IL
MOMENTO DELLA CATECHESI: IO CREDO 38
CREDO
LA RESURREZIONE DEI MORTI E LA VITA ETERNA
L’ultimo articolo della nostra professione di fede ci fa affermare: “Credo la risurrezione dei morti e la vita eterna”. Partiamo proprio da questa affermazione per riflettere da cristiani sulle realtà ultime della nostra vita.
L’INESORABILE
REALTA’ DELLA MORTE
Di generazione in generazione la morte ha spezzato e continua a spezzare i legami tra gli uomini, anche quelli più profondi: separa l’uomo dalla donna, il padre e la madre dai figli, gli amici dagli amici. Essa appare inesorabile e sembra segnare la storia in modo radicale, deludendo quella profonda esigenza che c’è in ogni uomo di voler rendere eterni certi momenti. Ogni uomo si domanda ad un certo punto della vita: che ne sarà di me? dei miei cari? delle persone con le quali ho percorso un buon tratto di strada? delle mie fatiche, delle mie lotte, sofferenze, ma anche delle mie gioie e ore felici? Se poi lo sguardo si dilata nel tempo e nello spazio sino ad abbracciare l’umanità intera e tutta la vicenda storica, le domande diventano ancora più pressanti: che ne è degli uomini che sono passati e passeranno su questa terra con il loro fardello di felicità e di sofferenza? che ne è dell’intera storia umana così complessa e difficile da interpretare? che ne sarà della nostra terra, dell’universo intero? Le nostre speranze e previsioni più belle sembrano infrangersi o perlomeno ammutolire di fronte all’inesorabile realtà della morte. Anche le più grandiose ideologie del progresso (pensiamo ad esempio al Marxismo) si trovano piuttosto imbarazzate al pensiero della morte. Imbarazzata è però soprattutto la nostra società occidentale del benessere che della morte proprio non sa che farsene, e perciò cerca in tutti i modi di reprimerla, facendone un tabù, “censurandola”. Con la morte, ovviamente, si cerca di reprimere anche tutto ciò che con essa è in qualche modo connesso: la vecchiaia, la malattia, la sofferenza, ogni genere di handicap... Dobbiamo interrogarci seriamente: può vivere in modo veramente umano colui che non osa guardare la morte in faccia? Può dire di aver risolto ogni problema chi non si è confrontato con la morte, che è la realtà più sicura cui ogni giorno si va incontro? Non è forse vero che chi non ha risolto il problema della morte non può neppure dire di aver risolto il problema della vita? Fingere che la morte non esista, fare come se tutto dovesse continuare senza doverla incontrare, è un gioco pericoloso, un’illusione che un giorno sarà amaramente smascherata.
I
TENTATIVI DI RISPOSTE UMANE AL PROBLEMA DELLA MORTE
Da sempre l’uomo ha tentato di dare una risposta alle domande: La morte è la fine di tutto, oppure è il passaggio obbligato che conduce ad un’altra vita? Vincerà su ogni cosa la morte, oppure la morte sarà anch’essa vinta? Esiste solo l’aldiquà, per cui con la morte tutto finisce, oppure esiste anche un aldilà che rappresenta il compimento delle aspirazioni più profonde degli uomini? Ogni uomo vive di speranza ed è orientato verso un futuro che si augura sia pienamente rispondente alle sue attese. Si tratta però di sapere se la speranza e il futuro vadano collocati soltanto sulla storia di quaggiù, oppure vadano al di là di essa pur assumendola in qualche modo. Non si può negare che esista nell’uomo il desiderio dell’assoluto e dell’infinito. Si tratta di sapere se ai nostri desideri e aspirazioni, che vanno oltre ogni possibile realizzazione umana sulla terra e puntano verso un orizzonte infinito, ci sia una risposta. Infatti il desiderio ardente di una cosa non significa ancora necessariamente che la cosa esista. A tutte le domande che abbiamo formulato, gli uomini tentano di dare delle risposte; ma spesso queste risposte sono esitanti ed incerte. Le scienze coltivate dagli uomini non hanno molto da dire al riguardo: i nostri problemi profondi non possono essere risolti dalla fisica, dalla biologia, dall’astrofisica o dalla medicina. La medicina, ad esempio, potrà prolungare anche di molto la vita, potrà rendere più sereno il decesso, ma non è in grado di dirci cosa ci sia dopo la morte. La riflessione filosofica ha cercato di dire qualcosa al riguardo ed almeno in certe correnti è arrivata all’affermazione dell’immortalità dell’uomo. Ma sono state e sono ancora e soprattutto le religioni ad occuparsi dei nostri problemi ultimi e a cercare di chiarire l’enigma della morte e dell’aldilà. L’uomo religioso, innanzitutto, osa guardare in faccia la morte perché essa non rappresenta affatto, per lui, la realtà ultima o la fine di tutto. L’uomo religioso si affida con fiducia a Dio e sa che Dio è più potente della stessa morte. Egli è il Signore della vita, e quindi il trionfatore della morte.
LA
RISPOSTA DEL POPOLO DI ISRAELE
Per il popolo d’Israele, una vita pienamente realizzata consisteva nel “morire vecchi e sazi di giorni”, mentre erano detestate la morte prematura e la sterilità che impediva di avere una discendenza carnale. La vita nel regno dei morti, chiamato lo Shèol, era ritenuta qualcosa di tenebroso, senza possibilità di comunicare né con Dio, né con i propri simili. La morte insomma, almeno in un primo tempo del pensiero israelitico, era concepita come una specie di barriera tra l’uomo e Dio. Ma allorché la fede in Yahvè, il Dio vivente, prese maggior consistenza, e si rese conto delle conseguenze che essa portava in sé, fu facile per Israele concludere che la comunione dell’uomo con il Dio vivente non si può estinguere, ma perdura oltre la morte. Questa idea, ad esempio, è espressa bene nel salmo 69: “Anche il mio corpo riposerà al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione... Regnerà gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra”. L’israelita ha riflettuto sul centro portante della fede, cioè la profonda comunione con Dio, ed ha concluso che questa è più forte della morte. Tale fede sarà approfondita da Israele in quella che si chiama letteratura del martirio in cui, l’esperienza del martirio è avvertita come la strada che porta alla vera vita, alla risurrezione: “E’ bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da Lui di nuovo risuscitati” (2Mac. 7,14).”Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia” (Dan. 12,2). Un altro filone, quello sapienziale, esprime la certezza che le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e destinate all’immortalità
(Sap. 3,1-3).