sei sul sito di Giovanni Fraterno
E da cui si evince un valore per pigreco, pari a 3,1416.
Gli storici indiani insistono nell’affermare che, l’Aryabhatiya, è il prodotto originale di un genio indiano, ma non è possibile escludere che ci sia stata un’influenza greca.
Nel 428 A.U.C., infatti, Alessandro il Grande (398-431 A.U.C.) conquistò la parte nord-orientale dell’India. E anche se l’egemonia greca durò pochi anni, lucrose vie commerciali, sarebbero rimaste attive nel corso delle ere ellenistica e romana. Per quanto attiene al discorso sul sistema di numerazione posizionale su base decimale, si ritiene che questa idea, messa a frutto dagli Indiani, sia stata, molto probabilmente, influenzata dalla cultura mesopotamica, durante i rapporti commerciali intercorsi, fra i due popoli, per secoli. I matematici della Mesopotamia (Sumeri e Babilonesi), infatti, inventarono un sistema di numerazione posizionale, anche se su base sessagesimale e non decimale, ben quattromila anni fa. Nella numerazione posizionale, i numeri vengono disposti in una sequenza, per cui ogni cifra rappresenta se stessa, moltiplicata per una potenza (con base 10 nel sistema indiano e con base 60 in quello mesopotamico), il cui esponente dipende dalla posizione occupata dalla cifra, nell’ambito della sequenza. Si tratta di un sistema geniale escogitato per ottenere la rappresentazione simbolica, in forma compatta, di numeri anche molto grandi, usando, semplicemente, pochi simboli, che nel caso del sistema decimale, sono i dieci simboli da zero a nove. Calcolare e prendere nota di numeri, anche molto elevati, non fu più un problema. Altre culture: egizia, maya, greca, romana, cinese, non utilizzando un sistema posizionale, erano costrette a maneggiare ingombranti sequenze di simboli e, ogni tanto, aggiungerne di nuovi, ovvero un altro geroglifico, un altro bastoncino, un’altra lettera. Sia il sistema mesopotamico, che quello indiano, non prevedevano, inizialmente, un simbolo per il numero zero. Gli Indiani si decisero a inserirlo, quando capirono che, lo spazio vuoto, che fino ad allora avevano utilizzato, sulle loro tavole da calcolo, per rappresentare il concetto di niente, poteva generare confusione, dato che, quello spazio vuoto, poteva indicare, sia il niente di un numero, che la separazione fra due numeri. Il nostro termine zero deriva dal latino ziphirum, che a sua volta deriva dalla parola araba sifr, che a sua volta deriva della parola indiana sunya. Sunya, che significa vuoto, è la parola che gli Indiani usavano per chiamare il punto, da loro utilizzato, per simboleggiare il concetto di niente, sulle tavole di calcolo.