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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

NOVEMBRE 1988

 

MARTEDI' 1  NOVEMBRE

“Siate santi come io sono santo”. (Levitico 11,44)

 

Quando ero in seminario i nostri superiori ci insegnavano, mentre ci spostavamo in fila, in silenzio ad usare questi tempi per ripetere al Signore delle invocazioni ed una di quelle suggerite era “Signore, fateci santi”. La dicevo poco volentieri questa preghiera perché le storie di santi che mi venivano lette erano tutte di persone e personaggi che continuamente rinunciavano a qualcosa, passavano giorni e notti in preghiera, si flagellavano. Insomma, diventare santi così non mi attraeva troppo. Oggi ho capito un po’ di più che la santità è gioia, è aver trovato un motivo di vita per cui vale la pena non “rinunciare” ma donare. Ho capito che la santità non è solo chiusa nei monasteri, non è esclusiva di preti e suore. E’ un qualcosa di possibile a me. E’ già dentro di me, bisogna solo farla erompere. E’ guardare Dio e riscoprirlo presente in se stessi e attorno a se stessi e lasciarsi prendere da Lui che è gioia e vita.

 

 

MERCOLEDI' 2  NOVEMBRE

“Le cose visibili sono di un momento”.  (2Cor. 4,18)

 

Più si va avanti negli anni e più si scopre che le certezze, nella vita sono poche. Ma c’è una certezza che non ha mai trovato smentita: la morte. E’ una certezza che suscita problemi gravi e spesso angosciosi per cui molte volte si cerca di evitarne il discorso o se talvolta ci si pensa, ci si riferisce quasi unicamente agli altri. Ecco una serie di massime. Leggiamole e chiediamoci che cosa penso io della morte, della mia morte?

 

GIOVEDI' 3  NOVEMBRE

“Dopo vidi una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo, lingua. Tutti stavano davanti al trono dell’agnello”. (Apocalisse 7,9)

 

I santi chiamano i santi. Ciò che decise della conversione di San Agostino è la lettura della vita di S. Antonio scritta da S. Atanasio, undici secoli più tardi Teresa d’Avila leggerà le “Confessioni” e scriverà: “Quando lessi le parole che Agostino sentì nel giardino mi sembrò che il Signore le rivolgesse a me, tanto fu grande l’emozione del mio cuore”; e la vita di Teresa ebbe la svolta che la portò alla santità.

Quattro secoli più tardi Edith Stein, la carmelitana ebrea uccisa ad Auschwitz si converte leggendo la vita di S. Teresa, lascia la carriera accademica dell’Università ed entra nel Carmelo.

Nell’Apocalisse, S. Giovanni descrive la sterminata moltitudine dei testimoni di Dio: questi testimoni sono nostri compagni di viaggio. L’amore che essi ci portano ci assicura che non possono separarsi da noi, non possono non amarci e intercedono per noi: uniti perfettamente a Cristo sono in profonda comunione con tutti quelli che sono di Cristo. Noi possiamo diventare amici dei santi del cielo, si può stabilire tra loro e noi un rapporto di amicizia simpatica ed illuminante. Anzi, mentre nell’amicizia con chi è ancora sulla terra noi viviamo sì meravigliose esperienze però ci imbattiamo nei nostri limiti e nella nostra incapacità di amare come vorremmo, nell’amicizia con i santi noi sperimentiamo già l’ineffabile e perfetta comunione con Dio, la pace della divina presenza, la pace senza malintesi e, in qualche modo, possediamo quella gioia, quella felicità che è il nostro eterno destino.

 

 

VENERDI' 4  NOVEMBRE

“Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. (Mt. 5,48)

 

Novembre ci ricorda i santi e li accumuna alla commemorazione dei defunti. Ma santi sono solo coloro che hanno “finito bene” la loro vita? Proviamo a riflettere su queste citazioni; poi scegliamone una e buona santità per oggi!

 

SABATO 5  NOVEMBRE

“Lazzaro, vieni fuori!”. (Gv. 11,43)

 

Conoscevo una signora che rimasta vedova si recava tutti i giorni al cimitero alla tomba del marito. Ogni giorno era per lei come un andare a trovare un amico e come rinnovare nello stesso tempo il dolore della sua mancanza. Si ammalò e si contristava non tanto per il suo male quanto per non potersi più recare a quella tomba. Certo quando la morte bussa alla nostra porta portandoci via qualcuno dei nostri cari il distacco è grande. Anche i grandi santi hanno vissuto lo strazio di queste separazioni: s. Agostino ha descritto con parole ancora vive la sofferenza da lui provata alla morte della madre. Ci dice: “Mentre le chiudevo gli occhi, una tristezza immensa si addensava nel mio cuore e si trasformava in un fiotto di lacrime. Ma cos’era dunque si domanda, che mi doleva dentro gravemente se non la recente ferita derivata dalla lacerazione improvvisa della nostra così dolce e cara consuetudine di vita comune?”. Ma i santi, al di là del dolore della separazione, credono nella resurrezione di Cristo. E in essa ricordano i loro morti. Se noi crediamo che Cristo è il vivente anche i nostri morti sono viventi con Lui. Essi ci parlano ancora nella parola di Gesù, essi sono presenti con noi nella consolazione che il Signore ci dà.

 

 

DOMENICA 6  NOVEMBRE

“Chi vive e crede in me, non morirà in eterno”. (Gv. 11,26)

 

E’ possibile comunicare con i nostri morti? Ecco al proposito una bella pagina del Card. Martini.

E’ possibile comunicare con i morti. Essi ci conoscono e pur essendo ora in cielo presso Dio, conoscono il mondo che hanno lasciato, ne conoscono prima di tutto il rapporto con Dio e con i suoi piani eterni che possono ormai contemplare. A partire da Dio, quindi, conoscono le nostre cose, i nostri problemi. Essi non soltanto ci conoscono ma ci sono vicini. E’ vero che hanno lasciato il mondo per abitare dove sono i corpi gloriosi di Gesù e di Maria, cioè al di fuori e al di là di tutto l’universo e del suo spazio. Ma intervengono ancora nel mondo e vi sono presenti con la loro preghiera, con la forza del loro amore, con le ispirazioni che ci offrono, con gli esempi che ci ricordano, con gli effetti delle loro intercessioni. L’amore che hanno nutrito per le persone care, per noi, non l’hanno perduto. Lo conservano in cielo, trasfigurato e non abolito dalla gloria.

L’espressione di Santa Teresa di Lisieux:

“Voglio passare il mio cielo a fare del bene sulla terra”, non vale soltanto per la santa carmelitana. Vale per tutti coloro che piamente crediamo essere stati accolti dalla misericordia di Dio. Genitori, parenti, amici cari parlano a Dio di noi e gli presentano le nostre intenzioni e le nostre difficoltà. Pregano in nostro favore perché i veri valori crescano in noi e siano portati a quella perfezione che ci permetterà di godere, un giorno, il volto di Dio con loro e come loro e un modo di presenza dei nostri morti che vorrei sottolineare Essi sono presenti presso ogni tabernacolo e presso ogni altare su cui si celebra l’Eucaristia. Nell’Eucaristia c'é Gesù risorto, c’è la forza della sua resurrezione e, con Gesù risorto, sono presenti tutti i santi, tutti coloro che sono morti nel Signore. Sono presenti con la loro adorazione e con il loro amore per Gesù che è anche amore per noi che siamo attorno all'Eucaristia. Al contrario noi non potremmo raggiungere i nostri morti e rischieremmo di abbracciare un vano fantasma, frutto di eccitazione e di falsa credulità se pretendessimo di comunicare con loro attraverso mezzi straordinari che hanno nulla a che vedere con la fede e che non sono fondati sulla preghiera. Certo si può comprendere che, talora, persone provate dal dolore per la perdita repentina di una persona carissima cerchino di mettersi in contatto con lei. Ma non servono a ciò i mezzi superstiziosi. Abbiamo nella fede, nella preghiera e nell’Eucaristia il mezzo, il luogo e l’ambiente per una reale comunicazione di amore con i defunti.

 

 

LUNEDI' 7  NOVEMBRE

“La creazione stessa è nell’attesa della rivelazione dei figli di Dio”. (Rom. 8,19)

 

La Bibbia ci racconta nella sua prima pagina dell’unione profonda tra l’uomo e la creazione e questo nel bene e nel male, nella vita e nella morte. Se il creato da una parte con le sue meraviglie è segno di Dio, d’altra parte le sue crudeli leggi lo costellano di morte e distruzione. Queste riflessioni non devono però portarci ad un atteggiamento di rassegnazione costernata.

La risposta cristiana al problema della morte e alla caducità del creato non è consolatoria: essa è come un appello ad ingaggiare la lotta contro un male che è già riscattato dalla redenzione di Cristo.

 

 

MARTEDI' 8  NOVEMBRE

"Dio ha creato l’uomo per l’immortalità: lo fece a immagine della sua natura". (Sap. 1,23)

 

Se noi crediamo di essere Figli di Dio creati a sua immagine è solo guardando dentro di noi che scopriremo anche la risposta al problema della vita e della morte. Diceva Hesse:

“Non c’è realtà al di fuori di quella racchiusa in noi. Per questo tanta gente conduce una vita irreale: prende per realtà le immagini esteriori

 

 

MERCOLEDI' 9  NOVEMBRE

“Se uno vuoi venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. (Lc. 9,23)

 

Presto o tardi sbatterai la testa contro quella maledetta trave che farà della tua vita una croce. Ti ammali. Subisci un incidente. Colui che ami muore. La tua carriera è interrotta. Sei ingannato, abbandonato da tuo marito o da tua moglie. Qualcuno ti contraria, ti rovina, ti umilia o ti respinge. Non ce la fai più. Diventi vecchio. La trave può avere ogni forma o dimensione. Essa non tiene conto dei tuoi titoli, della tua posizione, del tuo nome, della tua reputazione, dello spessore del tuo portafoglio delle tue relazioni e del tuo successo. Sei felice. Tutto va bene.., e all’improvviso questa terribile trave! In ogni vita umana la croce è una realtà. Tuttavia sono sempre più pochi gli uomini che si misurano con essa. Non la accettano più e sono depressi... Molti vi si perdono. Neurologi e psichiatri hanno lavoro fin sopra i capelli. Non hai scelta! Porterai la tua croce oppure essa ti schiaccerà! Ma la potrai portare solo se scoprirai il suo significato e il suo ruolo. La croce ti riconduce alla tua verità, alle tue giuste dimensioni di figlio degli uomini, povero, debole, fragile e piccolo. La croce può liberarti dalla materia in cui rischi di soffocare; può liberarti dalla mediocrità. Essa è come un’antenna attraverso la quale riesci a captare un messaggio da parte di Dio. Non ti salverà dalla sofferenza, ma ti salverà dal suo nonsenso e dalla sua inutilità! Ridiventa “uomo” e vedrai tutto diversamente e molto meglio, con occhi che avranno pianto!

 

 

GIOVEDI' 10  NOVEMBRE

"Vieni, Signore Gesù". (Ap. 22,20)

 

Mi ha sempre attratto molto il viaggiare in treno. Veder scorrere paesaggi, cose accompagnati dal rullio del treno. Ma, quella volta, ebbi l’occasione di fare una riflessione ancora più approfondita. Viaggiavo seduto nella direzione opposta a quella in cui andava il treno e vedevo sorgere le cose improvvisamente da dietro a me e poi andarsene, diventare piccole, sparire. Tutto questo mi dava la sensazione di perdere qualcosa. Provai allora a sedermi di fronte, nella direzione in cui andava il treno ed ecco, le cose come un fiume venirmi incontro, apparirmi da lontano, minuscole, poi avvicinarsi, farsi grandi, inondare gli occhi. E allora mi è venuto in mente che pur essendo tutti sul cammino della vita possiamo vederla da prospettive diverse: o la vita che sfugge o la vita che viene, o guardare con malinconia al distacco o lasciarsi inondare da Colui che viene.

 

 

VENERDI' 11  NOVEMBRE

“C’è gioia davanti a Dio per un solo peccatore che si converte”. (Lc. 15,10)

 

Un rabbi famoso, Giuda il patriarca, notava: “Vi sono coloro che si guadagnano l’eternità nel corso di tutta una vita, e altri che se la guadagnano in un breve attimo”. Noi cristiani possediamo un esempio piuttosto convincente al riguardo: il “minuto” del ladrone sulla croce. Un istante che vale una vita. Anzi, vale un’eternità.

Nel quadrante di Dio i secondi e i secoli, le ore e le epoche, i giorni e i millenni non vengono misurati secondo i nostri criteri, Il quadrante di Dio scandisce l’intensità, la densità, il significato del tempo, non la quantità. Una sola ora buona può valere tutta una vita mediocre, insignificante. Un sospiro di pentimento può valere anni che si srotolano in una piatta abitudine.

Diceva Hescheel: “Un istante di ritorno a Dio può restituire ciò che si è perduto in anni di distacco da Lui”. Il momento dell’abbraccio col Padre fa recuperare al figliol prodigo tutto ciò che ha dissipato nel tempo della lontananza. Non si tratta, quindi, di avere “tanto tempo” a disposizione, Si tratta di vivere intensamente il tempo che ci viene dato. La preziosità della vita non dipende dalla sua lunghezza. Ma dalle illimitate possibilità che ci offre ogni singolo istante. Ogni momento è “unico”. Ogni momento rappresenta un’occasione “unica”. Che non si ripeterà più. Non è addizionando i singoli momenti pieni.., a metà, che possiamo illuderci di ottenere una somma passabile. Ogni momento va vissuto in pienezza. Ogni istante deve costituire un “totale” soddisfacente.

 

 

SABATO 12  NOVEMBRE

"Il Regno di Dio non viene in modo di attirare l’attenzione, e in mezzo a voi!". (Lc. 17,21)

 

Da ragazzo m’aveva impressionato molto quella pseudo profezia: “Il Regno di Dio avrà compimento quando la statua della Madonna sarà eretta sopra il Cremlino” (forse più che ad una apparizione era da attribuirsi a qualche politicante!). Un certo modo di leggere la storia portava però a vedere il Regno di Dio soprattutto in manifestazioni esterne e di massa (e la tentazione è ancora sempre attuale) rischiando di dimenticare che il Regno è un piccolo seme ma già presente e attuale in mezzo a noi e in noi. Guardiamoci attorno e troveremo i segni del Regno:

- Quella suora del Cottolengo che ha cura dei bambini abbandonati.

- Quella mamma che vive il dramma del figlio drogato senza perdere la speranza.

- Quell’anziana che invece di pretendere sa sorridere.

E’ il Regno in mezzo a noi. Le grandi cattedrali forse gridano la fede dei nostri padri, ma sono pietre, le grandi manifestazioni religiose di piazza sono segni, ma passano.., i piccoli segni di amore sono il vero regno che continua quello cominciato con una Croce, in uno Stato sperduto ai confini di un grande impero che oggi non c’è più.

 

 

DOMENICA 13  NOVEMBRE

“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. (Lc. 11,9)

 

“Dio non mi ascolta.., e da mesi che gli chiedo quella grazia... eppure è una cosa buona e gliela chiedo insistentemente. Questa ed altre frasi di questo genere mi sono state ripetute più volte da tanta gente. lo stesso ho pensato a volte di non venire ascoltato e qualche volta per questo “ho fatto il muso a Dio!” Che Gesù ci abbia ingannati dicendoci la parola di oggi? Ho trovato questo brano di un anonimo, intitolato: Esaudito. Ve lo propongo perché mi ha fatto riflettere molto.

 

“Chiesi a Dio la forza di conquistare ed il Signore mi fece debole, perché imparassi umilmente ad ubbidire.

Chiesi di essere aiutato a fare cose più grandi ed il Signore mi fece ammalare, perché facessi cose migliori.

Chiesi ricchezze per poter essere felice e mi si dette la povertà, perché fossi saggio.

Chiesi di tutto per potermi godere la vita ed ebbi la vita, perché potessi godere di tutto.

Non ebbi nulla di quello che avevo chiesto, ma ebbi tutto quello che avevo sperato.

Fra tutti gli uomini sono il più largamente beneficiato”.

 

 

LUNEDI' 14  NOVEMBRE

“I frutti dello Spirito sono: carità, gioia, pace...”. (Galati 5,22)

L’umorismo è la gentilezza del cuore. Ecco un altro aneddoto dei Padri anacoreti:

 

MARTEDI' 15  NOVEMBRE

“Quando pregate non sprecate paro le...”. (Mt. 6,7)

 

Un innamorato corteggiò invano una ragazza per molti mesi, soffrendo le pene atroci del rifiuto. Alla fine la sua amata cedette.

“Vieni nel tal posto, alla tal ora”, gli disse.

Nel tempo e nel luogo stabiliti l’innamorato si trovò finalmente seduto accanto all'amata. Allora s’infilò una mano in tasca e ne trasse un pacco di lettere d’amore che le aveva scritto durante i mesi passati. Erano lettere appassionate, che esprimevano la  pena che provava e il suo ardente desiderio di sperimentare le delizie dell’amore e dell’unione. Egli iniziò a leggerle all’amata. Le ore passavano e lui continuava a leggere. Alla fine la donna disse: “Che razza di sciocco sei? Queste lettere parlano tutte di me e del desiderio che hai di me. Be, eccomi seduta accanto a te. E tu continui a leggere le tue stupide lettere”.

“Eccomi seduto accanto a te”, disse Dio al suo devoto, e tu continui a riflettere su di me nella tua testa, a parlare di me con la tua lingua e a leggere di me nei tuoi libri. Quand’è che tacerai e mi assaporerai?”.

 

 

MERCOLEDI' 16  NOVEMBRE

“Voi, o fratelli, siete stati chiamati alla libertà; tuttavia non vogliate fare di questa libertà un’occasione per vivere secondo la carne”. (Galati 5,13)

 

Quella della “libertà” è una nozione che si presta alla massima confusione, sia negli adulti che nei giovani. In nome della “libertà”, uomini e donne disprezzano la fedeltà coniugale e certi giovani abbandonano completamente i genitori. In nome della “libertà” la stampa d’effetto pubblica le peggiori menzogne. In nome della “libertà”, all’apparire del pericolo, la gente si rinchiude nel proprio guscio. Si vive troppo a misura dei propri sentimenti, delle proprie voglie, dei propri capricci e della propria paura. E’ la libertà coltivata e adorata dagli egoisti. Essa conduce dritto dritto nella giungla, alla tirannia del più forte, del più astuto, del più insolente. Solo in un clima di amore, il termine “libertà” si colma di senso, di valore e di gioia. Infatti in questo mondo il primato assoluto non deve andare alla libertà, ma all’amore. Chi ama si apre agli altri e dona loro potere su se stesso, restituendo cosi un pezzetto della sua libertà. L’amore rende liberi per il bene e la bellezza, per le vere e profonde gioie della vita.

 

 

GIOVEDI' 17   NOVEMBRE

“Non preoccupatevi dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di che cosa ci vestiremo?”. (Mt. 6,31)

 

Perché divento così nervoso quando perdo l’autobus o il tram, quando la macchina non è disponibile e per una volta sono costretto ad andare a piedi? Eppure so che in Oriente certi uomini camminano tutto il giorno tra le stanghe della carrozza di un ricco per una manciata di riso! Perché lamentarmi di una leggera indisposizione e preoccuparmi per una piccola ruga o una macchia di rossore?! Eppure so che migliaia di persone portano in sé un male incurabile, che migliaia di uomini sono torturati per le loro idee, per il colore della pelle, o per niente. Non penso dunque proprio mai agli altri, a quelli che non hanno gambe o che rimangono sempre sdraiati: diventerebbero pazzi di gioia se potessero attendere il turno davanti allo sportello, camminare sotto la pioggia o aspettare; e quando il mio pranzo non e servito puntualmente, dimentico che milioni di esseri non si siedono mai ad una tavola per mangiare. Siamo proprio uomini ridicoli, stolti e insensati; avveleniamo la nostra vita e quella degli altri con una serie di meschinità, mentre abbiamo tutto il necessario per essere contenti! Abbiamo la febbre, una febbre che si chiama: egoismo morboso!

 

 

VENERDI' 18  NOVEMBRE

“La città si chiamò Babele perché lì il Signore confuse il linguaggio di tutta la terra”. (Genesi 11,9)

 

Mi stupisce l’incredibile incapacità degli uomini a essere felici insieme. Per ascoltarsi, comprendersi, amarsi. La stampa, la TV e la radio forniscono quotidianamente una dose quasi mortale di guerra, violenza, omicidi, stupidaggini, spettacoli insensati. Fanno soffocare. Le conferenze, i richiami, le proteste, le manifestazioni, le contestazioni non sembrano affatto capaci di migliorare l’intesa. A modo suo ognuno cerca di essere sostenitore della pace, profeta di un mondo migliore.

Nessuno però sembra disposto a “perdonare”, a “fare la pace”.

Nessuno sembra deciso a correggere se stesso.

Ognuno vuole cominciare dagli altri.

Ognuno vuole portare il giudizio, accusare, rendere responsabili.

Ci ritroviamo a Babele.

Siamo posseduti dallo spirito di Babele, spirito di confusione, di demolizione e di turbamento.

Perché non proviamo una volta a fare un po' di silenzio per cercare lo Spirito della luce, lo Spirito di Dio, lo Spirito d’amore?

Se Egli comincia ad abitare e a lavorare nel nostro cuore, ne coglieremo anche i frutti.

Sono frutti deliziosi.

Si chiamano: amore, gioia, pace, pazienza, amabilità, bontà, fedeltà, dolcezza e semplicità.

 

 

SABATO 19  NOVEMBRE

“Aggiungete alla pietà l’amor fraterno e all’amor fraterno la carità”. (2Pt. 1,7)

 

Una sera, durante il telegiornale, sono stato colpito da una immagine. Una immagine tra le solite immagini quotidiane di catastrofi e di guerre. Proprio prima dell’attualità sportiva. Una immagine che scivola in mezzo, per un momento. Una immagine da uno dei paesi più ricchi del mondo, dotato dei più progrediti vantaggi sociali, dove, dalla culla alla tomba, ci si occupa di tutti. Una immagine della Svezia. Ho visto un vecchio sdraiato sul marciapiede. Ho visto la gente sfiorarlo. Il fotografo afferma che l’uomo era rimasto là per ore senza che qualcuno lo guardasse. Finalmente è arrivata un’auto della polizia. L’uomo era morto. Quell’immagine non mi abbandona! E’ segno di una civiltà morta e in decadenza. Nessuno aveva visto quell’uomo cadere? Perché nessuno l’aveva soccorso? E’ un suicidio pubblico causato dall’indifferenza! O forse quell’uomo era già morto da tempo per i suoi simili! Tu sai che gli uomini sono piccoli, poveri e soli, che sono deboli e vulnerabili! Sai che vi sono lacrime che nessuno asciuga. Sai che non vi è tristezza maggiore di quella di un cuore incompreso da tutti. Sai che per alcuni la vita è un insopportabile dolore. Sii aperto e dolce. Fa’ il possibile per comprendere gli uomini, per aiutarli. Entra nella loro sofferenza e solitudine. Scendi dalla vetta dell'autosufficienza verso la valle degli uomini soli e malati. Sii buono; cerca di comprendere l’indicibile nostalgia di felicità che a volte gli uomini esprimono con voglie e desideri insensati. Costruirai così la tua stessa felicità. Nella tua solitudine e nella tua debolezza fioriranno allora momenti deliziosi che ti innalzeranno al di sopra del ritmo quotidiano della vita. Avrai un cuore per sollevare tutti gli uomini e abbracciarli. Solo nella tenerezza si trova la consolazione finale per tutti gli uomini che vivono nel freddo della nostra società glaciale, regolata dalla burocrazia e dai burocrati.

 

 

DOMENICA 20  NOVEMBRE

“Ad ogni giorno la sua pena”. (Mt. 6,34)

 

Gioia e dolore, vita e morte... interrogativi continui dell’uomo... E’ bello vivere? Come vivere?

 

“Qualcuno mi ha chiesto giorni fa se, potendo rinascere, avrei vissuto la vita in maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no, poi ho ripensato un po’ su e ... Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato di meno e ascoltato di più.

 

LUNEDI' 21  NOVEMBRE

“Non amiamo a parole o con la lingua, ma a fatti e in verità”. (1Gv. 3,18Y

 

Vi sono alcuni che danno poco del molto che hanno, e per essere ricambiati, e questo desiderio segreto avvelena il loro dono. Vi sono altri che hanno poco e lo danno tutto. Essi credono nella vita e nella sua generosità, e le loro mani non sono mai vuote. C’è chi dà con gioia, e questa gioia è la sua ricompensa. C’è chi dà con rimpianto, e questo rimpianto lo rattrista. E c’è chi dà senza provare né rimpianto né gioia, inconsapevole della propria virtù; costoro sono come il mirto laggiù nella valle, che sparge nell’aria il suo profumo. Attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra. E’ bene dare se ci chiedono, ma è meglio capire quando non ci chiedono nulla; e per chi è generoso, cercare chi riceverà il dono è una gioia più grande del dono stesso. Che cosa vorresti mai trattenere? Tutto quanto possiedi sarà dato un giorno. Per questo dà oggi, perché la stagione dei doni sia tua e non dei tuoi eredi. Si dice spesso: “Vorrei dare, ma soltanto a quelli che lo meritano”. Non fanno così le piante del tuo orto, né le greggi del tuo pascolo. Esse danno per vivere, perché tenere è morire. Senza dubbio colui che è degno di ricevere i suoi giorni e le sue notti, è degno di ricevere tutto da te. E chi ha meritato di bere all’oceano della vita merita di dissetarsi al tuo ruscello. (Khalil Gibrdn, il profeta)

 

 

MARTEDI' 22  NOVEMBRE

“Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: siamo servi inutili”. (Lc. 17,10)

 

Qualche sera, stanco della giornata, mi sono ritrovato a pregare in questo modo: “Signore, oggi il bilancio è positivo, sono stanco ma ti ho servito, sono riuscito a perdonare quella persona... ho parlato di te a quel malato e sono riuscito a rasserenarlo un po’... ho fatto tre ore di catechismo. E allora nasce quasi il senso di dire: “Ho fatto bene, adesso tocca a te: dammi la paga!”. Ma... il tempo è mio? La salvezza l’ho meritata io o Gesù che è morto per me?  Ho amato per il premio o perché è bello amare...? Gesù ci vuole insegnare ciò di cui dobbiamo essere veramente contenti: non tanto di quello che noi abbiamo fatto per essere utili a Dio che non ha bisogno di noi, ma di essere suoi servi, chiamati a collaborare con Lui alla salvezza dei fratelli.

 

 

MERCOLEDI' 23  NOVEMBRE

“Cambia il cuore di pietra in cuore di carne”. (Ez. 11,19)

 

Diceva Maometto: “in ogni corpo c'é una cosa. Se questa cosa funziona bene, tutto il corpo funziona bene; ma se questa cosa funziona male, tutto il corpo funziona male.

 

In verità questa cosa è il cuore. Per cuore non si intende solo un organo vitale ma la sede dei sentimenti, degli affetti, di tutto quello che va oltre la mente. Ecco una serie di piccole perle sul cuore, leggendole mi chiedo: il mio è un cuore di carne o un cuore di pietra?

 

GIOVEDI' 24  NOVEMBRE

“Quando pregate non fate come gli ipocriti”. (Mt. 6,5)

 

Anche nella preghiera, se non ritroviamo la semplicità, il dialogo che supera le formule rischiamo la stanchezza e le parole vuote.

 

LA PREGHIERA Dl DIEGO

Diego è un bambino molto vivace di cinque anni. Frequenta la scuola materna. Di solito è molto puntuale. Oggi è in ritardo. Ciò mi inquieta. Lo vedo arrivare tutto soddisfatto. Prende posto senza dir parola. Mi avvicino e gli domando: “Diego, non mi saluti oggi?”. Per tutta risposta mi dà un bacio. Soggiungo: “Perché sei arrivato tardi?”. “Sono passato in chiesa a salutare Gesù”. “Tanto tempo per salutare Gesù?”. “Sì, perché gli ho raccontato il film di cartoni animati che ho visto ieri pomeriggio alla televisione...

 

 

VENERDI' 25  NOVEMBRE

“Voi, o fratelli, siete stati chiamati certamente alla libertà; tuttavia non vogliate fare di questa libertà un’occasione per vivere secondo la carne, anzi procurate, per mezzo della carità, di essere servi gli uni degli altri. Tutta la legge, infatti, si compendia in questo solo comando: "Ama il  prossimo tuo come te stesso".  (Gal 5,13—14)

 

La missione della Chiesa, come quella di Cristo, consiste nel liberare l’uomo dal peccato, in tutte le sue forme e in tutte le sue conseguenze. La missione della Chiesa è predicare il Vangelo del Regno, ricreare gli uomini in Cristo, condurli, per mezzo dello Spirito, alla pienezza del loro essere, nella gloria del Padre. Se pretendiamo di essere cristiani veri, non possiamo scrollare le spalle e stare ad ascoltare senza muovere un passo. L’uomo attende e grida per la sua liberazione. E la nostra stessa liberazione è legata a quella degli altri.

La liberazione da ogni schiavitù di peccato, di interessi, di egoismo, da tutto ciò che è futile e che rende l’uomo meno che umano, non si realizzerà che a questa unica condizione: che ci impegnamo a fare qualcosa per gli altri.

 

 

SABATO 26  NOVEMBRE

“Aumenta la nostra fede”. (Lc. 17,6)

 

Concludiamo le riflessioni di questo anno liturgico con l’affermazione della nostra fede. E’ un dire grazie per ciò che abbiamo ricevuto in dono ed è un esprimere a Dio nella preghiera il desiderio e l’impegno di un cammino.

Credo in Gesù Cristo che è venuto a salvarci dal male, per liberarci dai potenti, per annunciare la pace di Dio agli uomini.

Credo nello Spirito di Dio che opera in tutti gli uomini di buona volontà.

Credo nella Chiesa data a noi come segno di salvezza per tutte le nazioni nella forza dello Spirito Santo e inviata per servire tutti gli uomini.

Credo che Dio vincerà il potere del peccato in noi e in ogni uomo.

Credo che l’uomo vivrà per sempre della vita di Dio. Non credo nel diritto del più forte, nel linguaggio dei fucili, nella forza dei potenti.

Voglio credere nel diritto degli oppressi, nella mano aperta per la pace, nella forza dei poveri.

Non credo nella supremazia della ricchezza, nei privilegi di pochi, nell’ordine stabilito.

Voglio credere che tutti gli uomini sono uguali, che l’ordine imposto dalla forza e dall’ingiustizia è in realtà un disordine.

Non credo di poter protestare per l’oppressione in Oriente se tollero l’ingiustizia nella mia patria.

Voglio credere che la giustizia è un diritto per tutti e che non posso considerarmi libero finché esiste anche un solo uomo schiavo.

Non credo che la guerra e la fame siano interminabili, che il controllo delle nascite debba imporsi;

voglio credere che tutto il mondo è nella mia casa, e che la peggiore violenza è contro coloro che non facciamo nascere perché impediamo loro di esistere.

Non crederò mai che lo sforzo degli oppressi per la loro liberazione sia vano e inutile.

Non crederò che il sogno di libertà degli uomini sia solamente un sogno.

Non credo che la morte sia la fine di questa vita.

Credo e crederò sempre nell’uomo nuovo.

Oso credere nel sogno stesso di Dio: un cielo nuovo e una terra nuova dove abitino la giustizia, la verità e la pace.

(M. Peresson)

 

DOMENICA 27  NOVEMBRE

“La vostra liberazione è vicina”(Lc. 21,28)

 

Come ogni anno l’Avvento viene a ricordarci una venuta, una liberazione già in atto ma attesa ancora in modo definitivo. Ma l’uomo attende ancora qualcosa? Ha bisogno di essere liberato? L’uomo delle società del benessere, nella sua alterigia sembra rispondere: “Ho tutto e se manca qualcosa, il denaro, la scienza possono rispondere alle mie esigenze”. Ma poi ritroviamo quest’uomo schiavo delle macchine, oppresso da un mondo materiale e spirituale che lui stesso ha inquinato, angosciato dal problema della morte. Ritroviamo l’uomo che ancora chiede di essere liberato dalla fame, dalla malattia, dalle ingiustizie. Ritroviamo noi stessi insoddisfatti del nostro cammino, insoddisfatti dalle risposte preconfezionate che cerchiamo di dare ai nostri problemi, in bilico continuo tra amore ed egoismo.

“La liberazione è vicina”. Cristo è morto per noi, ci ha già liberati; la sua vita, le sue scelte sono modello di un uomo veramente libero e sono proposta e provocazione per noi. Se mi sento “da liberare” non ho che da guardare a Lui e lasciarlo venire in me.

 

 

LUNEDI' 28  NOVEMBRE

“Gli venne incontro un centurione che lo scongiurava”. (Mt. 8,5)

 

Gesù accoglie un nemico del suo popolo; Gesù si “contamina” con un militare dell’esercito di occupazione: grande scandalo! Ma Gesù accoglie un uomo che gli chiede aiuto.

Gesù è venuto per tutti, al di là di ogni distinzione. Pere il Signore rispetta la nostra libertà: per poterci dare i suoi doni bisogna che noi,riconoscendo in Lui colui che può, glieli chiediamo.

Sono due i grandi insegnamenti di questo incontro:

 

MARTEDI' 29  NOVEMBRE

“Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete”. (Lc. 10,23)

 

“Se fossi vissuto ai tempi di Gesù! Se lo avessi visto di persona!”. Il prete che mi ascoltava mi rispose: “Avresti avuto gli stessi dubbi, gli stessi problemi che hai adesso!”.

Il Signore è venuto ma viene, viene anche oggi allora non dipende dal tempo, dipende dagli occhi! Gli occhi dei positivisti pretendevano di risolvere tutto con la ragione e la scienza, quelli dei materialisti con le cose, i beni, quelli degli edonisti con il piacere...

Un vecchio salmo, parlando degli idoli, giustamente dice: “Hanno occhi ma non vedono, hanno bocca ma non parlano, hanno orecchie ma non odono...”. E noi ci scopriamo: vedenti che non vedono ad un palmo dal proprio naso... Devo fare una buona cura ai miei occhi per farli ritornare come quelli dei bambini che vedono il creato come dono bello e non come qualcosa da possedere, che vedono le persone come amici e non come qualcuno da giudicare. Dopo un po’ di questa cura i miei occhi cominceranno a vedere Gesù non come una “bella storia di ieri” ma come qualcuno che è presente oggi.

 

 

MERCOLEDI' 30  NOVEMBRE

“Attorno a lui si radunò una gran folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi... Tutti mangiarono e furono saziati”.

(Mt. 15,30.37)

 

Sempre per quella famosa cura agli occhi di cui parlavamo ieri, oggi succede ancora quanto detto nel Vangelo?

Vedo le migliaia di poveri indiani che vanno di notte per paura delle autorità, a far la coda davanti a Padre Maschio che riesce a dar loro un pane. Vedo le mani delle suore del sorriso di Bombay che cercano nelle immondizie per salvare qualche bambino abbandonato dalla disperazione di genitori che non sanno come nutrirli. Vedo il volto sorridente di una donnetta che senza dir niente, tutte le mattine passa da una vecchietta inabile per alzarla e per andare a farle la spesa. Comincio ad intravedere quella “corte di miracoli” di barboni, disadattati che fanno il giro delle parrocchie per le mille lire anche se poi spesso fanno il giro delle osterie per un “bicchiere di conforto”. “Tutti mangiarono...” Non tutti mangiano a sufficienza qui sulla terra ma, come dice Simone Weil: “Dare un pezzo di pane è più che fare un discorso, come la croce di Gesù è più che una parabola”

     
     
 

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