Il fotogiornalismo si distingue dalla fotografia documentaristica per il suo modo di raccontare visivamente una particolare storia. I fotogiornalisti lavorano quotidianamente nei giornali, nelle riviste o nelle agenzie di stampa, coprendo con le loro immagini eventi diversi, dallo sport alla cultura, alla politica. Uno dei più importanti fotogiornalisti fu Henri Cartier-Bresson. Cofondatore insieme a George Rodger, David Chym Seymour e Robert Capa della Magnum Inc., la più importante agenzia fotogiornalistica del mondo, Bresson era convinto che la dinamica di ogni tipo di evento raggiungesse un picco che il fotografo doveva cercare di catturare con lo scatto. Il reportage di guerra riveste un'importanza rilevante in questa branca della fotografia, e Robert Capa ne è considerato il maggior esponente. Iniziò la sua carriera fotografando la guerra civile spagnola, fu testimone dello sbarco in Normandia e della guerra d'Indocina, nella quale perse la vita. Più recentemente, il fotografo inglese Donald McCullin ha lanciato un potente atto d'accusa contro la guerra; le sue immagini delle battaglie con i loro effetti devastanti sono raccolte in due volumi dal titolo The Destruction Business (1971) e in Is Anyone Taking Any Notice? (1973). Sul finire degli anni Trenta, riviste come "Life" e "Look" negli Stati Uniti subordinarono il testo ai servizi fotografici. Questa formula diventò particolarmente popolare con lo staff dei grandi fotografi di "Life", tra i quali Margaret Bourke-White e Eugene W. Smith. Queste riviste produssero ampi servizi fotografici sul secondo conflitto mondiale e la guerra di Corea, con immagini prese da Bourke-White, Capa, Smith, David Douglas Duncan e molti altri fotogiornalisti americani. Utilizzando la fotografia come strumento di denuncia sociale, Smith documentò i terribili effetti dell'avvelenamento da mercurio a Minamata, un villaggio giapponese di pescatori contaminato dagli scarichi di un locale impianto industriale. Con una sola fotografia si può riuscire a descrivere tutta una storia. Bisogna sapere per prima cosa trovarsi nel posto giusto al momento giusto, ma non basta. Saper cogliere l'attimo, concentrare tutto in un solo scatto non è sempre facile, occorre occhio e velocità, l'attimo dura veramente poco. Se si ha la fortuna di avere la macchina fotografica a disposizione quando succede un evento straordinario e si ha la prontezza di riflessi di scattare in sequenza, si potrà fare lo scoop. Il fotografo dilettante che si è trovato per caso nei pressi del Papa quando è stato ferito, riuscendo a scattare delle fotografie, ha guadagnato una cifra enorme. Quando ci si trova in situazioni imprevedibili e inaspettate bisogna scattare, solo scattare, senza preoccuparsi di inquadratura o esposizione; dopo i primi scatti, se il tempo lo permette si potrà regolare l'esposizione e migliorare l'inquadratura. Immaginiamoci di dover controllare se la macchinetta è regolata bene l'attimo è già passato ed è quasi sempre irripetibile, mentre anche se l'inquadratura non è perfetta, si potrà ritagliare in fase di stampa. Anche se l'esposizione non è corretta si potrà sempre cercare di migliorare l'immagine i fase di sviluppo e/o di stampa; da un pessimo negativo si potrà così ricavarne qualcosa mentre da una foto non fatta non se ne potrà fare nulla. Al giorno d'oggi, con le macchinette automatiche e autofocus questi problemi sono diventati minori rispetto a prima, l'importante è avere sempre la macchina fotografica pronta e regolata in automatico; il 99% delle fotografie sarà buona, senza doversi preoccupare di null'altro se non dell'inquadratura. I fotografi di fotogiornalismo devono sempre trovarsi dove si stanno verificando delle storie da raccontare, devono girare il mondo e sapere in anticipo cosa e quando sta per accadere qualsiasi fatto che necessità di essere raccontato.