SI PUO' COMUNICARE CON I MORTI ?
Carissimi, ci stiamo avvicinando al mese di Novembre con il suo ricordo di tutti i fedeli defunti. In tutte le nostre famiglie abbiamo persone care che ci hanno lasciato. Tutti noi vorremmo saperne di più sulla morte, sui defunti. Vorremmo conoscere se vivono, dove vivono, come vivono, vorremmo che ci parlassero... Spesso capita di incontrare anche dei cristiani che, rivolgendosi a medium o a persone che dicono di poter scrivere, messaggi che i morti suggeriscono, pensano di fare cosa buona e consolante per se stessi...
Ho pensato di dedicare alcuni numeri del nostro notiziario proprio a questo: partiremo da alcune domande, cercheremo di capire l’origine e il pensiero dello spiritismo, vedremo che cosa ci ha detto Gesù e che cosa ci insegna la Chiesa riguardo ai nostri fratelli defunti. Naturalmente è una piccola catechesi, chi vuole approfondire gli argomenti certamente in una buona libreria cattolica troverà testi ben più approfonditi.
Si può comunicare con i morti? (1)
Quando noi perdiamo un parente, un amico, ci assalgono molte domande. Dove si trova adesso? Mi vede? Mi intende? Posso parlare con lui? Gli adepti allo spiritismo non esitano ad affermare che è possibile comunicare con i morti ed evocare i loro spiriti per mezzo di riti e procedimenti come tavole che ballano o scrittura automatica... La Chiesa cattolica, pur affermando con forza la sopravvivenza al di là della morte, è molto reticente a riguardo di tutti questi fenomeni straordinari. Essa anima pellegrinaggi in luoghi dove dei cristiani hanno avuto delle apparizioni e che sono diventati dei santuari spesso anche molto frequentati. Ma “essa non impone mai un’apparizione come un articolo di fede” (Monsignor Etchegaray). Essa rispetta il dolore di coloro che sono stati separati dalla morte. Essa sa anche che c’è molta gente in buona fede in mezzo agli adepti allo spiritismo. Essa non ignora neppure che ci siano anche molti ciarlatani e approfittatori che approfittano delle sofferenze altrui. Essa non possiede ricette magiche per consolare, ma attinge dalla Parola di Dio le certezze di fede che fondano la sua speranza. Risuscitando Cristo ha vinto la morte e ci fa partecipare alla sua vittoria.
Un sogno vecchio come il mondo: comunicare con i morti
Fin dalla più lontana preistoria noi troviamo l’uomo che onora i suoi morti. In tutte le civiltà noi ritroviamo dei riti che esprimono il dolore per la morte, dei riti di sepoltura, delle cure particolari date ai sepolcri, dei pasti funerari, delle offerte fatte ai defunti.
Questi riti, questi gesti esprimono la pietà familiare. Essi hanno anche, molto spesso, un carattere sociale e religioso. i morti senza sepoltura fanno orrore alla maggioranza dei popoli e coloro che violano le tombe sono considerati come empi e sacrileghi.
In numerose civiltà l’atteggiamento dell’uomo nei confronti dei defunti è sovente ambiguo: egli li ama, ma allo stesso tempo li teme. Ecco allora che nascono certi gesti di scongiuro per ottenere da essi protezione, amicizia, o anche semplicemente una neutralità e una non interferenza. Ci racconta Ovidio che anche i romani portavano sulle tombe dei canestri di frutti per “pacificare” le anime dei parenti. Nel IV secolo Sant’Ambrogio dovrà interdire questo costume giudicato pagano, che si ritrova, sotto altre forme anche presso molte altre civiltà. A tutti i culti dei defunti soggiace un desiderio vecchio come il mondo: rinnovare con i defunti un contatto brutalmente interrotto dalla morte. Di qui la “necromanzia” e tutto il suo arsenale di riti e di gesti, destinati ad evocare i morti per interrogarli sull’avvenire, sull’aldilà, sul ‘regno delle ombre i Babilonesi credevano che i morti frequentassero le case e potessero dare dei consigli ai vivi. Gli Egiziani amavano invocarli per ottenere da essi dei segni premonitori. Tutta la letteratura, sia che partiamo da antichi testi babilonesi che da Omero, da Eschilo, da Aristotele a Plinio, da Tertulliano a Shakespeare, ci attesta che l’evocazione dei morti è sempre stata praticata anche presso le popolazioni cristiane.
Il popolo giudeo era attorniato da altri popoli che praticavano correntemente la necromanzia.
Questa pratica era rigorosamente vietata dalla Legge (Lev. 19,31; 20,27; Deut. 18,11; Is. 8,19). Ma la tentazione di ricorrervi era molto grande. Tant’è vero che troviamo il re Saul cercare di entrare in comunicazione con lo spirito di Samuele consultando la pitonessa di Endor (1Sam. 28). i giudei avevano dei riti funebri ma non propriamente un culto dei morti, come si ritrova, per esempio, presso gli egiziani. L’assenza di luce e di informazioni precise sulla “scheol”, ovvero il paese della tenebra e della polvere dove anche i giusti non erano che delle ombre, non invitava a pensieri di grande fede sulla morte e sui morti. In effetti, fin verso il 150 a.C. i giudei non avevano grandi speranze nell’aldilà. Chiuso sui morti lo scheol non aveva speranza di essere riaperto. La sola speranza era quella di morire “pieni dì giorni”. Allo stesso modo si cercherebbe invano nella Bibbia un’idea di reincarnazione dell’uomo, anche se questa credenza era molto diffusa presso certi popoli dopo il 6° secolo a.C. Nella letteratura rabbinica, il luogo dove riposavano i morti era indicato con l’espressione: “il seno di Abramo”. La stessa espressione sarà usata anche da Gesù per indicare il luogo dove si trova Lazzaro in mezzo ai giusti. In questo luogo di pace, di consolazione, di riposo, le anime, lontane da ogni sofferenza e da ogni pena, attendono di essere introdotte dal Messia nella gloria del suo Regno. Il culto degli avi in Oriente in Cina, fin dall’epoca più antica, si crede che le anime dei morti continuino a vivere presso i viventi; si pensa anche che esse siano capaci di intercedere presso le divinità in favore dei loro discendenti. Gli avi sono i protettori dei viventi ma anch’essi hanno bisogno dei viventi per prolungare la loro esistenza nell’aldilà. Il culto che è loro reso è strettamente legato alla famiglia: per questo il matrimonio è un dovere di pietà verso gli avi. Un culto analogo si trova in Giappone, ma là gli avi mitici hanno finito per avere un ruolo più importante di quelli reali. Nell’india vendica, l’anima del morto, alla fine dei riti funebri, raggiunge il mondo dei Padri: là ad essi ci si può rivolgere, quasi come ci si rivolge a Dio.
Si può comunicare con i morti? (2)
La scorsa settimana abbiamo visto come il desiderio di sapere del nostro futuro dopo la morte e quello di poter già fin d’ora comunicare con i nostri morti, sia un desiderio innato in tutte le culture. Anche oggi molti e in molti modi diversi pretendono di poter comunicare direttamente con l’aldilà. Sarebbe quasi impossibile spiegare ideologie e metodologie (e anche trucchi vari) di questi movimenti. Mi fermo in questo notiziario a tratteggiare unicamente la storia dello spiritismo e le sue idee portanti in quanto esso è alla base di ogni altra successiva forma moderna. La prossima settimana esamineremo ciò che pensa il cristiano a questo riguardo.
Forma moderna dell’antica necromanzia lo spiritismo è nato negli Stati Uniti, in una fattoria “stregata”, nel 1874. A Hydesville, nello stato di New-York, una vecchia casa era allora abitata dalla famiglia Fox, il padre, la madre e due giovani figlie, Margaret e Katie. La vita non era tranquilla in quella casa: ogni tanto si sentivano dei colpi nei muri, ogni tanto i mobili scricchiolavano o si spostavano da soli. I genitori trovavano questi fatti molesti mentre le ragazze sembravano divertirsi. Un giorno Katie, la più giovane, si mette a battere le mani per vedere se lo spirito “picchiatore dei muri” le risponderà. Infatti dei colpi risuonano nel muro. La signora Fox assiste a questo e vivamente impressionata ha un’ispirazione. Interpella lo spirito e gli dice: “Conta fino a venti”. Come detto subito fatto: venti colpi vengono dal muro. Sempre più interessata la signora Fox domanda allora allo spirito sconosciuto di battere un colpo se egli è un essere umano, due se è uno spirito. Rispondono due colpi. Lo spiritismo è nato. Non ci sarà che da perfezionare il metodo di recezione dei messaggi dall’aldilà. Subito il fatto fa scalpore intorno alla fattoria. I vicini, gli amici, i curiosi accorrono per ascoltare i messaggi e anche altri provano a comunicare in questo modo con i defunti. La Chiesa metodista a cui appartengono i Fox, disapprova il loro comportamento e li caccia. Ma i Quaqueri sono favorevoli, e uno di loro Isaac Post si fa insegnare dallo spirito un certo modo di comunicare con una tavola alfabetica che diventerà una specie di “telegrafo spiritico”. Da allora lo spiritismo si espande prima in America e poi in Europa e toccherà un po’ tutti i ceti sociali.
Lo spiritismo non è però solo un insieme di tecniche destinate a comunicare con l’aldilà, è una dottrina che il suo principale teorico Alla Kardec definisce: “La dottrina fondata sull’esistenza, le manifestazioni e l’insegnamento degli Spiriti. Riassumiamola rapidamente:
L’ uomo
L’uomo si compone di tre elementi: il corpo fisico, l’anima e il “perispirito”. Quest’ultimo è una sorte di energia tenue e sottile, una sorta di fluido vitale che non obbedisce alle leggi della natura materiale. Questo “perispirito” è presente nel nostro organismo sotto la forma dell’energia nervosa. Modellato ad immagine del corpo fisico, è in stretta relazione con esso. Quando l’uomo muore, la sua anima, avviluppata nel suo “perispirito”, riceve il nome di spirito.
Per Kardec e i suoi discepoli tutti gli spiriti (quelli degli uomini, degli angeli e dei demoni) hanno la stessa natura. Tutti sono stati creati allo stesso modo. Tutti sono chiamati a diventare perfetti. Ci metteranno più o meno tempo, ma tutti non possono che progredire verso la perfezione. La più grande prova per gli spiriti è il tempo del loro soggiorno nel corpo materiale. Questo soggiorno non è unico. Lo stesso spirito può “reincarnarsi” più volte in secoli differenti e anche su differenti pianeti. Ciò che distingue tra loro gli spiriti, siano essi uomini, angeli o demoni, è il numero delle reincarnazioni alle quali essi sono stati sottomessi e la maniera nella quale essi hanno sopportato queste prove, In base a questo ci sono degli spiriti i quali, anche disincarnati, subiscono ancora l’influenza della materia e delle passioni: questi spiriti inferiori si contentano di obbedire, il più spesso senza comprendere. Al di sopra di essi ci sono dei buoni spiriti ancora attaccati alla materia, ma che sono riusciti a progredire in bontà, in scienza e in saggezza. Infine, al di sopra di tutti, ci sono i puri spiriti, i quali, come angeli sono totalmente staccati dalla materia e dal male. Questi spiriti pensano e comandano. Qualunque sia la classe a cui appartengono gli spiriti sono prima di tutto degli “erranti”. Passato, presente e futuro sono per essi un solo ed unico tempo: una sorta di presente indefinito.
La morte e la reincarnazione
Quando un uomo muore, spiega Kardec, la sua anima avviluppata nel suo perispirito non lascia subito la carne. Solo dopo un periodo di perturbamento essa si abitua al mondo degli spiriti. Essa allora si vede così com’è, prende coscienza dei propri errori, del suo rango nella scala degli esseri e intraprende una lunga “erranza” sorgente per essa di insegnamento e di conoscenza. Di reincarnazione in reincarnazione essa progredisce a poco a poco verso la verità e la purezza. Da un’esistenza all’altra, l’anima può retrocedere di stato sociale, ma mai di rango spirituale. Per i discepoli di Kardec, l’unione dell’anima e del corpo comincia al momento della concezione, ma essa non si realizza pienamente che al momento della nascita. In questo intervallo di nove mesi l’anima si trova in un intorpidimento spirituale profondo dove il ricordo dei suoi passati si affaccia.
Influenze orientali
Per Kardec lo spiritismo è una scienza, una filosofia della quale le guide ispiratrici sono gli spiriti superiori che popolano l’aldilà. E’ una dottrina spiritualista che professa la sopravvivenza dell’anima dopo la morte e la possibilità, per gli spiriti, di manifestarsi a noi. Si trovano in questa dottrina numerosi elementi orientali ed elementi presi dalle religioni giudeo-cristiane. Ma per la Chiesa e per i cristiani il periodo della rivelazione è finito con la morte dell’ultimo degli apostoli, per gli spiritisti esso comincia in qualche modo nel 1847 con i primi messaggi ricevuti dall’aldilà dalla famiglia Fox.
Dio e Gesù
Per Kardec e per i suoi discepoli Dio è l’intelligenza suprema, la “Causa prima di tutte le cose”. E’ un Dio lontano e inaccessibile, e non il Dio vivente di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. E’ un Dio Creatore, ma non il Dio Salvatore dei Vangeli. Quanto a Gesù è uno spirito elitario, senza dubbio il più perfetto, ma uno spirito come quello di ogni uomo. E’ un taumaturgo, un medium estremamente dotato ma il fatto che sia riuscito a materializzare il suo spirito disincarnato il terzo giorno dopo la sua morte, non ne prova la divinità. Al contrario, questa reincarnazione immediata prova che egli era troppo attaccato alla materia. Per gli spiritisti, dunque, Gesù non è il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, morto e risuscitato per la nostra salvezza. Egli è inferiore anche agli angeli perché per predicare il suo Vangelo ha dovuto incarnarsi in un corpo.
Si può comunicare con i morti? (3)
I cristiani credono che la vita continui dopo la morte. Il fondamento di questa speranza è la Parola di Gesù: “lo sono la risurrezione e la vita. Colui che crede in me anche se e morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno” (Gv. 11,25—26). Per i cristiani, come per tutti gli uomini, la morte è un dramma. Quelli che noi amiamo se ne vanno e lasciano il vuoto, e noi soffriamo per la loro assenza. Noi possiamo parlare loro ma essi non possono più risponderci con delle parole. Noi possiamo guardare le loro fotografie, ma noi non possiamo più vederli con i nostri occhi. E’ così. E tuttavia, questo marito, questa moglie, questo figlio che noi amiamo e che noi continuiamo ad amare al di là della morte, non ci hanno abbandonati del tutto. Noi lo sappiamo. Noi lo crediamo. Perché l’amore è più forte della morte. Perché Gesù ha vinto la morte e accoglie presso di Lui tutti coloro che lo hanno cercato ed amato con cuore sincero. I nostri morti sono degli esseri invisibili, ma non assenti. I loro corpi riposano al cimitero, ma essi continuano a vivere in Cristo, presso Dio. La loro morte non è la fine ma un inizio, una specie di nuova nascita. I morti possono manifestarsi a noi in maniera sensibile, essi che non hanno più corpo? Possono comunicare a noi dei segni, dei messaggi come pretendono di dire gli adepti allo spiritismo? Tutto ciò che noi sappiamo è che per natura uno spirito senza corpo è assolutamente inaccessibile ai nostri sensi, la sua esistenza supera i nostri concetti di spazio e di tempo. E per questo che i nostri morti non saprebbero né mostrarsi né farsi capire da noi. Dire questo non è negare né la sopravvivenza né l’immortalità. E’ assumere la nostra condizione umana e i suoi limiti. Numerosi pittori, scultori, poeti, drammaturghi si sono sforzati di rappresentare la vita dell’aldilà. Le immagini che essi hanno utilizzato restano immagini e non arrivano mai a descrivere una realtà che noi non possiamo immaginare, la Bibbia stessa usa per questi argomenti immagini che non pretendono di descrivere passo passo la realtà ma che ci invitano ad aprirci al mondo di Dio. La Bibbia infatti non è muta circa la sorte di coloro che “si sono addormentati nel Signore”. Coloro che noi amiamo e che hanno lasciato questa terra sono “vicini a Dio”, nel Regno promesso da Gesù a coloro che credono in Lui. Questo Regno non è come un vasto oceano dove ciascuno sarà come annegato e privato della sua personalità, della sua identità, ma una casa di Famiglia dove ciascuno è accolto da Dio come un padre accoglie suo figlio alla festa di nozze. Accanto a Dio, i morti, come noi, attendono la Risurrezione della fine dei tempi, e non una ipotetica reincarnazione. Uniti a Cristo, Signore e Salvatore, essi si preparano a ‘‘e vedere Dio così com’è’’ e a diventare simili a Lui (1Gv. 3,2). Essi sono invisibili, ma vicini a noi, quanto Dio stesso è vicino a noi.
E le visioni e le apparizioni?
Visioni, apparizioni, estasi... La Bibbia e la vita dei Santi relazionano di numerosi episodi dove, misteriosamente, il cielo sembra fare irruzione nel nostro mondo sensibile. Queste apparizioni, queste illuminazioni stanno a volte alla base di conversioni radicali. La Chiesa è sempre molto prudente quando si tratta di pronunciarsi su dei fenomeni di questo genere, in particolare le apparizioni. Essa non nega la loro possibilità. Essa può riconoscere anche Santi dei fedeli che dichiarano di aver beneficiato di apparizioni (vedi ad esempio Bernardette Soubirous). Ma questo non è mai a causa delle apparizioni. Se la Chiesa è reticente è perché sa bene che in questo campo le illusioni e l’autosuggestione sono frequenti. Per la Chiesa la prova della santità non è nei fenomeni straordinari, ma nell’amore vissuto coi fatti e nella verità”.
Che cosa ne dice il Vangelo
Un giorno Gesù racconta questa parabola:
C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandano a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi. (Lc. 16,19—31). Quest’ultima frase costituisce il cuore della parabola: le apparizioni non sono dei segni decisivi per fondare la fede. Ciò che è determinante è la Parola di Dio. Davanti ai suoi discepoli Gesù ha affermato che i suoi miracoli non avevano convertito certe città (Lc. 10,12—13); all’apostolo Tommaso Gesù dirà: “Beati coloro che avranno creduto senza aver visto” (Gv. 20,29) e per convincere i pellegrini di Emmaus farà ricorso solo alla Scrittura. (Lc. 24,27).
“Credo alla comunione dei santi”, diciamo recitando il Credo. San Paolo esprime questo mistero attraverso l’immagine del corpo di cui Cristo è il capo e noi le membra. Gesù usa la simbologia della vite e dei tralci. La Comunione dei Santi è dunque l’immensa comunità di tutti i fedeli di questo mondo e dell’altro, uniti in Cristo. C’è dunque una sola Chiesa che riunisce gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi e che dalla terra continua nell’aldilà. I Cristiani sono un popolo in cammino. La meta della marcia è il Regno di Dio. I santi, conosciuti e sconosciuti, sono coloro che ci chiamano ad andare avanti. Essi sono “un’immensa folla che non si può numerare, di tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue” (Apoc. 7,9) e diventano così nostro modello. Noi siamo in comunione con loro. E’ Gesù Risorto che fa da legame tra i due mondi. “Grazie a Lui la morte non fa morti, ma viventi”. La morte è un velo, un velo provvisorio, al di là del quale noi passeremo a nostra volta. Nell’attesa, questo velo ci nasconde e quasi deruba coloro che ci lasciano. Noi sappiamo tuttavia con certezza che essi sono viventi. Più noi siamo uniti a Dio, più noi siamo vicini a coloro che lo hanno raggiunto. La Chiesa di Cristo è una. Noi siamo tutti solidali gli uni verso gli altri. Ed è questo lo Spirito di Gesù che ci unisce e non i fantasmi degli spiritisti. E’ in particolare nell’Eucaristia celebrazione della Pasqua del Signore che in maniera privilegiata noi siamo ricongiunti ai nostri defunti. Perché noi comunichiamo al Cristo Risorto che unisce in Se stesso defunti e viventi.
Per i cristiani, la preghiera è un legame possente tra viventi e defunti
Fin dai primi tempi della Chiesa si è pregato per i defunti, anzi Tertulliano ci ricorda che si offriva l’Eucaristia per i defunti sia il giorno della loro sepoltura che il giorno anniversario della morte. Nel IV secolo, San Girolamo scrive ad un amico che piange la morte di sua sorella: “Non bisogna piangere quanto assisterla con le vostre preghiere; non la rattristate con le vostre lacrime, ma raccomandate piuttosto la sua anima a Dio”. Ben presto la liturgia prende l’abitudine di fare memoria dei defunti durante la celebrazione eucaristica. Ma i cristiani dei primi secoli non pregano solamente per i loro morti. Ad essi indirizzano anche delle invocazioni al fine di ottenere la loro protezione, come ci testimoniano numerose iscrizioni delle catacombe: “Vivi in Cristo e prega per noi”; “Che la tua anima sia felice, e prega per i tuoi figli”... Infatti la Chiesa cattolica crede che i defunti possano intercedere per i viventi, per cui i cristiani non solo pregano per i defunti ma chiedono anche il loro aiuto. I nostri morti come santi del cielo, sono nostri intermediari presso Dio. Essi pregano per noi come noi preghiamo per loro. Questa comunione, questo scambio spirituale ci avvicina e ci unisce. E’ un legame vivente che, in Cristo, ci mette in relazione intima con coloro che ci hanno lasciato.
Davanti alla morte
sono felice perché esisto non riesco a pensare alla morte. Il pensiero di dover morire mi rattrista, la certezza di dover morire mi spaventa, ho paura della morte più di ogni altra cosa. Nessuno vive per sempre e nulla dura in eterno. Si muore sulle strade e sul lavoro, sui mari e nello spazio; nessuno sa quanto tempo gli rimane ancora da vivere, nessuno conosce come sarà l’esistenza dopo la morte. Essa è un mistero a cui solo la fede toglie l’assurdità. Ti ringrazio, o Signore, perché mi hai dato la vita per cercarti, la morte per incontrarti, l’eternità per possederti. (P. MAIOR)
Gesù amava raccontare parabole. Attraverso queste manifestava e nascondeva, a seconda del cuore e delle intenzioni di chi lo ascoltava, i misteri del suo Regno. Oggi, nella commemorazione dei defunti, voglio anch’io raccontarvi una specie di parabola, non importa molto se è una storia vera o inventata, quello che può contare è se queste righe possono parlare al nostro cuore.
Ecco dunque il racconto.
La signora A., aveva avuto una giovinezza abbastanza serena, una famiglia severa ma amorevole, principi educativi fermi, una fede trasmessa con semplicità ma nella quotidianità. A., dopo un paio di avventure aveva incontrato Giorgio e, dopo una reciproca simpatia, era nato l’amore e il desiderio di affrontare la vita insieme e di creare una famiglia. Giorgio era un bravissimo uomo, lavoratore, dotato di una gran carica di positività, uno su cui si poteva far conto, sempre attento ai minimi desideri di A., con principi morali intoccabili. Quando si erano sposati in chiesa, per loro non era stata solo una cerimonia. Quando si erano promessi, davanti a Dio, fedeltà “nella buona e nella cattiva sorte” erano sicuri l’uno dell’altra. Ed infatti la vita di coppia, con tutti i suoi problemi, era stata affrontata con fermezza, unità ed estrema serenità. Con sacrifici e fatica erano riusciti a comprarsi ed arredarsi a loro gusto l’alloggio. Quando era nata la loro figlia era stato per loro una gioia enorme. La figlia li aveva uniti ancor di più. E gli anni erano passati sereni. Poi, dopo venticinque anni, ecco il fulmine. Giorgio ha una piccola escrescenza alla lingua. Si va dal medico. Inizia la trafila delle analisi, e con essa la paura. Purtroppo si tratta di cancro. Non ci sono grandi speranze. Ricoveri, cure mediche. Speranze che presto vengono deluse. Preghiere che sembrano non essere ascoltate. Paura, angoscia. Nel frattempo, la figlia, la loro cara figlia se ne va di casa, ha seguito un amico in Olanda. Giorgio muore e A. si trova sola. La sera della sepoltura, rientrando in casa, sente tutto il vuoto della solitudine. E’ veramente morta una parte della sua vita. Arriva persino a pensare di farla finita. Solo i suoi principi morali riescono ad evitare questo gesto estremo.
A. ripensa sempre a Giorgio. Tutte le cose le ricordano la loro felicità e riaprono continuamente la ferita. Desidererebbe vederlo, parlargli, almeno sognarlo; invece niente, solo solitudine e dolore. Anche il rapporto con la figlia, in questi quattro anni dalla morte di Giorgio, si è fatto sempre più difficile: continua a stare in Olanda, forse ci sono anche problemi di droga... “Sentivo la mia impotenza. Il tempo non aveva lenito la mancanza di Giorgio.... Se almeno avessi potuto sognano, sentire una sua parola, avere da lui, sempre così sicuro, un consiglio... Si era nella prossimità della commemorazione dei defunti. Una sera, io che per dormire un po’ continuavo ad imbottirmi di tranquillanti, mi addormentai di piombo. Ed ecco, nel sogno, mi appare Giorgio. Era più giovane dell’età in cui era mancato, aveva il volto sereno. “Giorgio, perché mi hai lasciata sola? Ho bisogno di te!”.
“Cara A. non ti ho mai lasciata sola. Noi siamo sempre con voi” “Ma io non ti vedo, non ti sento, mi manchi tanto!”. “Sono tante le cose che non si vedono o non si sentono, ma ci sono. Io sono con te, non mi sono mai allontanato da te, vedo quello che fai, so la tua sofferenza, le tue paure, la tua solitudine, ti sono vicino e ti aiuto, se ti lasci aiutare. Ricordi, ad esempio, quando volevi farla finita? Poi hai pensato a Dio, a nostra figlia, hai pensato a me ed hai capito che non avrei mai approvato il tuo gesto. Ti sei lasciata aiutare da me “Ma tu come stai? Dove sei?” “Io sono vivo, più vivo di prima, sono nella luce, sono in Lui, insieme a tanti altri, in molti siamo in cammino, ma nulla può separarci dal suo amore perché Gesù è morto per noi, è risorto per noi “Sono contenta per te, ma vedi quante lacrime... “Lo capisco il tuo dolore, ma non piangere. Non si può piangere per un redento. Anzi, le tue lacrime mi tengono ancora legato.” “Lo vedi che vengo sovente al cimitero, ti porto i fiori.. “Ti ringrazio, questo dice il tuo amore per me. Ma io, questo, lo conosco già. So quanto mi hai amato e quanto mi ami e so anche il mio amore infinito per te, un amore che in Dio non finirà mai. Ma guarda, i fiori sono belli quando sono nei prati. La cosa migliore per noi e per voi è tradurre l’amore che ci portate in amore per chi ha bisogno. L’elemosina, la carità, il non far pesare agli altri il proprio dolore è la miglior manifestazione dell’amore e dà anche speranza e coraggio proprio a te.” “Ma serve pregare?” “Anche la preghiera serve soprattutto a te. E’ il modo per stare con Dio. Noi siamo con Dio, voi siete con Dio. Siamo una cosa sola. “Ma ci rivedremo?” “Certo. L’amore di Dio, se non ci chiudiamo a Lui, è talmente grande, che tutto ciò che è amore non può non trovare che compimento in Lui.” “Ma, ... e tutta la tua sofferenza... la mia sofferenza?” “Può sembrare strano e difficile, ma la sofferenza è preziosa. Se c'é ne rendessimo conto la vivremo in un altro modo. Nulla va perso, tutto è unito a Gesù. La risurrezione c’è dopo la Croce. Guarda con speranza, anche a nostra figlia. Ti sembra di non riuscire a far niente per lei; non perderti d’animo, fidati di Dio ed anche di ciò che abbiamo seminato in lei... a suo tempo crescerà. Tu innaffialo con la tua sofferenza e con il tuo amore... Mi svegliai. Era solo un sogno?