UNA PAROLA AL GIORNO
RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA
PAROLA DI DIO
a cura di don Franco LOCCI
MAGGIO 1987
VENERDI' 1 MAGGIO
“Non è forse il figlio del carpentiere?” (Mt. 13,55)
Nella storia, essendoci così poche notizie su Giuseppe, ed essendo egli cosi importante nella storia della salvezza, lo hanno raffigurato un po’ in tanti modi; dall’anziano saggio, al giovane votato al Signore, dal lavoratore povero, sballottato a destra e sinistra, al carpentiere: uno dei pochi che aveva un lavoro fisso. Ma quello che stupisce in Lui è“il silenzio”. Già la presenza di Maria è discreta e silenziosa, ma Giuseppe, al di là dei suoi sogni proprio non parla. Tace, fa la volontà di Dio, lavora nell’umiltà, lascia spazio, sparisce in silenzio. Ad una conferenza sentii una volta un sacerdote incaricato della promozione delle cause di beatificazione che diceva: “Per alcuni personaggi c’è talmente abbondanza di materiale, scritti, testimonianze che passi anni per ordinarle e vagliarle per altri non c’è niente. “Dio, ha scelto il niente, quel niente silenzioso che pero è ascolto, disponibilità, amore, per metterlo vicino a Gesù e a Maria.
SABATO 2 MAGGIO
“Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola”. (Atti 6,4)
Gli Apostoli, oberati da molti impegni di servizio si accorgono di non aver più tempo sufficiente per la preghiera e l’apostolato della parola. E’ il dramma e il desiderio di ogni sacerdote: aver tempo per pregare, per meditare, per annunciare la parola. Non dover perdere tanto tempo per le pastoie burocratiche, amministrative, per riunioni che più che incontri di cristiani sanno semplicemente di riunione di condominio. La chiesa di oggi sta riscoprendo il diaconato, i ministeri: ben venga questo cammino in cui ogni cristiano riscopre il proprio ruolo e il proprio ministero ordinato o no, nella chiesa. Tutti, secondo la nostra vocazione siamo chiamati, nel rispetto dei compiti degli altri a rendere il nostro servizio alla comunità e a Dio.
DOMENICA 3 MAGGIO
"Due discepoli erano in cammino
verso un villaggio di nome
Emmaus". (Lc. 24,13)
E’ forse il brano che a livello sentimentale mi colpisce di più in tutto il Vangelo: è la storia di quel cammino che tutti noi stiamo facendo. Abbiamo incontrato Cristo, l’abbiamo seguito con entusiasmo; ma poi: una croce, una tomba, tanta paura... “Noi speravamo Ed ecco la delusione diventa cammino che porta lontano da Gerusalemme. E quel Cristo che credi ti abbia deluso si fa pellegrino con te. Non usa parole facili: “Teste dure”, ma forse proprio per questo ti senti smuovere dentro tutte quelle radici che credevi ormai tagliate per sempre. “Resta con noi perché si fa sera E’ l’unica luce trovata dopo giorni di buio. Non perderti d’animo, aggrappati a questa speranza e qui i tuoi occhi, fissali nel volto di quel pellegrino, osserva bene i suoi gesti, smettila di pensare a te, riscopri il valore dello spezzare il pane e troverai il Cristo che ti riempie il cuore e che ti mette le ali ai piedi per correre e gridare al mondo la Gioia.
LUNEDI' 4 MAGGIO
"Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna". (Gv. 6,26).
Il giorno dopo Natale è facile sentire tra bambini dialoghi di questo tipo: “Che cosa hai ricevuto in dono?” “Una scatola di costruzioni” “E io una ancora più grande della tua”. Qualche volta anche noi, come i bambini guardiamo più al dono che al donatore e facciamo come la gente del Vangelo che va dietro a Gesù perché lo ha visto moltiplicare i pani e non tanto perché è convinta che Gesù sia il Figlio di Dio. Eppure dovremmo saperlo, l’esperienza dovrebbe avercelo insegnato che non sono le cose di questa terra a dare una soddisfazione piena: esse si desiderano, si cercano; quando le hai ne provi gioia e poi cominci a desiderare dell’altro. E questo ti dimostra solo la tua sete di infinito che nulla potrà saziare se non Dio stesso, quel Dio che per indicarci il suo amore che colma ogni desiderio non ha esitato in Gesù a farsi pane spezzato per noi.
MARTEDI' 5 MAGGIO
“Signore Gesù, accogli il mio spirito”. (Atti 7,59)
Sono le parole di Stefano, il primo della lunga schiera dei martiri cristiani, che egli dice mentre lo stanno lapidando. Sono le stesse parole di Gesù sulla croce (Lc. 3,46). Stupisce questo fatto: il discepolo prega allo stesso modo di Gesù: è talmente assimilato al suo Signore che anche nel suo modo di parlare e di agire esprime esattamente le parole e i gesti di Gesù. Possiamo chiederci: chi mi sente parlare in casa, in ufficio, in vacanza, chi mi vede agire nei vari posti dove mi trovo, riesce a rendersi conto dalle mie parole e dai miei gesti concreti, che sono cristiano, discepolo di Gesù?
MERCOLEDI' 6 MAGGIO
"Quelli pera che erano stati dispersi (dalla persecuzione) andavano per il paese e diffondevano la Parola di Dio". (Atti 8,4)
Quando nella vita ci capita una sofferenza, una persecuzione, è inutile fare i falsi e dire: “Ma che bello: una prova del Signore!”. Il male fa male! e neanche possiamo prenderci in giro dicendo soltanto: “Soffri, intanto poi riceverai il premio”. Ma di una cosa possiamo essere certi: anche la sofferenza, la persecuzione hanno un significato in Dio. La persecuzione rendeva forti i primi cristiani e li faceva sempre più convinti seguaci di Cristo; la dispersione li portava ad uscire dalle strette mura di Gerusalemme e del giudaismo e li apriva a tutti i popoli verso cui Cristo li aveva mandati. Non chiediamola, ma un po’ di persecuzione alla nostra Chiesa non ci farebbe forse uscire dal nostro comodo perbenismo e dalle nostre abitudinarietà?
GIOVEDI' 7 MAGGIO
Filippo gli disse: “Capisci quello che stai leggendo?”. (Atti 8,30)
In questo brano ci troviamo davanti ad un etiope (uno straniero) che legge la Bibbia. Filippo gli chiede: “Capisci quello che stai leggendo?” Oggi ci sono due categorie di “cristiani”: quelli che non leggono mai la Bibbia, che pensano che essa sia un libro per “addetti ai lavori” o un libro di “storie vecchie” e quelli che la leggono quasi fosse un libro cabalistico: cercano date di fine del mondo, frasi per comprovare le più strane teorie e tante volte per comprovare quello che fa loro comodo. “Capisci ciò che leggi in questo libro così umano nel suo linguaggio ma divino nel suo messaggio?” La Bibbia è un libro da amare, da leggere ma da leggere nella Chiesa perché è solo in essa che si riesce a leggerlo e comprenderlo partendo dalla risurrezione di Gesù ed è anche un libro che deve trasformarsi subito in vita e continuare attraverso persone risorte con Gesù ad annunciare al mondo non fiabe o false profezie ma amore incarnato, concreto.
VENERDI' 8 MAGGIO
“Chi sei o Signore?” E la voce: “Sono Gesù che tu perseguiti”. (Atti 9,5)
Saulo buttato giù da cavallo interroga la “forza” che lo ha fermato. E’ la domanda che da sempre si sono posti gli uomini. Una malattia, una sofferenza, un qualcosa ti ha fatto capire la tua povertà, la tua finitezza: improvvisamente, i tuoi occhi alteri che sempre avevano “visto lontano”, avevano giudicato, ora ti paiono coperti di scaglie che non ti permettono più di “vedere”: ti accorgi di essere piccolo, steso a terra e allora cerchi di guardare in su e di vedere... Qualche volta vorresti vedere il Dio Immenso, altre volte il Giudice che finalmente mette a posto le cose... E invece trovi, come Saulo, un Dio che avevi già incontrato ma che nella tua persecuzione non avevi riconosciuto, quel Dio che ha forme, ha sete, è nudo, è ammalato, quel Dio dai mille volti quotidiani, quel Dio che se ti specchi è anche già nel tuo volto e nel tuo cuore perché ti ama, quel Dio che se ti sbatte giù da cavallo lo fa perché da terra tu puoi guardare negli occhi e non dall’alto, e gli occhi del fratello ti parleranno di Dio.
SABATO 9 MAGGIO
"Questo linguaggio è duro: chi può intenderlo?" (Gv. 6,60)
Durante una riunione un giovane che si proclamava non credente, ad un certo punto sbottò: “Per voi cristiani è tutto facile: avete un Dio che va bene per tutte le stagioni, per tutti gli usi e costumi. Stai bene: ringrazia Dio perché è Lui che ti fa star bene; stai male: non è colpa di Dio, ma è Lui che si serve del male per volerti bene...” E’ vero: qualche volta rischiamo di far diventare Dio il nostro tappabuchi personale, il Dio dalla facile risposta ad ogni problema, il Dio costruito su misura. Gesù non è così: i suoi discorsi sono chiari, danno fastidio, dividono, presentano un Dio che ama ma che è sempre misterioso, un Dio che si fa pane ma che va a finire sulla croce, un Dio che si incarna ma che è il totalmente altro. il Dio padre di Gesù che fa crescere insieme il grano e la zizzania, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti non è facile da accettare ma anche noi come Pietro questa mattina vogliamo dire: “Noi crediamo che tu sei il Santo di Dio: da chi andremo. Tu hai parole di vita eterna.
DOMENICA 10 MAGGIO
“Io sono la porta delle pecore”. (Gv. 10,7)
Per un timido come me ci sono certe porte davanti alle quali esito: mi hanno detto che c e un malato difficile, una famiglia lontana, chissà se do fastidio, come mi accoglieranno?... Poi scherzando con me stesso mi dico: “Fatti furbo, non farti tante domande: suona il campanello e vedrai; l’unico modo di sapere è varcare quella porta... Gesù è l’unica porta del cristianesimo: bisogna passare attraverso Lui per entrare nella Chiesa. Le altre porte, gli altri passaggi non portano alla vita. E’ inutile cercare altrove, è inutile essere titubanti: bisogna guardare Cristo in faccia e poi bussare. Fatto questo primo passo puoi star sicuro di non ricevere la porta sbattuta in faccia: al di là di quella porta che all'inizio può anche far paura c'é un Cristo che pur di accoglierti sempre con le braccia aperte se le è addirittura fatte inchiodare sulla croce.
LUNEDI' 11 MAGGIO
"Verrò all’altare di Dio, al Dio della mia gioia". (Salmo 42,4)
Quel giorno dopo aver corso tra matrimoni, battesimi, malati mi è scappata quella frase che poi mi ha fatto pensare: “Ancora una Messa! è la terza di oggi!” E’ vero: la fatica, la ripetitività, l’abitudine giocano, ma essere stanchi, stufi per dire una Messa! Proviamo a pensare: Dio si dona, si fa parola, pane, presenza, si fa mangiare da noi, diventa perdono, forza per il cammino... e io tranquillamente, per un vestito, arrivo in ritardo, e io alla sera della domenica guardando l’orologio mi dico: “bisogna andare a Messa” oppure come quella signora: “Reverendo, era così bella la Messa alle 7,30, corta, veloce e ti toglievi il fastidio!” Il “Dio della mia gioia o il dio della mia noia”?
MARTEDI' 12 MAGGIO
"Ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani". (Atti 11,26)
Mi ha sempre colpito il fatto che il nome di Cristiani lo danno gli altri, i non credenti, ai discepoli di Gesù e non sono loro stessi ad attribuirselo. “Reverendo, io sono cristiano!” mi diceva indignato un signore al quale chiedevo perché mai avesse deciso di battezzare suo figlio quando lui non era cresimato, ne sposato in chiesa e diceva apertamente che per lui i sacramenti erano tutte storie di preti. Certo, può darsi che quest’uomo nel suo cuore fosse più cristiano di me, certo che non lo dava a vedere. Chissà se a dei non credenti vedendoci agire in ufficio, allo stadio, in vacanza; vedendoci trattare il prossimo, verrebbe spontaneo di dire: “Guarda quello è veramente un cristiano perché il Cristo del Vangelo cercava la pace, la giustizia, era attento agli altri, sapeva perdonare...”
MERCOLEDI' 13 MAGGIO
"Disse Gesù: chi mi respinge e non accoglie le mie parole ha chi lo condanna: la parola che ho annunciato". (Gv.12,48)
Sembra siano passati anni luce da quando, essendo la messa in latino, o non si ascoltava neppure la parola di Gesù perché mentre il prete la bofonchiava per contorno si era intenti a “dire il bene” o a dire il rosario, oppure, e questo succedeva solo ai più provveduti, si doveva ricorrere ad un messalino per avere la “traduzione simultanea” della parola di Dio. Oggi la nostra liturgia è normalmente molto più ricca, più curata, più comprensibile da parte di tutti. Ma la parola che ascoltiamo ci cambia? ci trasforma? costruisce il nostro cammino spirituale? oppure ci lascia abbastanza indifferenti? La parola di Dio, questo dono meraviglioso che sempre più siamo chiamati a scoprire, meditare, seguire è anche il giudizio definitivo su di noi.
GIOVEDI' 14 MAGGIO
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. (Gv. 15,17)
Oggi, festa di S. Mattia, colui sul qua le cade la scelta di Dio per sostituire il defezionamento di Giuda ancora una volta è per me, e penso per voi, motivo di riflessione e di lode per il dono delle nostre vocazioni o chiamate. Chi sono io perché il Signore mi abbia voluto fare il grande dono del sacerdozio? Nel lungo cammino del seminario ricordo di aver incontrato tanti ragazzi e giovani più dotati umanamente, più intelligenti, più buoni: eppure a loro Dio ha fatto delle chiamate diverse da quelle a cui ha chiamato me. Dio sceglie, ama, secondo i doni e le caratteristiche della nostra natura, a volte in modo incomprensibile da parte nostra, ma sempre per il nostro bene, rìspettandoci e chiamandoci a dare una risposta che possa servire al piano del suo regno. Certo, noi non sempre vediamo dove vuole arrivare e il perché di certe cose... Ma, vale la pena di fidarsi!
VENERDI' 15 MAGGIO
“lo vado a prepararvi un posto”. (Gv. 14,2)
Da ragazzino mi piaceva andare in montagna: ricordo quel buon “pretone” che organizzava le nostre camminate. Il suo passo lungo, regolare non si confaceva al nostro saltabeccare tra una pietra e l’altra, accompagnato da corsette e da sbuffamenti, ma con pazienza stava con noi. Poi ad un certo punto ci affidava ad un grande e diceva: “ State buoni e in gamba: siamo quasi arrivati: io vado avanti a vedere.” E partiva con quel suo passo lungo: dopo due curve del sentiero non lo si vedeva più; ma quando si arrivava alla meta o si trovava già il fuoco acceso, o da quel suo enorme sacco da montagna erano già usciti i salami che affettati aspettavano la nostra fame e il bottiglione del vino di cui spettava un sorso a ciascuno era già a rinfrescarsi nel ruscello. Chissà perché tutte le volte che leggo: “Vado a prepararvi un posto” mi viene in mente quel “pretone”: è come Gesù: cammina con noi, ma ad un certo punto allunga il passo, sparisce.., ma solo per andare a preparare la festa, la gioia.
SABATO 16 MAGGIO
Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv. 14,8)
Questo Filippo si accontenta di poco per confortare la fede: in fondo un bel miracolo, una bella apparizione, magari qualche lampo e tuo no come sul Sinai e la fede è confermata: di lì non scappa più nessuno! Anzi al massimo si dovrà dire come i contemporanei di Mosè: “Parlaci tu, perché se vediamo Dio poi ci moriamo. Eppure anche oggi la sete di miracolismo grandioso, appariscente, non è spenta. Mai come oggi si cerca l’apparizione clamorosa o il miracolo conturbante. Eppure anche oggi Gesù continua a dirci: “Se vedi me, vedi il Padre!”. Ma almeno Filippo vedeva Gesù! E noi? Noi se vogliamo possiamo vedere Gesù in mille modi: ecco alcuni esempi: “lo sono con voi fino alla fine dei tempi” “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” “Avevo fame, sete...” “Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avrete fatto a me ...
DOMENICA 17 MAGGIO
“Voi siete la
stirpe eletta”. (
E’ questa una di quelle frasi che dovrebbe riempire il cuore di gioia, di riconoscenza e di umiltà, ma invece è stata una frase che è diventata in certi momenti causa di egoismi, lotte, divisioni. Molte volte gli Ebrei sentendosi “eletti” consideravano gli altri: “i pagani”. i farisei, più eletti ancora, si gonfiavano in se stessi e puntavano il dito contro tutti quelli che non erano “puri come loro”. Qualche altro popolo lungo la storia pensò di essere “la razza pura” e nacquero le camere a gas e i campi di concentramento. Per noi essere “stirpe eletta, regale sacerdozio, nazione santa, popolo di sua conquista” significa aver ricevuto un dono non per i nostri meriti e significa anche aver assunto una grossa responsabilità: dobbiamo testimoniare Cristo esercitando il suo sacerdozio, vivendo come comunità di credenti che si mette a servizio degli altri, come gente di cui Dio si è fidato a tal punto da metter loro nelle mani l’annuncio della salvezza che lui ha portato.
LUNEDI' 18 MAGGIO
"Anche noi siamo esseri umani, mortali, come voi". (Atti 14,15)
Questo episodio di Paolo e Barnaba scambiati per Dei, dopo aver guarito uno storpio, fa venire in mente come spesso è facile confondere il divino con l’umano. La nostra sete di miracoli, di straordinario spesso ci confonde le idee. Il “santo”, il “veggente” diventano più importanti di Dio stesso. “Sant’Antonio supera il Santissimo in fatto di candele” mi raccontava un amico parroco da anni in un paese della cintura Torinese. Ma qualche volta anche il “Reverendo tal dei tali” supera il buon Dio se: “vado a messa solo quando la dice lui”. L’umanità e i suoi rapporti sono importanti e nulla vieta che ci sia una “simpatia” particolare con certe persone, ma ricordiamoci: Dio è talmente umile e misericordioso che si fa pane anche alla messa del più scalcinato, arruffone, peccatore prete di questo mondo.
MARTEDI' 19 MAGGIO
"Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi". (Gv. 14,27)
Pace e un altra di quelle parole usate e strausate che alla fine hanno perso il loro vero significato. Pace diventa allora sinonimo di “non ammazziamoci” di compromesso, di generico “voqliamoci bene”. Questo saluto che Gesù sovente fa ai suoi apostoli è invece denso di significati molto profondi: è l’augurio di pienezza di vita, di salute ma è soprattutto mettere Dio al suo posto, al primo posto. Quando l’uomo avrà veramente pace? quando si costruirà nel modo giusto: quando cioè fonderà i suoi valori non sull’effimero, sul passeggero, ma su chi lo ha pensato, creato, amato. Allora il cuore dell’uomo, le sue attese non diventeranno più orgoglio che divide, si appropria, uccide, ma gioia, perdono, riconciliazione profonda con il fratello non più visto come un rivale da superare ma come un amico con cui camminare e costruire il Regno che il Signore stesso ha chiamato a realizzare.
MERCOLEDI' 20 MAGGIO
“Chi non rimane in me, viene gettato via”. (Gv. 15,6)
Nella nostra vita spirituale c’è un grande rischio: quello di tagliarci le gambe da soli. Vogliamo bene a Gesù, siamo cristiani! ma ad un certo punto: “Al mattino non riesco più a pregare: c’è fretta, l’ufficio, il mercato...” “Ho cominciato a saltare messa una domenica perché mi è arrivata gente... adesso sono due mesi che non vado più in chiesa: ogni domenica ce n’è una... (di scusa!?)” “Andavo a trovare quella persona paralizzata in casa, ma poi sono arrivate le feste con tutto il loro da fare, mi sono limitato a telefonarle, poi qualche giorno me ne sono dimenticato..., ora non mi oso più...” Con queste o altre cose simili, noi tagliamo i nostri rapporti con il Signore. I sacramenti della sua presenza diventano sempre più lontani, non troviamo più la voglia di pregare... rinsecchiamo. Se accumuliamo ostacoli nelle nostre vene c’è pericolo che presto la linfa vitale di Cristo non ci possa più raggiungere e allora a cosa serve un ramo secco!
GIOVEDI' 21 MAGGIO
"La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". (Gv. 15,11)
Sarà capitato tante volte anche a voi (e senza andare troppo lontano) di entrare in una Chiesa, di vedere un prete dir messa, o meglio bofonchiare certe parole e fare gesti più o meno abbozzati, vedere cristiani che arrivano ad ogni momento e iniziano a
infilare giaculatorie ed ave maria di corsa una
dietro l’altra, per fare in fretta, ciascuno per conto suo: volti chiusi,
vestiti neri... Forse Cristo si è sbagliato? Forse doveva dire:
“Chi crede in me avrà tristezza assicurata”?
Non dico che il cristiano debba aver la maschera o debba mettersi degli
stecchini agli angoli della bocca per mostrare uno stereotipato quanto falso
sorriso ad ogni occasione. Il cristiano soffre come gli altri, piange come gli
altri per le prove e i dolori della vita, ma il cristiano se è tale ha dentro di
sé Cristo, in ogni gesto celebra Cristo vincitore del male, della morte, la sua
vita, anche quando è nella prova, è testimonianza di un amore che viene
dall’alto
VENERDI' 22 MAGGIO
"Quando ebbero letto la lettera degli apostoli si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva". (Atti 15,31)
“Non so più come fare: mio figlio è impossibile, non ne ha mai fatta una giusta in vita sua. lo gliele rimprovero, non gliene lascio sfuggire una, ma niente... E’ proprio un buono a nulla!” Mi è capitato di sentire anche il figlio: “E’ vero, ne combino tante ma ho anche provato a cambiare, ma sempre quegli urli, quei rimproveri.. .sono scoraggiato: che non valga più niente?” E nella vita della Chiesa? “I papi hanno sbagliato, la Chiesa è potere, se il prete si arrabbia sbaglia: non mette in pratica il Vangelo! se perdona: ecco sta zitto e avalla il male!” Se tu rimproveri il bambino che con tanta fatica si è alzato per la prima volta per camminare ed è caduto, il colpo che ha preso al naso e il tuo rimprovero a lungo gli impediranno di riprovarci, ma se tu con amore gli tendi le braccia probabilmente molto presto ti correrà incontro. Tante volte vale di più un incoraggiamento dopo un tentativo fallito che dei rimproveri, magari anche giusti, ma che ti torgono le ali e non ti permettono più di volare.
SABATO 23 MAGGIO
“Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo”. (Gv. 15,19)
lo non mi sento un UFO ma un essere del mondo con tutte le sue caratteristiche belle o brutte che siano. Ma Gesù dicendo che “non siamo del mondo” non intendeva dividerci dall’umanità che lui stesso, nella sua bontà ha assunto per redimerci, intendeva invece ricordarci la nostra missione. E’ la missione di chi porta in sé la traccia dell’umanità nelle caratteristiche tipiche del proprio carattere, della propria umanità e povertà, ma anche la traccia della divinità: “Ad immagine e somiglianza di Dio siete creati” e porta il sigillo della chiamata e del la missione: Andate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. E allora amo questo mondo perché è la mia realtà anche se so che questo mondo non è la mia patria definitiva, sento la mia umanità che diventa solidarietà con tutti anche se so che non deve essere essa la fonte principale del mio agire ma con Cristo che “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, anch’io mi impegno ad amare il mondo fino al dono della vita.
DOMENICA 24 MAGGIO
"Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi... Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto". (1Pt. 3,15)
Una prima categoria di cristiani che spesso mi lascia perplesso sono i cristiani pessimisti e tristi: quale speranza potresti chiedere a uno che vede nero in tutto, che vede il mondo chiuso solo nel suo egoismo, che non lascia a Dio neppure uno spiraglio? Ma c’è anche un’altra categoria che è particolarmente dura da digerire ed è quella che con un modo improprio viene definita come quella delle persone che sono “più papiste del papa”. Sono quei cristiani che hanno sempre qualcosa da dire, da consigliare, sono sempre informatissimi sulle ultime apparizioni di santi o madonne (magari un po’ meno di vangelo) sono sempre disposti a suggerirti e magari importi (“Fai questo e vedrai che sarai salvo”) devozioni e pie immaginazioni che spesso rasentano il paganesimo, inoltre parlano continuamente di Dio, dimenticando o facendo finta di dimenticare la propria e l’altrui umanità. Nelle mie preghiere, forse non troppo ortodosse, tra i tanti nomi che nei secoli hanno applicato alla Madonna, io sovente la prego cosi: “Santa Maria del giusto equilibrio, aiutami a star dritto”.
LUNEDI' 25 MAGGIO
"Chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio". (Gv. 16,2)
Non ho avuto e penso avrò mai la vocazione al martirio. Ma se dovesse capitarmi, con la forza di Dio mi piacerebbe (si fa per dire!) uno di quei martiri belli dove ci sono tanti cattivi, c’è un eroe buono che dice parole meravigliose, che subisce i tormenti più impensati sfidando e confondendo con la sua eroicità i carnefici e dando una testimonianza tale che, alla fine tutti si convertono. Ma anche se qualche volta l’apologetica ci ha presentato i martiri dei santi così, mi accorgo che non è vero: basta guardare a Gesù: e stato messo in croce perché “rompeva”, dava fastidio all’ordine costituito. Chi lo ha messo in croce pensava di salvare il suo popolo: “E’ meglio che muoia uno solo che tutto il popolo”; alla sua morte tutti sghignazzano e, a parte un povero diavolo crocifisso con Lui e un centurione romano, proprio nessuno si converte, anzi e notte” per tutti. E allora, bando alle fantasie, aiutami Signore a morire un po’ ogni giorno e fa che sappia renderti testimonianza.
MARTEDI' 26 MAGGIO
"Signore, che cosa devo fare per essere salvato?" (Atti 16,30)
Questa domanda che il carceriere di Paolo e di Sila fa dopo che ha visto il terremoto e ritrovato i prigionieri che non sono fuggiti è una domanda che tutti noi tante volte ci siamo posti. Ed è una domanda a cui in tanti modi si cerca di rispondere: “Prega”, “Ricevi i sacramenti”, “Fai i primi nove venerdì del mese”, “Dedicati agli altri”, “Dimentica te stesso”... Ma non è più semplice, più profonda, più completa, meno macchinale e più totale la risposta di Paolo: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”? Ma ci crediamo veramente a Gesù? Qualcuno dirà: “E dagli, continua a far sempre la stessa domanda!” E’ vero! forse sono le mie incertezze ma io so di non avere la fede definitiva in tasca e so anche che Gesù ha detto: “ma quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” e allora continuo ad interrogarmi nella fiducia e nella preghiera che Dio aumenti la mia e la nostra fede.
MERCOLEDI' 27 MAGGIO
"Quando sentirono parlare di risurrezione di morti gli dissero: su questo ti sentiremo un’altra volta". (At. 17,32)
Questo racconto di Paolo che si reca nella cittadella della “intellighentia” ateniese e che fin che parla con categorie storico filosofiche viene ascoltato con interesse, che quando invece annuncia un Cristo risorto e vivo viene deriso, mi ha sempre colpito perché è la storia di ieri, di oggi, di sempre.
Prova ad entrare in certi circoli “unici” “riservati” e prova a parlare di Cristo con semplicità, nel migliore dei modi e con il massimo dell’eleganza verrai preso a calci nel sedere. Prova da povero diavolo a parlare a certi cristiani “saputi” o appartenenti a “gruppi ecclesiali di elite” di Gesù figlio della nostra umanità e figlio di Dio; con aria di superiorità cominceranno a bersagliarti a base discorsi escatologici di termini greci ed ebraici che il più delle volte neppure conoscono, e il tuo Gesù lì in mezzo sparisce.
GIOVEDI' 28 MAGGIO.
"Ancora un poco e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete". (Gv. 16,16)
Quanto è umano il desiderio di vedere, di toccare con mano: basta che uno dica di vedere Cristo nei vetri di una cascina (e poi chissà perché è proprio Cristo: noi sue fotografie non ne abbiamo ed anche la sindone è sempre questione di fede) ed ecco che tutti corrono. Questo ci dice che la presenza di Cristo è essenziale alla vita della Chiesa. Ma mentre nella sua vita terrena questa presenza era carnale, con la Pasqua e l’Ascensione diventa una presenza più profonda e universale. Cristo diventa più difficile a vedersi, e questo anche nella storia della Chiesa. Sono i momenti del buio, del dubbio. La fede ci dice che è con noi, ma noi non riusciamo a cogliere i segni della sua presenza. Il silenzio e il vuoto di Dio può pero diventare anche il momento di una più profonda e più purificata conoscenza di Dio. Gesù non è più quello delle “Apparizioni” ma può diventare il Gesù realmente presente nei fratelli.
VENERDI' 29 MAGGIO
"Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere". (At. 18,9)
Una delle tentazioni ricorrenti del mio sacerdozio è quella di star zitto: “Sta zitto perché annunci delle cose che sono più grandi di te e tu non riesci a viverle pienamente”. “Davanti a certe persone vale ancora la pena parlare? non è come dice Gesù un gettar le perle ai porci?”. “Quando hai parlato, ti sei dato da fare per anni con un giovane e in un momento te lo vedi allontanare, portare via da una parola futile, ti viene voglia di star zitto”. Ma un cristiano non può star zitto, deve parlare con la lingua e con le opere. Il messaggio che ti è stato affidato non è tuo, è più grande delle tue povertà umane, è qualcosa che ti cambia mentre lo annunci. Tacere è vigliaccheria, è nascondersi, è cercare di far tacere Dio e allora parlerò a “proposito o a sproposito, a tempo o fuori tempo” chi sono io per far tacere Dio?
SABATO 30 MAGGIO
"Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà". (Gv. 16,23)
Non si tratta di qualcosa di macchinale, anche perché noi spesso nella nostra preghiera balbettiamo e chiediamo a Dio cose che non sappiamo neppure se sono il nostro vero bene. Ma questa frase è un grande insegnamento sulla preghiera. La preghiera “fatta in nome di Gesù deve nascere da una profonda intimità con lui e questa poco per volta ci porta a sentire ciò che lui sente e a chiedere ciò che Cristo chiede. Man mano che la nostra intimità con Cristo crescerà sempre meno le richieste saranno nostre ma diventeranno sempre più sue a modello di quella grande preghiera che Gesù ci ha insegnato. Invece di grazie passeggere ci sentiremo più chiesa e chiedendo il quotidiano necessario allargheremo il nostro cuore alla richiesta della glorificazione del Padre, la venuta del suo regno, l’attuazione della sua amorosa volontà, il perdono dei peccati, la preservazione dalla tentazione.
DOMENICA 31 MAGGIO
“Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?” (At. 1,11)
Che voglia di cielo c’è negli occhi e nel cuore di quegli apostoli che continuano a guardare chi sa dove e sparito il loro Signore. E’ il desiderio di perfezione di purezza di amare che c’è nel cuore di ognuno e che in questa terra non trova mai l’appagamento completo. Ma gli angeli dicono agli apostoli di camminare: il cuore è là e deve essere là dove è la nostra speranza, ma le nostre gambe devono portare gioia e speranza nel mondo.
Ora Cristo non c’è più con la sua presenza corporea ma continua la sua presenza reale nei sacramenti e negli uomini, e anche se a volte è più difficile riconoscerlo continua ad essere tra noi. E poi la consolazione é anche un’altra: “vado a prepararvi un Posto” e quando le cose le fa Lui, le fa bene. E allora con gli occhi in su e le gambe sulla terra Camminiamo verso la nostra speranza, una speranza che non delude perché é Cristo stesso.