UNA PAROLA AL GIORNO
RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA
PAROLA DI DIO
a cura di don Franco LOCCI
APRILE 1988
VENERDI' 1 APRILE
“E che sapienza é mai questa?” (Mc. 6,2)
Il termine “sapienza” come la parola amore e molti altri termini hanno assunto oggi una serie di significati per cui diventa facile usarli ma molto difficile comprenderli. Per qualcuno è sapiente chi sa molte cose, chi ha studiato, per altri chi è furbo e sa cavarsela in ogni situazione, per altri ancora chi cerca il senso delle cose e della vita. Anche davanti a Gesù gli interrogativi dei suoi connazionali si aprono a ventaglio per cercare di classificare la sua figura e la sua persona. C’è ammirazione, invidia, curiosità, stupore, incapacità di capire... Eppure nella Bibbia stessa la parola sapienza aveva un significato fondamentale, era la presenza stessa di Dio nel suo popolo, era la sua Parola, la sua legge, il suo agire insindacabile e misterioso. Ma qui la sapienza di Dio è una persona concreta, in carne ed ossa ed ecco allora i dubbi. Se vuoi diventare sapiente davvero devi smetterla di essere sapiente, saggio, furbo così come intende i). mondo e accogliere la sapienza di Dio, diversa dalla tua ma capace di farti riconoscere in Gesù la sapienza incarnata.
SABATO 2 APRILE
“E questi prodigi compiuti dalle sue mani?”. (Mc. 6,2)
La ricerca dello straordinario, del “miracoloso” e una delle cose più in voga. Si cercano maghi, fattucchieri, persone “dotate”, coloro che materializzano cose. Altre volte si cercano miracoli facili: soli che girano, statue che parlano o lacrimano, come se in esse ci fosse la salvezza. Poi quando ci si imbatte nel miracolo più grande, quello di un Dio fatto uomo si stenta a riconoscerlo. Occorre, invece di seguire le rischiose strade dello straordinario, cogliere ogni giorno, con sapienza, il silenzioso presente di Dio.
Se noi guardiamo nei vangeli, scopriamo che non ci sono miracoli superflui: tutti indicano che colui che, per compassione, amicizia dell’uomo, lotta contro ogni forma di male, fa i miracoli è il figlio di Dio fatto uomo. E ogni miracolo è anche sempre l’indicazione di un cammino di fede che il Signore ci chiede di fare, sia prima, sia dopo il miracolo stesso.
DOMENICA 3 APRILE
“E si scandalizzavano di Lui”. (Mc. 6,3)
Lo scandalo della parola fatta carne.
Gesù “tra i suoi parenti, nella sua patria, e in casa sua” è motivo di profondo scandalo. E perciò è rifiutato: “Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv. 1,11). Ma in che cosa consiste lo scandalo? I “suoi ammettono facilmente che le cose compiute e dette da Gesù non hanno un’origine umana, che la sapienza gli è donata dall’alto e che i prodigi compiuti dalle sue mani gli vengono d’altrove. Ciò contro cui inciampano è il fatto che la parola decisiva e l’azione liberatrice di Dio siano strettamente legate a un uomo concreto, di cui si conoscono il luogo di origine, la condizione sociale (del resto umile: un lavoratore!) e i parenti: precisamente a Gesù di Nazareth. E’ lo scandalo della parola fatta carne (Gv. 1,14), cioè della rivelazione di Dio in un pezzo di storia umile e concreta.
Spesso fede è intesa come ideologia e allora anche per noi c e lo scandalo di Gesù. Dio invece sceglie la carne: “uno di noi” e ci chiede fede in Lui perché come Dio si è fatto uomo, l’uomo, attraverso Gesù, possa giungere a Dio.
LUNEDI' 4 APRILE
“E si meravigliava della loro incredulità”. (Mc. 6,6)
Gesù si meraviglia dell’incredulità. L’incredulità davanti all’evidenza, la durezza di cuore meravigliano sempre perfino un Dio che nella storia di amore verso il suo popolo, tante volte si è sentito rispondere con grettezza, con tracotanza e superbia. Ma ancora oggi succede o può succedere la stessa cosa.
Un don Ciotti che, vivendo da vicino le sofferenze di tante persone, fa scelte difficili, ma concrete a loro favore, scandalizza perché scomoda i benpensanti, i sicuri della Legge. Certi missionari che scelgono i più poveri non scandalizzano forse coloro che ricchi sentono vacillare i loro beni? E le nostre comunità sono disposte ad accogliere parole e gesti profetici in mezzo a loro oppure il “buon senso", il “sano vivere”, il “non dar fastidio” che spesso è il non venir infastiditi hanno il sopravvento?
MARTEDI' 5 APRILE
"E ordinò loro che, oltre al bastone non prendessero nulla per il viaggio". (Mc. 6,8)
Mi sono chiesto: perché questo invito? Sarà per quel misticismo tipico delle religioni che qualche volta sconfina nel disprezzo di tutto ciò che è materiale per evidenziare solo lo spirituale? Credo di no! Gesù è amante della vita, sa gustare la gioia della compagnia, dello stare a tavola, dell’amicizia; Gesù accetta l’aiuto delle pie donne che sostengono la sua opera e quella degli apostoli. Chiedendo questo ai suoi discepoli non vuole disprezzare le cose della terra, i mezzi di comunicazione sociale, le “opere” della Chiesa. Vuole invece che i messaggeri del suo Vangelo, cioè noi, sappiamo una cosa: non è con la potenza, la ricchezza, le risorse umane che il Vangelo si propaga: il Vangelo è dono gratuito di Dio che ha già in sé la forza per crescere. Dobbiamo ricordarcelo spesso, grandi e piccoli della Chiesa, e un metodo per ricordarcelo è leggere la storia della Chiesa: una per tutte, basta chiederci: ha fatto più bene alla Chiesa la povera predicazione di san Francesco o il Regno Pontificio?
MERCOLEDI' 6 APRILE
"E ordinò loro che oltre al bastone non prendessero nulla per il viaggio". (Mc. 6,8)
Una riflessione di A. Pronzato ci aiuta a ripensare ancora una volta a questa parola del Signore che ci scuote specialmente per quanto riguarda il modo di agire all’interno della comunità:
Si direbbe che per certa gente scocchi sempre e soltanto l’ora di stilare i programmi di viaggio. Mai quella della partenza. Conosco individui che, a forza di parlare di dialogo, sono diventati rauchi e quindi non possono, ovviamente, dialogare. Che hanno programmato il rispetto della persona. E, dovendo mettere a punto quei programmi, non esitano a stritolare le persone (forse il rispetto sarà più facile dopo un’opportuna... rarefazione delle persone da rispettare). Che producono quintali di documenti sulla povertà (e, naturalmente, hanno bisogno di soldi per tutta quella carta). Che illustrano le prospettive per il futuro e non s’avvedono che, nel presente, si sta facendo il vuoto attorno a loro. Quando si accorgeranno, ci sarà soltanto più da spegnere la luce, il futuro sarà finito. Gesù “chiama” e “manda”. Per alcuni che vanno, troppi stanno a stropicciare il programma di viaggio. Gesù, scusa l’impertinenza. Ma, oltre a non fornire il manuale, forse ti sei dimenticato pure di precisare che il missionario non è uno che viaggia sulla carta geografica.
GIOVEDI' 7 APRILE
“Se non vi riceveranno e non vi ascolteranno andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi”. (Mc. 6,11)
Per gli Ebrei scuotere la polvere dai piedi era il gesto che facevano rientrando in Patria dopo essere stati in territori pagani, quasi a liberarsi da ogni contaminazione con chi non aveva fede. Qui, Gesù non dice di usare questo gesto per questo fine, ma il gesto indica che il messaggio che è stato trasmesso non è stato accolto.
Compito del missionario è quindi quello di annunciare a tutti, senza distinzione, ma non si tratta di blandire le persone: è il messaggio stesso che crea il giudizio, o lo si accetta o no. Gesù non lo si impone né con la forza, né con le caramelle, ma testimoniando a parole e opere, seminando a piene mani; è dare la possibilità concreta di conversione a Gesù. Mi chiedo: la mia predicazione, la mia vita, la mia testimonianza sono in grado di dare agli altri che incontro la possibilità di conversione? perché
altrimenti quella polvere che io scuoto sarà scossa, ma contro di me.
VENERDI' 8 APRILE
“Giovanni diceva ad Erode: “Non ti e lecito tenere la moglie di tuo fratello”. (Mc. 6,18)
Qualche volta viene anche a me la voglia di fare il profeta, di gridare: “Non è lecito”.
Da circa un mese, quasi tutti i giorni, viene da me una signora, sfrattata, con i mobili chiusi nella sua ex casa e con una borsa. Ed è proprio quella borsa che mi fa venir voglia di gridare. E’ piena di documenti: notifiche, sfratti, bollette pagate, stati di famiglia, domande all’istituto autonomo case popolari, tesserino di disoccupazione, fogli di varie ripartizioni che si sballottano le persone gli uni con gli altri. C’è un po’ di tutto: mi sembra la borsa di mago Merlino delle fiabe di Walt Disney, solo che invece di starci dentro tutto, stoviglie, libri e mobili, di lì escono solo domande, fogli scritti in maniera incomprensibile, maree di documenti tra l’altro tutti con il loro bel bollo. Una volta mi è venuto da dirle: “Mi lasci guardare se al fondo di quella borsa si salva ancora l’uomo!” Non ho la stoffa di Giovanni Battista, non ho voglia di finire martire ma forse sarebbe mio e nostro dovere gridare: “Basta! Non è lecito che l’uomo debba morire con una borsa di documenti in mano!”.
SABATO 9 APRILE
"La guardia andò da Giovanni e lo decapitò". (Mc. 6,28)
La fine di Giovanni è ingloriosa e dolorosa. Muore in oscuro carcere per l’invidia di una donna, per un re beone e instabile e per di più con gli interrogativi di uomo sul suo operato: aveva mandato a chiedere se Gesù “era proprio colui che doveva venire”.
La morte eroica può anche attirare. Morire è sempre difficile, ma dare la vita per un ideale, morire dicendo parole altisonanti può esaltare. Morire nel buio di una prigione è molto più triste, squallido.
Ma il precursore è chiamato ad anticipare: Giovanni anticipa la morte di Gesù. Muore in un Sotterraneo come il chicco di frumento caduto nella terra. Muore solo come il Cristo, mentre gli altri fanno festa.
E’ quel martirio sconosciuto successo molte altre volte nella storia. Anche oggi quante forme di martirio ha inventato l’uomo per togliersi dai piedi chi gli dà fastidio: dall’emarginazione, alla calunnia, dai forni crematori alla persecuzione aperta. E poi c’è anche un altro tipo di martirio, quello perpetrato contro chi ha fede non con mezzi cruenti ma cercando nel quotidiano di tagliare ponti, ironizzare, impedire la libertà religiosa. Il precursore in questo è già apostolo; forse anche senza aver sentito le parole di Gesù, mette già in pratica: “Se qualcuno vuol essere mio discepolo, prenda la sua croce e mi segua”.
DOMENICA 10 APRILE
"Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". (Mc. 6,31)
Mi piace molto l’umanità e il realismo di Gesù che invita gli apostoli di ritorno dalla missione e oberati dalla folla, a riposarsi. Mi hanno sempre fatto paura quei predicatori, quei moralisti, o quei cristiani che esagerano anche nel bene: quelli che, come dice un proverbio, “sono più papisti del Papa”. Gesù chiede tutto, è vero; essere cristiani non significa starsene in pantofole ma non rispettare i ritmi e i bisogni della nostra umanità porta spesso a perdere il limite e non c'é peggior male che la fissazione religiosa. E’ bello invece sapersi riposare con il Signore: non significa dimenticarsi dei propri doveri, del prossimo, della preghiera, ma viverla con serenità, con fiducia, significa ritemprarsi le forze in Lui per lasciare più spazio a Lui e meno a noi. Seguire il Signore, amarlo e servirlo, non è far diventare tutto problema, slambiccandosi il cervello, fare mille riunioni, vedere solo e sempre tutto ciò che “bisogna fare” ma significa rifugiarsi in Lui, e in Lui trovare la pace profonda che poi, con serenità, permette di testimoniarlo.
A questo proposito mi pare significativa la favola che S. Exupery racconta nel suo “Piccolo principe”
“Buon giorno” disse il piccolo principe. “Buon giorno” disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
“Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe.
“E’ una grossa economia di tempo” disse il mercante. “Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatre minuti alla settimana”.
“E che cosa ne fai di questi cinquantatre minuti?”
“Se ne fa quel che si vuole...”. “lo” disse il piccolo principe “se avessi cinquantatre minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana,..”.
LUNEDI' 11 APRILE
"Si commosse perché erano come pecore senza pastore e si mise ad insegnare loro molte cose". (Mc. 6,34)
Se, verso le 11,30, passate nelle vicinanze del Cottolengo o vicino alla mensa di Suor Paola in Via Netro, vedrete un gran gruppo di persone: barboni, stranieri, sbandati, gente che sa di povero lontano un miglio che stanno aspettando di entrare alla mensa gratuita dei poveri.
Più di una volta (conoscendone molti perché sono gli stessi che .fanno il giro delle parrocchie per raccogliere qualche soldino) ho sentito compassione per questa gente perché effettivamente si può far poco per loro, sia perché qualche volta non vogliono essere aiutati, sia perché la nostra società preferisce lavarsi le mani di certe persone e non ha molta compassione per queste persone che hanno alle loro spalle storie di emarginazione, vino, affetti rovinati...
Gesù non si perde d’animo. La sua compassione si trasforma subito in insegnamento e dopo si trasformerà in pane. Quante volte, non potendo aiutare come volevo mi sono detto: “E che cosa posso farci io?” e la tristezza più per me che per loro mi ha portato a diventare pessimista. Gesù ci insegna che un buon seminatore non si spaventa davanti ad un terreno difficile ma comincia a provare, a seminare: se non semini non nascerà nulla, se ci provi forse qualcosa potrà crescere.
MARTEDI' 12 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
Per alcuni giorni sospendiamo la lettura di Marco, fermandoci solo su questa frase. Si potrebbero dire tante cose ma a volte episodi veri lasciano lo spazio di riflessione per ciascuno. Dicembre 1977. Nella parrocchia “Maria Ausiliatrice” di Torino entra una donna giovane, distinta, con un bambino in braccio. Arriva fino alla saletta della “San Vincenzo”, in fondo a sinistra. Spinge la porta. Mette il suo bambino (due anni) sul tavolo, poi sviene di colpo. Cade a terra tra le sedie, e si fa fatica a tirarla su. li bambino la guarda spaurito. Si cerca di farla rinvenire con un sorso di cordiale.
— Signora, si sente male?
— No — mormora con una voce assente.
— E’ tre giorni che non mangiamo. Lui ed io.
Una signorina della San Vincenzo va ad aprire l’armadio per i soccorsi urgenti tira fuori un pacchetto di pane biscottato, glielo dà. Lei porge la prima fettina al bambino. Sono lì a guardare, e non ho mai visto un bambino di due anni mangiare voracemente come lui un pezzo di pane.
MERCOLEDI' 13 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
Dal racconto di un ufficiale dell’esercito:
Erano 20 anni che non entravo in chiesa, non avevo il coraggio di presentarmi a Cristo con le mani sporche di sangue. Era stato durante la ritirata in Russia: ogni giorno moriva qualcuno dei miei. La fame era tremenda. Ci avevano detto di non entrare mai nelle isbe senza avere in mano il fucile, pronti a sparare al primo cenno di... Dov’ero entrato io, c’era un vecchio, una ragazza bionda, dagli occhi tristi: "Pane! Dateci del pane!”. La ragazza si china. Pensai che volesse prendere un’arma, una bomba; sparai deciso. Cadde riversa. Quando mi avvicinai, la ragazza aveva in mano un pezzo di pane. Avevo ucciso una ragazza di 14 anni, un’innocente: nemmeno Cristo mi avrebbe perdonato... Ho cominciato a bere per dimenticare: ma come? Questa mattina ho sentito cantare i ragazzi di una comunità: “Il tuo viso, Signore, il tuo bel viso noi l’abbiamo coperto di sputi”. Sono entrato in chiesa. Ho cominciato a piangere... Un prete mi ha dato il perdono.
GIOVEDI' 14 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
Racconta don Alessi: Sono a Calcutta, la città più popolata dell’india.
Sono le otto del mattino. Mi trovo fermo di fronte a una trattoria. Ad un tratto un cameriere del locale getta sulla strada un grosso cartoccio. immediatamente due bambini di 6—7 anni, coperti di luridi stracci, che forse un giorno erano pantaloni o una maglietta, si impossessano dell’involto sottraendolo a uno dei tanti cani randagi e a uno stormo di corvi sempre in agguato. Aprono avidamente il cartoccio pieno di avanzi di cibo del giorno innanzi: riso, verdure, bucce di frutta, rimasugli di una specie di pane chiamato “ciapati”, mentre i loro visetti si illuminano di un sorriso di gioia. Accoccolati a terra, con le manine sudice, cominciano a mangiare avidamente. Presto si uniscono a loro altri due bimbetti... il cerchio si allarga.. c'é posto per tutti!
I primi due non difendono il loro tesoro, anzi, con generosità lo dividono con gli altri e anche con i cani e i corvi che reclamano la loro parte. Ogni macchina che passa, sparge su quell’indefinibile pasto la polvere nerastra che ricopre l’asfalto della strada. Ora hanno terminato: si puliscono le manine unte di grasso, sfregandole per terra, poi, senza scambiarsi una parola, ognuno riprende il suo cammino, lasciando ai cani la carta da leccare e ai corvi gli ultimi chicchi di riso. Per oggi i bambini hanno mangiato: non soffriranno la fame! Domani si vedrà...
VENERDI' 15 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
La scena qui descritta si ripete ogni giorno ad Assagon (India).
Sono le 5 del mattino quando raggiungo l’ampio
viale che fiancheggia il santuario. La città è ancora avvolta nel silenzio e
nelle tenebre. La strada è letteralmente gremita dalla più eterogenea folla di
mendicanti che mente umana possa immaginare: vecchi, donne, bambini... Ogni età
è largamente rappresentata. I collaboratori di padre Maschio cercano di
mettere un po’ d’ordine in questa accozzaglia di creature, che hanno per
denominatore comune: fame, miseria, sofferenze.
Molti attendono dalle
3 del mattino,
alcuni dalla mezzanotte, mi dice
padre Maschio. E
durante la stagione
delle piogge, da giugno a settembre,
questi poveretti attendono ore e
ore sotto una pioggia scrosciante, senz’alcun
riparo. Molti vengono da lontano; hanno percorso chilometri e chilometri per
prendere quel poco che possiamo offrire loro.
Prima le donne!, grida intanto uno dei suoi
aiutanti, mettendole in fila. Una folla di mamme, avvolte nei loro poveri “san , ridotti spesso a uno
straccio, sfila davanti ai miei occhi per ricevere il dono offerto dalla
generosità di tanti benefattori. Molte recano un bimbo in braccio e altri
attaccati ai “san”. La maggior parte di questi bimbi continua padre
Maschio non potranno sopravvivere. Osservi i loro corpicini diafani,
scheletriti, il ventre rigonfio, gli arti insufficientemente sviluppati per
denutrizione. E quelli che riusciranno a sopravvivere, rimarranno contagiati
dalla lebbra o preda di tante altre malattie che trovano nella sporcizia e
nella miseria un terreno quanto mai favorevole per attecchire e svilupparsi.
Alle donne segue la folla dei bambini, dai due ai dieci anni. Qualcuno tiene per mano il fratellino o la sorellina. Sono tutti vestiti di stracci, qualcuno solo della sua innocente nudità.
E’ triste, terribilmente tragico dover ammettere che, in pieno secolo ventesimo, ci siano milioni di bimbi che nascono, vivono e muoiono così! Seguono poi i vecchi: molti si trascinano a fatica, altri si appoggiano a un bastone o a rudimentali stampelle. Sono malati cronici, scossi da tosse violenta, minati dalla tubercolosi, che avrebbero bisogno di un ricovero urgente. Alcuni hanno a tracolla un lurido tascapane e in mano un barattolo di latta: tutta la loro proprietà. Trascorrono la vita mendicando, raccogliendo tra le immondizie qualche rifiuto commestibile, in attesa che la morte ponga fine alle loro incredibili sofferenze. Per ultimi vengono i lebbrosi: hanno atteso più degli altri, accosciati per terra, anche perché molti sono mutilati. E’ una visione orrenda, straziante, che supera ogni immaginazione: uomini, donne di tutte le età, con il volto e le membra deturpati dal terribile morbo, che ogni giorno strappa loro un brandello di carne. Molti sono privi delle dita delle mani e dei piedi, altri hanno gli arti ridotti a informi monchenini. Alcuni sono seduti su un asse, con sotto quattro rotelle, che un compagno, in grado di camminare, per quella solidarietà che esiste tra i disgraziati, trascina al luogo di raccolta.
A ogni mamma, a ogni bimbo, a ogni vecchio, a ogni lebbroso viene consegnata una pagnotta confezionata apposta, e una “rupia” (150 lire), che assicurerà, oltre al pasto del giorno, anche un piatto di riso per l’indomani. Quanti saranno stati? chiedo a padre Maschio sul cui volto, generalmente atteggiato a mestizia, vedo splendere un sorriso: la gioia di sentirsi strumento nelle mani di Dio per offrire un po’ d’amore a tanti derelitti. Da 4.000 a 5.000! Certi giorni però sono ancor più numerosi. Molti verranno più tardi, lungo la giornata. La domenica poi facciamo una distribuzione speciale, solo per i lebbrosi. Ci sono poi ancora i casi nascosti.., quelli che non osano o non possono venire a chiedere l’elemosina e spesso sono i più pietosi.
Quanto spende per ogni distribuzione? Tra pane e denaro siamo sui due milioni. Una cifra enorme per quei paesi! Sto per ritirarmi, quando si avvicina un lebbroso: un rottame umano, una figura mostruosa da inferno dantesco, che si regge a fatica appoggiandosi a un bastone.
Padre, non ne posso più, soffro troppo! Fammi ricoverare in ospedale!
Lo sai che non è possibile; non ce posto. Bisogna attendere che muoia qualcuno. Dammi almeno 20 rupie! (tremila lire).
Per farne cosa?
Per farmi arrestare! Un poliziotto che conosco è disposto per quella somma a mettermi in prigione; là mi daranno da mangiare e anche delle medicine per attutire i dolori.
SABATO 16 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
Al centro “Le Beatitudini” di Madras, fondato da p. Mantovani per accogliervi i più poveri tra i poveri, mentre sto visitando con p. Schlooz i vari reparti, vedo arrivare una giovane donna con in braccio due creature dalla pelle raggrinzita e il ventre rigonfio a causa della denutrizione. “Prendili, padre — dice porgendo i due corpicini tremanti — altrimenti" li uccido e poi mi uccido anch’io”. “Ma non puoi...”. “Non ho più nulla da dar loro e non posso vederli morire di fame, lentamente, giorno per giorno...”.
DOMENICA 17 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
Madre Teresa ha venduto la bianca “Lincoln” che i cattolici americani avevano offerto al Papa per i suoi spostamenti durante il suo soggiorno a Bombay, in occasione del Congresso Eucaristico, nel dicembre 1964, e che egli, prima di partire aveva regalato all’eroica fondatrice delle missioni della carità.
“Il regalo del Papa — aveva detto —era stato molto prezioso e mi aveva causato una grande emozione, ma ci siamo accorte che il suo mantenimento veniva a costare troppo. Un ricco indù mi ha offerto un prezzo di affezione con il quale abbiamo comprato un terreno sul quale sta sorgendo una città dei lebbrosi”. Noi continueremo a girare con i nostri carretti per i bassifondi alla ricerca di moribondi, neonati, lebbrosi. Quando il Papa, prima di salire sull’aereo, faceva dono della sua auto alla Madre, questa si trovava accanto a un vecchio che moriva per denutrizione. Lo aveva raccolto il giorno prima, mentre si recava al grande “Ovale” ove il Pontefice avrebbe concluso il Congresso. Il vecchio, ridotto a pelle ed ossa, con le gambe sottili come canne di bambù, non aveva potuto essere salvato: la fame lo aveva ridotto oltre quel punto dal quale nessun cibo e nessuna medicina poteva salvarlo. Spirò sereno tra le braccia della buona suora che pregava in ginocchio accanto a lui.
LUNEDI' 18 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
Mentre in un anno sono morti di fame 2.500.000 persone, nello stesso tempo sono stati distrutti volontariamente 200.000 vagoni di caffè, 258.000 di zucchero, 26.000 tonnellate di riso, 25.000 tonnellate di carne. Leggo dalla pubblicità di un settimanale: “E’ Natale! Pensate al vostro cane! La ditta X ha realizzato per il vostro cane un nuovo tipo di letto con baldacchino, un cappotto che lo ripara dal freddo e un costume nuovo da cow boy con la stella da sceriffo. Prezzo netto L.75.000”.
Per un Natale senza Cristo e senza amore contano più i cani dei bambini! Tragico ma vero: i nostri cani e gatti mangiano e vivono meglio di milioni di bambini!
MARTEDI' 19 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
C’è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte idee e lascia pensosi. Forse uno degli episodi chiave per capire questa figura.
Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire. alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa, piccola cosa avvolta in un san bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa.
I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell’ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt’intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo... Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella. Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti. E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare. Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia. Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!
Madre Teresa ha affermato tante volte che per noi occidentali, tristi nella nostra ricchezza, rintanati nelle nostre lussuose caverne, il povero è un “profeta”. Pur nella miseria dove la nostra economia l’ha esiliato, egli ci insegna dei valori grandi che noi abbiamo dimenticato: l’amore per gli altri, la gioia che nasce dal gustare le piccole cose, l’amicizia, la capacità di entusiasmarsi per qualche cosa.
MERCOLEDI' 20 APRILE
“Voi stessi date loro da mangiare”. (Mc. 6,37)
Concludiamo questa serie di fatti sulla fame con una preghiera di Quoist:
Ho mangiato,
ho mangiato troppo.
Ho mangiato per fare come gli altri perché ero invitato, perché ero nel mondo ed il mondo non m avrebbe compreso; e stentavo a mandar giù ogni portata, ogni boccone. Ho mangiato troppo, Signore, mentre nello stesso momento, nella mia città, più di 1.500 persone, con la gavetta, facevano coda alla cucina popolare; mentre quella donna mangiava in soffitta quello che la mattina aveva raccolto nelle immondizie; mentre quei ragazzi, nella loro caverna, dividevano gli avanzi freddi del magro pasto dei vecchi del Ricovero; mentre dieci, cento, mille infelici, nello stesso istante, nel Mondo, si contorcevano di dolore, morivano di fame davanti ai parenti disperati. Signore, è tremendo, perché so, gli uomini ora sanno.
Sanno che non solo alcuni infelici hanno fame, ma centinaia sulla porta di casa loro.
Sanno che non solo alcune centinaia di infelici, ma migliaia hanno fame alle frontiere del loro paese.
Sanno che non solo migliaia, ma milioni hanno fame nel mondo.
Gli uomini hanno redatto la carta della fame; le zone di morte s’impongono, terrificanti. Le cifre erigono la loro implacabile verità.
Per più di 800 milioni di creature umane, il mensile minimo dell’Italiano rappresenta il massimo annuo.
Un terzo dell’umanità è sottoalimentato.
Parecchi milioni di uomini muoiono di fame durante una sola carestia in India.
Gli Indiani vivono in media appena 26 anni.
Signore, Tu vedi quella carta, Tu leggi quelle cifre, non come lo statistiche
freddo nel suo ufficio, ma come un Padre di famiglia numerosa chino sulla fronte di ogni suo figliuolo. Signore, Tu vedi quella carta, Tu leggi quelle cifre da sempre.
Tu la vedevi, Tu le leggevi quando narravi per me la storia del ricco seduto a tavola e del povero Lazzaro affamato; Tu la vedevi, Tu le leggevi quando narravi per me l’ultimo Giudizio.
Ebbi fame Signore, Tu sei terribile!
Tu fai coda alla cucina popolare, Tu mangi gli avanzi delle immondizie,Tu agonizzi torturato dalla fame, Tu muori solo in un angolo a 26 anni, mentre nell’altro angolo della grande sala del mondo — con alcuni membri della nostra famiglia — mangio senz’appetito quello che occorrerebbe per salvarli.
Ebbi fame...
Tu potrai sempre dirmelo, Signore, se per un solo istante cesso di donarmi. Non avrò mai terminato di servire la minestra ai miei fratelli: sono troppi, ve ne saranno sempre che non avranno avuto la loro parte. Non avrò mai finito di lottare per ottenere la minestra per tutti i miei fratelli. Signore, non è facile dar da mangiare al Mondo. Preferisco fare la mia preghiera, regolare, pulita, preferisco far astinenza il venerdì, preferisco visitare il mio povero, preferisco dare ai banchi di beneficenza ed agli istituti; ma dunque non basta, dunque non è nulla, se un giorno Tu mi potrai dire: “Ebbi fame!”.
Signore, non ho più fame,
Signore, non voglio più aver fame.
Signore, non voglio più mangiare che il necessario per vivere, per servirli e lottare per i miei fratelli.
Perché Tu hai fame, Signore, Perché Tu muori di fame, mentre io sono sazio.
GIOVEDI' 21 APRILE
“Tutti mangiarono e si sfamarono e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche di pesci". (Mc. 6,42—43)
Dopo aver meditato per tanti giorni consecutivi sui problemi della fame, saremo quasi tentati di dire: “Signore, come hai fatto quella volta, fallo ancora, che cosa ti costa un miracolo, anzi, il miracolo di dar da mangiare agli affamati farebbe bene a loro e manderebbe in crisi economica le multinazionali: insomma con un colpo solo dimostreresti amore per i poveri e manderesti in crisi tutti coloro che pensano che il denaro, il potere, l’avere sempre di più, sia la cosa principale della vita in barba ad ogni fratellanza.” Ma mentre scrivo ho davanti la scena di Gesù tentato da Satana, l’Avversario: “Se sei il figlio di Dio, cambia queste pietre in pane!”. No! Gesù non fa facili miracoli, quella moltiplicazione dei pani non è tanto per sfamare degli affamati (il giorno dopo hanno avuto di nuovo fame) quanto per indicare alla Chiesa qual’è la strada: siamo noi che dobbiamo dare da mangiare! Il mondo ha ancora abbastanza risorse naturali e di intelligenza da dare da mangiare a tutti, anzi se c’è vero amore si possono addirittura avanzare pezzi di pani e pesci.
VENERDI' 22 APRILE
"Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed Egli solo a terra". (Mc. 6,47)
Il mare in tempesta, con tutte le sue incognite era per gli Ebrei, le forze del male scatenate. Gesù ha comandato agli apostoli di prendere il largo: è andato a pregare. Andate in tutto il mondo e predicate!” E’ bello, entusiasmante ma solo per poco tempo. Cominciano presto a scatenarsi intemperie, prese in giro, persecuzioni, e arrivano anche le prove interiori. Ma quello che lascia più perplessi è che Gesù, che pur ha promesso: “Sarò con voi tutti i giorni”, sembra non esserci: e andato nel suo “cielo”, è là che prega! c’è da scoraggiarsi!
Ma la preghiera di Gesù non è un mettersi le mani sugli occhi (vi ricordate: ci insegnavano a fare così dopo la Comunione!), non è un semplice contemplare Dio, è un portare con sé gli apostoli a Dio. Gesù prega suo Padre ma con un occhio continua a seguire quella barchetta dei suoi amici che arranca sul lago, tant’è che a un certo punto quando vede che non ce la fanno più, lascia la preghiera e addirittura si mette a camminare sulle acque per essere loro vicino!
SABATO 23 APRILE
"Essi, vedendolo camminare sul mare pensarono: E’ un fantasma". (Mc. 6,49)
Nel cammino spaurito dell’uomo, quanti fantasmi! Paure remote, sprazzi di verità, luci fatue, momenti intensi che svaniscono. Quando poi l’uomo è tutto preso da se stesso, il filtro che mette ai suoi occhi e al suo cuore è talmente grande che non riesce neppure a vedere e riconoscere l’amico, l’amore e allora tutto diventa “fantasma”. Gesù, tu non sei un fantasma! proprio per ricordarci il Dio vicino hai preso un corpo. Le tue promesse non sono il fiume di parole di politici, salottieri o preti mestieranti, sono parole di vita che si concretizzano per noi. Tu sei la luce, ma noi ci mettiamo gli occhiali scuri, le bende. Tu ci sei vicino ma noi preferiamo tenerti lontano perché qualche volta sei di impiccio ai nostri affari. Quando poi ti cerchiamo vorremmo trovarti “su misura” per le nostre richieste. Una volta hai detto: “Togliete il trave dai vostri occhi”, Tu che figlio di un falegname te ne intendi di legno, pialle, seghe aiutaci a segar via i travi che ci imprigionano e Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato prova ancora a fare il grosso miracolo di far sì che occhi e cuore nostro riescano a vedere non un fantasma, ma un Dio che ci viene incontro per aiutarci.
DOMENICA 24 APRILE
“Ma Egli disse: Coraggio, sono io, non temete”. (Mc. 6,49)
Ero andato a chiamare quella donna: avevano portato improvvisamente suo marito all’ospedale. Non sapevamo per che cosa. Avevo chiesto ad una ragazza della parrocchia di venire con me perché mentre ci recavamo all’ospedale guardasse la piccola Elisa di tre anni. Siamo rimasti via circa due ore. Ringraziando quel papà non aveva nulla di grave. Ancora prima di entrare sentimmo i singhiozzi sommessi di Elisa e assistetti ad una delle scene più toccanti. La mamma di Elisa si avvicinò al lettino della bimba, le prese il viso tra le mani, le asciugò le lacrime poi l’abbracciò con forza e tenerezza e sussurrò alle sue orecchie: “Coraggio, Elisa, sono io, la mamma, non aver più paura, sono con te”. Ogni tanto, o Signore devi far così anche con me: ho bisogno di coraggio, in quel “Sono io” voglio sentire la forza e la protezione ma soprattutto ho bisogno del tuo caldo abbraccio per sentire tutto il tuo amore ed esso caccerà via ogni timore.
LUNEDI' 25 APRILE
“La gente lo riconobbe e accorrendo da tutta la regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male”.
(Mc. 6,54)
Tutti corrono da Gesù e gli portano i malati. Gesù è commosso dalla malattia, è partecipe della sofferenza e quindi guarisce, ma non parla. Persiste infatti l’equivoco su di Lui: Lui è il Salvatore, colui che annunzia la buona novella di Dio; le folle invece cercano un guaritore, un santone, facilmente dimenticano la conversione del cuore, l’adesione alla sua persona. Anche oggi molta gente, (forse anche noi), va da Gesù per ottenere delle salvezze esteriori. Quasi si vorrebbe poter comprare Gesù con una preghiera, una novena, una candela. Gesù è venuto invece a portare una guarigione più profonda: quella del cuore. Le altre guarigioni sono soltanto segni della volontà di Cristo di donarci la vera salvezza, quella totale.
MARTEDI' 26 APRILE
“Perchè i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?”. (Mc. 7,5)
“Reverendo, ne convenga, non c’è più religione! I preti non portano più il vestito, al posto di quelle belle messe con liturgie solenni in latino, oggi si canta, si battono le mani, si dice il Padre nostro dando la mano al vicino. Una volta si faceva astinenza dalle carni ogni venerdì dell’anno, ora anche in Quaresima le si può sostituire. Capisco che per molti i cambiamenti degli ultimi anni possano anche aver sconcertato, capisco anche che non tutte le innovazioni, corrispondano sempre ad un miglioramento, ma chiediamoci: si è fedeli a Gesù quando si osservano tutte le norme o tradizioni o quando, magari perdendo un po’ di rispettabilità formale, si scende concretamente a dare una mano?
Sono più buono se al venerdì mi rimpinzo di pesce o se dispongo una parte del mio tempo per ascoltare e tener compagnia ad un anziano solo? La garanzia della salvezza non la si compra con la tradizione antica osservata ma la si vive ogni giorno con Cristo che è sempre a fianco non del legalismo ma dell’uomo.
MERCOLEDI' 27 APRILE
"Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me". (Is. 29,13 in Mc. 7,6)
Non so se a voi è già capitato, a me purtroppo sì, di riuscire a dire anche due o tre misteri del rosario senza minimamente pensare e pregare i misteri di Gesu. Questo può darci una prima idea di quanto Gesù voleva dire quando diceva questa frase, ma come dice la citazione stessa di Isaia, Gesù riprende il grande rimprovero dei profeti ad un popolo diventato formalista.
Un canto diceva: “Parliamo tanto di Gesù, viviamo poco come Lui”. Se tutti coloro che si dicono "credenti”, “cristiani”, se tutti coloro che sono “battezzati” in Italia si comportassero anche solo un po’ come cristiani, ci sarebbero ancora tante ingiustizie sociali, tante ricchezze e povertà, tanti arrivismi che calpestano i fratelli? E i cristiani impegnati”? Quante riunioni, quante parole, quanti incontri di preghiera del gruppo tale o tal altro. Ma se questi incontri, queste preghiere non toccano il nostro cuore e poi la nostra vita, sono vane! Signore, liberaci dall’orgoglio vano delle parole e aiutaci ad onorare la tua presenza nel servizio ai fratelli.
GIOVEDI' 28 APRILE
“Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui possa contaminarlo”. (Mc. 7,14)
Quanto è difficile guardarci dentro con onestà! E’ così facile scaricare: è colpa della società! Lo Stato deve pensarci! Sono obbligato a fare così! E quando proprio non possiamo fare a meno di vedere il male in noi lo demonizziamo: è colpa del diavolo, di Satana!
Gesù ancora una volta ci invita a guardare dentro di noi : “Non cercare il male o il bene lontano da te! non scaricare il barile! tu hai già tutto in te: la possibilità del bene, la capacità di amare... Certo, c’e anche il male: come detto a Caino: ll male è sul tuo capo, ma se vuoi puoi vincerlo”. Tu anche che vivi in mezzo a mille tentazioni quotidiane, se dal tuo cuore sai trarre cose buone, puoi superare il male, e se ti ritrovi peccatore, non cercare scuse, riconosciti tale e riconosci che qualcuno può liberarti!
VENERDI' 29 APRILE
“Ciò che esce dall’uomo, questo contamina l’uomo”. (Mc. 7,20)
La storia dei nostri peccati ce lo insegna: quando abbiamo fatto il male tutto è nato dentro di noi. Peccato non è semplice negligenza o dimenticanza o inosservanza, peccato è voler qualcosa perché il nostro desiderio è assecondato dal nostro cuore. “lo ho molte distrazioni!” “Mi piace guardare una bella donna!” “A quella persona che è prepotente mi viene voglia di rispondere per le rime Questo non è peccato: è normale vedere il bello, aver la testa che non segue per filo e per segno una preghiera,
provare desiderio di ripagare un sopruso. Ma quando il mio cuore accetta e persegue un desiderio non buono, quando per sentirmi buono prego solo con le labbra, quando studio e perseguo il modo migliore per vendicarmi è il mio cuore che vuole il male.
Non dobbiamo vedere il peccato ovunque ma cerchiamone le radici nell’intimo di noi stessi e chiediamo aiuto al Signore per estirparle.
SABATO 30 APRILE
“La donna replicò: Anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli”. (Mc. 7,28)
Mi è sempre piaciuto questo brano di Vangelo in cui una donna pagana con le sue parole ottiene dalla Parola la grazia desiderata. E’ la fede luminosa di una donna che capisce il significato delle “briciole di pane”, mentre gli apostoli, pur avendo visto la moltiplicazione dei pani stentano a comprendere che Gesù è il pane della vita.
Noi “pane” ne abbiamo in abbondanza, addirittura come agli apostoli,
ne avanzano 12 ceste di resti ma qualche volta stentiamo a comprenderne il significato. E tutto questo perché viviamo una fede scontata, abitudinaria, perché magari spezziamo il pane Eucaristico ma senza vero desiderio di assimilare con quel pane, la mentalità di Gesù e soprattutto sovente dimentichiamo che “il fate questo in memoria di me” sta anche e principalmente fuori della porta della chiesa.