LEON BATTISTA ALBERTI

Leon Battista Alberti è stato un gran sostenitore del volgare nella letteratura e pensava che i nuovi valori dovessero essere divulgati anche alle persone comuni e questa nuova lingua era il mezzo più veloce. L’opera più importante di Alberi è “Il trattato della famiglia”, dedicato all’istruzione che ha valorizzato la città borghese e sul nucleo della famiglia. In passato si pensò che questi libri erano destinati solo alla famiglia, ma se si prende in considerazione il fatto che Alberti è membro di una delle più importanti famiglie mercantili di Firenze, sembra più probabile che i Libri della famiglia presentino una riflessione di ordine più generale sull’economia e la società. Appena scritta, quest’opera ottenne subito un vasto successo tra la borghesia fiorentina. Però c’è l’esigenza di elevare il volgare. Ne deriva una curiosa mescolanza, evidente soprattutto nel Trattato Della Famiglia. L’Alberti adopera il modello ben scandito del periodo latino con la presenza di figure retoriche. Il lessico vede mescolarsi latinismi con forme vive del parlato. Questo assortimento contribuisce a creare così quello che viene definito il più bel libro in volgare del Quattrocento.

Libri della famiglia

L’opera, stesa in volgare sotto forma di dialoghi, mette a confronto le opinioni di Battista che è la raffigurazione della gioventù dell’autore, di Lionardo un umanista poco esperto del mondo che rappresenta la maturità, di Adovardo che simboleggia l’equilibrio tra la cultura e la realtà e Giannozzo, esperto dell’amministrazione della famiglia, tutti membri della ‘famiglia Alberta’, che si immaginano riuniti a Padova nell’anno 1421. L’uso del fiorentino è spesso considerato un atto di militanza a favore del volgare, ancora poco stimato tra gli umanisti, ma potrebbe anche essere interpretato come il risultato di un’ambizione didattica e divulgativa. Nel proemio, Alberti si rivolge direttamente ai giovani della sua famiglia e dichiara il suo desiderio di dimostrarsi utile ai loro successori fondando così i dialoghi su «una finzione pedagogica». La forma dialogica può spingere a chiedersi se la meta di Alberti non consista nell’opposizione semplice, posta all’inizio del primo libro, fra anziani e giovani, fra pratica e teoria, e quindi fra Medioevo e Umanesimo. La ‘finzione’ del dialogo serve a esporre idee e concezioni considerate da Alberti colte, anche quando sono presentate proprio come saperi pratici: per es., quando, all’inizio del secondo libro, Battista esprime un nuovo argomento a proposito delle condizioni necessarie e utili al funzionamento della famiglia, Lionardo precisa che: Truovonsi disseminate e quasi nascoste fra molta copia di varii e diversi scrittori, onde volerle racontare tutte e ordinare, e ne’ luoghi suoi porgerle, sarebbe faccenda a qualunque ben dotto molto faticosa. Alberti instaura in effetti un gioco retorico e dialettico molto flessibile tra conoscenza letteraria, spesso tratta dagli antichi e conoscenza pratica tratta dall’esperienza. Nel terzo libro la pratica e la teoria non entrano in contraddizione l’una con l’altra: infatti, all’inizio del libro, Lionardo osserva che la saggezza economica di Giannozzo, l’utilità e la giustezza dei suoi consigli pratici, pur non trovandosi nei testi, non entrano in conflitto con questi, e anzi la pratica e la teoria si completano a vicenda. Il dialogo permette all’autore di creare un effetto di realismo didattico, adeguato all’ideale umanistico di ricerca e di acquisizione collettiva del sapere. Il dialogo umanistico, infatti, non consiste in un’opposizione rigida dei contrari, ma piuttosto nel sottile esercizio della ricerca del consenso collettivo. Il confronto tra un sapere «per pruova» e un sapere «per coniettura» si concreta, oltre che nel dialogo, nel personaggio di Adovardo, che nel quarto libro riesce a convincere Lionardo, difensore dell’autorità delle lettere: il fine di Alberti sembra essere soprattutto la promozione di questa «integrazione reciproca» tra esperienza pratica e analisi filosofica.

Antonio Gramsci aderisce alla tesi di un contributo di Alberti alla nascita dello spirito borghese, che secondo lui, però, non è affatto laico o influenzato dalla filosofia antica, ma d’ispirazione clericale. Amintore Fanfani e Armando Sapori hanno invece cercato nei Libri della famiglia le tracce di ciò che era ai loro tempi considerato caratteristico delle condizioni economiche reali del Quattrocento, come la preminenza del reddito fondiario e dell’economia agraria,il declino della mercatura e la nostalgia per il dinamismo mercantile e politico fiorentino della fine del Duecento e dei primi decenni del Trecento.

Nel primo libro Alberti tratta dell’educazione dei figli, nel secondo dell’amore e dei fondamenti della felicità della famiglia, nel terzo della ‘masserizia’, del governo e dell’amministrazione del padre di famiglia, e nel quarto libro dell’amicizia e dei prìncipi. I temi, gli argomenti e le idee sono esposti e trattati successivamente dai vari interlocutori, e circolano quindi da un libro all’altro, al di là dei limiti tematici e delle cesure imposte artificialmente dall’organizzazione della materia in quattro libri.

La struttura dell’opera si fonda sulla progressione dei dialoghi, che dalla formazione morale e intellettuale dell’individuo porta all’organizzazione e al governo della città, passando per i valori della famiglia e i rapporti tra i suoi membri e per la gestione e le attività economiche In questo contesto, le opinioni esposte da Alberti nel campo economico-amministrativo non sono limitate alle mura della casa e alla vita domestica, ma possono essere considerate e intese come parte di una visione globale della società.

L’arrivo di Giannozzo, uomo anziano («vecchiacciuolo) coincide con l’inizio del terzo libro, consacrato all’economia. Il modello di Alberti è Senofonte. Nel libro precedente, l’argomento delle cose utili e necessarie alla famiglia ha portato gli interlocutori a considerare i rapporti tra marito e moglie e la separazione dei lavori di casa tra uomini e donne. Ma la conversazione sull’argomento è stata interrotta, e riprende nel terzo libro con Giannozzo. Questa ripresa evidenzia il legame tra l’indagine filosofica, annunciata nell’incipit e affermata da Lionardo all’inizio del secondo libro, e le concrete preoccupazioni economico-amministrative del libro successivo.

L’argomento principale del terzo libro, l’uso e la gestione delle cose materiali, specificamente della ricchezza, è introdotto da una riflessione di Giannozzo sulla giostra, un gioco di quelli ai quali si dedicano i giovani .La conversazione prosegue, e Giannozzo tratta successivamente dell’avarizia e della prodigalità, della masserizia, delle tre proprietà dell’uomo che dice siano: le operazioni dell’anima, il corpo e il tempo, della partecipazione alla vita politica e all’amministrazione della res publica , del governo della famiglia, degli incarichi degli sposi e dell’educazione della moglie giovane da parte del marito pieno di esperienza.

Dopo questo lungo quasi-monologo di Giannozzo, l’arrivo di Adovardo imprime un’ulteriore dinamica alla conversazione, permettendo di dare una nuova sfumatura alle affermazioni di Giannozzo e di discutere di un altro argomento: il denaro. Si discute della sua natura, della sua utilità e del suo uso, dei prestiti che si possono concedere ai signori, agli amici, ai membri della famiglia. La conversazione scivola lentamente verso gli argomenti del quarto libro attraverso il tema della fiducia, presente in tutte le considerazioni di Giannozzo ma ancora più evidente quando egli parla del credito e dei prestiti. I nostri Alberti si chiedono sempre di chi ci si possa fidare

Altri Cenni

Altre due opere importanti sono il “De la tranquillità dell’animo” dove Archimede affronta serenamente la morte e il “De Iciarchia” in cui l’autore torna ad occuparsi del tema della famiglia dove l’uomo riscopre i valori autentici dell’esistenza

Certame Coronario