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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

GIUGNO 1988

 

 

MERCOLEDI' 1  GIUGNO

“E’ lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. (Mc. 10,2)

 

La domanda che i farisei pongono a Gesù, oltre che nascondere un tranello per poterlo condannare, dà anche ampia testimonianza di un’osservanza legalistica della legge. Una legge, qualsiasi legge, lascia aperte mille scappatoie per poterla impunemente disobbedire pur sentendosi ugualmente a posto davanti ad essa.

Faccio qualche esempio: “Non uccidere”, dice il comandamento e io sono a posto perché non ho mai preso in mano una pistola per rivolgerla contro un altro uomo, ma il mio modo di guidare più di una volta ha messo a repentaglio la mia e l’altrui vita, oppure con il mio lavoro straordinario collaboro a far sì che un altro faccia la fame perché c’è un posto di lavoro in meno, oppure nella mia piccola ditta è molto più facile e conveniente accettare delle commesse militari piuttosto che civili. Quando si parte dall’ “è lecito?”, quando si cerca “fino dove è possibile arrivare”, si è già ucciso l’amore. Quando poi addirittura vogliamo quantificare il nostro rapporto con Dio riduciamo Dio ai nostri bisogni, e la nostra preghiera è allora misura­ta, e alla celebrazione eucaristica guardiamo l’orologio. Gesù non parte mai da “è lecito” ma parte sempre da Dio e allora la legge rimane ma non è più un peso ma un atto di amore.

                                                         

 

GIOVEDI' 2  GIUGNO

“L”uomo non separi ciò che Dio ha unito”. (Mc. 10,9)

 

Tutte le volte che celebrando un matrimonio, dopo il consenso degli sposi, ho detto questa frase si sono accumulate nel mio pensiero il ricordo delle tante coppie che ho conosciuto: dalle tante famiglie felici che io ho incontrato alle coppie divise, a chi tuttora è in difficoltà. Gesù con questa frase riporta tutto il discorso a quello che è il piano originale di Dio sulla famiglia e a quello che dovrebbe essere il sigillo d’amore che unisce all’amore oblativo e creativo di Dio stesso. Questa volontà ha tenuto unite tante famiglie ed ha aiutato tante altre a superare le difficoltà che indubbiamente si presentano nelle coppie per il logoramento dei rapporti e per i problemi più o meno grossi che insorgono lungo gli anni. Ma ci sono anche coppie che magari, pur avendo consacrato il loro matrimonio con il sacramento cristiano, non avevano questo principio. E’ giusto allora giudicare con alterigia chi si è trovato a separare ciò che forse neppure Dio, presente ad un matrimonio ma non invitato, non aveva unito?

 

 

VENERDI' 3  GIUGNO

“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulte rio contro di lei". (Mc. 10,11)

 

Continuando la riflessione di ieri mi vengono in mente le tante coppie di fidanzati passate ai corsi prematrimoniali. Quante di queste vivendo in un mondo “cristiano” ma scristianizzato, partono dicendo: “Ci vogliamo bene, ci piacciamo, cominciamo a metterci insieme sposandoci... poi vedremo. E noi nei nostri incontri continuiamo a parlare di dialogo, quando le persone devono ancora cominciare a parlare, di innamoramento e amore, quando spesso per loro le due cose coincidono e se viene a mancare la prima cade anche la seconda, di matrimonio cristiano quando essi pensano soprattutto alla cerimonia, ai fiori, alle foto e “a fare in fretta perché andiamo a pranzo fuori Torino”. Forse qui, come per gli altri sacramenti che diamo, dovremmo con semplicità ma con fermezza ricominciare dalla alfabetizzazione cristiana perché è ipocrita da parte nostra scandalizzarsi dell’aumento dei divorzi se prima almeno non abbiamo tentato di spiegare chi sia Cristo e quale sia il suo vero progetto sulla famiglia.

 

 

SABATO 4  GIUGNO

"Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso". (Mc. 10,15)

 

Su questa frase abbiamo già riflettuto il mese scorso: ecco alcune citazioni che ci possono ancora aiutare. “Gesù non idealizza i bambini, ha parlato altre volte di bambini maleducati che giocano sulla piazza del mercato e vogliono ora questo, ora quest’altro e si mostrano impazienti e testardi (Lc. 7,23), c’è una cosa che però possiedono i fanciulli e che li distingue dagli adulti: il bambino cresce per natura fiducioso, disposto a ricevere ciò che gli viene donato, capace di lasciarsi guidare, ha il dono di vivere nell’istante presente. Tale è l’atteggiamento di fede. (Grudmann).

“C’è di peggio che una persona superba. Ed è una persona umile che si prende sul serio” (Pronzato).

“Poichè Gesù restò bambino sino alla fine, umile di cuore, poiché non aspettava nulla da se stesso, ma tutto dal Padre, poiché non si perse in sogni giovanili di forza, ha potuto essere l’uomo, l’unico. Non sappiamo nulla dei suoi anni di gioventù, ma sappiamo che attraverso gli avvenimenti più duri, dal Getzemani al Golgota, non è mai stato spinto da uno spirito giovanile, ma da uno spirito di bambino. E’ nell’obbedienza e nella mancanza di presunzione, anche di presunzione morale, che Dio compie i suoi miracoli. Egli non concede la sua forza ai forti, potenti, orgogliosi, ma all'umile” (Koch).

 

 

DOMENICA 5  GIUGNO

"Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso". (Mc. 10,15)

 

Essere “piccoli” significa anche guardare con occhi semplici e stupiti la realtà e saper vivere ora per ora come dono. Abrahow Heschel con questo brano ci aiuta a comprendere con questi occhi, la presenza quotidiana dell’ineffabile.

L’ineffabile si trova negli eventi straordinari e in quelli comuni, negli eventi grandiosi della realtà e in quelli minuscoli. C’è chi sente l’ineffabile a intervalli distanziati, negli avvenimenti eccezionali; altri lo sentono negli avvenimenti abituali, in ogni piega, in ogni angolo; giorno per giorno, ora per ora. Ai loro occhi le cose non sono mai. banali; per essi l’esistenza non si accompagna al nonsenso. Essi riescono a sentire la quiete che riempie il mondo ad onta del chiasso che noi facciamo, ad onta della nostra ingordigia. Le cose più esigui e semplici (un pezzo di carta, un tozzo di pane, una parola, un sospiro) nascondono e custodiscono un segreto che non verrà mai violato: uno sguardo di Dio? l’affinità dello spirito con l’essere? l’eterno balenare di una volontà?

 

 

LUNEDI' 6  GIUGNO

“Maestro buono, che cosa devo fa­re per avere la vita eterna?”. (Mc. 10,17)

 

Sarebbe un po’ come dire a Gesù: “Quale ricetta bisogna seguire?” “Dimmi pure quanti rosari al giorno, quante preghiere, la quantità ben precisa di denaro da dare ai poveri.., in queste cose sono disposto anche con fatica a seguirti a patto di avere l’assicurazione sulla vita eterna”. E’ il classico uomo proginnatista, tanto vicino alla mentalità odierna del computizzerato che ragiona esclusivamente in termini di profitto, e guadagno. Non è cattivo quest’uomo. E’ un osservante: conosce e applica i comandamenti secondo la legge. Va anche da Gesù a chiedere consiglio.., ma pensa ancora alla vita con la mentalità del mondo degli affari e considera la fede alla stessa stregua. Davanti a Gesù, prima di essere delle persone che “fanno” tante cose, bisogna accettare di “essere come lui”, di metterci alla sua sequela perché Lui cambi la nostra vita.

Mi diceva un anziano sacerdote: “Prima di chiederti: che cosa devo fare in quella situazione? prova a metterti davanti Gesù, guarda bene a Lui e poi vedrai anche più chiaro per te stesso!”

 

 

MARTEDI' 7  GIUGNO

“Che cosa devo fare per avere la vita eterna”. (Mc. 10,17)

 

Questa domanda mi ha fatto venire in mente un racconto dei Padri del deserto, che pur non avendo nulla a che fare con il contesto di questo versetto evangelico, mi sembra però significativo:

“Un fratello si recò dal padre Macario l’Egiziano e gli chiese: “Padre, dimmi una parola: come posso salvarmi?” Gli dice l’anziano: “Va’ al cimitero e insulta i morti”. Il fratello vi andò, li insultò e li prese a sassate. Quindi ritornò a dirlo all’anziano, e questi gli disse: “Non ti hanno detto nulla?” Ed egli: “No”. Gli dice l’anziano: “Ritorna domani e lodali”. Il fratello vi andò e li lodò chiamandoli apostoli santi e giusti. Quindi ritornò dall’anziano e gli disse: “Li ho lodati”. Ed egli: “Non ti hanno risposto nulla?” “No”. “Tu sai quanto li hai insultati — dice l’anziano — e non hanno risposto nulla, e quanto li hai lodati, e non ti hanno detto nulla; diventa anche tu morto in questo modo, se vuoi salvarti. Non far conto né dell’ingiuria né della lode degli uomini, come i morti. E potrai salvarti”.

 

 

MERCOLEDI' 8  GIUGNO

"Una cosa sola ti manca: va’ e vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". (Mc. 10,21)

 

Se guardiamo questa richiesta solo da un lato potremmo dire che Gesù è di una esigenza mostruosa: rinunciare a tutto non è facile! Se invece comprendiamo che rinunciare non è un vuoto gesto di facile ascetismo ma un conquistare la vera libertà, un riscoprire il creato non come un possederlo ma amarlo, allora comprendiamo il perché di questa richiesta di Gesù al giovane ricco e a noi. Non si tratta di dire che i beni della terra sono un male, non è un dire che il denaro in sé è “sterco del diavolo”, si tratta invece di far piazza pulita dall’attaccamento alle cose e al denaro che ci impediscono di realizzare noi stessi. E si tratta anche di riscoprire “i poveri”. Gesù non chiede di spogliarci dei beni di questa terra per sentirci “buoni” ma perché è giusto che questi beni servano a chi ne ha bisogno, perché venga riscoperta la fratellanza, la solidarietà. Se saremo   riusciti a far questo  saremmo anche “alleggeriti” da pesi inutili e allora seguire Gesù diventerà più facile.

                                                         

 

GIOVEDI' 9  GIUGNO

“Se ne andò afflitto poiché aveva molti beni”. (Mc. 10,22)

 

Quest’uomo, buono, amato da Gesù, è l’unico esempio di vocazione mancata nel Vangelo. Se ne va’ triste. E la sua tristezza non è per i beni, è per essere conscio che per conservare la sua fortuna ha perso la grande occasione della sua vita. In fondo, proprio lui, il discepolo mancato è quello che ha capito meglio le esigenze della sequela di Gesù. li suo è un modo di avvertirci che si tratta di una cosa terribilmente seria, un ammonimento che giunge a noi, come se ci dicesse: io sono triste perché non ho avuto il coraggio di lasciare le mie ricchezze, ma badate che a voi che dite di aver seguito Gesù, che vi pregiate del nome di cristiani, non è lecito portarvi dietro magari di soppiatto, oppure recuperare in altro modo, ciò che avete lasciato.

 

 

VENERDI' 10  GIUGNO

"Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel Regno di Dio". (Mc. 10,23)

 

Quanta afflizione, quanti problemi per il denaro, il potere, il successo; quante corse, quanti morti. Questa parabola buddista parla di oro e cenere ma anche di occhi per vedere o la cenere o l’oro.

C’era un uomo ricco e avido che improvvisamente trovò il suo oro tramutato in cenere. Tanto se ne afflisse, che si mise a letto rifiutando ogni cibo. Un amico, saputo della sua malattia, andò a visitarlo e apprese la causa del suo dolore. Gli disse allora: “Non facevi buon uso delle tue ricchezze. Esse perciò, quando le ammassavi, non erano migliori della cenere. Ora ascolta il mio consiglio: stendi una stuoia nel tuo bazar, mettici sopra questa cenere, e fingi di farne commercio. Il ricco fece come l’amico gli aveva consigliato, e quando qualcuno gli chiese: “Perchè vendi cenere?”, egli rispose: “Metto in vendita i miei beni”. Un giorno venne a passare di lì una ragazza orfana e molto povera, ma senza cupidigia nel cuore. Vedendo il mercante nel bazar, gli disse: “Signore, perché hai ammucchiato lì, per venderli, oro e argento?” Il ricco mercante rispose: “Vuoi porgermi, per favore, quell’oro e quell'argento?” Ed ella prese una manciata di cenere, che subito si tramutò in oro. Per chi ha le mani pure, la cenere diventa oro; ma per chi ha cupidigia nel cuore, l’oro si tramuta in cenere.

 

 

SABATO 11  GIUGNO

“E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio”. (Mc. 10,25)

 

Qualche volta corriamo il rischio di pensare che la ricchezza sia solamente conto in banca, portafoglio; ci sono anche tanti altri tipi di ricchezze, di egoismi intellettuali che ci fanno più grossi di un cammello.

Un maestro di sapienza giapponese, noto per la saggezza delle sue dottrine, ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sul suo pensiero. Il saggio servì il tè: colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare, con espressione serena e sorridente. Il professore guardò traboccare il tè, tanto stupefatto da non riuscire a chiedere spiegazione di una distrazione così contraria alle norme della buona creanza; ma, a un certo punto, non poté più contenersi: “E’ ricolma! non ce ne sta più!” “Come questa tazza”, disse il saggio imperturbabile, “tu sei ricolmo della tua cultura, delle tue opinioni e congetture erudite e complesse: come posso parlarti della mia dottrina, che è comprensibile solo agli animi semplici e aperti, se prima non vuoti la tazza?”.

 

 

DOMENICA 12  GIUGNO

"Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri.. ". (Mc. 10,17—31)

 

Dopo alcune riflessioni sulle singole parole vi propongo diviso in tre giorni, un tentativo di attualizzazione di questo brano, liberamente tratto dal libro: “Una comunità legge il Vangelo di Marco”.

Ha appena chiuso l’uscio un "barbone": una vicenda familiare incredibile e la richiesta di moneta per un viaggio assai improbabile. O forse no!... come si fa a saperlo? intanto comunque suona ancora il campanello alla porta ed è un altro che si affaccia, racconta e chiede. Si ha l’impressione a volte di sacche di ingiustizia, di miseria grandissima che la città tende a scaricare dove si creano falle nelle sue difese: nel giro di un mattino o di un pomeriggio un gruppo consistente di ubriaconi, pazzi, disadattati, drogati, relitti umani. Il fatto di aver deciso di non sganciare più dei soldi, ma di indirizzarli a qualche centro che poi aiuteremo, non ci lascia tranquilli. E intanto viene gente che si passa voce e si richiama con una solidarietà che fa venire i brividi... Ma che cosa vuol dire il Vangelo quando parla di poveri e di povertà? Si può tentare di dire qualcosa, in una prospettiva di applicazione alla vita, mai come in questo caso però tanto consapevoli della povera parola che sappiamo dire. C’è innanzitutto il rischio di ridurre la povertà, di cui parla Gesù, ad un discorso. Fortemente articolato magari, con rilievi statistici sullo sfruttamento, sulla miseria, sulla fame nel mondo. Si individuano le cause: i popoli ricchi affamano quelli poveri, chi ha, arricchisce sulla carne di chi non ha. Si fanno riflessioni assai pensate, irreprensibili, sull’ “avere o essere Si è categorici nel giudicare che il mondo stesso, oltre ai rapporti umani, è stato gestito da dissennati, rispetto alle possibilità e alle risorse energetiche, all’abitabilità: prevedendo di conseguenza la catastrofe se non sì opera una radicale inversione di tendenza. Si è indagato anche nella Bibbia: c’è una continuità di esperienza e di benedizione dei poveri di Jahvè fino a Gesù di Nazareth e parallelamente c’e la maledizione del dio mammona, “l’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali”, riassume (1Tim 6,10) Si rileva la dialettica di uno scandalo della povertà, che deve essere vinta perché gli uomini siano fratelli nella giustizia e nell’amore e, d’altra parte, della beatitudine della povertà. E dopo? Dopo, passando all’attuazione, al progetto concreto, si può fare la rivoluzione, scegliendo di usare la non violenza oppure imbracciando le armi; ci si può avviare per sentieri di povertà troppo “spirituale”, classificando sbrigativamente come insignificante il “sacramento” della povertà reale; o ci si può immeschinire in una povertà rigoristica a livello economico soprattutto individuale, coltivando contemporaneamente un senso di “grandezza” collettiva indescrivibile; si può fare il voto di povertà evangelica e non essere per nulla poveri e soprattutto evangelici.

 

 

LUNEDI' 13  GIUGNO

"Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri...".(Mc. 10,17—21)

 

Fino a che non si è spogliati, si è“cammelli”. Ed è ben stretta la porta di entrata nel Regno di Dio! Nell’ultimo passo dell’esperienza umana si è certamente ripuliti di tutto, “di là non si porta nulla”, e forse può risiedere in ciò l’ultima chance di Dio e dell’uomo. Ma il fatto è che dobbiamo incominciare qui il cielo nuovo e la terra nuova! Ci dobbiamo allora avviare alla povertà richiesta dal Vangelo? Ci avvii Gesù Cristo! ci converta e ci convertiremo: ci faccia capire dall’interno la radicalità della sua richiesta e la forza di questa esperienza, ci dia la capacità di individuare la strada e i modi di realizzazione. Diversamente siamo rovinati! Perché, come non basta la minaccia delle malattie veneree per rendere casta una persona, così non sono sufficienti le previsioni catastrofiche, umane o escatologiche, perché si viva la povertà evangelica. La spoliazione è come il doloroso  parto della liberazione, della vita liberata nell’amore; se Tu non ci mostri un anticipo, noi staremo sulle nostre, aggrappati tenacemente a quanto ci sembra valere. E’ forse per questo che ci parli del centuplo, prometti l’infinito — espresso in termini quantitativi per la nostra stupida intelligenza e prometti ciò che trascende ogni nostro desiderio? Noi non abbiamo neppure l’idea di un mondo diverso da questo, di un mondo retto da un’altra logica! e allora lottiamo all’ultimo sangue per farci un posto conveniente qui, secondo la mentalità che abbiamo. Ma c'é anche il rischio molto grosso della pretesa nella “povertà”. Lo spogliamento anche fisico può essere per il dono della libertà assoluta, ma può anche venire dalla smania di denudarsi, da esibizionismo o volontà di affermazione. Da un punto di vista umano può avere un profondo significato la contestazione del consumismo, l’opposizione alla logica dell’avere: si può giungere alla “perfezione. Proprio per questo però, nell’ipotesi che siamo sinceri, si può essere farisei, stoici o asceti, ma per nulla persone evangeliche, se in ciò si consuma il tentativo estremo, l’abilissimo colpo di reni con il quale riemerge la nostra inaffondabile pretesa: ci arricchiamo anche della povertà, ci ritroviamo nuovamente “bravi”, e perciò insalvabili, vanificando la croce di Gesù Cristo (cf. 1Cor.1).

 

 

MARTEDI' 14  GIUGNO

"Va’, vendi  quello che hai e dallo ai poveri". (Mc. 10,17—21)

 

C’è il pericolo di chiudere questa pagina del Vangelo confusi, senza luce e afflitti. “Se ne andò afflitto.. e una spina! Noi non vogliamo andarcene, Signore, ma seguirti; perciò siamo afflitti dal demone del possesso in modi sottili e diversissimi. Tu ci consentirai di seguirti solo se lasciamo tutto; ma noi non potremo mai venirti dietro poveri se non avrai operato una seduzione nei nostri confronti. Per lasciare tutto bisogna essere un po’ matti, e si è un po’ matti quando si ama. Toglici dalla nostra saggezza, donaci un po’ di amore e potremo avviarci per questo sentiero. Dona un po’ di amore alla tua chiesa, con ciò rendila spericolata, secondo i principi umani. Allora sarà viva, danzerà e profeterà nuda e bellissima, come Davide davanti all'arca. E’ l’Apocalisse? Bisoqna pure che incominci. Vieni Signore Gesù’

 

 

MERCOLEDI' 15 GIUGNO

"E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi". (Mc. 10,31)

 

Una favola ricca di arguzia e di sapienza conclude queste nostre riflessioni sulla povertà e ricchezza (in altro modo non sembra richiamare la parabola di Lazzaro e del ricco?).

Era piccolo, sparuto e miserabile, quell’ometto. Era un servo, un domestico indiano, e doveva compiere la sua corvée nella residenza del grande Signore. Pieno di umiltà e di terrore, l’Ometto si teneva in piedi di fronte al padrone. Forse a causa di quella sua aria smarrita, era da questi particolarmente disprezzato. “Mi sembri un cane”, gli diceva. “Mettiti a quattro zampe. Ora trotta come i cagnolini. Ora drizza le orecchie. Fa’ il Bello. Giungi le mani”. L’Ometto obbediva come meglio poteva, e il padrone rideva a crepapelle. E così ogni giorno, obbligava il suo servo a umiliarsi, lo esponeva alle canzonature dei suoi compagni. Ma una sera, l’Ometto alzò d’un tratto la voce. Aveva qualcosa da dire. “Grande Signore, Padrone mio, perdonami, ma vorrei parlarti”, disse. “Che? proprio tu?... e a Me?” “Sì, Signore. Ho fatto un sogno. Ho sognato che eravamo morti tutti e due: tu ed io”. “Tu?... con Me?... Racconta, che ridiamo un po'. “Ecco, eravamo morti, e perciò nudi tutti e due insieme. Nudi davanti al nostro grande Patrono san Francesco “Ma guarda un poi E allora?... Parla!” ordinò il padrone, tra seccato e incuriosito. “Il nostro grande Patrono ci esaminava con i suoi occhi che vedono fin dentro al cuore. Poi chiamò un Angelo e gli ordinò: “Porta una coppa d’oro piena del miele più trasparente!”. “E allora?” incalzò il padrone. “Allora san Francesco disse: “Ricopri questo gentiluomo col miele della coppa d’oro”. E l’Angelo, prendendo il miele nelle proprie mani, lo ha spalmato sopra il tuo corpo, o Padrone, dalla testa ai piedi, cosicché tu eri raggiante di luce, come una statua d’oro, trasparente nello splendore del cielo”. “Bene”, fece il padrone. Poi soggiunse: “E tu?” “Per me, il nostro Santo Patrono fece venire un Angelo con un grosso bidone pieno di escrementi umani.” “Andiamo, gli disse, insudicia il corpo di questo ometto; coprilo tutto come meglio potrai. Alla svelta”. Così fece l’Angelo. Mi impiastricciò tutto il corpo, da capo a piedi, ed io comparvi, vergognoso e puzzolente, nella luce del cielo...”. “Proprio così ha da accadere”, approvò il Padrone. “Finisce qui la tua storia?” “Oh no, mio Signore, no, Padre mio. San Francesco riprese a scrutarci con quei suoi occhi che frugano il cuore, poi comandò: “Ed ora, leccatevi l’un l’altro. Lentamente e a lungo!” E ordinò agli Angeli di vegliare perché si adempisse la sua volontà”.

 

 

GIOVEDI' 16  GIUGNO

“Mentre erano in viaggio Gesù camminava davanti a loro”. (Mc. 10,32)

 

Già altre volte ci siamo fermati a pensare su questo “seguire le orme di Gesù. Una favola buddista, nella sua ingenuità può forse aiutarci meglio a comprendere che cosa vuoi dire identificarsi con lui.

Una bambola di sale, dopo un lungo pellegrinaggio attraverso le terre aride, arrivò al mare e scoprì qualche cosa che mai essa aveva visto ed era incapace di comprendere. Stava sulla terra ferma, piccola, dura bambola di sale, ed  ecco che davanti a lei si stendeva  un’altra terra, mobile, pericolosa, numerosa, strana, sconosciuta. Chiese al mare: “Ma chi sei tu?” “Sono il mare”. La bambola domandò ancora: “Cos’è il mare?”, e il mare rispose: “Sono io”. “Non riesco a capire, continuò la bambola — ma vorrei proprio poterlo fare; come posso.”; disse il mare: “Toccami”. Allora la bambola, timidamente mosse in avanti un piede e toccò l’acqua e provò la strana impressione che quella cosa cominciasse a diventare conoscibile. Tirò indietro la gamba e vide che le dita del suo piede erano scomparse; spaventata esclamò: “Oh, dove sono andate le mie dita, cosa mi hai fatto?” E il mare disse: “Tu mi hai dato qualche cosa di te per poter comprendere”. Progressivamente l’acqua rosicchiò dalla bambola piccoli frammenti di sale ed essa avanzò sempre più lontano nel mare, e più avanzava, più aveva l’impressione di capire meglio, senza tuttavia essere capace di dire con le sue parole che cos’è il mare. Affondando si scioglieva sempre di più, ripetendo: “Ma che cos’è il mare?” Alla fine un’onda fece sparire quel che restava ancora di lei e la bambola disse: “Sono io!”.

 

 

VENERDI' 17  GIUGNO

"Dissero a Gesù: concedici di sedere nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla sinistra". (Mc. 10,37)

 

Questi due discepoli, come noi molte volte, ragionano ancora in termini di potere. Vogliono essere utili a Gesù ma pensano che un buon posto di comando nel Regno di Dio ci stia proprio bene. Si accorgeranno dell’assurdità della loro richiesta solo quando, ai piedi della croce vedranno che alla destra e alla sinistra di Gesù ci stanno due ladri sulle loro croci. La strada del potere per Gesù è quella del servizio. Papa Giovanni XXIII aveva capito bene queste cose: in questi giorni, meditando su questo brano lasciamoci guidare da alcune sue parole.

“C’è chi aspetta nel Pontefice l’uomo di stato, il diplomatico, lo scienziato, l’organizzatore della vita collettiva, ovvero colui il quale abbia l’animo aperto a tutte le forme di progresso della vita moderna, senza alcuna eccezione. Su questa affermazione noi vogliamo insistere: che cioè a noi sta a cuore in maniera specialissima il compito di pastore di tutto il gregge. Le altre qualità umane — la scienza, l’accorgimento e il tatto diplomatico, le qualità organizzative, possono riuscire di abbellimento e di completamento per un governo pontificale, ma in nessun modo possono sostituirlo. Lo stile del pastore è questo; contare le pecorelle ad una ad una”. Stamattina devo ricevere dei cardinali, alcuni principi e degli importanti esponenti del governo. Ma oggi pomeriggio, voglio trascorrere qualche minuto con degli uomini qualunque che non abbiano altro titolo all’infuori della loro dignità di essere umani e di figli dì Dio. Ho chiesto alle nuove reclute della guardia svizzera di venire a bere un bicchiere con me questo pomeriggio, per fare reciproca conoscenza.

 

 

SABATO 18  GIUGNO

“Voi non sapete ciò che chiedete!” (Mc. 10,38)

 

Questa affermazione di Gesù è da tener ben presente nella nostra preghiera. Un giorno, andando a benedire una casa, incontrai un signore che mi disse: “Sono trent'anni che non vengo più in chiesa. Prima credevo, poi quando il Signore mi ha buggerato. Gli dissi: “Come?” Con un senso di risentimento mi rispose: “Nel suo Vangelo non c’è forse scritto: Qualunque cosa chiederete nel mio nome, statene certi l’otterrete?” lo chiesi, e chiesi con fede, e non una cosa stupida ma il dono della salute per un mio carissimo amico ma... niente, il mio amico morì e soffrendo anche molto”. E’ vero! ci sono cose che a noi sembrano buone, e dobbiamo chiederle. Ma il vero bene qual’è? Dio sa qual’è il vero bene. Allora chiedo, ma devo anche fidarmi che Dio, Padre buono, non può darmi cose cattive. E poi, forse, poco per volta, dovremmo capire che vera preghiera non e vogliamo che tu faccia per noi quanto ti chiediamo” ma “vogliamo fare quanto tu ci chiederai”.

 

 

DOMENICA 19  GIUGNO

"Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire". (Mc. 10,45)

 

Alcune parole di papa Giovanni XXIII ci aiutano a capire e attualizzare questa parola.

“Chi è investito di autorità — autorità non si comprende altrimenti che nel significato di missione e di servizio deve cercare di capire che cosa Dio gli domanda, e fare della volontà di Dio norma di pensiero e di azione. Il senso della mia pochezza e del mio niente mi ha sempre fatto buona compagnia, tenendomi umile e quieto, e concedendomi la gioia di impiegarmi del mio meglio in esercizio continuato di obbedienza e di carità per le anime e per gli interessi del Regno di Gesù, mio Signore e mio tutto. A Lui tutta la gloria: per me ed a merito mio la sua misericordia”.  ..."Alla mia povera fontana si accostano uomini di ogni specie. La mia funzione è di dare acqua a tutti”.  ...L’umile papa che vi parla è pienamente consapevole di essere personalmente ben poca cosa davanti a Dio, non può che umiliarsi... Ve lo diciamo con tutta la semplicità come lo pensiamo; nessuna circostanza, nessun avvenimento, per quanto possa essere amorevole per la nostra umile persona ci può esaltare o attentare alla tranquillità dell’anima nostra.

                                                         

 

LUNEDI' 20  GIUGNO

"Il cieco buttò via il mantello, balzò in piedi e andò vicino a Gesù". (Mc. 10,50)

 

Gli studiosi discutono se  il mantello c'é l’aveva addosso oppure  gli serviva per accucciarsi sopra e raccogliervi l’elemosina. In ogni caso, il gesto di scaraventarlo via, qualunque fosse l’uso precedente, acquista un rilievo eccezionale. E’ un gesto di grandezza, da signore. Glielo lascia. Lo prenda chi vuole. Quel mantello rappresenta lo spazio in cui l’hanno sistemato, il posto che gli hanno assegnato. Per esigenze di ordine. Tu sei cieco, e cerca di non ingombrare troppo. Stattene lì, tranquillo, ti concediamo di sfruttare la tua infermità per guadagnarti da vivere con le elemosine. Ma in un angolo, ai bordi della strada, devi lasciar libero il cammino. Quello, però, a un tratto balza in piedi e irrompe al centro della strada. E’ l’insurrezione. La libertà ritrovata. Guarisce nell’istante stesso in cui decide di correre verso Gesù. Ecco il miracolo. Rompere lo sbarramento della folla, i cordoni delle abitudini, allineamento delle convenzioni sociali, rifiutare le parti imposte, entrare in scena nel momento non previsto del copione, aprirsi un varco verso Gesù: questo e non altro significa “salvezza”. Il passaggio dallo stare ai margini per spingersi verso il centro , verso la verità del proprio essere, è il momento della grazia. Salutato, festosamente, dallo svolazzare del mantello. Tutto comincia da questo momento.

 

 

MARTEDI' 21  GIUGNO

“E il cielo cominciò a vederci di nuovo”. (Mc. 10,52)

 

Subito prima del racconto della passione, Marco mostra dunque ancora una volta ai suoi lettori cosa vuoi dire fede e cosa vuoi dire seguire Gesù. Nell’ordine abbiamo: il cieco che prega con perseveranza, che invoca malgrado gli ostacoli, che viene confortato, che corre incontro a Gesù, che si lascia interrogare da lui, che si fa aprire gli occhi, che lo segue nel suo cammino. Solo dove l’uomo ha gli occhi aperti da un’azione miracolosa di Dio che gli permette di vedere quel che accade in Gesù, e può “seguirlo per la via”, capisce ciò di cui c’è ancora da parlare adesso: il cammino dei figlio dell’uomo verso la sofferenza.

(E. Schweizer)

 

MERCOLEDI' 22  GIUGNO

“Andarono e trovarono un asinello legato”. (Mc. 11,4)

 

il Signore ha bisogno di te. Ha bisogno di un “asino a ore Nient’altro che di questo. Se ne fossimo convinti, saremmo sempre disponibili, senza tuttavia prenderci troppo sul serio e senza darci arie da padreterno. Quell’asino dovrebbe entrare di diritto in un trattato sull’umiltà. Essere l’asino che sta lì, pronto a venire utilizzato come e quando e quanto a lui piacerà, e poi rimandato indietro, perché non serve più, ed è contento lo stesso, il trionfo è quello dell’Altro, lui torna al suo posto, “vicino alla porta”, non pretende il primo piano alla televisione, un asino da niente, però sempre pronto nei caso lo venissero ancora a requisire un’altra volta, ma che sia per un servizio, non per una premiazione. Un asino, tra l’altro, che ha il grosso merito di stare zitto. Dobbiamo metterci bene in testa che il Signore ha bisogno soltanto di un asino a ore. Mentre noi non possiamo fare a meno di lui neppure per un istante.

 

 

GIOVEDI' 23  GIUGNO

"Osanna: benedetto colui che viene nel nome del Signore". (Mc. 11,9)

 

Stupisce sempre pensare al fatto che questa folla osannante tra  pochi giorni griderà per Gesù: “A morte! sia crocifisso!” Ma poi penso a quante volte noi nella Messa abbiamo lodato Dio cantando: “Santo, Santo... Benedetto colui che viene nel nome del Signore” e poi è bastato un nulla per tradire Gesù, per vanificare il suo messaggio! Gesù sa queste cose. Entra in Gerusalemme tra le acclamazioni della folla, ma in silenzio. Il silenzio di Gesù fa da contrappeso all'acclamare sconsiderata della folla. Gesù vede al di là delle apparenze, vede la nostra fragilità. In un’altra occasione, quando dopo la moltiplicazione dei pani la folla esaltata voleva farlo re, fuggì, ora in silenzio avanza verso la città santa e verso la sua passione. Pur vedendo la falsità di molti, Gesù va a morire per loro. “Signore, tu mi scruti e mi conosci”, sai quanto ti voglio bene, conosci anche la mia povertà. Non abbandonarmi quando sono falso ma proprio per questo salvami!

 

 

VENERDI' 24  GIUGNO

“Scorgendo di lontano un fico coperto di foglie andò a vedere se vi poteva trovare dei frutti”. (Mc. 11,13)

 

Sembra un assurdo: Gesù va a cercare dei fichi quando non è stagione di fichi, come tra poco Gesù cercherà fede e preghiera in un tempio glorioso dove invece troverà solo venditori di oggetti e di parole. Diventa allora evidente il significato della maledizione del fico e della purificazione del tempio. Gesù non vuole foglie, esteriorità. Se c’è solo questo non c’è benedizione ma maledizione. Gesù mi scruta: sta cercando frutti. Non viene a cercare ciò che è “naturale”, non attende ciò che è “logico” attendere. Non si accontenta dell’esteriorità, del perbenismo, dell’essere formalmente a posto, vuole trovare dei frutti! Quanta apparenza nella mia vita, quante parole nascondono il vuoto che c’è in me. Fiori e frutti, in casa mia, non devono spuntare solo in primavera o in estate, ma devono esserci sempre quando tu voglia cercarli. Sfronda pure un po’ di fogliame ma porta ancora un po’ di pazienza prima di maledirmi.

 

 

SABATO 25  GIUGNO

“Venne a cercarvi i frutti”. (Mc. 11,13)

 

Ritorniamo ancora sul tema di ieri con una riflessione di Pranzato.

Ebbe fame. Scorgendo da lontano un fico coperto di foglie, andò a vedere, caso mai ci trovasse qualcosa”. Lo vedo avvicinarsi a me. Ha fame. Punta lo sguardo e mi fruga perché cerca “qualcosa”. Un frutto, anche uno solo, in mezzo al fogliame. Fa l’inventario della mia mercanzia, per scoprire qualcosa che interessa a Lui. Speravo non si occupasse di me, non mi individuasse. Si accontentasse di passarmi accanto. Uno dei tanti alberi che fiancheggiano la strada. Perché concentrare la sua attenzione proprio su di me? Perché frugarmi con quegli occhi implacabili? Ha fame, E io sono un albero da frutto. Non una pianta ornamentale. “Ma, giuntovi sotto, non trovò altro che foglie”. Il mio nome scritto sul registro dei battesimi. Segnalato sul bollettino parrocchiale tra i benefattori. La tessera dell’Azione Cattolica. L’appartenenza al “gruppo”. L'immaginetta nel portafoglio, me l’ha data una suora all’ospedale. La medaglia di san Cristoforo sul cruscotto della macchina. “Ho uno zio monsignore”. Le mie chiacchiere. Sono stato in pellegrinaggio a Lourdes. Ho ascoltato la predica del parroco. Sono persino abbonato al quotidiano cattolico, leggo il settimanale diocesano e ricevo la rivista con la posta dell’anima. Non vado a vedere i film osceni, e mando a letto i bambini quando li danno alla televisione. Non faccio del male a nessuno. Soltanto foglie”. Tutto li il tuo cristianesimo? Ma io voglio frutti non foglie. Ho fame e la tua ombra non mi riempie lo stomaco. “Infatti non era stagione di fichi”. Signore, ragiona. Non è la stagione. Non ho avuto tempo. Perché tanta fretta? Sii comprensivo, dunque. Non sono un santo, in fin dei conti. Perfino il sacerdote col quale mi sono consigliato, assai colto, all’avanguardia mi ha detto che posso stare tranquillo, che non sono obbligato, che tu invece ce l’hai con certi lazzaroni... Avrei dovuto parlare? Prendere posizione? Denunciare quell’ingiustizia? Svelare quel sopruso? Ma non era opportuno, ci vuole prudenza, non bisogna precipitare le cose, si rischia di compromettere tutto, e poi sai, quella è gente che gode di protezioni in alto loco. Non se ne sarebbe cavato nulla ugualmente. Non è la stagione. Signore, controlla per favore il tuo calendario. Ma in che mondo vivi? Scusa, sai... Ma ci deve essere uno sbaglio. Vedi di regolare il tuo calendario, sul mio e lasciami in pace. “E prendendo la parola, gli disse: “Nessuno in eterno possa più mangiare frutto da te”. E i suoi discepoli stavano ad ascoltare”. Hanno sentito. Chissà se hanno compreso che la fede deve spuntarla sulle false necessità? Che l’amore ha il dovere di compiere miracoli? Tengo un’agenda sul mio tavolo. Ogni giorno vi sono segnati i miei appuntamenti, le scadenze, le attese degli atri nei miei riguardi, Insomma, tutto ciò che devo fare. Certi fogli sono larderellati di richiami, di impegni. Osservandoli, riconosco di “fare anche troppo”. In alcuni giorni, quando sono letteralmente strangolato dal lavoro, rubo ore al sonno. Per rispettare l’agenda. E mi illudo di essere tremendamente esigente con me stesso. Se lasciassi quell’agenda nelle mani del Signore. Vi scriverebbe sopra cose impensate, richieste folli, scadenze impossibili, cifre spropositate. E io, leggendo quelle esigenze assurde, strabuzzerei gli Occhi e avrei l’impressione di impazzire. Invece dovrei essere ubriaco di gioia. Perché Dio mi ritiene capace dell’impossibile. Se cerca il fico fuori stagione, vuol dire che ama e stima quella pianta fino a ritenerla capace del miracolo. Chi non ama chiede quisquilie. Gli uomini chiedono così poco alle creature. Briciole di tempo, il corpo, la bellezza, qualche attimo di piacere, un po’ di stordimento, qualche distrazione, una manciata di denaro, un poco di considerazione, qualche applauso, qualche inchino più o meno spontaneo, un voto. Gli uomini non amano i propri simili. Non li stimano. Si limitano, perciò, a chiedere loro delle miserie. Dio mi ama. Mi stima immensamente. Infatti mi chiede tutto. Esige da me l’impossibile. Cristo non è morto in croce perché io “non facessi del male a nessuno”. Ma perché diventassi capace di fare miracoli.

 

 

DOMENICA 26  GIUGNO

“Cominciò a cacciar via tutti quelli che stavano nel tempio a vendere e comprare". (Mc. 11,15)

 

“Reverendo ha visto che scempiaggine tutti quei venditori di ricordini? Se ci fosse Gesù!...” mi diceva una signora di ritorno a Lourdes mentre dalla sua borsa spuntavano tre o quattro “madonne con il tappo” e al suo petto faceva bella mostra un’ “umile madonnina” ma “in argento, sa!” Il punto di vista peggiore per la scena della cacciata dei mercanti dal Tempio è senza dubbio quello dello spettatore che “non c’entra” con quanto accade. Viene istintivo mettersi in un angolo, su un gradino, in disparte. E vedere, con un malcelato compiacimento, Gesù che fa piazza pulita. Già. La cosa riguarda sempre gli altri. Noi siamo lì di passaggio. E commentiamo “ben gli sta”, “l’avevo sempre detto, io, che era una vergogna, una cosa intollerabile”. Con un atteggiamento del genere, non afferriamo il significato dell’episodio. Nessuno può ritenersi dispensato da quella pulizia. Chi di noi è sicuro di non essere un frequentatore “abusivo” del Tempio? Chi può sostenere di non essere andato qualche volta a mercanteggiare con Dio? Chi non ha mai preso la strada della chiesa soltanto per sentirsi a posto, tranquillo? Il gesto di Gesù lo si comprende soltanto se ci si colloca tra i destinatari della sua ira. Il Tempio e purificato” adesso che sono stati sbattuti fuori i mercanti a patto soltanto non entrino coloro che si ritengono “puri”.

 

 

LUNEDI' 27  GIUGNO

“La mia casa sarà una casa di preghiera, voi ne avete fatto un covo di briganti”. (Mc. 11,17)

 

Gesù mette in contrapposizione: o il tempio è casa di preghiera o è un covo di briganti. Non ci sono posizioni intermedie. Non li ha cacciati perché erano mercanti disonesti. Ma perché erano mercanti nel Tempio. La condanna non riguardava la loro moralità, ma il loro traffico. Gesù non dice: “Dal momento che non riuscite a pregare come si deve, cercate almeno di essere un po' più composti”, “Dal momento che avete sistemato le vostre bancarelle, cercate almeno di non disturbare le sacre funzioni” (oppure “date almeno un’offerta più generosa per le opere parrocchiali”), “Dal momento che siete disonesti e ingiusti, fate almeno qualche elemosina”. Nel linguaggio di Gesù non esiste l’almeno. Gesù non scende a compromessi: caccia fuori. O, qualche volta, fa di peggio: esce Lui. Non è detto che le funzioni solenni, i canti, le belle liturgie, interessino sempre il Destinatario. Non è detto che quando la sua Casa è piena di gente, sia necessariamente presente il Padrone di Casa. “Non possiamo dire che quando andiamo in chiesa, anche Dio ci viene (Noordmann).

 

 

MARTEDI' 28  GIUGNO

“Venendo a conoscenza di questi fatti cominciarono a cercare un modo per far morire Gesù”. (Mc. 11,18)

 

Questo brano di Adriana Zarri ci fa riflettere e pregare sull’intero episodio della cacciata dei venditori dal Tempio.

Tu sei venuto a inquietare; ma noi non vogliamo inquietudini: vogliamo il nostro quieto vivere; e che la gente vada in chiesa e ci confermi che va tutto bene; che noi siamo dalla parte sicura e che contiamo ancora qualche cosa. Che, se le chiese si vuotano, cosa conta più il prete? E cosa ci sta a fare più, in canonica? A te, invece, non importa “contare”, e non importa perdere i “fedeli” che sono solo avventori di bottega. Tu non sei venuto per tranquillizzarci, consolidando il nostro mondo; non sei venuto a chiamare ordine ciò che è disordine e disciplina ciò che è oppressione e sopruso. Questo mondo di prepotere e di ingiustizia tu non l’accetti. Sì, Signore, tu non sei il Gesù ben pettinata dei nostri dolci sacri cuori: tu sei il profeta pieno d’indignazione. Voler cancellare la tua collera significa volerti addomesticare e ricondurre al nostro ordine equivoco: un ordine che abbiamo battezzato, cresimato, benedetto e messo sotto la tua protezione. Ma tu non lo proteggi: lo rovesci, anche se è dentro la tua chiesa. Questa è la conversione cui chiami: rifiutare lo spirito del mondo. E lo spirito del mondo non è soltanto la pornografia o l’indisciplina, peccati contro cui siamo tanto rigidi; più spesso è una massificante disciplina, un ordine iniquo, un potere oppressivo.

 

 

MERCOLEDI' 29  GIUGNO

“Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di ottenerlo e vi verrà accordato”. (Mc. 11,24)

 

Tante volte questa frase di Gesù, staccata dal discorso fede-fiducia-abbandono, ha creato quasi un automatismo ed ha ridotto Dio ad un tappabuchi. Questo aneddoto di Antony de Mello, anche se a prima vista un po’ sconvolgente e irriverente è invece pieno di saggezza e nella linea di Gesù. Il maestro non smetteva mai di attaccare le nozioni di Dio che la gente aveva. “Se il vostro Dio viene a salvarvi e vi toglie dai guai”, diceva, “è ora che cominciate a cercare il vero Dio”. Quando gli chiesero di spiegarsi, raccontò questa storia: Un uomo lasciò al mercato, incustodita una bicicletta nuova fiammante e andò a fare le sue spese. Si ricordò della bicicletta solo il giorno dopo... e si precipitò al mercato sicuro che fosse stata rubata. La bicicletta era esattamente dove l’aveva lasciata. Sopraffatto dalla gioia si precipitò in un tempio vicino a ringraziare Dio per aver custodito la sua bicicletta... solo per scoprire, uscendo dal tempio, che la bicicletta non c’era più!

 

 

GIOVEDI' 30  GIUGNO

“Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate perché anche il Padre perdoni i vostri peccati”.

(Mc. 11,25)

Perché bisogna perdonare per pregare bene? Perché non avrebbe senso invocare Dio come “Padre nostro” se poi noi non viviamo la fratellanza. Dobbiamo essere fratelli, perché tutti siamo, in realtà e non solo di nome, figli dello stesso Dio Padre (1Gv.3,1), e abitiamo nella stessa casa con lui (Ef. 2,19). Il Padre però nessuno l’ha mai visto. Tuttavia, se ci amiamo gli uni gli altri, Dio abita in noi, e noi siamo nel suo perdono e nella sua pace come il suo amore è in noi nella sua pienezza (cf. Gv. 4,12).

In realtà possiamo perdonare, perché siamo perdonati, possiamo amare perché siamo amati. Tuttavia, se non perdoniamo, ci escludiamo dal perdono; se non amiamo, ci escludiamo dall'amore. Non può pregare chi ha il cuore privo della carità di Cristo, chi non sa perdonare ai fratelli, perché non ha ancora scoperto il senso profondo della paternità divina e non può rivolgere in spirito e verità al Padre la preghiera che Gesù stesso ha insegnata ai suoi discepoli e che esprime appunto la disponibilità di perdonare agli altri, nella certezza di ottenere a nostra volta il perdono dei nostri peccati.

     
     
 

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