Archivio

 
     
     

UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI  QUOTIDIANE  SULLA

PAROLA  DI  DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

FEBBRAIO 1988

 

 

LUNEDI' 1 FEBBRAIO 1988

“Venne a Lui un lebbroso”. (Mc. 1,40)

 

Sembra che le parole “handicappato”, emarginazione” siano invenzioni odierne, ma gli emarginati, i poveri, i malati, i deboli e diseredati sono purtroppo tipici di tutte le epoche. Per allora essere lebbroso era il colmo dell’emarginazione. Essi erano esclusi dal popolo, dovevano vivere in luoghi appartati, e già grazie se qualcuno a distanza, lasciava qualche avanzo per loro. L’emarginazione del lebbroso era tale che il libro di Giobbe chiama questa malattia “la primogenita della morte” (Gb. 18,13).

Ancora oggi nel mondo, nonostante ci siano medicine per vincere la lebbra, ci sono migliaia di persone che di lebbra muoiono o che vivono in attesa di morire, abbandonate da tutti. La società del consumo ha poi creato tutta una serie di altre emarginazione pensate ai vecchi, ai bambini, agli handicappati, ai diversi.

Da chi possono andare queste persone? Da chi posso andare io quando sento il peso della lebbra del mio peccato inguaribile?

Andare da Gesù é l’ultima speranza é anche se Gesù sbufferà perché non si deve andare da lui solo quando si ha bisogno, poi ti toccherà e se pure questo tocco non guarirà le tue piaghe, certamente potrà toccare e guarire il tuo cuore.

 

 

MARTEDI' 2  FEBBRAIO

Lo supplicava e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi”. (Mc. 1,40)

 

Quante volte, incontrando degli ammalati abbiamo sentito rivolgere a Dio, questa supplica: “Signore, se vuoi...

Chi prega così non dubita della potestà di colui che lo ascolta. Ma, come mai tante volte, davanti ad una preghiera così accorata non c e risposta?

L’ultima volta che mi sono trovato a Lourdes ho incontrato, seduta su una carrozzella, una signora semplice, buona, conosciuta per la sua carità e generosità. Ora era lì: da mesi soffriva di esaurimento e le sue erano depressioni terribili. “Don Franco, se la Madonna non mi aiuta non so se ce la faccio!” E pregava, e altri pregavano

per lei. Ritornata a casa, dopo pochi giorni non ce la fece più: qualcosa dentro di lei si era rotto: scrisse un biglietto per chiedere perdono e poi si diede fuoco.

Come mai il Signore non ha ascoltato quella preghiera? Non di certo perché questa donna non l’avesse fatta con fede e neanche perché il Signore è sordo: se Dio è un Padre, anche in questo caso non può non aver voluto il bene di questa sua figlia... Rimane il mistero... ma questa preghiera del lebbroso e di tante altre persone troverà il suo eco giusto quando diventerà la preghiera di Gesù: “Se vuoi allontana da me questo calice”. Anche questa volta Dio sembrerà non ascoltare, ma dalla sofferenza e morte di Cristo nascerà la nostra salvezza e nella sua risurre­zione il segno di ogni risurrezione e vittoria sul male anche per noi.

 

 

MERCOLEDI' 3  FEBBRAIO

“Lo toccò”.  (Mc. 1,41)

 

Gesù è veramente solidale con l’uomo! Quando vedi uno che soffre o che ha bisogno può essere facile una pacca sulla spalla, o, al limite, può anche farci sentire buoni e generosi, il mettere mano al portafoglio e dare qualcosa. Ma Gesù, toccando il lebbroso, per la mentalità religiosa del suo popolo fa qualcosa di più: si rende impuro. La solidarietà di Gesù giunge al punto che è Lui stesso a farsi ultimo: sceglie l’uomo e non la legge, diventa anche lui emarginato, sarà considerato peccatore, bestemmiatore, sovversivo.

Quando vedo le mani di qualche suora del Cottolengo o delle Piccole Sorelle dei poveri, chinarsi con amorevolezza sulle ferite più putride, quando sento di missionari imprigionati perché hanno difeso le terre dei campesinos o torturati perché hanno alzato la loro voce contro potenti e dittatori, vedo ancora questa mano di Gesù che non solo si alza per benedire da un altare ma che si abbassa per condividere solidarietà e che diventa forza per chi è nell'emarginazione.

 

 

GIOVEDI' 4  FEBBRAIO

Lo toccò e gli disse: "....sii mondato". (Mc. 1,41)

 

Parole e gesti, gesti e parole: in Gesù queste due cose vanno sempre insieme: le parole sono vane senza gesti e i gesti rivelano la loro profondità nelle parole; così è anche per i sacramenti: sono segni ma sanciti, spiegati, concretizzati da parole e sono parole che si devono concretizzare in opere, ad esempio il “sì” degli sposi deve concretizzarsi in un amore concreto, in condivisione assoluta, “nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte”.

Il cristiano stesso deve essere segno e parola. “Vede io ho incontrato troppi preti e troppi cristiani che predicano bene ma razzolano male perciò sono diventato diffidente non solo nei confronti dei cristiani ma anche nei confronti del loro messaggio”. Sono parole che tante volte ho sentito oppure intuito. La Parola non si può tacere: è più grande di noi, ma se non prende corpo nella nostra vita rischia di diventare una lama a doppio taglio: non soltanto non aiuta, ma scandalizza e si rivolta contro noi accusandoci del più grande tradimento al Signore: non essere diventati segni concreti del suo amore.

 

 

VENERDI' 5  FEBBRAIO

"Allontanatosi, cominciò a proclamare la Parola". (Mc. 1,45)

 

Nelle nostre istituzioni per annunciare la Parola ci vuole la conferma ufficiale da parte della Chiesa. Il primo annuncio di Gesù per Marco invece viene fatto non dagli apostoli che devono ancora imparare a seguire Gesù ma da un lebbroso guarito, i farisei osservanti si chiudono davanti a Gesù, i poveri invece gustano i suoi doni e li testimoniano agli altri.

E’ necessario che nella Chiesa ci siano predicatori e teologi con tanto di autorità per garantire la fedeltà alla Parola ma è anche vero che l’annuncio di questa Parola non è delegabile a qualcuno. Secondo voi servono di più cento prediche di un buon predicatore che parla ad un pubblico che si ritiene già eletto, o la testimonianza semplice e umile con parole ma soprattutto con i fatti su un tram, in un posto di lavoro, in un bar? L’entusiasmo di questo lebbroso guarito che diventa annunciatore poi mi fa pensare clic solo quando ci accorgeremo che la Parola ci ha veramente “guariti”, “salvati”, solo quando ci scopriremo “miracolati dentro” abbiamo poi l’entusiasmo e la gioia di dire agli altri il nome del Salvatore.

 

 

SABATO 6  FEBBRAIO

"Si seppe che era in casa". (Mc. 2,1)

 

Alcuni amici mi avevano portato quasi a forza: e adesso ero lì insieme a gente di ogni tipo, ma soprattutto poveri. Giravano sacchetti con dentro maglie e canottiere. Gli aiutanti del, chiamiamolo senza cattiveria, “santone”, prendevano i pacchetti, sparivano in una stanza e tornavano con la diagnosi: “cirrosi epatica”, “guarirà”, "pregate.

Parlando sentivo gente che era venuta da paesi lontani; una speranza, un desiderio...

Anche da Gesù va tanta gente quando sanno che é reperibile: Gesù sgriderà chi andrà da lui solo per sete di miracoli e di straordinario, come sgriderà chi va da Lui solo per giudicarlo, ma accoglierà sempre tutti.

Noi, qualche volta, facciamo chilometri per incontrare qualcosa di straordinario, ma dimentichiamo che Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore e in casa Non cercare Gesù troppo lontano: e accanto a te, in casa tua. E poi c’e anche una casa dove il Signore aspetta tutto il giorno. Gesù è “di casa” nel Tabernacolo: passare a trovano, fermarsi un po’ da Lui, non è certo perdere tempo, ma è incontrano ed uscire portando con noi la gioia di un Dio che si fa cercare, ma che anche si fa trovare.

 

 

DOMENICA 7  FEBBRAIO

"Si recarono da Lui con un paralitico portato da quattro persone". (Mc. 2,3)

 

Sono quattro persone che non portano solo un paralitico ma portano anche la solidarietà e la fede necessarie per un miracolo.

Mi piacciono questi quattro perché offrono le loro braccia per aiutare, quindi non sono “intellettuali della fede” ma guardano concretamente all’incapacità del paralitico di muoversi. Sono persone che non si lasciano scoraggiare dalle difficoltà che incontrano (la folla che impedisce l’accesso a Gesù).

Sono persone che mettono la fantasia a servizio delle braccia e della fede: se non si può entrare dalla porta, entriamo dal tetto! Sono persone che avendo fede vogliono salvare l’uomo intero e non solo il paralitico.

Le caratteristiche del volontariato cristiano dovrebbero essere l’armonia di questo: salviamo l’uomo (concretamente) e quindi offriamo braccia, intelligenza, fantasia, cuore ma, sapendo che insieme alla salvezza materiale c'é anche la salvezza dell’incontro con chi può liberarti dalla radice fondamentale di ogni male: il peccato.

 

 

LUNEDI' 8  FEBBRAIO

"Scoperchiarono il tetto". (Mc. 2,4)

 

Anche le barzellette religiose, magari un po’ irriverenti possono a volte aiutarci a riflettere. Racconta una di queste che il Cottolengo, essendo davanti a grandi debiti e trovandosi con poche monete, le gettasse allegramente fuori della finestra, fidandosi della Provvidenza (e fin qui è verità storica). S. Giovanni Bosco (e qui è la barzelletta) sapendo che questo succedeva spesso, passava tutte le sere sotto la finestra del Cottolengo a raccogliere le monete che utilizzava per le sue opere. Al di là della battuta, mi sembra che tutto ci aiuti a capire come i Santi avessero una grande fantasia, fiducia, originalità nel loro modo di vivere la fede.

Scoperchiare un tetto pur di conseguire la propria meta è un gesto di fede. Saper far l’acrobata come d. Bosco per attirare i giovani, diventare muratori, architetti, contadini come certi missionari per aiutare i poveri sono gesti di fede e di fantasia usata

bene. Il nostro Dio ci dà esempio di una fantasia enorme nella Sua creazione: siamo 5 miliardi? Nessuno è copia dell’altro:

siamo tutti originali e in natura quante specie di animali, dalla pulce all’elefante? Proviamo qualche volta ad uscire dall’abitudine religiosa e ad usare fantasia, umorismo e gioia: scoperchieremo qualche tetto ma certamente la nostra fede ringiovanirà.

 

 

MARTEDI' 9  FEBBRAIO

“Ti sono rimessi i tuoi peccati”. (Mc. 2,5)

 

Lo sguardo di Gesù va oltre l’apparenza, scopre l’uomo nel suo intimo. Davanti a Lui non c’è solo un malato, c'é un uomo che ha bisogno di salvezza. Gesù è venuto nel mondo per questo. Il Signore rincorre l’uomo peccatore, lo ama, lo conosce, vuole salvarlo. Davanti agli uomini possiamo mascherarci, farci apparire diversi da quello che siamo; Gesù sa chi siamo e ciò di cui abbiamo bisogno. Sarà suonata strana questa frase al paralitico e ai suoi amici che avevano fatto tanta fatica per portarlo fino lì: “siamo venuti per una guarigione e il Rabbì parla di peccati perdonati! Quante volte anche noi non capiamo: siamo andati da Gesù per una grazia e non l’abbiamo ottenuta come volevamo e allora magari siamo sconcertati e ci arrabbiamo. Il Signore non è il mago, vuole “guarirci”, ma dal male più profondo, quello che qualche volta non riconosciamo neppure noi ma che è la radice di tutti gli altri mali e del malessere della stessa creazione. Allora chiediamo pure al Signore, ma impariamo anche a ricevere il dono che Lui vuol farci.

 

 

MERCOLEDI' 10  FEBBRAIO

“I tuoi peccati”. (Mc. 2,5)

 

I filosofi e i teologi hanno un bel da dire, la parola “peccato” pur avendo un valore universale ha tante definizioni personali quante sono le storie degli uomini. Se io guardo alle mie emozioni, per me peccato ha il sapore delle cose proibite che, guarda caso, sono quelle che uno fa con più gusto. Ma mi rendo conto che peccato non può essere solo il trasgredire delle norme che il più delle volte sono frutto della storia dell’uomo. Per la Bibbia, nel suo insieme, peccato è mancare il segno, non realizzarsi secondo il piano di Dio ed anche non mantenere i patti. quindi infedeltà a se stessi, al prossimo e a Dio. E allora mi accorgo che tante cose sono inutili. Non servono i sensi di colpa che non aiutano l’uomo a costruirsi con realismo nel suo insieme secondo il programma di Dio. E’ assurdo fondare il peccato sulla semplice trasgressione di una norma o pensare che dipenda da cose e non sia un riferimento dei rapporti interpersonali. Non è giusto cancellare il peccato in norme di facili permissivismi ma è veramente sbagliato volerlo vedere ovunque o dietro la sua paura privarsi del giusto gusto della vita, della libertà e delle creature di cui il Signore stesso ci fa godere. E’ sbagliato pensare al peccato collegandolo con un Dio attentissimo, contabile di peccati. Stando alla Bibbia peccato è un amore mancato, non corrisposto, è voler rifiutare Dio nel costruirsi; in questo caso: quale grande pasticcio!

 

 

GIOVEDI' 11  FEBBRAIO

“Ti sono rimessi { tuoi peccati”. (Mc. 2,5)

 

Tante volte ho sentito questa frase rivolta a me e mi sono sentito rinascere. Tante volte in più nel mio ministero sacerdotale, dicendo questa frase, ho visto nascere gioia negli occhi e nel cuore di tanta gente. Oggi la confessione è in disuso, non perché non si abbia bisogno di esternare se stessi (pensiamo al proliferare di persone che hanno necessità dello psicologo) e neanche perché non ci sia più il peccato (lo si vuole cancellare ma in mille modi riemerge) ma perché l’uomo e la donna “emancipati” pensano di potersi assolvere da soli.

“lo chiedo perdono a Dio quando sbaglio!” Ma se il Cristianesimo è comunione, è popolo in cammino, se il peccato è sempre, facendo del male a me stesso, un dividermi da Dio e dai fratelli, ecco che ho bisogno di qualche segno concreto con cui Dio e i fratelli, mi danno il loro perdono. Ecco allora che l’assoluzione sacramentale, oltre che dono di Grazia, diventa per me anche garanzia di poter riprendere il cammino serenamente, sapendo che realmente il perdono di Dio e della comunità mi confortano.

                                                   

 

VENERDI' 12  FEBBRAIO

“Egli bestemmia”.  (Mc. 2,7)

 

Il ragionamento dei farisei non fa una grinza, ma è tipico di coloro che non sanno vedere, non sanno capire, non sanno amare.

In questa scena i veri paralitici sono loro. Essi si nutrono di certezze consolidate, hanno dalla loro la lettera della legge, ma non sanno leggere dentro come Gesù. Quanti scribi e farisei anche oggi! Quanti cristiani con “la puzza sotto il naso” che si permettono dall’alto della loro scienza (o presunta tale) di giudicare tutto e tutti. Ma prova a toccarli!

Lo scriba è uno che non si lascia scoperchiare il tetto! In lui non c’è spazio per l’imprevisto; ha tagliato le ali alla fantasia; per lui esistono casi, non persone. Ha una risposta per tutti purché non sia compromesso lui. “Signore, anche in me c’è la stoffa dello scriba. Qualche volta arrivo, nel colmo della mia stupidaggine, a pensare che farei meglio se fossi al posto tuo. Fammi scendere Signore dal mio orgoglio, fammi scoprire che al di là di me stesso, al di là della legge ci sono le persone e ci sei Tu che sei il più grande e buono di tutti.”

                                                   

 

SABATO 13  FEBBRAIO

“Preso il suo lettuccio se ne andò.” (Mc. 2,12)

 

Ci troviamo davanti a un uomo rifatto “di fuori” e “di dentro”. Prima dipendeva dagli altri ora può prendere il suo lettuccio. Prima dipendeva dal proprio peccato ora può alzarsi in piedi e camminare come un uomo libero. Gesù viene a mettere accordo tra esteriore ed interiore. Troppe volte una falsa mistica ci invita a pensare soltanto all’interiore dell’uomo, al suo spirito come se l’esteriore, la corporeità fossero solo cose cattive. Altre volte il nostro mondo ci invita a pensare soltanto alla materia: godi di quello che hai!, e ci porta a minimizzare l’interiore: a quello ci penserai quando sarai vecchio! L’uomo “in piedi” è colui che riesce, mettendosi nelle mani di Dio,a sapere che Dio lo ama e che lui è fatto a immagine e somiglianza di Dio nell’insieme della sua corporeità e spiritualità. Allora io amerò Dio con tutto il cuore quando saprò amarlo con tutto me stesso, e soprattutto quando saprò lasciarmi amare da Lui nell’intero mio essere.

 

 

DOMENICA 14   FEBBRAIO

Gli disse: "Seguimi". (Mc. 2,14)

 

Quando da ragazzo sentivo la frase: “Stai attento il Signore ti chiama pensavo che il Signore dovesse parlarmi nell'orecchio. Quando mi ritrovai in seminario non avevo sentito nessuna voce. Mi dissero: “Ascolta la Parola di Dio, essa ti parlerà”. Ma io mi trovavo in difficoltà con essa, spesso non la capivo, altre volte ero indifferente, essa non riusciva a dare una risposta agli interrogativi della mia vita e tantomeno chiariva la mia vocazione. Mi dissero ancora: “Prega! Nella preghiera troverai una risposta”. Ma anche la preghiera tante volte diventava un monologo con me stesso. Quel “seguimi” per me non era una parola netta, chiara come per Matteo. E’ una parola che nella mia storia si costruì poco per volta, come si costruisce una tela: nella preghiera, attraverso la Parola di Dio, nei fatti, nel peccato, nella gioia, nel dolore. Qual è la nostra chiamata? Che cosa vuole il Signore da me? Sono tanti gli interrogativi che ci poniamo; l’unica risposta valida può essere questa: prova a seguirlo e vedrai dove Lui vuole condurti.

 

 

LUNEDI' 15  FEBBRAIO

“Vide Levi, seduto al banco delle imposte”. (Mc. 2,14)

 

Un amico che lavora in banca un giorno mi disse: “Ci sono delle leggi ferree nella finanza che distruggono e tu non ci puoi far niente. A volte ti trovi a dover, per mestiere, far del male a delle persone e ti senti legato al sistema perché non puoi fare diversamente. Anche ai tempi di Gesù fare il gabelliere non era un mestiere semplice, si restava legati al sistema, si raccoglievano soldi per altri (e magari si guadagnava anche lautamente!). La gente non ti vedeva bene, trattando con dei pagani eri considerato un impuro... Gli scribi e i farisei che guardavano dall’alto puntavano tranquillamente il dito e dicevano:

“Che grandi peccatori!”

Gesù invece diventa amico dei gabellieri. Ne prende addirittura uno al suo seguito. Certo Gesù chiede un cambiamento, chiede a Levi di lasciare il banco da  cambiavalute, ma non sta a guardare l’esteriore, salva l’uomo. Ma diceva ancora il mio amico bancario: “Ma io non posso cambiare il mio lavoro né stando all’interno cambiare il sistema!” La tensione per migliorare una situazione, il riconoscere che questa situazione non è la migliore è già il primo passo per essere attenti alle persone, per cercare strade nuove, per non rimanere tutta una vita sempre seduti al banco delle imposte.

 

 

MARTEDI' 16  FEBBRAIO

"Molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù". (Mc. 2,15)

 

Tantissime volte ho sentito questa frase: “Potrò mai essere perdonato?” Qualche volta io stesso mi sono chiesto se la misericordia del Signore è poi veramente così paziente da ricominciare ancora e sempre una volta, da dare ancora e sempre una volta fiducia. Nel catechismo di Pio X si ricordava che uno dei peccati contro lo Spirito Santo è il diffidare della misericordia di Gesù. Gesù accoglie a mensa pubblicani e peccatori: proviamo a pensare quale grande gioia avranno avuto nel loro cuore queste persone che tutti evitavano come se fossero degli appestati. il Maestro, il Rabbì addirittura mangia con loro. E’ proprio vero e l’esperienza me lo ha insegnato che sono i peccatori che assaporano maggiormente la gioia di un Dio che vuol loro bene. Forse proprio perché hanno gustato a fondo la desolazione del peccato, essi sono coloro che sono capaci di più grandi e genuini gesti d’amore.

 

 

MERCOLEDI' 17   FEBBRAIO

Dissero: “Mangia con i peccatori!” (Mc. 2,16)

 

Tutti, specialmente quando eravamo ragazzi, abbiamo sentito dagli adulti proverbi e frasi fatte che avrebbero dovuto aiutarci a trovare la strada della vita: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” , “Chi va’ con lo zoppo, impara a zoppicare”, “bisogna guardarsi dalle cattive compagnie”. Eppure nel Vangelo non sembra esserci questa mentalità. E anche in chi maggiormente pratica il Vangelo non sempre queste frasi e questi proverbi sono così osservati. Pensate a un S. Francesco, come viene deriso per i gesti che compie, come è criticato per la sua attenzione a tutti. Anche ai giorni nostri Succedono di queste cose. Ho conosciuto un sacerdote che dovette subire molte ingiuste accuse perché i ben pensanti lo criticavano in quanto invece di essere con i “buoni" della parrocchia era sempre fuori della chiesa, a casa di gente che in chiesa non veniva, con delle persone “poco raccomandabili”.

Gesù andando a mangiare a casa dei peccatori si rende lui stesso impuro, ma e proprio a casa loro che riesce a portare la gioia ed è proprio tra loro che trova le persone, che pur nel loro peccato e nella loro povertà lo seguiranno, e queste persone avranno poi addirittura il. coraggio di dare la vita per Lui.

  

 

GIOVEDI' 18  FEBBRAIO

“Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. (Mc. 2,17)

 

La grande tentazione in cui tutti noi spesso cadiamo è quella di dividere il mondo e le persone in buoni e cattivi, giusti e ingiusti. E noi siamo gli arbitri di questa situazione. Gesù con molta ironia risponde agli scribi e ai farisei che lo accusano di essere a tavola con delle persone poco di buono e ricorda loro che chi pensa di essere giusto non ha bisogno di nessun altro, non ha bisogno di aiuto perché ha già abbastanza, non ha bisogno di perdono perché non ha niente da farsi perdonare; non ha bisogno di amore perché pensa di essere l’unico capace ad amare in maniera completa e totale. Gesù vede il male e il bene. Gesù combatte contro il male e la sua radice che è nel cuore di ogni uomo, ma, ai di là di ogni esteriorità, Gesù vede l’uomo. L’uomo nella sua ipocrisia o l’uomo nella sua realtà buona, anche se l’apparenza non dice così. Se vogliamo che Gesù possa aiutarci, perdonarci, amarci bisogna che con onestà ci mettiamo anche noi nella categoria dei peccatori perché solo così  potremmo far festa e stare al banchetto del Signore.

 

 

VENERDI' 19  FEBBRAIO

"Ora i discepoli di Giovanni i farisei stavano facendo un digiuno". (Mc. 2,18)

 

Mi hanno sempre spaventato coloro che identificano la propria religiosità ad alcuni gesti di preghiera. “Se vuoi salvarti devi dire quelle determinate preghiere”, “se tu compi quei determinati gesti Dio ti darà il premio “se tu fai i primi nove venerdì del mese stai sicuro che andrai in paradiso". I discepoli di Giovanni stavano facendo un digiuno, probabilmente era uno dei pochi digiuni previsti dalla legge ebraica oppure stavano digiunando perché Giovanni era stato messo in prigione e quindi pregavano perché il Signore liberasse il loro maestro. Facendo così facevano bene, era per loro un gesto di fede, era un gesto di rinuncia per qualcosa di più grande. Ma da far digiuno a costringere Dio e il prossimo a fare così altrimenti non ci si salva, ce ne passa. Ogni formula di preghiera, ogni rito, ogni gesto liturgico può essere buono se viene dal cuore che è capace di amare, che è capace di rinunciare, ma la salvezza non viene da un determinato rituale, non puoi comprarti Dio con dei gesti. Dio con noi non stipula dei contratti di assicurazione esigibili a determinate condizioni. Dio non è un commerciante. Egli ama e in maniera totale, egli è estremamente libero, fantasioso. L’amore non può essere ridotto a formula e rito. E’ vero che un digiuno, una preghiera, un gesto possono essere grandi gesti di amore se fatti con tutto il cuore per evidenziare la grandezza di Dio e la nostra povertà ma non possiamo pretendere che questi gesti diventino l’assoluto per poter “comprare” Dio e tantomeno si può pretendere di imporre ad altri queste cose perché siano mezzi unici di salvezza. Determinate formule di spiritualità che possono essere validissime per qualcuno, se non hanno alle spalle un vero atteggiamento di amore, per altri possono essere solo osservanza formale. Il digiuno e la preghiera sono sempre stati elementi centrali nella fede cristiana ma non devono essere gli unici modi per amare. Tra due persone che si vogliono bene, mille possono essere i modi per dimostrarselo.

Prova ad amare con semplicità Dio e troverai la strada, sia essa quella del digiuno e del sacrificio oppure sia essa quella della gioia, della donazione, del perdono, dell’amore.

 

 

SABATO 20  FEBBRAIO

“Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi”. (Mc. 2,22)

 

Un bel commento di Bruno Maggioni nel suo “Racconto di Marco” ci può aiutare a riflettere su questo versetto.

Gli uomini fanno resistenza alla novità.” Con le sue parole sul vecchio e sul nuovo, Gesù individua una prima fondamentale resistenza nell’accoglienza del suo messaggio: si può rifiutare la conversione evangelica in nome dell’equilibrio (la saggezza) e della tradizione: due valori più che sufficienti a mettere in pace la coscienza. Equilibrio e tradizione significano, in questo caso, attaccamento al proprio schema e rifiuto a rinnovarsi, I farisei pensavano che “convertirsi a Gesù” significasse introdurre qualche semplice perfezionamento (potremmo dire qualche abbellimento, qualche soprammobile) nel loro sistema di vita: come se la novità di Gesù fosse una pezza nuova da inserire su un vestito vecchio, come se fosse possibile mettere la novità del Cristo nelle vecchie botti. E’ per questo che il miracolo della conversione, nonostante l’incontro con la Parola di Dio, non avviene in noi. Non offriamo nessuna zona di sincera disponibilità al cambiamento, alla insicurezza e alla fede, all’azione irrompente di Dio. Mi sembra che teniamo il Vangelo alla periferia del villaggio, illudendoci di essere seguaci di Gesù perché abbiamo costruito qualche suo monumento ricordo al centro della piazza.”

 

 

DOMENICA  21  FEBBRAIO

“I farisei dissero: Perché essi fanno di sabato ciò che non è permesso?” (Mc. 2,24)

 

“Padre, devo confessarmi perché domenica ero malato e non sono andato a Messa”, “Se interrompo uno dei nove venerdì del mese, per malattia, vado ancora in paradiso?”

Il legalismo è una malattia terribile. Il volersi sentire “a posto” a tutti i costi, il voler osservare nei minimi particolari ogni tipo di legge uccide l’amore, uccide la fede e nasconde il vero volto di Dio. La legge che è necessaria per guidare l’uomo,in questi casi diventa un peso tale che è impossibile. I farisei sono scandalizzati perché i discepoli di Gesù camminando cominciano a strappare alcune spighe, e fanno questo in giorno di sabato. Per gli ebrei il sabato era sacro ma attorno alla sacralità di questo giorno erano sorte talmente tante norme da renderlo impossibile all’uomo: pensate che avevano codificato 39 cose che non si potevano fare di sabato! Un rabbino dice con ironia: “Se il popolo riuscisse ad osservare almeno due volte il sabato verrebbe subito il Regno di Dio!”

Tutto questo ci sembra lontano, ma i legalisti cristiani non sono da meno. In ogni epoca spuntano, codificano, giudicano, “mettono sulle spalle degli altri dei pesi che essi non sollevano neppure con un dito”... “Non è lecito! E’ peccato! Non si deve! E’ vietato!”

E allora tutto diventa difficile, tutto freddo, tutto impossibile e perdi di vista che la norma era stata scritta per salvarti e non per ucciderti.

Quando devi prendere una strada devi avere delle indicazioni ma se le indicazioni sono troppe tu rischi di perdere la strada.

 

 

LUNEDI'  22  FEBBRAIO

“Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!”. (Mc. 2,27)

 

Quella di Gesù sembra una frase evidente ma è anche importante ripetersi questa frase come vera novità che il Cristo ha portato. Se guardiamo alle origini, nella Bibbia il sabato aveva fondamentalmente due grandi novità. La prima era umanitaria: invitava al riposo; era soprattutto per i più poveri, per gli ultimi, per gli schiavi perché anch’essi avessero diritto ad un giorno nella settimana per riposarsi dal duro lavoro e dalle battiture dei padroni. La seconda motivazione era quella del memoriale: ricordo della creazione, del riposo di Dio dopo i sei giorni, e ricordo della liberazione: quando il popolo finalmente libero poteva celebrare il suo Dio. Il sabato dunque è un dono di Dio. Esso non aggiunge niente a Dio. E’ stato voluto da Dio per l’uomo, quindi l’uomo non può abrogarlo arbitrariamente ma è altrettanto vero che questa legge non obbliga più se si risolve a svantaggio dell’uomo.

Ricordo, nei primi anni del seminario, che ogni giorno durante la colazione ci veniva letto il regolamento del seminario. Erano parecchie norme, norme che ti costringevano in tutti gli aspetti della tua vita. Chi le aveva scritte, probabilmente, aveva voluto far si che ogni aspetto della vita comunitaria fosse regolamentato nei minimi particolari. Ma quale grande peso, quale costrizione, quale incapacità di fantasia e di gioia nel camminare insieme. Le norme se non sono fatte a misura dell’uomo, lo uccidono.

Gesù è venuto sulla terra non per dettare un regolamento fatto di minime osservanze ma per liberare l’uomo e l’uomo libero allora può scegliere Gesù e in Lui indirizzerà tutta la sua vita nel fare “la volontà del Padre”.

 

 

MARTEDI'  23  FEBBRAIO

"Mettiti nel mezzo". (Mc. 3,3)

 

Mi sembra che questa frase di Gesù non sia soltanto un “creare la scena”. Gesù non vuole contrapporre l’uomo dalla mano inaridita ai farisei osservanti e mormoratori. In quella frase ci sta tutta l’attenzione di Dio per l’uomo. Gesù è venuto per salvare l’uomo dal di dentro, per salvare l’uomo nella sua totalità. Egli è “nel mezzo” del cuore dell’uomo. Tutte le volte che noi guardiamo all’uomo solo in qualcuno dei suoi particolari, noi sbagliamo nel comprendere i suoi problemi, nel giudicare la sua situazione e nel portargli aiuto. Faccio qualche esempio. Quando noi guardiamo solamente alla cultura dell’uomo, noi dividiamo l’uomo in categorie. Ci sono i saggi e gli ignoranti, ci sono i sapienti e gli stolti, ci sono popoli a culture elevate e popoli sottosviluppati. Quando noi guardiamo soltanto all’uomo nel suo fisico abbiamo i belli e i brutti, i forti e i deboli, i simpatici e gli antipatici. Quando guardiamo al colore della pelle abbiamo le razze: i bianchi, i neri, i gialli, i rossi. E allora dell’uomo vediamo soltanto un’apparenza, una parte. Gesù, pur guardando con molta realtà a quest’uomo ammalato, quindi bisognoso di aiuto e di salvezza, guarda soprattutto al cuore di quest’uomo e anche al cuore dei farisei. Il cuore dell’uomo dalla mano inaridita è disponibile a ricevere una grazia, anzi la chiede con tutto se stesso, Il cuore dei farisei è indurito, quindi non disponibile, ma Gesù ponendo loro la sua domanda,dimostra di aver ancora fiducia che anche un cuore indurito possa convertirsi e cambiare.

Quando ho davanti una persona come la guardo? Vedo in lei le apparenze esterne? La giudico a seconda di quelli che sono i miei criteri particolari? Sono disposto ad aiutare il fratello, la presenza di Cristo? Solo se cogliamo che ciascun uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio ed è mio fratello in Gesù, allora potrò metterlo nel mezzo e vedere nella profondità del suo cuore e aiutarlo per quello di cui ha veramente bisogno.

 

 

MERCOLEDI' 24  FEBBRAIO

“E i farisei con gli Erodiani tennero consiglio contro di lui per farlo morire”. (Mc. 3,6)

 

Può stupire: siamo solo al terzo capitolo del Vangelo di Marco e già ombre di morte cominciano ad avvolgere la figura di Gesù. C’è già chi congiura contro di Lui. Ci sono persone che non sanno leggere la novità del suo insegnamento, ma cercano in tutti i modi di farlo tacere: rovina la loro tranquillità, può creare degli inconvenienti politici, è un bestemmiatore, non rispetta leggi, forse è un sovversivo. La figura di Gesù crea subito divisioni, lo dirà Lui stesso: “Non sono venuto a portare la pace, ma la divisione”. Davanti a Gesù si deve prendere posizione e le posizioni possono riassumersi in queste quattro.

C’è chi accoglie Gesù: “Ho bisogno di una parola veramente nuova; sono povero, ho bisogno di salvezza, di perdono, di amore. Gesù è la risposta a questo!”

Secondo atteggiamento, l’indifferenza: “lo mi faccio gli affari miei, non mi interessano le novità, sono comodo così”.

Terzo atteggiamento, la superficialità: “E’ una bella moda, andiamo a vedere lo stregone, è un bello spettacolo, rimanevano stupiti” ma non si convertivano”.

E il quarto atteggiamento è l’inimicizia: “Bisogna farlo fuori, non ci lascia tranquilli!”.

In quale di queste quattro categorie mi trovo?

 

 

GIOVEDI'  25  FEBBRAIO

“Egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca”. (Mc. 3,9)

 

Gesù dà tutto, predica, guarisce, parla con autorità, meraviglia la gente con il perdono. Ma Gesù chiede anche qualcosa a quelli che considera suoi amici. Chiede in prestito una barca. Chiede ospitalità, generosità, donazione. E Gesù si serve di questa barca per poter annunciare la Parola alle genti.

La barca nel Vangelo ha un valore simbolico; appare diverse volte: durante la pesca miracolosa, sballottata tra le onde durante la tempesta, chiesta in prestito a Pietro. E’ la figura della Chiesa; quello che ci stupisce di più è che fa la sua prima apparizione proprio nel momento in cui all’orizzonte comincia apparire l’ombra di una croce. La Chiesa vera non è quella dei potenti, non quella della gloria, è invece la Chiesa degli umili, la Chiesa dei semplici e dei poveri. Quale idea abbiamo noi di Chiesa: è la Chiesa degli intrallazzi politici? E’ la Chiesa delle sicurezze? E’ la Chiesa del potere e dei potenti o è una Chiesa peccatrice perché fatta di uomini ma santa perché santificata da Dio?

 

 

VENERDI' 26  FEBBRAIO

“Salì sul monte”. (Mc. 3,13)

 

Si era partiti nelle prime ore della notte. La montagna ci sovrastava, tetra. Le deboli luci delle pile illuminavano appena il sentiero. Si camminava in silenzio. E dopo circa tre ore di cammino si arrivò sulla cima. Ci si sedette e si cominciò ad aspettare l’alba. Quando il sole spuntò, lo spettacolo meraviglioso del massiccio del Rosa apparve nei suoi mille colori.

Le meraviglie della montagna!

Anche a noi salire su una montagna dà l’idea di avvicinarsi attraverso il creato al Creatore. Ma nella Bibbia i monti hanno avuto un significato teologico importante: erano la residenza di Dio e il luogo in cui gli uomini potevano entrare in comunione con Lui. Ci sono nella Bibbia dei monti importantissimi: 

il Sinai, dove Dio dona la sua legge a Mosè,

il Tabor, dove Gesù si trasfigura davanti ai discepoli,

il Calvario (anche se era una semplice collinetta), dove Gesù apre le sue braccia su una croce per accogliere l’umanità intera.

Il monte è la prossimità di Dio, ma il monte è anche il luogo delle decisioni: qui viene pronunciato il nuovo Decalogo, il discorso delle Beatitudini, qui avviene la scelta degli Apostoli.

Quale spazio do a Dio nella vita per potermi incontrare con Lui? So accogliere la sua Parola che scende dall’alto, si incarna, e a Lui vuole ritornare ricca della mia esperienza?

 

 

SABATO 27  FEBBRAIO

“Ne costituì dodici”. (Mc. 3,4)

 

Tutte le volte che mi imbatto in un numero nella Bibbia so di dover fare un grosso sforzo se voglio riuscire a comprenderlo. Per noi ogni numero, secondo la legge matematica, rappresenta una quantità definita, assommabile, sottraibile, divisibìle, moltiplicabile. Nella  Bibbia i numeri  hanno dei valori molto diversi. Chissà perché Gesù sceglie proprio dodici persone? Noi sappiamo che il numero dodici è un composto del tre, il numero perfetto, ma sappiamo anche che già dodici erano le tribù che formavano il popolo di Israele. Prima erano dodici tribù, composte da migliaia di persone, ora sono dodici persone (neanche troppo istruite, non gente “eletta” secondo i criteri mondano-religiosi). si tratta di gente semplice, comune, con pregi e difetti come i nostri.

Questi dodici sono dunque il resto di Israele. Viene allora da pensare: il Signore costruisce con il capitale o con i resti?

Tutta la storia della salvezza, ma specialmente il Vangelo è costruito con i resti. Maria dice: “Ha guardato alla povertà della sua serva, ora tutte le genti mi chiameranno beata”. L’amore di Dio non guarda le apparenze esteriori, si serve di dodici povere persone per costituire il nuovo popolo. Si serve anche di noi per trasmettere la grandezza della Parola di Gesù. L’unica cosa è riconoscere di essere poveri e accettare che il Signore innalzi la nostra povertà.

 

 

DOMENICA  28  FEBBRAIO

"Ne Costituì dodici che stessero con Lui e anche per mandarli a predicare". (Mc. 3,14—15)

 

Qui sembra che S. Marco cada in una contraddizione; dice che Gesù chiama i dodici per stare con Lui e poi dice per mandarli. Ma allora essere apostoli significa stare o andare? I due termini non sono contraddittori. Prima di tutto bisogna stare con Gesù, bisogna fare la sua esperienza, sentire la sua Parola, mettere i piedi dove li ha messi Lui, incominciare a pensare come pensa Lui, agire come agisce Lui. Bisogna fare le stesse scelte che Lui ha fatto, bisogna ricevere il suo stesso Battesimo (Mc. 10,38), bisogna passare attraverso la sua povertà, bisogna abbracciare la sua croce, bisogna gioire della sua gioia. Poi allora devi andare.

Andare non significa dimenticare il Signore ma significa con Lui camminare per il mondo annunciando la sua gioia, testimoniando il suo amore, crocifiggendo se stessi per poter risorgere con i fratelli. Anche per noi è la stessa cosa. Se io vado soltanto, rischio di andare a vuoto, di vendere fumo. Se io sto soltanto con il Signore, rischio di costruirmi un Signore su misura. Nella nostra vita ci deve essere lo Spazio per la preghiera, per la meditazione, per l’ascolto, ma questo ascolto, preghiera, meditazione deve tradursi poi in testimonianza e missione.

 

 

LUNEDI'  29  FEBBRAIO

"Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì". (Mc. 3,19)

 

Se io dovessi raccontare una storia per dare un esempio, nel mio racconto cercherei di evitare ogni cosa negativa. Sembra, invece, che S. Marco e gli Evangelisti non soltanto non nascondano il negativo, ma mettano in evidenza che proprio nel gruppo dei dodici c’è anche Giuda, il traditore e questo viene fatto non per un cattivo giudizio nei Confronti di Giuda, ma per ricordare fin dall’inizio quest’ombra di cattiveria, di male che è presente nei fondamenti della Chiesa primitiva.

E’ una “memoria” perenne per la Chiesa. Chi è questo Giuda? Non è il cattivo per eccellenza, colui che si contrappone ai buoni. E’ uno come me, è uno dei dodici; ha ricevuto con la stessa gratuità con cui ho ricevuto io e con cui i dodici sono stati “costituiti”. In ogni credente può esserci Giuda il ricordarlo fin dalle prime pagine del Vangelo significa metterci sull’avviso: la nostra libertà può essere spesa male; con i doni   ricevuti dal Signore noi possiamo creare o amore  o morte.
Giuda mi ricorda la mia   povertà e mi fa chiedere perdono. Mi ricorda la povertà della Chiesa e mi aiuta ad avere misericordia e a chiedere misericordia per essa; mi ricorda la mia libertà, dono grande che può causare grandi gioie o anche grande dolore; mi ricorda l’amore di Dio che è sempre disponibile anche per il Giuda che c’é in me.

     
     
 

Archivio