori “si smette” dopo l’uso, quando diventa vecchio, quando la moda è cambiata. La “vecchia Bibbia” allora non è poi tanto vecchia quando magari con una voce un po’ troppo maschilista, ci richiama però ai valori veri di un giusto rapporto interpersonale non solo fondato su apparenze che poi, oltretutto, spesso hanno dietro solo il vuoto.

 

 

MERCOLEDI' 12  APRILE

“L’uomo accorto cela il suo sapere, il cuore degli stolti proclama la stoltezza”. (Pr. 12,23)

 

Si rimane stupiti a volte davanti a certe persone che parlano di ogni cosa, che sanno di tutto e qualche volta si corre il rischio di credere che ogni loro parola sia verità, ma passa il tempo e il più delle volte ti accorgi che dietro alle parole forbite e altisonanti c’è il vuoto, dietro tanto fumo c’è poco arrosto. Ecco un racconto orientale sembra una barzelletta, ma ci richiama profondamente al brano dei proverbi di oggi. Il giovane discepolo era un tale prodigio che studiosi di ogni parte cercavano il suo consiglio e si meravigliavano della sua cultura. Il governatore, cercando un consigliere, si recò dal maestro e disse: “Dimmi, è vero che quel giovane sa tutto quello che si dice che egli sappia?”. “A dire la verità, rispose il maestro sarcasticamente, “quel tale legge tanto che non vedo come potrebbe trovare il tempo di sapere qualcosa”.

 

 

GIOVEDI' 13  APRILE

“Chi confida nella propria ricchezza, cadrà”. (Pr. 11,28)

 

Un barbiere stava passando sotto un albero infestato dagli spiriti quando udì una voce dire: “Ti piacerebbe avere le sette giare d’oro?”. Si guardò intorno e non vide nessuno. Ma la sua avidità era stata solleticata, così rispose ansiosamente: “Sì, certo”. “Allora va’ subito a casa”, disse la voce. “Le troverai là”.

Il barbiere fece tutta la strada di corsa. Infatti c’erano le sette giare... tutte piene d’oro, tranne una che era piena solo a metà. Il barbiere non poteva tollerare il pensiero di avere una giara piena a metà. Si sentiva violentemente spinto a riempirla, altrimenti non avrebbe potuto essere felice. Fece fondere tutti i gioielli della famiglia in monete d’oro e le versò nella giara mezza piena. Ma la giara rimase piena a metà proprio com’era prima. Era esasperante! Comincio a risparmiare e a far economia e a fare la fame lui e la sua famiglia invano. Per quanto oro mettesse nella giara, quella rimaneva piena a metà. Così un giorno pregò il re di aumentargli lo stipendio. Lo stipendio gli fu raddoppiato. E riprese la lotta per riempire la giara. Iniziò persino a mendicare. La giara divorava ogni moneta d’oro che veniva gettata in essa e rimaneva cocciutamente piena a metà, il re notò l’aspetto miserevole ed affamato del barbiere. “Che c’è che non va?”, gli chiese. “Eri così felice e contento quando il tuo stipendio era più basso. Ora ti è stato raddoppiato e tu sei lacero ed avvilito. Non sarà che hai con te le sette giare d’oro?”. Il barbiere rimase sbalordito: “Chi ve l’ha detto, maestà?”, domandò, il re rise. “Ma questi sono ovviamente i sintomi della persona a cui lo spirito offre le sette giare. Una volta le ha offerte a me. Io chiesi se il denaro si poteva spendere o se doveva solo essere accumulato. Egli svanì senza una parola. Quel denaro non si può spendere. Porta solo con sé l’obbligo di accumulare. Va’ e restituiscilo immediatamente allo spirito e sarai di nuovo felice”.

 

 

VENERDI' 14  APRILE

“Un cuore lieto rende ilare il volto, ma quando il cuore è triste, lo spirito è depresso”. (Pr. 15,13)

 

SORRIDERO’ AL MONDO

E come riuscirò a sorridere, trovandomi di fronte a un uomo o ad un’azione che mi offende fino a strapparmi lacrime o imprecazioni? Mi eserciterò a pronunciare tre parole fino a che esse diventino un’abitudine così forte da venirmi subito in mente ogni qualvolta il mio buon umore minacci di abbandonarmi. Queste tre parole, tramandate dagli antichi, mi condurranno immune attraverso tutte le avversità e manterranno equilibrata la mia vita. Eccole: ANCHE QUESTO PASSERA’.

 

SORRIDERO’ AL MONDO

Poiché tutte le cose del mondo in verità passeranno. Quando avrò il cuore pesante di tristezza mi consolerò al pensiero che anche questo passera: quando sarò esaltato dal successo saprò ricordare a me stesso che anche questo passerà. Quando sarò oppresso dalla povertà mi dirò che anche questo passerà; quando sarò carico di ricchezze mi dirò che anche questo passera. E in effetti dov’é colui che costruì le piramidi? Non é sepolto in quelle stesse pietre? E non saranno un giorno le piramidi sepolte anch’esse sotto la sabbia? Se ogni cosa passerà, perché dovrei preoccuparmi per l’oggi? C’é però una cosa che rimane per sempre: Dio, e questo basta per farmi sorridere a Lui, a me, al mondo.

 

 

SABATO 15  APRILE

“Tutti i giorni sono brutti per l'afflitto, per un cuore felice e sempre festa”. (Pr. 15,15)

 

Due pensieri ci aiutano a capire il dono di una giornata.

OGNI GIORNO UNA VITA

Ogni giorno il primo. Ogni giorno una vita. Ogni mattino dobbiamo porgere il calice del nostro essere per ricevere, per contenere, per ridonare. Porgerlo vuoto, perché il passato va rispecchiato solo nella sua chiarezza, nella sua forma e nella sua capacità.  (Dag Hamrnarskjold)

 

NULLA DI TROPPO, NULLA DI “NON ABBASTANZA”

Ogni mattina è una giornata intera che riceviamo dalle mani di Dio. Dio ci dà una giornata da Lui stesso preparata per noi. Non vi è nulla di troppo e nulla di “non abbastanza”, nulla di indifferente e nulla di inutile. E’ un capolavoro di giornata che viene a chiederci di essere vissuto. Noi la guardiamo come una pagina d’agenda, segnata d’una cifra e d’un mese. La trattiamo alla leggera come un foglio di carta... Se potessimo frugare il mondo e vedere questo giorno elaborarsi e nascere dal fondo dei secoli, comprenderemmo il valore di un solo giorno umano.  (Madeleine Oelbrel)

 

 

DOMENICA 16  APRILE

“Un piatto di verdura con amore è meglio che un bue grasso con odio”. (Pr. 15,17)

 

Alessandro Pronzato racconta un’esperienza della quale tante volte abbiamo parlato nei gruppi caritativi parrocchiali:

“Avevamo provveduto il frigorifero. C’è stato perfino un commovente omino di buona volontà che si era incaricato di portare in spalle, lassù, al settimo piano, i pochi mobili che eravamo riusciti a raccattare. Tutto a posto. Così, almeno, pareva. Un giorno siamo saliti a dare un’ occhiata. Ora di pranzo. Lei e i quattro bambini seduti attorno alla tavola. Ma sulla tavola non c’era nulla. Anche il frigorifero risultava vuoto, nemmeno un unghia di burro. Siamo scesi al supermercato. Dopo tre quarti d’ora, il pasto era pronto. Avevamo dimenticato, però, la cosa principale. Non eravamo passati dalla fioraia. San Vincenzo de Paoli ha detto che bisogna farsi perdonare dai poveri il pane che offriamo loro. Forse con un mazzo di fiori. Il dono dell’essenziale, perché non abbia a umiliare, va accompagnato dal superfluo. La carità deve celebrare i propri riti in un clima di festa, non nella tetraggine del dovere compiuto. E poi, che cosa è superfluo, e che cosa necessario? In certe circostanze il fiore può essere indispensabile più del pane, la musica più della minestra, il profumo più del vestito. Un vecchio può aver bisogno della medicina. Ma ha bisogno anche di essere “onorato” con una tovaglia candida. Un poveraccio, alla nostra porta, forse chiede soldi. Ma, probabilmente, ciò che gli occorre più urgentemente è che qualcuno gli regali un quarto d’ora di tempo. La Madonna, a Cana, è intervenuta per assicurare il superfluo. il vino, appunto. Quando tutti erano già un po' brilli.

    

                                                    

LUNEDI' 17  APRILE

“Uno sguardo luminoso allieta il cuore". (Pr. 15,30)

 

L’india indù ha trovato un’ immagine incantevole per descrivere il rapporto tra Dio e la sua creazione. Dio “danza” la sua creazione. Lui è il danzatore, la creazione è la danza. La danza è diversa dal danzatore, tuttavia non può esistere senza di lui. Anche volendo, non potete portarvela a casa in una scatola. Nel momento in cui il danzatore si ferma, la danza cessa di esistere. Nella sua ricerca di Dio l’uomo pensa troppo, riflette troppo, parla troppo. Anche quando guarda questa danza che chiamiamo creazione non fa altro che pensare, parlare (a se stesso e agli altri), riflettere, analizzare, filosofare. Parole, parole, parole. Rumore, rumore, rumore.

Taci e osserva la danza. Non devi far altro che guardare: una stella, un fiore, una foglia che cade, un uccello, un sasso... Ogni frammento della danza va bene. Guarda. Ascolta. Odora. Tocca. Gusta. E non ti ci vorrà molto a vedere lui, il  Danzatore

stesso!

                                                        

 

MARTEDI' 18  APRILE

“Uno sguardo luminoso allieta il cuore. Una notizia lieta rianima le ossa". (Pr. 15,30)

 

Non è possibile vivere senza amore. Uno resiste in piedi soltanto se ama e si sente amato. C’è gente, accanto a noi, che ha bisogno del nostro amore per rimanere in vita, per non lasciare spegnere la speranza, per sopportare il peso di una giornata “impossibile”, lo vedo quel sorriso come l’atto di accendere una lampada. A volte, nell’esistenza di tanti individui, è buio fitto anche se splende il sole. Senza quella fiammella, qualcuno rischia di smarrire la strada, di cedere alla paura di dover affrontare il nuovo giorno che è spuntato. Qualcuno, per accorgersi dei sole, ha bisogno della luce di un volto amico. Qualcuno, forse, ricorda il racconto di Raul Follereau.

Un lebbrosario in un isola del Pacifico. Volti devastati e spenti. Disperazione, rabbia, impotenza. Cadaveri ambulanti, carne orribilmente maciullata. Ma ci sono anche occhi luminosi e sorridenti in mezzo a tanta devastazione. in particolare si impone all’attenzione un poveraccio, il cui corpo non è meno sconciato di quello di tanti altri compagni di sventura, e che pure conserva tratti di umanità veramente sorprendenti, incuriosito per quel miracolo di attaccamento alla vita, Follereau va in cerca di una spiegazione. interroga, indaga. Lo invitano a pedinare l’uomo. immancabilmente, allo spuntar dell’alba, il disgraziato con la carne a brandelli si trascina accanto all’alto muro di cemento che circonda il lazzaretto, e raggiunge un posto ben preciso. Si mette a sedere e aspetta. L’aurora con i suoi colori non gli basta. il sole non lo riscalda e neppure accende sul suo volto un raggio di luce. Aspetta fino a quando, dall’altra parte del recinto, spunta una faccia di donna: vecchia, la pelle rinsecchita e solcata da rughe profonde. L’apparizione dura pochi istanti. Il messaggio è silenzioso, discreto: un sorriso. Ma l’uomo si illumina a quel sorriso, cui  lui risponde. E’ una specie di comunione quotidiana, il lebbroso, alimentato, fortificato da quel sorriso, può iniziare la sua nuova giornata e sopportare per ventiquattro ore la propria sorte disperata. Ha accumulato risorse di amore e di speranza, sufficienti a farlo resistere fino a domani, ossia fino al nuovo appuntamento con il sorriso di quel volto femminile. La donna è sua moglie. Quando lui era stato strappato dal suo villaggio, la compagna l’aveva seguito e si era sistemata in una baracca nei pressi del lebbrosario. E ogni mattina gli assicurava quel segno indispensabile del suo amore e della sua fedeltà. “Vedendola ogni giorno, so di essere ancora vivo”, spiega con semplicità l’uomo. (A. Pronzato)

 

 

MERCOLEDI' 19  APRILE

“Prima della gloria c’è l’umiltà”. (Pr. 15,33)

 

Questa fiaba cinese ci invita a pensare con umiltà ma con gioia a chi siamo e allora sapremo accontentarci.

 

LO SPACCAPIETRE

C’era una volta un povero spaccapietre che col sole o con la pioggia passava la giornata a spezzar sassi sul ciglio della strada. “Ah, se potessi essere un gran signore”, pensò un giorno, “mi riposerei finalmente!”. C’era per aria un Genio, che lo udì. “Sia esaudito il tuo desiderio!”, gli disse detto fatto, Il povero spaccapietre si trovò di colpo in un bel palazzo, servito da uno stuolo di domestici. Poteva riposare a suo agio... Ma un giorno lo spaccapietre ebbe l’idea di levar gli occhi al cielo, e vide ciò che forse non aveva guardato mai: il Sole! “Ah, se potessi diventare il Sole!” sospirò. “Non avrei neppure il fastidio di vedermi intorno tutti quei domestici. Anche questa volta il Genio buono lo volle far contento: “Sia come vuoi!”, gli disse. Ma quando l’uomo fu diventato il Sole, ecco che una nube venne a passargli innanzi, offuscando il suo splendore. “Potessi essere una nuvola!”, penso. “Una nuvola è persino più potente del sole”. Ma esaudito che fu, soffiò il Vento, che ridusse a brandelli le nuvole nel cielo. “Vorrei essere il Vento che travolge ogni cosa!” E il Genio compiacente di nuovo lo esaudì. Ma, divenuto Vento impetuoso e violento, incontrò la Montagna che resiste anche al Vento. Trasformato in Montagna, si accorse che qualcuno gli spezzava la base a colpi di piccone. “Ah, poter esser quello che spezza le montagne!” E per l’ultima volta, il Genio lo esaudì. Così io spaccapietre si ritrovò di nuovo sul ciglio della strada, nella sua prima forma di umile operaio. Né mai d’allora in poi si lagnò più.

 

 

GIOVEDI' 20  APRILE

“Prima della rovina viene l’orgoglio e prima della caduta, lo spirito altero". (Pr. 16,18)

 

in tutti i campi quando uno comincia ad essere più sicuro, ad inorgoglirsi di se stesso, allora è proprio il momento più pericoloso per cadere. E questo anche in campo religioso. La tentazione colpisce sempre nel punto più debole. E la debolezza è proprio nel momento in cui uno pensa di farcela con le sue sole forze. Il peccato di Adamo è veramente simbolo e segno di tutti i nostri peccati. Adamo non si fida più di Dio ma solo di se stesso, vuoi raggiungere da solo la conoscenza dei bene e del male e alla fine si trova nudo e vergognoso. L’umiltà cristiana non è un sottovalutarsi o uno svilirsi, è invece sapere che c’è Qualcuno che è la Via, la Verità, la Vita; io da solo non ho niente.

Se voglio comprendere la vita non dirò mai: “La vita è mia”, ma Lui è la vita. E neppure: “Io so la verità”, ma se guardo a Dio, “Lui può illuminare la mia conoscenza”; e neppure diverrò uno che sa tutte le strade o che le insegna agli altri, ma uno che con gioia si fa prendere per mano da Cristo e portare là dove Egli vuole, cioè nel posto giusto.

 

 

VENERDI' 21  APRILE

“Poco con onestà è meglio di molte rendite senza giustizia”. (Pr. 16,18)

 

La logica del benessere è quella di avere molto, tutto, subito abbondantemente.

Nella scuola di una borgata romana, un bambino ha disegnato la propria nonna senza mani. Richiesto dall’insegnante di giustificare quella dimenticanza singolare, ha spiegato: Ma lei non lavora! In casa, certamente gli avevano inculcato per tempo la logica del rendimento, dell’efficienza, della produzione, del profitto. Una persona vale per quello che guadagna. Se non contribuisce a “incrementare” il bilancio familiare, è un essere inutile, un peso. La nonna, in certi casi, non ha bisogno delle mani neppure per ritirare i soldi della pensione. Qualcuno la sostituisce in quella fatica. Senza mani. L’essere è irrilevante. Non conta. Soltanto l’avere, il possesso conta (di fatto, si può contare). Chissà se qualcuno si preoccuperà di insegnare a quel moccioso che le mani non servono solo per lavorare, o per tenere, prendere, difendere, ma anche per giocare (e si può, si deve giocare a tutte le età), servono anche per “lasciare”. Che le mani vanno adoperate anche per dare. Che c'é il pericolo di diventare adulti senza aver imparato a usare le mani nel gesto più bello: il dono. Che le mani veramente, irrimediabilmente inutili, sono quelle impiegate esclusivamente per se

 

 

SABATO 22  APRILE

“Il paziente vale più di un eroe, chi domina se stesso vale di più di chi conquista una città”. (Pr. 16,32)

 

Un proverbio popolare fa quasi il verso alla citazione di oggi: “La pazienza è la virtù dei forti”. Ed in effetti quanta pazienza ci vuole per educare un figlio, per dare un senso al dolore, per dominare gli istinti di vendetta...

Chi è più paziente di Dio? Egli è“paziente, lento all’ira, ricco di misericordia”. In tutta la storia Dio avrebbe potuto stancarsi dell’uomo che alle sue proposte ha sempre opposto il rifiuto dell’Egoismo.

E Gesù, quanta pazienza con gli Apostoli testoni, con le folle in cerca solo del facile miracolo, con i detentori della religiosità ufficiale ottusi davanti alla “buona notizia”? E la pazienza di Gesù si trasforma in perdono: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!” Se Dio ha tanta pazienza con me che gli prometto tante cose e che poi mi ritrovo a confessare sempre gli stessi peccati, non dovrò anch’io aver un po’ di pazienza con me stesso e con i miei fratelli?

 

 

DOMENICA 23  APRILE

“Un tozzo di pan secco con tranquillità è meglio di una casa piena  di banchetti festosi e discordia". (Pr. 17,1)

 

Racconta A. Pronzato:

Un pescatore stava sdraiato sul fondo della barca fumando tranquillamente la pipa e contemplando la distesa calma del mare. Venne disturbato da un ricco industriale che anche in vacanza non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero degli affari.

— Cosa stai facendo? — lo arronzò di brutto l’intruso.

— Come vedi, mi godo questa bellissima giornata.

— Perché non vai a pescare, invece di startene qui a fare nulla?

— Ho già preso pesce sufficiente per oggi. Non ho bisogno d’altro. Domani,

   se sarà il caso, uscirò in mare.

— Ma è una cosa inconcepibile. Dovresti darti da fare. Mica accontentarti di così poco. Pescare quanto più pesce puoi.

— E perché?

— Che diamine, lo vendi e guadagni un po' di soldi.

— E poi?...

— Ritorni a pescare, e quando avrai messo da parte una bella sommetta, potrai comprarti reti più grandi, moderne, e così

   catturare una quantità sempre maggiore di pesce.    

— E poi?...

— Lavorerai ancora duro, non starai a calcolare le ore, ridurrai al minimo il riposo e, con tanti sacrifici, ce la farai a sostituire questo catorcio sgangherato con una barca a motore.

— E poi?...

— Riuscirai a diventare un pescatore rispettabile, ricco. Con gli anni, magari, ce la farai a mettere insieme tanti soldi da avere

   alle tue dipendenze altri uomini, con una piccola flotta.

— E poi?...

— E poi, se gli affari continueranno a prosperare, come ti auguro, può darsi arrivi il giorno in cui potrai smettere di lavorare

   e    verrai qui a sdraiarti sulla riva del mare, senza troppi pensieri.

- Il pescatore, che aveva lasciato spegnere la pipa, a questo punto lo guardò tra il sorpreso e il divertito, e si limitò a

  commentare:

— Ma è proprio quello che sto già facendo adesso.

La storiella non contiene un invito alla pigrizia. La lezione è diversa ecco:

Non affannarti a rincorrere lontano ciò che tieni a portata di mano.

Non cercare fuori di te ciò che possiedi già dentro.

Non esaurirti a mettere insieme troppe cose, dimenticando di vivere.

Accorgiti di quello che hai tra le mani.

Costruisci la tua felicità qui, oggi, nella situazione in cui ti trovi.

Accontentati e sii riconoscente del piccolo dono che ti è stato offerto in questa giornata, e fa’ in modo che la riserva di vita basti fino a domani.

E se qualcuno di passaggio, ti propone affari sensazionali, rispondigli che il miglior affare — che, tra l’altro non ti è costato nulla — è quel pezzetto di mare o di cielo che hai spalancato davanti agli occhi, e la pace che tieni nel cuore.

 

 

LUNEDI' 24  APRILE

“Chi deride il povero offende il suo Creatore". (Pr. 17,5)

 

Don Giovanni Maria Colombo che ha fatto da tempo la scelta di stare con gli “impediti” fisici e mentali, racconta questo episodio.

“Un ragazzo di 18 anni, capace di una certa autonomia, nonostante le lesioni cerebrali che lo affliggono fin dalla nascita, sale sull’omnibus per recarsi al suo lavoro in un ambiente protetto.

Presenta all’addetto il proprio abbonamento.

— Manca la firma      

— sentenzia il funzionario. E    invita il giovane a completare il documento. Le sue parole cadono nel vuoto, quasi fossero

   dette in arabo. Verso la fine del viaggio, nuovo controllo. L’impiegato perde la pazienza:

— Ehi, giovanotto, fai proprio conto di prendermi in giro? Perché non hai firmato l'abbonamento?

   Risposta testuale:’

— Sei così stupido da non capire che io non so né leggere né scrivere?

 

Don Colombo insiste a raccomandare:

“Se incontrerai, Oggi, un handicappato fisico o mentale, trattalo come tratteresti qualsiasi altra persona. Parlagli con la massima naturalezza.

Non coprirlo di attenzioni.

Non aiutarlo a fare quello che vorrebbe fare da solo.

E specialmente non sostituirti a lui. Mettendoti su un piano di uguaglianza, scoprirai che quella creatura ferita nella sua struttura psicosomatica, ma intatta nel suo spirito, è capace di darti quello che mai avresti sognato”.

 

 

MARTEDI' 25  APRILE

“Meglio incontrare un’ orsa priva di figli che uno stolto in preda alla follia”. (Pr. 17,12)

 

I Proverbi nella Bibbia sono una raccolta di saggezza del popolo ebraico alla luce della fede. Anche i proverbi popolari spesso (anche se parzialmente) esprimono saggezza. Ne ho raccolto qualcuno sull’argomento della stoltezza:

Finché parla lo stolto, il saggio tace. Parlare senza pensare è come sparare senza mirare. Meglio l’inimicizia con uno intelligente che l’amicizia con uno stolto. Chi soffia nella polvere se ne riempie gli occhi. Lo sciocco non vede l’albero che vede il saggio.

 

Ed ora alcune citazioni:

 

MERCOLEDI' 26  APRILE

“Lo zelo senza riflessione non è cosa buona e chi va a passi frettolosi inciampa”. (Pr. 19,2)

 

In tutte le cose le esagerazioni non vanno mai bene.

Anche lo zelo religioso se esasperato può diventare mania se non addirittura malattia psichica, ed una delle malattie più difficili da guarire. Eppure va di moda dire che i santi erano “pazzi”. Pazzi certamente secondo il mondo perché cercano qualcosa di diverso dai valori mondani e per questo rinunciavano ad un mucchio di cose. Ma i veri santi (che non sempre sono presentati bene in certi libri agrafici scritti da altre persone “troppo zelanti” che li hanno visti solo nel loro filtro malato) erano persone molto equilibrate. Ho conosciuto persone che per il gusto (leggi soddisfazione personale) di tante ore di preghiera, di rinunce esasperate fatte pesare sulle persone che vivevano con loro, hanno rovinato le loro famiglie. Altre che sono diventate così  intransigenti da vedere il male dappertutto. Altre addirittura che nel nome della difesa della religione vorrebbero estirpare quello che ritengono il male da tutto il mondo mettendosi al posto del Signore che “lascia crescere insieme il buon grano e la zizzania”. Gesù ci chiede di “essere perfetti come il Padre vostro” ma la logica del Vangelo è quella dell’incarnazione, cioè quella del paziente crescere in una realtà limitata che lascia spazio a Dio ad agire nei tempi e nei modi che la sua Provvidenza ha previsto.

 

 

GIOVEDI' 27  APRILE

“Chi fa la carità ad un povero,fa un prestito al Signore che gli ripagherà la buona azione”. (Pr. 19,17)

 

Questo Proverbio ci dà l’occasione di riprendere ancora uno dei tanti episodi della vita di Madre Teresa di Calcutta:

Settembre 1963. Ad Agra le suore di Madre Teresa hanno aperto un altro centro di carità”. Di laggiù una suora telefona in termini drammatici:

— Dobbiamo a tutti i costi aprire una casa per i bambini abbandonati. In questa zona ne muoiono a decine tutti i giorni.

— E quanto ci vuole per aprirla?

— Possiamo farcela con 50 mila rupie (circa quattro milioni di lire).

— Capisco benissimo, sorella — mormora madre Teresa  — Ma io non so dove prenderle, cinquantamila rupie. Pochi minuti dopo il telefono squilla ancora. E’ la redazione di un quotidiano di Calcutta. Annunciano a madre Teresa che il governo delle Filippine le ha assegnato il premio Magsaysay, che la riconosce come “la donna più meritevole dell’Asia”. Teresa non ha la più pallida idea di che cosa sia quel premio. Domanda:

— Si tratta di denaro?

— Sì, circa 50 mila rupie.

Il redattore del giornale rimane di stucco quando sente la suora mormorare al microfono:

— Allora vuol proprio dire che Dio vuole la casa per i bambini abbandonati di Agra.

 

 

VENERDI' 28  APRILE

“Gola sazia disprezza il miele; per chi ha fame anche l’amore e dolce”. (Pr. 24,7)

 

Facendo il prete e dovendo spesso predicare, scrivere, consigliare è facile diventare censori degli altri. Sovente mi è capitato di chiedermi se la gente che partecipa alla Messa senta veramente fame della Parola di Dio, se i fidanzati che sono invitati alla preparazione al matrimonio sentono veramente il bisogno di costruirlo sul progetto di Dio, se i bambini che vengono al catechismo desiderino conoscere Cristo o non siano mandati per celebrare certe ricorrenze “obbligatorie” ma ormai diventate pagane. Poi guardo a me stesso che leggo quotidianamente la Parola di Dio, che la predico, la commento, che in certi passi, a forza dell’uso, la so quasi a memoria e mi chiedo: “Ho ancora fame della Parola? Mi lascio ancora convertire? Forse siamo sazi di parole e anche della Parola, perché proprio per il troppo uso essa in noi è diventata serie di parole e non più Persona. Gesù, perdona lo spreco della tua Parola; perdonaci per aver esaminato le virgole delle tue parole, ma perdonaci soprattutto per aver dimenticato di accogliere Te che sei la Parola viva.

 

 

SABATO 29  APRILE

“Come frutti d’oro su un vassoio d’argento, così è una parola detta a suo tempo”. (Pr. 25,11)

 

Siamo continuamente bombardati dalle parole.

Parole in ufficio, a scuola, in chiesa, alla televisione...

Abbiamo parole per sparlare, cianciare, pettegolare, mugugnare, disputare, polemizzare, predicare, moraleggiare, indottrinare, colpevolizzare, condannare.

Urge scovare qualche parola che aiuti a vivere.

Abbiamo parole contro qualcuno.

Non troviamo le parole a favore del nemico.

Abbiamo parole per mettere a tacere l’avversario, umiliarlo.

Urge trovare qualche parola per fare silenzio di fronte alle sue ragioni.

Abbiamo parole altisonanti, e che sono tali proprio perché nascono dal vuoto, rimbombano nel vuoto e si rivolgono al vuoto.

Urge scoprire qualche parola, nascosta, trascurata, che dica qualcosa a qualcuno.

Teniamo a disposizione parole “parlate” Dobbiamo riscoprire le parole “parlanti”.

Una parola, un silenzio, un sorriso, un apprezzamento, possono essere la parola che apre il cuore alla speranza.

 

 

DOMENICA 30  APRILE

“lo ti domando due cose, non negarmele prima che io muoia; tieni lontano da me falsità e menzogna, non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il cibo necessario". (Pr. 30,7-8)

 

Il Signore Visnu era così stufo delle continue richieste del suo devoto che un giorno gli apparve e disse: “Ho deciso di concederti tre cose che mi domanderai. Dopo di che non ti darò più niente”, il devoto, felice, fece immediatamente la prima richiesta. Chiese che la moglie morisse per poter sposare una donna migliore, Il suo desiderio fu esaudito all’istante. Ma quando amici e parenti si radunarono per il funerale e iniziarono a ricordare tutte le buone qualità di sua moglie, il devoto capì di essere stato avventato. Si rese conto allora di essere stato assolutamente cieco a tutte le sue virtù. Sarebbe mai riuscito a trovare una donna altrettanto buona? Così chiese al Signore di riportarla in vita! E rimase con una sola richiesta. Ed era deciso a non fare errori questa volta, perché non avrebbe potuto correggerli. Chiese consiglio a tutti. Qualcuno dei suoi amici gli suggerì di chiedere l’immortalità. Ma a che gli sarebbe servita l’immortalità, dissero altri, se non godeva di buona salute? E a che gli sarebbe servita la salute se non aveva soldi? E a che gli sarebbero serviti i soldi se non aveva amici? Gli anni passavano e lui non riusciva a decidere cosa chiedere: la vita o la salute o la ricchezza o il potere o l’amore. Alla fine disse al Signore: “Per favore, consigliami che cosa chiedere”.

Il Signore rise nel vedere l’imbarazzo dell’uomo e disse: “Chiedi di essere soddisfatto qualunque cosa la vita ti porti”.

     
     
 

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