UNA PAROLA AL GIORNO
RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA
PAROLA DI DIO
a cura di don Franco LOCCI
MARZO 1988
MARTEDI' 1 MARZO 1988
"I suoi, uscirono per andare a prenderlo, poiché dicevano: “ E’ fuori di sé". (Mc. 3,21)
Una delle situazioni che maggiormente fa soffrire è quando ti rendi conto che proprio le persone che ti sono più vicine, che maggiormente dovrebbero Capirti, amarti, qualche volta anche sopportarti e perdonarti, sono proprio quelle che non ti capiscono, creano ostacolo, vogliono ricondurti al “buon senso”, quello che è fatto di “si fa cosi!”, di abitudini e tradizioni.
A Gesù è successa la stessa cosa: le folle rimangono stupite per il suo insegnamento, i farisei si accorgono della sua pericolosità e decidono di farlo fuori, i miracolati gioiscono per le grazie ricevute.., e gli appartenenti al suo clan familiare gli danno del pazzo e vanno a cercare di ricondurla alla “normalità”: ne va di mezzo il buon nome del parentado!
Quanti giovani uccisi nella loro fantasia e costruttività, da regole familiari ferree. Quante forme di “potere occulto” esercitato per “il buon nome”, “la bella figura", la banalità e l'imbecillità.
La Parola di Dio non può essere incarcerata o ingabbiata nei nostri piccoli schemi o stanchi rituali. Ogni volta che cerchiamo di far questo ci diamo la zappa sui piedi e inganniamo solo noi stessi e la tristezza dell’abituale ci uccide fermi nella poltrona dello stantio e dell’usuale.
MERCOLEDI' 2 MARZO
“Costui scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni”. (Mc. 3,22)
Quando ci si trova davanti all’inconsueta, all’insolito, a qualcosa che rompe con i nostri schemi,gli atteggiamenti possono essere diversi, ma se non vogliamo scomodarci troppo dai nostri modi di credere e vivere ecco che demonizzare lo strano, lo scomodo, diventa un metodo veloce per liberarsene. Gesù fa miracoli, caccia il male, ma vuole anche scuotere, smuovere dalle tradizioni.., chi accetta questo cambia vita e gli va dietro, chi non vuole accettarla, pur di darsi una giustificazione va a ripescare il diavolo, demonizza e così pensa di togliere di mezzo chi lo scomoda troppo.
Mi chiedo: l’insorgere in diverse epoche di marcate forme di demonizzazione non sono forse indice di voler mantenere a tutti i costi il nostro comodo? Alla “santa Inquisizione” faceva comodo aver a disposizione diavoli per ‘‘mantenere l’integrità della fede!’’. Oggi si scomoda il diavolo, si fanno convegni su di lui, in epoche di computer rispuntano credenze e superstizioni di “secoli oscuri” ed anche moralisti, che in nome della lotta al male, cercano a tutti i costi di ricondurre l’uomo e la Chiesa alle “sane sicurezze”, a rinnovati ritualismi vuoti di partecipazione ma colmi di magismo, a paure che tengono buoni.
Non c’è bisogno di vedere il diavolo dove non c'è, per sapere che nel mondo il male è forte!
Non corriamo il rischio, a forza di parlare di male e di diavoli, di non vedere più il bene o di chiamare addirittura Gesù “principe dei demoni
GIOVEDI' 3 MARZO
“Ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno”. (Mc. 3,29)
In tutto il mondo, ma specialmente tra noi italiani, il brutto vezzo della bestemmia è assai diffuso, per cui nell’interpretazione corrente con la parola “bestemmiatore” si intende colui che con parole offensive ingiuria Dio.
Ma si può bestemmiare Dio in mille altri modi. La chiusura voluta e cosciente a Dio è una bestemmia, l’attribuire un’opera benefica di Dio al diavolo, come in questo caso del Vangelo è una bestemmia. Ma la grande bestemmia, quella contro lo Spirito Santo è il rifiuto esplicito e cosciente della realtà di Gesù come Messia e come Figlio di Dio. Perché questo peccato non può essere perdonato? Perché il peccato può essere perdonato solo se, riconoscendo che qualcuno può perdonarlo, ci si rivolge a lui per chiedere misericordia. Ecco perché da sempre si è pensato al peccato contro lo Spirito Santo come a quello di disperazione, cioè non aver alcuna speranza che Dio possa far qualcosa, che Lui sia un Padre buono, che ci sia su di noi un piano di amore e misericordia anche se a volte difficile da comprendere o nascosto.
VENERDI' 4 MARZO
“Chi è mia madre?”. (Mc. 3,33)
Questa domanda così secca da parte di Gesù ci stupisce perché sembra colpire Maria. Ancora di più il Vangelo di Marco ci lascia perplessi: in esso non si parla esplicitamente di Maria. Marco sarà dunque un antimariano? Gesù stesso con questa frase non accomuna sua madre a quei parenti che pensano nel loro “buon senso” che egli sia impazzito?
S. Marco e Gesù non solo non vogliono denigrare Maria, ma dando il giusto posto alle cose, alle scelte e alle persone esaltano in maniera non melensa o falsamente sentimentale la figura di Maria. Maria è colei che fin dall’inizio è la “serva del Signore” e siccome “nessun servo è maggiore del suo padrone”, è colei che vive nel servizio nascosto, è colei che compie la volontà del Padre e lascia spazio a Gesù. Troppa retorica venata di sentimentalismo ha fatto di Maria quasi una semidea, talmente alta da diventare lontana da noi e qualche volta da oscurare quasi Gesù o Dio. Gesù ama Maria, la affida a noi, a lei affida la Chiesa, ma per Gesù la grandezza di Maria sta nell’aver accettato umilmente il piano di Dio su di lei.
Noi cristiani possiamo e dobbiamo guardare a Maria, possiamo invocare la sua intercessione per noi ma in Lei dobbiamo soprattutto vedere, imitare e impetrare la grazia di poter compiere, come Lei ha fatto con tanta umiltà, la volontà di Dio che certamente è benefica nei nostri confronti.
SABATO 5 MARZO
“Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”. (Mc. 3,35)
Una tentazione sempre ricorrente della Chiesa e dei cristiani è la sicurezza di essere i veri, gli unici appartenenti alla famiglia di Gesù. Un’anziana madre si preoccupava dicendo: “Mia figlia non va più a messa, eppure la nostra famiglia è sempre stata cristiana, ma da quando ha incontrato l’uomo che ha sposato...! Sa, reverendo non è dei nostri.., è uno di quelli là. Il criterio per appartenere alla famiglia di Gesù non è essere da generazioni cristiani, non è avere lo zio cardinale, non è neanche aver “pagato la tassa della messa domenicale”. Non ci sono medaglie o distintivi e addirittura neppure i sacramenti in se stessi ci danno sicurezze di “essere a posto”.
La famiglia di Gesù è composta dalle persone più svariate: basta rifarci all’elenco degli Apostoli (3,16—19), basta pensare alle prostitute e ai peccatori che ci precederanno nel Regno dei cieli, basta pensare al centurione ai piedi della croce che fa la sua affermazione di fede (15,39) o al ladrone pentito, primo santo ufficiale della Chiesa. Queste persone che costituiscono la nuova Chiesa sono coloro che, senza arroganza, cercano di stare con Lui” e compiere la “volontà di Dio”, seguendo lo stesso cammino che Lui ha percorso.
DOMENICA 6 MARZO
“Insegnava loro molte cose in parabole”. (Mc. 4,2)
Ricordo che da ragazzo, in seminario, aspettavo con gioia e con desiderio l’arrivo di qualche predicatore missionario perché stufi di predicazioni quotidiane ripiene di moralismi e di teologia filosofica, troppo grande, incomprensibile e molte volte noiosa, sentivamo nelle parole semplici e nei racconti la gioia di una testimonianza fresca, vera, fatta di vita quotidiana, di lotte a volte difficili che riempivano la fantasia di ragazzo e davano la vera dimensione del cristianesimo.
Gesù parlava così, in modo semplice con parabole ed esempi presi dalla vita quotidiana che, per uno che sa contemplare, ti danno subito l’immediatezza del messaggio e spronano la fantasia a cercare cose nuove. E’ il quotidiano che ti parla, ti fa intravedere un mistero e riporta il mistero al quotidiano della tua vita.
Da allora ho sempre amato chi sa parlare di Dio in modo semplice. Mi diceva un parroco anziano, uno di quegli uomini dotti, profondi come un abisso ma limpidi come una fonte di chiare acque: “Se vuoi che i grandi ti capiscano, sforzati di parlare a loro come parli ad un bambino con tanta semplicità e con tanto amore: se avranno un cuore semplice sapranno andare oltre alle tue parole e sarà loro facile incontrare l’immenso che per farsi conoscere non disdegnava di parlare di pecore, di semi, di luce, di acqua e di banchetti”.
LUNEDI' 7 MARZO
“Uscì il seminatore a seminare”. (Mc. 4,3)
Quante volte abbiamo letto questa parabola, e quante volte la si è letta lungo i secoli: questo seminatore continua sempre ad uscire a seminare. Deve essere successo a tutti, nell’età in cui ci si meraviglia veramente, di aver visto con paura un grande incendio, o di aver tremato di fronte a un fiume in piena.
Ci hanno dato l’impressione dell’inarrestabile: le fiamme che divorano tutto, case, alberi, campi; oppure l’acqua che travolge la vita e spegne anche il fuoco. Da adulti si fa esperienza un po’ meno meravigliata di molte altre cose.
Ma denominatore comune di quanto si diceva l’inarrestabile, rischia di essere il male. Si costata che inarrestabile è il rialzo dei prezzi, il costo della vita, la spinta all’inflazione; inarrestabile è l’inquinamento e lo stress di chi lavora fuori casa, come di chi è impegnato in casa; si fa dolorosa prova di malattie implacabili, come il cancro, che seguono il loro corso e stroncano un giovane o portano via un padre di famiglia. E si diviene pessimisti! E’ “costatazione” inoppugnabile che le cose “peggiorano”: sui giornali si infittiscono le notizie di sequestri di persona; diviene sempre più pericoloso vivere; è difficile trovare un lavoro, o avere assicurato un posto; le chiese, si dice, sono sempre più deserte; la correttezza e l’onestà scompaiono! Dilaga invece. Non ci viene il sospetto che dilaghi anche il regno di Dio? che esso “irrompa” (1,14) in modo inarrestabile?
Non ci sorprende magari l’idea, o meglio, non sperimentiamo che la parola di Dio, quella semente di cui dice la parabola, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli, produce frutto?
MARTEDI' 8 MARZO
“A voi è stato confidato il mistero di Dio”. (Mc. 4,11)
Con Gesù il mistero di Dio e la sua volontà prendono un volto, ma questo volto è ancora avvolto nel mistero: noi vediamo e non vediamo; ombre e luci, già e non ancora, parole e silenzio. Mi sembra molto bella questa poesia di un anonimo, citata nel libro di Mesters, Incontri biblici. I fatti della vita, con tutto quello che essi nascondono, sono per me una fotografia strappata; è andata in mille pezzetti, è confusa, sconnessa, non dice gran che: il volto che rappresentava è tutto sfigurato.
Era già in pezzi quand’io sono nato; non conosco quel volto, perché non l’ho visto mai. Ma so che esso esiste, perché ne intravedo i lineamenti strappati, perduti in mille pezzetti: era bello, così bello che ne ho nostalgia. Voglio ricomporre la vita strappata e scoprire quel volto che tanto mi attrae. A volte mi pare di esserci riuscito; l’ho visto altre volte; non so più dove mai. Ma appena mi appare, subito sparisce. Cerco i pezzetti, che mancano ancora, per vedere quel volto che parla con noi; non m e riuscito ancora trovarla nella vita che vivo. Ma sono certo che un giorno ci riuscirò e so che quello sarà un giorno felice. Sarà il giorno in cui finalmente scoprirò la chiave della vita, il senso delle cose, perché troverò Qualcuno molto amico, che mi rivelerà per sempre chi siamo noi. Vedrà finalmente quel volto che mi attrae.
MERCOLEDI' 9 MARZO
“Quelli lungo la Strada...”. (Mc. 4,15)
Le strade o sentieri di campagna ai tempi di Gesù erano sassosi, battuti dal passare di persone, animali, carretti ma ancora di più oggi è facile capire che cosa può essere la strada guardando i nostri nastri di asfalto: su di essi si corre, non c’è tempo per fermarsi, le macchine alzano la polvere, se piove l’asfalto cambia colore, diventa lucido, ma l’acqua scivola e al primo sole tutto si asciuga e la polvere torna ad avere il sopravvento. Oggi tutti corriamo, anche troppo. E’ il tempo che ci sfugge di mano e noi passiamo tutta una vita a rincorrer?Io senza mai raggiungerlo: non c e tempo per noi, per le emozioni. La strada lascia solo intuire il paesaggio circostante. La strada attraversa la campagna ma non ne vedi i particolari. Non c’è tempo di guardare un fiore, di sentire lo stormire le fronde degli alberi, il motore copre tutto. La Parola è una fra tante: non ho tempo, ho tanto da fare! Sarebbe bello fermarsi, ma io non sono un frate in un monastero, ho degli appuntamenti! Corriamo per qualcosa, ci giustifichiamo con la stanchezza e la fretta, passiamo vicino al Cristo e manchiamo clamorosamente l’appuntamento con Lui per correre dietro a cose che una volta raggiunte ti invitano a correre ancora. “Chi si ferma è perduto!” proclama il detto, ma Gesù rimbecca: “Chi perderà la sua vita l’avrà guadagnata”.
GIOVEDI' 10 MARZO
“Quelli che ricevono il seme sulle pietre...”. (Mc. 4,16)
Sono ancora uno che si entusiasma (qualcuno direbbe: si illude). Quando mi alzo al mattino, per me è un giorno nuovo, in cui ricominciare. Un po’ di preghiera, qualche brano di Bibbia e un mucchio di buoni propositi: tratterà bene quella persona noiosa, dedicherà più tempo alla preghiera, cercherò di controllare il mio orgoglio. Passa qualche ora e il primo incontro difficile, il primo momento in cui constati che gli altri non si interessano, che tu non puoi aiutare come vorresti, ed eccoti a vivacchiare un’altra giornata. Quante persone ho visto partire con entusiasmo e poi trascinarsi stancamente! Non basta partire in quarta se il serbatoio è sul rosso! Ed è troppo facile indicare la strada ad altri quando non hai ancora sperimentato la tua consistenza davanti al dolore e alle difficoltà. Il seme è un dono; esso può cambiare la tua vita. Ma bisogna accoglierlo, bisogna preparargli il terreno, lasciargli mettere le radici. Una delle cose più belle ed esaltanti del Vangelo è che si scopre la generosità di Dio nel donare ma anche che Dio non sforza nessuno: sei tu che devi dargli una risposta, che puoi vanificare il dono oppure lasciare che affondi in te radici tali da poter portare frutto.
VENERDI' 11 MARZO
"Quelli che ricevono il seme tra le spine". (Mc. 4,18)
Ricordo una scena del film “Il richiamo della foresta”: tre persone, affittata una slitta e una muta di cani vogliono partire per la ricerca dell’oro. Su quella slitta caricano di tutto: pentole, pellicce, ma anche cose assurde: grammofono, quadri, cappellini alla moda. E la ricerca dell’oro finisce dove è cominciata: la slitta non si è mossa neppure di un centimetro. Come dire: quando il superfluo ci impedisce il bene. Nel mio campo ci sono troppe cose superflue. La parola di Dio, Gesù sono importanti, ma è come voler chiudere una valigia quando ci hai messo il doppio di ciò che può contenere e allora cominci a togliere qualcosa, ma siccome quello ti piace, quello forse può tornarmi utile, quell’altro è buona precauzione averlo, rischi di lasciare a casa l’essenziale per trascinarti dietro un peso enorme di cose inutili. Bene hanno inteso i santi quando predicavano la rinuncia: non erano (almeno in maggioranza) dei masochisti ma delle persone che sapevano rinunciare per qualcosa di meglio. Gesù cammina, se vogliamo seguirlo è meglio non aver troppa zavorra: che non ci succeda di doverci fermare per troppo peso e asciugarci i sudori, alzando gli occhi scoprirsi soli con un mucchio di cose inutili perché Lui ormai è andato avanti e si è confuso con l’orizzonte.
SABATO 12 MARZO
“Quelli che ricevono il seme su terreno buono...”. (Mc. 4,20)
Quale sarà la terra buona? lo come posso essere terra buona?
Gesù, nella sua vita ha seminato se stesso, la Parola, ovunque, a tutti; ai chiamati, alle folle, agli scribi e ai farisei, a coloro che erano peccatori e a coloro che si ritenevano giusti; quindi per Dio ogni persona è potenzialmente “terra buona”. Dio è un “irrimediabile ottimista”, ha fiducia in ogni uomo. In me c’è della terra che è buona. Io, come l’Adam della Bibbia, sono fatto di terra, di polvere in cui Dio ha messo il Suo spirito vitale, quindi non devo perdere la speranza, specialmente quando vedo continuamente che Dio non l’ha persa. Ma in me, come in ogni uomo c’è anche strada, rocce, spine. Allora devo scoprire il posto giusto dove lasciare che il seme della Parola penetri e porti frutto.
Gesù, Figlio di Dio, vuole entrare in me, ma non nelle adiacenze, nei dintorni, vuole aprire una breccia nel mio cuore; nel libro dell’Apocalisse si dice che Gesù “sta alla porta e bussa”. La porta è il cuore dell’uomo, è l’intimo di me stesso, è quello stesso alito vitale che Dio ha soffiato in me e che spesso sparisce nascosto dalla materialità, dall’egocentrismo ed egoismo, dalla superficialità ed esteriorità. E’ lì che nel silenzio e nella contemplazione devo lasciare entrare il Signore. E’ lì che può adagiarsi la Parola di Dio che con il suo enorme potenziale può allora esplodere in vita.
DOMENICA 13 MARZO
“Portano frutto nella misura, chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno”. (Mc. 4,20)
Noi siamo di quelli che vorrebbero sempre il cento, e poi già grazie se non lasciamo morire il seme! Gesù è ottimista (nell’agricoltura palestinese non succedeva quasi mai una produzione così alta) ma anche realista, è esigente ma sa nello stesso tempo i nostri limiti, vuole che puntiamo a diventare “perfetti come il Padre suo”. ma conosce anche a fondo le nostre forze. Se devo allora, riconoscendo la forza della Parola, puntare al fatto che essa in me, in noi, possa produrre il cento per uno, devo anche accettare i miei limiti: in certi momenti della mia vita posso rendere il cento e devo dare così la mia disponibilità, in altri solo il sessanta, solo il trenta e non devo spaventarmi anche perché nelle mani del Signore la matematica, la rendita assumono strani significati: pensate, nel dare le offerte al tempio, per Gesù contano di più i due soldini della vedova che i bigliettoni dei ricchi, nel suo regno l’ultimo diventa il primo, è beato non chi ha la pancia piena e tutto il resto ma chi nella sua povertà si fida di Dio.
LUNEDI' 14 MARZO
“Si porta forse una lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto?”. (Mc. 4,21)
Qualche volta leggendo le statistiche che riguardano i cristiani nel mondo c’è da rimanere perplessi. Quando, dopo la Pentecoste, i Dodici cominciano a predicare, nel giro di pochi anni il cristianesimo si diffonde in tutto il mondo allora conosciuto, eppure non c’erano grandi mezzi di trasporto o di informazione. Oggi, oltre mezzo miliardo di “cristiani” dotati di grandi mezzi, languiscono. Bisogna capire chi è la lampada: e Gesù, la luce è il suo messaggio, la sua Parola, la sua persona. Quando la fede in Lui diventa solo più religiosità a volte formale, ecco che la sua luce è nascosta e coperta, quando la sua Parola e la sua presenza vengono troppo addomesticate o sono male testimoniate, o si perdono nelle pastaie di una Chiesa troppo mondanizzata, ecco che il messaggio perde la sua carica, la luce illuminante diventa fioco barlume quando addirittura non si spegne.
Ringraziamo Dio che non tutto è casi: esempi di persone che lasciano che Cristo illumini attraverso la propria persona ce ne sono molti, da chi fa molto per il suo prossimo, a chi offre se stesso, a chi in silenzio e nel nascondimento sparisce come il seme che muore nella terra per lasciare che il Signore della vita e della gioia possa trasparire senza alcun ostacolo.
MARTEDI' 15 MARZO
“con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi”. (Mc. 4,24)
Un modo comune di misurare è quello del dare e dell’avere, è il calcolare bene, un altro è quello di misurarsi sulle leggi: ho osservato quella legge, sono a posto! Un altro è misurare con il cuore e allora né metri, né pesi servono più. Qual’è il mio modo di misurare? Come misuro Dio?
E’ per me colui che se osservo certi precetti mi deve dare il contraccambio (in cielo o in terra)? La mia fede in Lui è un volersi appropriare di Dio o un accogliere Dio nel suo mistero e nella sua rivelazione, così come è e non come proiezione dei miei bisogni? In che maniera “misuro” la mia preghiera? in ore, minuti, “Ave Maria”, messe corte o in un rapporto di amore con Lui?
Come misuro gli altri?
Gli altri esistono nella misura del bisogno di autorelazione che io ho? So vedere in essi un fratello o un potenziale nemico? Davanti ad una necessità sono disposto a dedicare tempo, denaro anche se so che forse andrò incontro a difficoltà e poi non riceverà neppure un grazie?
Come misuro me stesso?
Il mio io è il centro attorno al quale gravita il mondo intero? So volere il mio vero bene scegliendo per me una scala di veri valori? Può essere l’inizio di un esame di coscienza e l’inizio di uno sgombero di metri troppo corti o di bilance con qualche trucco.
MERCOLEDI' 16 MARZO
“Anzi vi sarà dato di più”. (Mc. 4,24)
Quando ci sarà dato di più? Qui sulla terra? oppure bisogna attendere il paradiso? “Io sono sempre stato buono e generoso eppure non ho avuto altro che sofferenze, prove, dolori. Dio non si sarà dimenticato di me?”. “Ebbene se soffri adesso, pensa a quale gioia nel paradiso!” Due modi non molto umani ma non esatti di affrontare il problema. Se tu non metti misure troppo strette a Dio e al prossimo senti già nel tuo cuore che Dio, più grande e più buono di te, ti riempie di se stesso, e allora non hai pretese di quantificare ciò che “Dio dovrebbe darmi per la mia bontà”, scopri che Dio ama e non è un bottegaio.
E se veramente fai così scopri anche che il paradiso non è una favola di sogno con angeli svolazzanti o nuvole sospese a mezz'aria, con canti di cetre e sorrisi perenni, ma scopri che è conoscere Dio e poterlo amare totalmente e allora tutto questo può cominciare già qui anche se ancora viviamo nel mistero.
GIOVEDI' 17 MARZO
"Il Regno di Dio e come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce".
(Mc. 4,26—27)
Questa parabola Gesù la applica prima di tutto a se stesso: tutti si aspettavano un Messia battagliero, alla grande. Gesù invece nasce umile e povero, non si lascia tentare dal potere e dal facile apparire. La sua vita è destinata al fallimento. Ma Gesù continua a parlare con la sua vita e con i suoi insegnamenti: semina la buona parola! non guarda ai risultati, si fida della Parola di Dio. Lui stesso sarà il seme che muore. Tutto sembrerà finito. I discepoli di Emmaus diranno: “Noi speravamo.., ma ormai. Eppure Dio benedirà e farà fruttare il seme: Gesù. Noi siamo gli uomini della fretta: programmiamo anche pastoralmente; vogliamo vedere il Regno crescere. Ma ci rendiamo conto che non è andando a tirare l’erba che la si fa crescere?
Il compito nostro non è quello di vedere un Regno di Dio trionfante o, come dice qualcuno di vedere la statua della Madonna issata sul Cremlino, ma invece è quello di seminare e seminare abbondantemente e di fidarsi che Dio la sua parte la fa.
VENERDI' 18 MARZO
“Il Regno di Dio è come un granellino di senapa che viene seminato in terra...”. (Mc. 4,31)
Ci aiuta nella riflessione di oggi un esempio e una riflessione di A. Pranzato intitolata: “Il seme caduto in un angolo di giornale”.
Se non siamo troppo distratti, possiamo anche scovare la minuscola notizia, cacciata in un angolo del giornale, forse per riempire un buco. Poche righe asciutte: “7 novembre 1985. Assassinati da sconosciuti e per motivi ignoti due padri gesuiti che esercitavano la loro missione in Mozambico, a Lefidzi, diocesi di Tete. Le vittime sono il portoghese Silvio Moreina, 44 anni, e il mozambicano Jao de Deus Gonsalvez, 55 anni”. Tutto lì.
Ma, ammesso sappiamo ancora leggere le piccole notizie, sono sufficienti poche righe per informarci che ci sono anche loro.
L’elenco, però, potrebbe essere lungo, interminabile. Chi era padre Giuseppe Moretto, 46 anni, originario di Ciano del Mantello? Un cappuccino ucciso in Angola, così come, prima di lui, erano stati assassinati almeno quindici missionari. E chi ha mai sentito parlare di p. Gabriele Bortolani? Pare sia un frate di 29 anni, rapito dai guerriglieri. E, prima di lui, la stessa sorte era toccata a una trentina di suoi confratelli che avevano scelto l’Angola come luogo dove recapitare una “buona notizia”.
I grandi giornali devono occuparsi dei grossi avvenimenti e riservano pochissimo spazio per questi umili protagonisti della storia. Soltanto una morte violenta può assicurare loro, oltre che l’abbraccio del Padre, quattro righe, non troppo in vista. Ma non importa. Ogni tanto è necessario che qualcuno ci faccia memoria che esistono anche loro. Che i deserti più bruciati dall’odio, dalla crudeltà, dalla violenza, dall’ingiustizia, dall’indifferenza, sono percorsi da questi modesti camminatori e faticatori di un vangelo di pace e fraternità.
In un mondo in cui tutti cercano di affermarsi, imporsi all'attenzione e all’ammirazione, accumulare applausi e denaro, loro hanno accettato di “perdersi”, scomparire, mettersi dalla parte degli offesi, dei piccoli, dei calpestati, dei senza voce, degli sconfitti.
Disposti a percorrere fino in fondo una strada di oscurità in nome del Vangelo annunciato ai poveri. Un’oscurità squarciata soltanto, qualche volta, dal lampo di una fucilata assassina che li consegna alla nostra memoria e ai nostri rimorsi, grazie a una piccola notizia confinata in un angolo insignificante del giornale. Può darsi che quelle quattro righe siano state messe lì, tanto per riempire un vuoto. Tuttavia in quel vuoto è stato deposto un piccolo seme. Siccome non sono parole ma è sangue, dalla spaccatura del terreno di piombo sta affacciandosi timidamente una voglia di speranza.
SABATO 19 MARZO
"Gesù dormiva". (Mc. 4,38)
Quante volte nella storia della Chiesa e nostra personale sembra che Gesù dorma: si parla sovente del “silenzio di Dio”, sembra quasi che a Lui non importi di come stiano andando le cose: la Chiesa va male, il mondo va male... noi stiamo male e Gesù dorme! Ma è Lui che dorme o è la nostra fede che dorme?
Infatti quando la paura e un briciola di fede fanno svegliare Gesù, la tempesta è calmata.
Il sonno di Gesù, oltre che il giusto riposo dove una giornata di predicazione e miracoli, mi sembra diventi anche segno della confidenza e fiducia in Dio che ciascuno di noi dovrebbe avere. Il Salmo 131 ci fa pregare così:
“Sono tranquillo e sereno, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia.
Se veramente avessimo fiducia in Dio che si prende cura del seme gettato sulla terra: quanta agitazione in meno! Ci potremmo riposare sereni anche in mezzo alle tempeste perché noi. assopiremmo i nostri egoistici, vani e ridicoli tentativi di voler condurre la fede e la vita e “Colui che dorme” provvederebbe a farci giungere al porto.
DOMENICA 20 MARZO
“Gli dissero: Maestro non t'importa che moriamo?”. (Mc. 4,38)
L’angoscia è una paura generale di fronte a una realtà imprecisa e incombente, che rende impossibile ogni speranza. Spesso noi siamo angosciati. Di fronte alle difficoltà della vita siamo colti da una paura profonda che ci paralizza. Siamo come una barca in balia del vento, che la sbatte qua e là, e delle onde, che minacciano di sommergerla. Siccome le difficoltà che ci sovrastano sono, molte volte, più forti di noi, diventa inutile l’appello al coraggio e al sangue freddo. Siamo in preda a forze, che non dipendono da noi. Perciò temiamo per noi stessi e per quelli che amiamo. Sono le malattie e specialmente la morte a farci paura. Un esaurimento nervoso, per esempio, può costringerci a lasciare il lavoro, a metterci in disparte, fuori dalla corrente della vita, svuotati, depressi e morti al di dentro, mentre il futuro si profila oscuro e minaccioso, come una montagna che ci schiaccia o come un mare che vuole inghiottirci.
Spesso ci interroghiamo sulla chiesa e abbiamo
paura anche del suo futuro, perché ci pare che non ci sia più posto per essa.
Tremiamo anche per la sorte della società, di cui facciamo parte, per gli
scandali a catena, per la corruzione per l’uccisione delle genuine risorse popolari
da parte dei
potenti.
Un giorno però fu domandato a padre
Haering:“Dov’è il diavolo?” ed egli rispose: “Il diavolo è il pessimismo. Abbandonarsi
all’angoscia che diminuisce le energie, il credere che il male vincerà,
l’aspettarsi sempre il peggio: ecco come il diavolo oggi tenta i deboli e
s’identifica cori le forze negative della storia. E purtroppo ha molti alleati.
Sono coloro che sanno soltanto lamentarsi, e nulla fanno per scoprire le forze
positive, per comprendere la lotta che nel mondo contemporaneo si compie contro
gli spiriti maligni personificati nella violenza e negli abusi
di autorità”.
Da “Una comunità legge il Vangelo di Marco”.
LUNEDI' 21 MARZO
“Come scese dalla barca gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito immondo”. (Mc. 5,2)
Ci troviamo davanti ad un duplice incontro: Gesù e un uomo malato nel profondo, ma anche Gesù il bene e il male demonio. Nel primo incontro c’è tutta l’attenzione di Gesù per quest’uomo, la solidarietà che si fa gesto di guarigione. Nel secondo l’eterno scontro tra la potenza del male e la forza liberante del bene. La potenza del male è forte, è addirittura “legione” e personifica tutti i mali ricorrenti nel mondo che “legano”, rendono schiavo l’uomo; possiamo indicarne alcuni dei più ricorrenti: l’autoritarismo nella famiglia, tra generazioni, nei rapporti tra uomo e donna, la volontà di dominio dei potenti, l’esplosione di una sessualità ridotta a pura soddisfazione dei sensi, la perdita del senso e del valore dell’uomo. E davanti a tanto male l’uomo diventa impotente. Solo una forza più grande può contrastare questo male. Solo Gesù, l’uomo Dio veramente libero può contrastare il male e vincerla.
Davanti all’enormità del male nel mondo si può diventare fatalisti, si può ricorrere a forme di magismo o si può contrastare il male con la forza liberante di Cristo. Se da solo affronto il male che c’è in me, sono uno sconfitto in partenza. Ma se mi fida di Cristo compirò le sue opere di liberazione, di bene, di fiducia e allora le catene e i vincoli poco per volta cadranno non solo dalle mie mani, e se anche il male e la morte sembreranno avere esteriormente la vittoria proprio come per Cristo, nella morte stessa c'é già il germe di una vita nuova, incorruttibile.
MARTEDI' 22 MARZO
"Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio". (Mc. 5,17)
Sarà capitato a tutti di incontrare delle persone disponibili a parlare, a discutere di qualunque cosa, persone anche “religiose”, ma se le tocchi nel portafoglio, nei loro averi, allora hai finito.
Questi Geraseni si meravigliano del fatto della guarigione dell’indemoniato, ma soprattutto non riescono a sopportare “l’affare dei porci”. Gesù per liberare un uomo rovina un affare enorme: una intera mandria di porci e allora, con rispetto (forse anche paura che irritato potesse combinar loro ancora qualche guaio maggiore) lo allontanano: valgono ben più i miei affari che la vita e la liberazione di un uomo o l’incontro con chi può aiutarti a scoprire la verità, la libertà ma facendoti perdere i tuoi affari. Noi cerchiamo la libertà, noi cerchiamo Cristo. Ma, quando essere liberi, trovare Dio, significa rinunciare a qualcosa sono disposto a lasciarmi guidare dal Signore o “Non ti pare di esagerare un po' , Signore, nel chiedermi questo” o facciamo come il giovane ricco del Vangelo che davanti alla richiesta di vendere tutto per seguire Gesù “se ne andò triste perché aveva molti averi”?
MERCOLEDI' 23 MARZO
“La mia figlioletta è agli estremi: vieni a imporle le mani perché sia guarita”. (Mc. 5,23)
Proprio mentre pensavo a questo brano, un sacerdote, mio amico, ha chiesto di pregare per una bambina di quattordici anni che da quattro mesi è in corna.
Penso al dolore di quei genitori, a questa lunga sofferenza. Penso al grido di invocazione di quel papà e di quella mamma che insieme al grido ai tanti afflitti si alza ogni giorno al Signore, ho davanti la lunga sfilata delle carrozzelle di Lourdes e prego anch’io come si fa là: “Signore, che io veda.., che io oda... che io cammini...
Il Signore non ci ascolterà? Gesù ha ascoltato la preghiera di questo padre ed ha fatto il miracolo. Se è nella volontà di Dio, miracoli ne possono succedere. Ma il miracolo più grande, al di là di una guarigione, è il miracolo della fede, la guarigione del cuore, la conversione e allora come a Lourdes completo la preghiera precedente: “Signore, che io veda la tua luce; Signore, che io oda la tua Parola, che io cammini sulla tua strada.
GIOVEDI' 24 MARZO
“Una donna venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello”. (Mc. 5,27)
Oggi ci aiuta nella riflessione A. Pronzato, dal suo libro: “Stanchi di camminare”.
Sulla strada di Gesù hanno fortuna gli intrusi, gli abusivi, i non aventi diritto. Sta andando a casa di un personaggio importante, a compiere un grande miracolo. Qualcuno, invece, preferisce il piccolo miracolo, si accontenta di un minuscolo prodigio compiuto di corsa, senza fermarsi, senza che l’interessato nemmeno se ne accorga. Non vuole fargli perdere tempo, con tutte le cose urgenti che deve fare. Lei non ha la pretesa che si rechi nella sua catapecchia, che ascolti i suoi lagni. Le basta sfiorarlo. Toccargli il mantello. Un piccolo miracolo afferrato al volo, senza tante cerimonie. La donna si accosta furtiva. Con quel gesto vuole avvertirlo, silenziosamente: “Ci sono anch’io. Quasi chiedergli scusa di esistere. Ma Lui si ferma, la vuoi vedere in faccia questa straordinaria e discreta intrusa. E la informa: “Ci sei soltanto tu!”. Riprendono la loro strada. Uno verso il grande miracolo. L’altra a godersi il suo piccolo miracolo personale: qualcuno l’ha chiamata in mezzo alla folla. L’ha guarita dall’anonimato. Le ha dato un volto in mezzo alla massa che gliel’aveva cancellato.
L’ha resa importante importante di attenzione. Sulla strada di Cristo tutti gli abusivi, tutti quelli che non contano, gli infiniti “nessuno” hanno diritto al loro piccolo miracolo personale. Il miracolo di avere un nome. Il miracolo di essere riconosciuti.
VENERDI' 25 MARZO
“Chi mi ha toccato il mantello”. (Mc. 5,30)
C’era tanta gente e Gesù si preoccupa di chi gli ha toccato il mantello! Erano in tanti che si affollavano intorno a Lui, cercavano il gesto miracoloso per appagare la loro curiosità, cercavano di vedere lo straordinario nell’ordinario, gli dicevano tante parole, ma l’unica che ha stabilito il contatto giusto e stata proprio questa povera donna malata, ma dotata di gran fede.
Quante parole, quante riunioni, quante preghiere... Ma tra la folla dei miei rapporti con Lui, c’è un vero contatto? Posso essere sempre addosso a Gesù e rimanere un estraneo. Posso toccarla, maneggiarlo, riceverlo nell’Eucaristia, ascoltare la sua Parola e restare immune. Questa donna mi insegna che c’è un’enorme differenza tra io stare tra i piedi di Gesù e lo stargli vicino.
SABATO 26 MARZO
“Vennero a dirgli: tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?”. (Mc. 5,35)
Quale grande prova per questo padre! Così, brutalmente, vengono a dirgli che sua figlia è morta. Tutto gli crolla attorno. Gli amici, poi, con tanto di perbenismo, cercano anche di scalfire la sua fede in Gesù (“Non disturbare”).
Proviamo ad immaginare lo sguardo di quest’uomo, la sua tristezza profonda, le lacrime che stanno per sgorgare e lo sguardo di Gesù. E’ questo il momento in cui ci si gioca tutto, è proprio qui che si risolve il nostro rapporto con Lui, quando tutto va male.
E’ troppo poco far venire Gesù in casa mia quando c’è ancora una speranza. Devo avere il coraggio di farlo venire soprattutto quando non c’è più niente da fare. Una fede che tratti con Gesù soltanto affari possibili, è timidezza, paura, galateo... mori fede. La vera fede è quella capace di combinare con Lui gli affari impossibili, gli unici che a Lui interessano veramente.
DOMENICA 27 MARZO
“Gesù gli disse: Non temere, continua solo ad aver fede”. (Mc. 5,36)
“E’ terribilmente dura, sembra che il mondo intero mi sia cascata addosso. Credo nel Signore, credo nella risurrezione, ma entrare in casa e trovarla vuota è terribilmente difficile!”. Sono le parole di un papà. I suoi due figli si sono sposati qualche mese fa: era il sogno realizzato di lui e sua moglie. Ma subito dopo la moglie si è ammalata ed è morta, ed ora, la sera, rientrando in casa e trovandola vuota si sente la profonda mancanza di voci, di affetti e di persone: “E’ ancora più dura proprio perché ci siamo voluti tanto bene”.
La Parola di Gesù di oggi giunge più che mai come amicizia, conforto, impegno. Da una parte “non temere” perché sai che Dio non ti abbandona, che Lui è “la risurrezione e la vita”, e dall’altra “abbi fede!” cioè continua a vivere, magari con le lacrime agli occhi, ma con nel cuore la serenità di chi sa che è proprio vivendo e vivendo bene che si entra già qui in comunione con la vita eterna.
LUNEDI' 28 MARZO
“Ed Egli vide trambusto e gente che urlava”. (Mc. 5,38)
Abbiamo strani modi per dimostrare la nostra solidarietà! Uno soffre e
noi gli offriamo una marea di parole che suonano artefatte: “Condoglianze! Che
disgrazia, proprio a lei doveva capitare! Si faccia coraggio... e destino!”.
Oppure per consolare uno che piange non c’è di meglio che piangere e far rumore;
oppure pensate a quali pugnalate nel cuore quando a uno che è già nel dolore per
la morte di una persona cara, ricordiamo le gioie che con questa non potrà
più
avere.
Gesù non fa cosi: non fa strepito ma
è vicino. Non dice parole vane ma la parola che salva; non sta a commiserare ma cammina
con quest’uomo, lo difende dal pericolo di perdere quel po' di fede che egli ha.
La gente già celebra la liturgia della morte, Gesù viene a celebrare la
liturgia della vita, la festa del “risveglia”.
A volte, una stretta di mano, uno sguardo negli occhi e la certezza di un aiuto concreto sono i modi migliori per rispettare il dolore e per parteciparvi non incoraggiando pensieri di morte e sofferenza ma quelli di speranza e di vita.
MARTEDI' 29 MARZO
“Perché fate tanto strepito?”. (Mc. 5,39)
Nei miei anni di sacerdozio ormai ho fatto tante sepolture. Ho visto tanti atteggiamenti diversi. Li rispetto tutti perché provocati dal dolore. Ma c’è un atteggiamento che mi dà particolarmente fastidio ed è la falsità, l’ipocrisia. E questo sia nei funerali in cui si piange solo per esteriorità o si resta impassibili per dimostrare una fortezza che non c’è o si fa troppo chiasso e parole roboanti per affermare una speranza di risurrezione che viene continuamente detta ma in fondo o non più creduta o lasciata come falsa speranza per nascondersi la realtà della morte. Prego sempre il Signore che non mi faccia mai abituare ai funerali, che non diventi un mestierante della morte o un impassibile e compito funzionario di impresa di pompe funebri.
La morte è una realtà, brutta fin che si vuole, ma una realtà dolorosa non più per chi l’ha passata ma per chi rimane con degli affetti spezzati. La vita è anch’essa una realtà e va rispettata. E Cristo vivente è una realtà.
Che il Signore ci aiuti a ricordare sempre queste cose per non fare dei funerali cristiani riti ipocriti e carnevaleschi.
MERCOLEDI' 30 MARZO
“Cacciati fuori tutti”. (Mc. 5,40)
Il “buon Gesù” è deciso qui, come per i venditori del tempio, non ha mezze misure: quando ci vuole la frusta la usa! Ecco come ancora A. Pranzato ci aiuta a riflettere sul chiasso e su Gesù.
Forse mi preoccupo eccessivamente che nella mia vita non ci sia strepito. Dovrei preoccuparmi, principalmente, che ci sia il Signore. Pensa Lui a tener fuori il chiasso. Ci può essere una casa silenziosa, ma vuota. Ciò che conta è la sua presenza, non gli elementi di disturbo. Quando entra, mette fuori necessariamente i disturbatori. Importante non è il silenzio, ma la sua voce.
E’ la sua voce che mette a tacere gli schiammazzi. Non è il rumore il sintomo più preoccupante. Col rumore Lui entra (e lo lascia fuori). Ciò che preoccupa, è che troppo spesso Lui è già entrato, mentre io mi attardo ancora in cortile ad ascoltare il chiasso. Oppure ho la pretesa di portarglielo dentro.
In tal caso, Lui vede, e non ha proprio niente da dire. Non è per nulla disposto a “concelebrare” certe liturgie dell’insignificanza. La confusione non lo spaventa, ci mancherebbe altro. Soltanto non vuol essere con certe cose.
GIOVEDI' 31 MARZO
“Presa la mano della bambina le disse: fanciulla, io ti dico, alzati”. (Mc. 5,41)
Forse esagero ma nell’immaginare questa scena mi viene in mente quasi una scena matrimoniale. E’ il Signore che fa sposare questa bambina alla vita in questi gesti e parole così semplici, come nell’attenzione di Gesù a che diamo da mangiare a questa bambina, c’é tutta una gioiosa celebrazione della rinascita primaverile e della vita. Mi fanno sorridere quelle persone che si pongono il dubbio: “Quando risorgerò sarò come un bambino, un giovane, un adulto, avrò l’età della mia morte?”. in Dio c e solo primavera, sbocciare, sole, sorriso. Sovente mi ritrovo a canticchiare quel canto che facciamo in chiesa: “Prendimi per mano, Dio mio...”. E quando le tue braccia si apriranno, chiamandomi per nome: “Vieni, amico!” allora esultando ti dirò: “San pronto per il viaggio mio con te”.