Il
vivace dibattito che ha accompagnato sin
dai primi momenti la pubblicazione del decreto dell’allora Ministro della Sanità, Umberto
Veronesi, con cui si autorizzava l’immissione in commercio della specialità
medicinale “Lenovorgestrel” (nome commerciale: Norlevo)
secondo le forme, le condizioni e le modalità indicate nel provvedimento
medesimo[1],
è approdato nelle aule giudiziarie. Sul provvedimento si è, infatti,
pronunciato il TAR della Regione Lazio, su ricorso del Movimento per la vita e
del Forum delle associazioni familiari, con sentenza n. 8465/2001 datata al 2
luglio 2001 e pubblicata mediante deposito in segreteria il 12 ottobre 2001.
Tale
decisione per la gravità degli argomenti trattati, per le interpretazioni
talora scorrette circa il suo contenuto, e per le conseguenze che potrebbero
derivarne, merita di essere considerata ed esaminata con attenzione.
Per
comprendere i termini della questione è necessario partire dall’analisi del
dato tecnico, ovvero del meccanismo
d’azione del Norlevo,
e delle ragioni che hanno portato alla messa a punto di un tale prodotto.
Il Norlevo,
definito anche “pillola del giorno dopo”,
contiene, come già detto, un
progestinico di sintesi (levonorgestrel)
e viene utilizzato come
“contraccettivo d’emergenza” dopo un rapporto sessuale presunto fecondante
allo scopo di impedire l’inizio o
la prosecuzione di una gravidanza. Le modalità oggi utilizzate per la
“contraccezione d'emergenza” sono oltre ai progestinici: gli estrogeni, gli
estroprogestinici (secondo il protocollo Yuzpe), il danazolo, il mifepristone,
la spirale o IUD (IntraUterine
Device). Rimandando ad altro studio per una review
sulla “contraccezione d’emergenza”[2],
ci soffermiamo a descrivere la composizione e il meccanismo d’azione dei progestinici.
La
ragione che ha introdotto i progestinici come “contraccettivi d’emergenza”
è stata soprattutto quella di
ridurre gli effetti collaterali legati alla somministrazione
dell’estrogeno, qualora si ricorreva agli estrogeni ad alte dosi o agli
estroprogestinici. In effetti, l’uso del levonorgestrel (due dosi di 0, 75 mg a 12 ore di intervallo)[3]
comporta una minore incidenza di nausea (21,3%) e di vomito (5,6%), ma anche di astenia (16,9%), cefalea (16,8%),
perdite ematiche (13%), vertigini (11,2%) e tensione mammaria (10,7%)[4].
Sono dubbi, invece, gli effetti sulla coagulazione, venendo
segnalate interazioni tra levonorgestrel e warfarin, nel senso sia di una
riduzione sia di un aumento dell'azione anticoagulante[5]: tanto è vero che
viene raccomandata prudenza nell’assunzione di levonorgestrel
alle donne con una storia di
malattia tromboembolica[6]. Vi è chi sostiene, però,
che tale rischio tromboembolico, che sarebbe già evidente con la
somministrazione giornaliera di levonorgestrel, sia ulteriormente incrementato
qualora si ricorra allo stesso prodotto come
contraccettivo d’emergenza[7]. Non si esclude, inoltre,
un aumentato rischio
di gravidanza ectopica[8],
mentre si ritiene che non vi siano effetti
teratogeni sugli embrioni già
annidati in utero[9].
Per
quanto concerne il meccanismo d'azione del levonorgestrel, bisogna ricordare che
i siti d'azione dei
progestinici somministrati come contraccettivi d'emergenza sono almeno
quattro: 1. l'asse ipotalamo-ipofisi-ovaio (inibizione
dell'ovulazione); 2. il corpo luteo (effetto
luteolitico); 3. le tube di Falloppio (alterazione
della motilità tubarica); 4. l'endometrio uterino (alterazione della struttura e
della funzionalità)[10].
1.
Inibizione
dell'ovulazione .La
possibilità di inibire l'ovulazione è secondaria alla fase del ciclo in cui la
donna assume il progestinico: è, infatti,
possibile - anche se questo effetto non si verifica sempre - il blocco
dell'ovulazione solo se la somministrazione avviene in fase preovulatoria,
ovvero prima della liberazione della cellula uovo dal follicolo ovarico. Tale
effetto viene evidenziato mediante i dosaggi ormonali e l'ecografia
transvaginale. Dagli studi presi in esame e che prevedevano l’utilizzo di levonorgestrel
emerge che tale effetto inibitorio
è compreso tra il 17% e il 33%. Si veda a questo proposito quanto riportato
dallo studio di Landgren e coll.. Si tratta di uno studio
condotto su 72 donne divise in quattro gruppi e sottoposte alla
somministrazione di 0,75mg di levonorgestrel per quattro giorni, e che
ha messo in evidenza quanto segue: il gruppo che ha ricevuto il
levonorgestrel nel 2°,4°,6° e 8° giorno del ciclo mestruale non ha avuto
alcun effetto inibente sull'ovulazione; nel gruppo che ha ricevuto il
levonorgestrel il 9°, 11°, 13° e 15° giorno, in 3 donne è stata evidenziata
attività follicolare, in 7 donne insufficienza del corpo luteo,
in altre 7 donne ovulazione;
nel gruppo che ha ricevuto il levonorgestrel in 11^, 12^, 16^ e 19^
giornata, 5 donne hanno mostrato attività follicolare,
6 donne insufficienza del corpo luteo, 7 donne ovulazione; il gruppo che
ha ricevuto levonorgestrel in 16^,
18^, 20^ e 22^ giornata non ha avuto alcun effetto sull'attività ovarica.[11].
In sintesi, il levonorgestrel non ha inibito l'ovulazione se somministrato il
fase follicolare precoce o in fase luteale, mentre ha soppresso l'ovulazione
solo nel 17,7% dei casi se somministrato tra il 9° e il 15° giorno e nel 23,5%
dei casi se somministrato tra l'11° e il 19° giorno del ciclo. Una percentuale
lievemente superiore (circa 33%) è stata riscontrata da
Hapangama e coll.[12],
del cui lavoro riferiremo qui di seguito.
2.
Interferenza
con l'attività del corpo luteo.
L'effetto
luteolitico della contraccezione d'emergenza viene valutato mediante lo studio
ormonale della lunghezza della fase luteale. Un effetto del levonorgestrel
in tal senso risulta dal già
citato studio di Hapangama e coll., in cui è stata prevista la somministrazione
a 12 donne di due dosi di 0,75 mg di levonorgestrel lo stesso giorno o il giorno
prima dell’incremento di LH urinario. Tale studio ha messo in evidenza un
ritardo del picco dell’LH e dell’inizio della mestruazione successiva in 4
donne, mentre nelle rimanenti 8 donne
apparivano significativamente ridotti la fase luteale e la concentrazione
dell’LH nella stessa fase: risultati questi che hanno portato
gli autori alla conclusione che il meccanismo d’azione del
levonorgestrel non riguarda solo
l’interferenza con il picco dell’LH e con l’ovulazione, ma anche la fase
postovulatoria e, in caso di concepimento,
gli eventi post-fertilizzazione.
3.
Alterazione
della motilità tubarica. E’ difficile dimostrare le modificazioni
della motilità tubarica che possono rendere difficoltoso il trasporto
dell’embrione nella cavità uterina: un indice indiretto è
il segnalato rischio di gravidanze ectopiche dopo assunzione di
contraccettivi d’emergenza[13].
4.
Modificazione
della struttura e della funzionalità dell'endometrio.
Le modificazioni della struttura dell'endometrio sono responsabili
dell'impedimento dell'annidamento dell'embrione in utero, da cui
la definizione antinidatori o intercettivi
più appropriata di quella di “contraccettivi
d'emergenza”.
Per valutare le alterazioni endometriali, i vari studi si avvalgono
di metodi indiretti (si
valuta, cioè, la morfologia e la funzionalità dell'endometrio), dal momento che non vengono utilizzati i
metodi diretti (il calcolo
del rapporto tra fecondazioni e perdite embrionali). Questo non perché manchino
i metodi diretti, ma semplicemente perché non vi è interesse (rapporto
costi/benefici) a farvi ricorso.
Ovviamente non è utilizzabile il dosaggio dell'hCG (human
Chorionic Gonadotropin) che si positivizza dopo almeno sette giorni dalla
fecondazione, quindi dopo l'avvenuto impianto[14], ma si può far ricorso
alla individuazione di altri fattori correlati con la gravidanza. Si fa
riferimento, in
particolare, all'EPF (Early
Pregnancy Factor), presente nel siero materno già dalla sesta ora dalla
fecondazione: una sua variazione, essendo la presenza fondamentale nella fase
preimpianto e perimpianto, indicherebbe una fecondazione avvenuta a cui potrebbe
non fare seguito l'annidamento
dell'embrione in utero[15].
Il ricorso
ai metodi indiretti consente, comunque di
evidenziare quelle alterazioni endometriali che rendono impossibile l'annidamento
dell'embrione in utero. Si tratta di modificazioni morfologiche e di
modificazioni biochimiche.
Per
quanto riguarda le modificazioni morfologiche, è noto che l'endometrio
per accogliere l'embrione deve andare incontro a una serie
di trasformazioni: la
presenza di progestinici esogeni
riduce lo spessore dell'endometrio e causa
atrofia ghiandolare e comparsa di aree
edematose che si alternano ad aree di elevata densità cellulare. In
particolare, si considera
necessario per un idoneo impianto dell'embrione in utero uno
spessore endometriale compreso
tra 5 e 13 mm, dato confermato tra l'altro da studi eseguiti nel corso di
procedure di embryotransfer[16],
in cui la frequente asincronia di sviluppo ovaio-endometrio indotta dalla
stimolazione ovarica è la principale causa di abortività.
Uno studio del 1998
mette, ad esempio, in evidenza che a seguito della
somministrazione di due dosi di 0,75 mg di levonorgestrel ad intervalli
di 12 ore nel giorno LH+2 (2° giorno dopo il picco dell'LH), si è verificato
un ritardo nello sviluppo endometriale con aumento dei recettori del
progesterone. Gli Autori concludono che questi effetti endometriali possono
ostacolare l'impianto[17].
Lo stesso effetto alterativo sul normale endometrio secretorio è stato
riscontrato in donne che hanno assunto 0,75 mg di levonorgestrel in differenti
giorni del ciclo[18].
La rilevazione delle modificazioni biochimiche dell'endometrio
si avvale della valutazione delle integrine, proteine
eterodimeriche presenti sulla superficie delle cellule endometriali e
soggette a modificazione durante il ciclo mestruale. Infatti, mentre nella fase
medio-luteale sono presenti nell'epitelio ghiandolare le subunità a1
e a4, la subunità b3
è presente sia nell'epitelio ghiandolare sia nell'epitelio di superficie.
Queste subunità formano parte delle integrine a1b1,
a4b1
e avb3,
la cui presenza è correlata con la
finestra impiantatoria[19]. L'integrina avb3
si riduce verso il 5°-6° giorno della
fase postovulatoria[20]
e la sua localizzazione nella superficie apicale
dell'epitelio cellulare indica la sua partecipazione
nell'adesione dell'embrione, nella fase di
trofoblasto, all'endometrio
quando inizia il processo di
impianto nell'utero[21]. Di conseguenza
un'alterazione dell'espressione delle integrine, e in particolare delle
integrine avb3
e a4b1,
è indicativa di alterata recettività endometriale e di impedimento all'annidamento,
come è stato riscontrato ad esempio in donne che assumono contraccettivi
ormonali[22].
Non sarebbero, invece, correlate con la recettività endometriale l'integrina a6
e b4
[23].
Non sono molti gli
studi che hanno valutato l'effetto della contraccezione d'emergenza sulle
integrine endometriali. Il già citato studio
di J. Wang e coll. mette in
evidenza un'alterazione delle integrine a1
e a2 endometriali dopo
somministrazione di levonorgestrel nel giorno LH+2 e questo viene messo dagli
Autori in correlazione con la
difficoltà di impianto dell'embrione nell'endometrio[24]
.
Volendo sintetizzare quanto
fin qui detto, il levonorgestrel è in grado di bloccare l'ovulazione, se
somministrata prima del picco dell'LH in una percentuale variabile compresa tra
il 17,7% e il 33%.. Gli altri
effetti in fase preovulatoria, peri e postovulatoria,
sono a carico del corpo luteo, della tuba e, in particolare, dell'endometrio: tre effetti che interferiscono con la fase
post-fertilizzazione.
I
motivi principali per i quali, con atto notificato l’11. 12. 2000, il
Movimento per la vita e il Forum delle associazioni familiari hanno impugnato il
decreto ministeriale, chiedendone l’annullamento, riguardano:
1.
la violazione del fondamentale diritto alla vita del concepito, la cui
esistenza con l’assunzione del Norlevo è intenzionalmente esposta alla
distruzione;
2.
il contrasto tra il decreto ministeriale e la disciplina
sull’interruzione volontaria della gravidanza, in quanto gli effetti abortivi
della “pillola” sfuggono alla trama della l. 194/1978;
3.
il carattere ingannevole ed
equivoco delle informazioni che accompagnano il prodotto, poiché il foglio
illustrativo assorbe nel fenomeno contraccettivo l’assunzione del Norlevo ed
è privo di informazioni sulla potenzialità distruttiva dell’embrione.
La considerazione delle censure nel merito è stata subordinata dal
Tribunale amministrativo all’esame di una questione di rito, relativa
all’eccezione per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti formulata
dalla controinteressata ACRAF S.p.a. (Aziende Chimiche Riunite Angelini
Francesco) costituitasi in giudizio e dall’interveniente Codacons.
Il TAR ha rigettato l’eccezione riconoscendo il titolo ad agire in
giudizio dei ricorrenti dal momento che “gli statuti delle associazioni
ricorrenti versati in giudizio – con segnato riferimento al Movimento per la
vita italiano – elevano a scopi istituzionali la difesa della vita umana fin
dal suo concepimento, nonché la salvaguardia del diritto alla vita[25],
e dunque fra i diversi mezzi ed azioni positive utili al raggiungimento degli
scopi sociali possano ricondursi anche le iniziative giudiziarie.”
A
sostegno di questa posizione, il TAR richiama sia l’art. 2 Cost. “che
assicura garanzia ai diritti fondamentali dell’uomo […] non solo uti
singulus ma anche nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua
personalità, sia l’evoluzione dell’ordinamento che abilita le associazioni
che perseguono e promuovono scopi sociali senza fine di lucro a ricorrere in
sede giurisdizionale per l’annullamento degli atti illegittimi lesivi di
interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite
dall’associazione”.
Il motivo accolto: la carenza del foglio illustrativo e la
questione del consenso in informato
Una
volta sgombrato il campo dalla questione di rito, il Tribunale esamina il
ricorso e di tutti i motivi di doglianza accoglie solo quello relativo alle
avvertenze contenute nel foglio illustrativo del prodotto, dichiarando perciò
la parziale illegittimità del provvedimento impugnato e compensando tra le
parti le spese del giudizio. Cominciamo con l’esaminare le ragioni del
parziale annullamento del decreto, per considerare e valutare in un secondo
tempo gli argomenti con cui il Tribunale ha respinto gli altri motivi di
impugnativa.
Le
associazioni ricorrenti denunciano “ingannevole l’informazione reticente su
aspetti di carattere essenziale”[26]
contenuti nel foglio illustrativo, sia perché esso qualifica il Norlevo come
“contraccettivo orale di emergenza”, sia perché è privo di ogni
informazione circa i possibili effetti abortivi del farmaco di cui ci si limita
a dire che “ha lo scopo di prevenire la gravidanza, in caso di rapporto
sessuale non protetto, bloccando l’ovulazione o impedendo l’impianto”.
Una
precisazione più che necessaria e che trova la sua ragione d’essere anche
nella oramai decennale dottrina sul consenso informato, che verrebbe ad essere
viziato proprio per l’incompletezza delle informazioni. Questo a prescindere
anche dalle convinzioni del medico, che, seppur propende per l’utilizzo della
contraccezione d’emergenza, ha il dovere di informare la donna sul suo reale
meccanismo d’azione. Né tale informazione deve venire meno da parte di chi,
in modo pragmatico, considera che
la gravidanza abbia inizio con l’annidamento dell’embrione in utero: bisogna
rispettare chi per ragioni scientifiche, morali e religiose, pone l’inizio
della vita umana al momento della
fecondazione. Per costoro, infatti, un
intervento successivo alla fecondazione è
causa di perdita di vite umane e, pertanto, eticamente inaccettabile. Inoltre, tale informazione va data
anche se si trattasse di un evento raro, perché anche una rara possibilità
può essere importante per
la paziente.
Un
esempio al di fuori della fattispecie in esame: pur essendo l’incidenza di
morte da anestesia un evento molto raro (< 1: 25.000), quale medico non
ritiene necessario discutere la questione con il paziente prima dell’accesso
ad un intervento chirurgico? E, così
come nel caso dell’anestesia vi è la possibilità di un evento gravissimo
come la morte del paziente, anche nel ricorso
alla contraccezione d’emergenza vi è la possibilità, tra l’altro molto più
elevata (fino al 70-100%), di
provocare la morte di un embrione umano: è mai possibile privare la donna di
una tale informazione?[27]
Il
TAR accoglie il ricorso sotto questo profilo considerando che, in base al d.lgs.
178/1991 e successive modificazioni, l’approvazione del foglio illustrativo
costituisce contenuto necessario del decreto che autorizza la vendita[28],
e dichiara perciò l’illegittimità del provvedimento con conseguente parziale
annullamento del decreto stesso.
Osserva
il Collegio che mentre la descrizione del “blocco dell’ovulazione”
contenuta nel foglio illustrativo “si configura conforme a criteri di corretta
e completa informazione del consumatore”, la descrizione “dell’impedimento
dell’impianto” risulta carente, perché “priva di oggetto, non precisando
che l’effetto terapeutico si riflette sull’ovulo fecondato. Come ampiamente
illustrato dalle associazioni ricorrenti una completa e dettagliata informazione
per ciò che attiene il secondo dei delineati effetti terapeutici si rende
necessaria proprio in presenza di differenziati orientamenti etici e religiosi
circa il momento di iniziale della vita umana, così da rendere edotto in
maniera chiara e non equivoca che il farmaco agisce sull’ovulo già fecondato
impedendo le successive fasi del processo biologico di procreazione”.
La
necessità di una informazione chiara, veritiera e corretta circa gli effetti
del Norlevo ci pare, come già detto,
di indubbia rilevanza ed è importante che a tale conclusione sia giunta
anche l’autorità giudiziaria in questione. La sentenza, infatti, si mostra
sensibile alla differenza tra quanto accade “prima” e quanto accade
“dopo” la fecondazione. L’omessa indicazione di ciò che è oggetto
dell’effetto della “pillola del giorno dopo” – l’ovulo fecondato,
appunto – è, dunque, vizio tanto grave da giustificare l’annullamento del
provvedimento che ne ha autorizzata la vendita. Non sembra perciò neanche al
TAR insignificante agire prima o dopo la fecondazione.
Si deve tuttavia aggiungere che tale conclusione sembra poggiare non
tanto sul riconosciuto valore del concepito, quanto sul rispetto delle
differenti opinioni intorno all’inizio della vita umana. La “completa e
dettagliata informazione” sembra, infatti, finalizzata a tutelare la libertà
di pensiero o un credo religioso piuttosto che l’esistenza dell’embrione,
tant’è che la presa d’atto della “presenza di differenziati orientamenti etici e religiosi
circa il momento iniziale della vita umana” fa il paio con “meccanismo
d’azione che va considerato abortivo per chi ritiene che la gravidanza abbia
inizio a partire dalla fecondazione”.
Questo
atteggiamento di fronte alla vita incipiente, ovvero la riduzione dell’
“altro” ad opinione soggettiva, riflette un atteggiamento mentale, diffuso
soprattutto nei dibattiti di carattere politico-legislativo, secondo cui la
protezione dell’embrione e la connessa questione del suo valore è una
“questione di coscienza”. Certamente si tratta anche di una “questione di
coscienza”, ma il ricorso a questa
espressione viene fatto per indicare il profilo opinabile, soggettivo, (e dunque
relativo) circa l’inizio e il valore della vita umana. In altri termini, non
si contesta l’affermazione che la vita umana deve essere protetta sin dal
concepimento, ma si colloca questa regola nello spazio dell’etica (o più in
generale della cultura, della libertà di pensiero, dell’educazione) e non in
quello del diritto. Quest’ultimo, attraverso le sue varie fonti di produzione,
dovrebbe sostanzialmente disinteressarsi di difendere la vita umana nelle sue
primissime fasi, abbandonandola alla morale, alla religione, fidandosi cioè
esclusivamente della buona volontà dei singoli e, semmai, di azioni educative.
Le motivazioni di tale tesi sono di tre tipi:
A)
la prima contesta radicalmente la piena individualità dell’embrione
umano fin dallo stadio di zigote o,
comunque, la sua piena dignità umana[29].
Venendo a mancare la percezione dell’embrione umano come un “altro”, viene
meno anche ogni possibilità di rapporto giuridico. L’atteggiamento verso la
vita incipiente si trasforma in un atteggiamento verso un processo biologico
generativo, cioè in definitiva in un atteggiamento verso se stessi o verso una
realtà materiale, ed è logico perciò escludere l’intervento del diritto. In
questa visione, sentimenti di
“venerazione”[30] verso l’embrione
vengono percepiti come necessariamente dettati dalla religione e i gesti che ne
derivano sono parificati ad atti di culto che uno Stato moderno e laico non può
assumere come propri.
B)
Una seconda motivazione – e a questa fa riferimento il TAR - parte dal
rilevare che, di fatto, in questa materia vi sono opinioni diverse, e in una
società pluralistica come la nostra, l'ordinamento deve essere tollerante non
potendo scegliere un'opinione piuttosto che un'altra, imponendola a tutti[31].
“Il problema della tolleranza delle diverse opzioni – si dice – diventa
quanto mai importante per la convivenza pacifica nelle società avanzate”[32]:
il diritto, perciò, dovrebbe esprimersi attraverso
“una legislazione aperta, elastica e leggera anche in materie
che si vogliono lasciare del tutto disponibili per il fluire
dell’innovazione scientifica e tecnologica e per la ricchezza del
confronto sociale”[33].
Va osservato che la diversità di opinioni riguarda un punto determinante e
fondamentale per il diritto: l’esistenza in vita e il riconoscimento della
dignità per alcuni esseri umani. Un pluralismo di idee si è verificato anche
in passato sul valore dei negri, degli schiavi o degli ebrei, ma nessuno si
sognerebbe oggi di dire che contrasta con il carattere laico e pluralista dello
Stato una normativa che combatte il razzismo e la schiavitù, sebbene ancora
oggi vi sia chi, purtroppo, continua ad abbracciare teorie razziste e
discriminatorie. Nella materia in
esame l’ordinamento non può restare neutrale. La neutralità, infatti, si
traduce nella scelta della non tutela di talune categorie di viventi e perciò,
di fatto, nell’imposizione a tutti dell’idea che alcuni esseri umani non
esistono, non hanno valore, o comunque hanno un valore inferiore rispetto a
quello di altri esseri umani. Non può essere questa la scelta di un diritto
moderno che pone il suo fondamento nell’uguale dignità di ogni essere umano.
C)
Una terza motivazione è di ordine pratico. Non sono in discussione
l’inizio e il valore della vita incipiente, ma lo strumento giuridico migliore
per tutelarla, mancando – come osserva Zanchetti nel riferire questa opinione
- “la convenienza a
criminalizzare il comportamento, proprio per il deficit di effettività[34]”.
Nel caso della “pillola del giorno dopo”, così facile da assumere, è
impensabile qualsiasi intervento esterno alla volontà della donna. Lo stesso può
dirsi nel campo della manipolazione genetica e della fecondazione artificiale
extracorporea. Le difficoltà della prova – ci si chiede - non si traducono in
una casualità dell’intervento repressivo che rende sostanzialmente iniqua la
legge ed inefficace la sua forza di prevenzione generale? Tanto vale, si
conclude, affidarsi esclusivamente alla dimensione etica e quindi educativa. In
realtà il problema della tutela della vita incipiente non si pone solo in
termini di sanzione penale: la condizione della vita umana nelle sue fasi
iniziali è tale da richiedere forme di tutela articolate, diversificate e forse
non esclusivamente penali[35].
Questo però non significa sottrarla all’area del diritto. Del resto il
diritto conosce anche le norme “imperfette” e “men che perfette”[36].
Quanto alle difficoltà di applicazione e di prova, esistono campi (terreno
delle evasioni fiscali) in cui esse non sono minori, eppure nessuno ha mai
suggerito per questo l’abdicazione del diritto.
In conclusione non
sembra in alcun modo possibile abbandonare la tutela della vita umana alla sola
etica, alla religione, all’educazione, e più in generale alla cultura senza
tradire il concetto di diritto. E’ evidente che gli aspetti culturali sono
importanti, ma è anche chiaro che esiste un nesso tra cultura e diritto. E se
è vero, per esempio, che una crescita di sensibilità culturale può
influenzare riforme legislative, è anche vero che la legge influisce nel modo
di pensare delle persone. In ogni caso e nonostante la difficoltà di ogni
ulteriore precisazione, il riferimento al valore della vita umana è
indispensabile perché il diritto si accompagni al valore della giustizia. Il
riconoscere dignità ad ogni essere umano è la funzione essenziale del diritto,
così come la privazione della vita è il massimo della lesione che si può
provocare a qualcuno. Inoltre il diritto si caratterizza per essere legato alla
relazione tra esseri umani. La tutela della vita umana iniziale implica per
l’appunto la disciplina di un rapporto tra l’individuo umano che inizia a
vivere ed altri esseri viventi (i genitori, il medico, il biologo, la donna):
dunque si tratta di un rapporto essenzialmente giuridico, un rapporto di cui il
diritto non si può disinteressare[37].
Se
questo è il contenuto della sentenza sotto l’aspetto in questione, travisate
sono state in buona parte le informazioni circolate sulla stampa[38].
Il TAR non ha infatti dichiarato che la “pillola del giorno dopo non è aborto[39]”,
ma – lasciando nelle nebbie il momento di inizio della vita umana – ha
affermato che il foglio illustrativo deve “recare una completa indicazione
delle caratteristiche del prodotto” in modo tale che “chi ritiene che
l’impedimento dell’impianto dell’embrione sia un aborto possa agire di
conseguenza”.
L’inganno delle parole: l’”effetto terapeutico” del
Norlevo e la “contraccezione d’emergenza”
Dalla lettura del testo della sentenza emergono in modo evidente tre
“equivoci” semantici: 1. la definizione “presidio terapeutico”
attribuita al Norlevo; 2. l’uso del
termine “contraccezione” per indicare un
prodotto a prevalente azione antinidatoria, e 3. l’uso del termine
“d’emergenza”.
A ben
vedere alla base del primo e del terzo “equivoco” sta la profonda, quanto
errata, convinzione che la gravidanza sia una “malattia”: fisica, psicologica, sociale.
Ed ovviamente, come ogni altra malattia, la gravidanza giustificherebbe il
ricorso a presidi terapeutici, anche
d’emergenza qualora si rendesse necessario. D’altra parte, la stessa legge
194/78, dilatando oltre ogni il limite il concetto di salute, ha ridotto a
patologia un evento fisiologico come la gravidanza.
E’
difficile, però, pensare alla
gravidanza non solo come ad una malattia, ma addirittura come ad
un’emergenza medica: può, infatti, un fatto prevedibile e, quindi, anche
prevenibile, conseguenza di comportamenti volontari e liberi, essere considerato
un imprevisto? O un rischio
estrinseco?
Le
associazioni ricorrenti precisano, infatti, che “l’uso del prodotto,
qualificato come farmaco di emergenza, non può essere esteso ai casi di
volontarietà o, quantomeno, consapevole assunzione del rischio cui la specialità
medicinale tende a porre rimedio, sussistendo contraddizione fra la nozione di
emergenza e la prevedibilità dell’evento”.
La risposta del Collegio non si fa
attendere: partendo sempre dal concetto che la gravidanza è – se non voluta
– uno stato patologico, precisa che “la
nozione di emergenza che
costituisce presupposto per la somministrazione del Norlevo
va considerata in senso strettamente oggettivo - cioè come evento critico, suscettibile di introdurre la
possibilità di una gravidanza non desiderata,
cui si intende porre rimedio con
carattere di immediatezza – indipendentemente dal grado di volontarietà o
colpa dell’interessato nel
determinarlo; ciò in base ad un criterio che
è comune alla somministrazione di ogni presidio terapeutico, che ha luogo
in base al dato obiettivo della condizione fisiologica dell’individuo
prescindendo da ogni valutazione circa il concorso psichico dello stesso
nel determinarne le cause”. In altre parole, è la volontà, o per
meglio dire il desiderio, della donna a rendere
la gravidanza una patologia e a questa “patologia” bisogna porre
rimedio fosse anche eliminando la causa
che, nella fattispecie, è un
individuo umano.
Un’altra importante osservazione delle associazioni ricorrenti è stata
quella relativa all’incongruenza tra la definizione del Norlevo come
“contraccettivo d’emergenza” e la sua prescrivibilità con ricetta valida
per 10 giorni: “la qualificazione del farmaco Norlevo
come contraccettivo orale di emergenza contrasta
con il dettato dell’art. 5, comma terzo, del d.lgs. n. 539/1992 – che
assegna validità per dieci giorni alle
ricette mediche – risultando per effetto
di detta previsione ampliato il periodo di utilizzazione del farmaco”.
Ma anche questa osservazione cade, purtroppo,
nel vuoto, quando il Collegio risponde che “la qualificazione di
“emergenza” è riferita al farmaco nel duplice significato sia di metodo
anticoncezionale di carattere
eccezionale rispetto alle ordinarie pratiche di prevenzione della gravidanza, sia in relazione alle situazioni particolari ed occasionali
(c.d. rapporti a rischio di gravidanza) cui tende ovviare entro ristretto
termine […] Le caratteristiche del farmaco si traducono in specifiche regole
comportamentali a carico del
medico, che è tenuto a prescriverlo in presenza dei presupposti di emergenza e
nei limiti idonei ad eliminare il
paventato rischio di gravidanza, e dello stesso individuo che deve assumerlo
solo in presenza di circostanze e con le
precauzioni indicate nel foglietto
illustrativo. La disciplina sul periodo di efficacia
della prescrizione medica dettata in via generale dall’art. 5 comma
terzo, del d.lgs n. 539/1992 non inficia quindi le modalità d’uso del
prodotto che va prescritto e somministrato in osservanza delle indicazioni
terapeutiche elencate in dettaglio nel
decreto dirigenziale impugnato e riprodotte nel foglio illustrativo”.
Nella
realtà dei fatti sembra, però, che
si stia scivolando verso l’equiparazione del Norlevo
a qualsiasi altro presidio di pronto soccorso, che la donna può avere a
disposizione in caso di necessità: è quanto sta avvenendo, ad esempio, negli
Stati Uniti ove, accanto alla attivazione del Dial-EC, un servizio per la prescrizione della contraccezione
d’emergenza per telefono senza previa visita medica, è stato approntato anche
un kit, EC-to-go, a disposizione delle
donne al momento del bisogno. Da qui alla richiesta
della dispensazione della contraccezione d’emergenza come prodotto da
banco il passo è stato breve[40].
Il terzo “equivoco” semantico riguarda il termine
“contraccezione”: si può definire “contraccettivo” un prodotto che
agisce in prevalenza come antinidatorio e, quindi, dopo che è avvenuta la
fecondazione?
Il
termine "contraccettivo" significa, infatti, letteralmente contra-cezione
= contro la fecondazione, per cui – come scrive giustamente Rahwan,
"il termine contraccezione d'emergenza è equivoco… bisogna parlare di
intercezione d'emergenza o di interruzione della gravidanza d'emergenza"[41].
Definire
il Norlevo “contraccettivo” è
rilevante non solo da un punto di vista etico
(si perde la percezione che, al di là di una definizione, il contraccettivo
d’emergenza blocca lo sviluppo di un individuo umano), ma anche giuridico.
Perché, come si legge nella sentenza in esame: “Il decreto che autorizza la
commercializzazione del Norlevo non contrasta con la legge n. 194/1978 poiché
il farmaco autorizzato agisce
con effetti contraccettivi in un momento anteriore all’innesto
dell’uovo nell’utero materno”.
A
parte l’errore di chiamare “uovo”
un embrione, lasciando cadere – forse volutamente – l’aggettivo
“fecondato”, la prima conseguenza del lasciare fuori dalla categoria di
“abortivi” i contraccettivi
d’emergenza è che per la loro
dispensazione non sarebbe
necessario attenersi alle indicazioni della legge 194/78.
E’ esatto, però, qualificare
come contraccettivo un prodotto che agisce come antinidatorio? Se la gravidanza
implica un rapporto di “commensalità[42]” (un essere umano che
vive nel corpo di un altro essere umano) per il periodo compreso tra la
fecondazione e il parto, e l’aborto è l’interruzione di una gravidanza
entro il 180^ giorno, non sarebbe più esatto definirlo abortivo?
Come
è noto, per qualificare come “contraccettivo” un prodotto ad azione
antinidatoria è stata necessaria
la ridefinizione del concetto di gravidanza, proposta a partire dagli anni '70
dall'ACOG (American College of
Obstetricians and Gynecologists), che ha
definito “gravidanza” il periodo compreso tra l’annidamento
dell’embrione in utero e il parto[43].
Di conseguenza un prodotto che agisce impedendo l'impianto o annidamento
dell'embrione in utero, non porrebbe termine ad una gravidanza, non essendo
questa ancora iniziata: si tratterebbe, dunque, di un contraccettivo
e non di un abortivo.
Una definizione, però, non è altro
che una definizione, frutto di
un accordo che dovrebbe essere basato possibilmente su valide ragioni
scientifiche: ma quali sono queste ragioni?
Probabilmente
due: una prima mutuata dalle procedure di fecondazione artificiale
extracorporea, per cui la gravidanza inizierebbe solo dopo il trasferimento
dell'embrione nelle vie genitali della donna in prossimità dell'annidamento;
una seconda mutuata dalla
teoria sull'impianto, secondo
la quale l'esistenza individuale inizierebbe solo nel momento in cui
l'embrione prende contatto con l'endometrio uterino e l'organismo della donna "si
rende conto" della presenza dell'embrione.
Due
ragioni che ci sembrano fondate su
un duplice errore: da una parte, una forzata rilettura alla luce dell'artificialità
di un processo, quale è la gravidanza, che è invece naturale poiché concerne
la stessa natura umana; dall'altra, la
negazione della reazione "biologica" quasi immediata della donna alla
presenza dell'embrione, rilevabile
tra l’altro attraverso la
misurazione dell'EPF, il fattore
precoce di gravidanza, a cui abbiamo fatto precedentemente cenno.
Ciò che stupisce poi, è
che una definizione degli anni '70 venga
ripresa dalla letteratura specialistica,
solo tanti anni dopo, nel momento - si potrebbe
dire - del bisogno.
Infatti,
ancora nel 1987, il Dizionario Medico
definisce la gravidanza come
"lo stato in cui si trova la
donna dal momento del concepimento alla nascita del feto"[44],
mentre nel 1985 il Concise Medical
Dictionary definisce la gravidanza come "the period during which a
women carries a developing fetus. Pregnancy
last for approximately 266 days, from conception until the baby is born and the
fetus normally develops in the womb"[45].
Più
di recente nel noto Manuale di Pescetto e coll.
si legge: "Nella specie umana (presumendo una durata media del ciclo
mestruale di 28 giorni) la durata normale della gravidanza, calcolata dal giorno
di inizio dell'ultima mestruazione è di 40 settimane, pari a 280 giorni.
Invece, tenendo conto del giorno
dell'ovulazione, la durata normale dello sviluppo del prodotto del concepimento
è di 38 settimane, pari a 266 giorni"[46].
In
questo caso, dunque, il termine "gravidanza" comprende non solo il
periodo che va dalla fecondazione
al parto, ma anche i 15 giorni precedenti l'ovulazione dal momento che il
riferimento empiricamente rilevabile è l'ultima mestruazione. Appare, allora,
contraddittorio che sempre a pagina
823 vi sia scritto: "Quando si parla di
giorni di sviluppo si vuol fare riferimento al giorno della fecondazione come
giorno '0'. Poiché di norma ovulazione e fecondazione coincidono nel medesimo
giorno, o al massimo (salvo eccezioni) vi è una differenza di 24 ore o poco più,
lo sviluppo dell'embrione può essere misurato in giorni a partire
dall'ovulazione. Si rammenta a questo proposito che alcuni indicano con il
termine progestazione il periodo che va dalla fecondazione all'annidamento
dell'embrione".
A
pagina 1325 si definisce "aborto" l'interruzione di gravidanza entro
il 180° giorno completo di amenorrea (25 settimane e 5 giorni): viene
cioè compreso non solo il periodo che
va dalla fecondazione all'impianto,
ma anche i giorni che precedono
l'ovulazione (in media due settimane).
Ed
ancora, scrive Baulieu - noto "padre" dell'RU486 -
"l'interruzione della gravidanza dopo la fecondazione
può essere considerata alla stregua di un aborto…"[47].
Si parla, dunque, di gravidanza e
di aborto, e non di contraccezione: così come di gravidanza parla anche Grimes
in una pubblicazione del 1999[48],
distinguendo tra "pregnancy more than 10 days earlier" e "pregnancies
conceived more recently", ma non escludendo che si tratti sempre di
gravidanza, prima e dopo l'impianto.
Se analizziamo poi alcuni dei
più noti dizionari della lingua italiana, vediamo
come anche in questo caso l’inizio
della gravidanza viene fatto coincidere con la fecondazione. Nel Grande
dizionario italiano dell’uso, per esempio, la gravidanza viene definita
come la “condizione della donna o la femmina di un mammifero dal momento della
fecondazione sino al parto”[49];
e nel Grande dizionario della lingua
italiana si legge che “nei mammiferi, lo stato fisiologico della femmina,
in particolare della donna, che porta nel suo organismo uno o più ovuli
fecondati in via di sviluppo”[50].
Il Vocabolario della lingua italiana a
sua volta definisce la gravidanza come la “condizione (detta anche gestazione)
della donna […] nel periodo che va dall’inizio del concepimento al parto (o
comunque dall’espulsione del feto) e la durata stessa di tale periodo”[51].
La
letteratura giuridica dal suo canto viene a conferma dei dati medici: “La
gravidanza è lo stato della donna che porta in sé uno o più ovuli fecondati
che si sviluppano […] fino a
quella perfezione organica che ne permetta la vita separata da quella materna”[52].
L’inizio della vita umana: l’ordinamento giuridico, i
diritti umani, il dubbio
Gli aspetti decisamente più biasimevoli della sentenza riguardano,
comunque, le argomentazioni con cui sono stati rigettati il primo ed il secondo
motivo d’impugnativa, ovvero quello della violazione del diritto alla vita del
concepito e quello relativo alla violazione della L. 194/1978.
Sotto il primo profilo, osserva il Tribunale che “le norme di rango
costituzionale invocate non recano una nozione certa circa il momento iniziale
della vita umana e l’estensione dell’ambito di tutela nel corso del suo
sviluppo. […] In assenza di puntuali disposizioni di diritto positivo difetta
un immediato parametro di raffronto in base al quale possa dedursi avverso il
decreto impugnato il vizio di violazione di legge”. E così il Collegio
facendo riferimento al d.lgs. 178/1991 collega l’autorizzazione del prodotto
“al prudente apprezzamento discrezionale tecnico dell’Amministrazione”.
Non vi è dubbio che su un punto così importante, delicato e decisivo,
la risposta del TAR asciutta, non impegnata, evasiva, è quanto meno deludente.
La riflessione avrebbe potuto articolarsi in più direzioni, ponendosi almeno
nella prospettiva di una ricerca, facendo almeno il tentativo di effettuare
un’indagine meno superficiale e non limitarsi ad osservare che “lo specifico
problema forma oggetto di ampio dibattito in sede scientifica, bioetica e
religiosa […] e non ha trovato soluzione in apposita regolamentazione”.
E’ da chiedersi, invece, se è
così pacifica l’assenza nel nostro ordinamento giuridico di indicazioni
sull’inizio della vita umana; se è corretto riferirsi esclusivamente alla
presenza o meno di “puntuali disposizioni di diritto positivo” per conoscere
l’inizio della vita umana; se dal dubbio circa l’inizio della vita umana –
atteggiamento fatto proprio dal TAR - possono trarsi conseguenze rilevanti per
il diritto[53].
A)
Per il primo aspetto va subito detto che l’ordinamento giuridico
consente di rintracciare qualche elemento sull’inizio della via umana. Come
non ricordare la sentenza 27/1975 della Corte Costituzionale? Essa, definita
“basilare” dalla stessa Consulta ventidue anni più tardi, sia pure in mezzo
ad imbarazzi e qualche contraddizione, ammette che “la tutela del concepito
[…] abbia fondamento costituzionale” e richiama a proposito l’art. 31,
secondo comma, Cost. (protezione della maternità) e soprattutto l’art. 2
Cost. che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i
quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue
proprie, la situazione giuridica del concepito[54]”.
L’ancoraggio della tutela della vita concepita all’art.2 Cost. è senza
dubbio assai incisivo non solo perché è notoriamente considerato l’
“architrave della Costituzione”, ma anche perché fa espressamente
riferimento ai diritti dell’uomo aprendosi ad un orizzonte internazionalistico
di grande significato giuridico e culturale. L’ancoraggio all’art. 2 Cost.
suppone che al concepito sia riconosciuta la titolarità dei diritti
dell’uomo; anzi, si può dire che vi è un implicito e forte riconoscimento
del concepito come titolare del diritto alla vita[55]. Questa conclusione trova
sostegno nella costruzione dell’aborto come risposta ad un conflitto di
diritti: quello della madre e quello del figlio. Quest’ultimo non può che
essere il diritto alla vita. La Corte intende muoversi nella logica dello stato
di necessità (ribadita sia nel dispositivo sia in alcuni passaggi della
motivazione) che non è una attribuzione del diritto a commettere un fatto che
altrimenti sarebbe reato (nel caso di specie l’uccisione di un essere umano),
ma una situazione che rende non punibile questo fatto in presenza di un
conflitto di valori che sono così alti da rendere inesigibile un comportamento
eroico da parte di tutti[56].
Riferirsi allo stato di necessità suppone che in via generale sia riconosciuto
il diritto alla vita del concepito, e che solo in via eccezionale in presenza di
una causa giustificatrice, la punibilità venga meno[57].
Questa sentenza
che ha suscitato molti commenti
resta ancora oggi l’unica interpretazione dei principi costituzionali da parte
della Corte. Le numerose decisioni successive pronunciate dal 1981 al 1996 non
hanno infatti modificato il ragionamento[58]. Anzi,
lo hanno indirettamente confermato e, in certo modo reso immodificabile,
a meno che non sia rivista la giurisprudenza della stessa Corte su un principio
costituzionale: quello sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost., per il
quale “nessuno può essere punito se non in base ad una legge entrata in
vigore prima del fatto commesso”. Non è il caso di approfondire
quest’ultimo punto dibattuto e controverso che, di fatto ha impedito l’esame
sotto il profilo della costituzionalità della legge 194 nel suo punto
essenziale che riguarda il valore della vita umana concepita nel primo trimestre
di gestazione[59].
Una conferma
diretta, invece, della lettura che si è data della sent. 27/75, è giunta dalla
decisione 35/1997 dove in più passaggi viene sottolineato il diritto alla vita
del concepito e dove la Corte “ricerca chiarezze nuove agganciate proprio alla
riflessione sul valore costituzionale del diritto alla vita”[60].
In particolare la Corte osserva che dal 1975 vi è stata una complessiva
maturazione culturale e giuridica che ha portato ad un “maggior riconoscimento
anche sul piano internazionale e mondiale” del valore della vita concepita e
dei suoi diritti e osserva che si “è rafforzata la concezione, insita nella
Costituzione italiana, in particolare nell’art. 2, secondo la quale il diritto
alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da iscriversi tra i
diritti inviolabili, e cioè tra quelli che occupano nell’ordinamento una
posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono […]
all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.[61]
Il mutamento di linguaggio avvenuto con la sentenza n. 35 del 1997 è importante
perché non lascia spazio ad equivoci e si ricollega direttamente alla sentenza
del 1975 rinforzandone proprio le parti relative alla tutela costituzionale del
concepito. Il riconoscimento del diritto alla vita riguarda tutti i concepiti,
sia che si trovino nelle tube, sia nell’utero, sia in una provetta o in un
congelatore. Il diritto alla vita non dipende dalla “residenza” ma
dall’uguale essenza di ogni uomo sin dal concepimento. E’ anche il caso di
ricordare l’art. 1 lett. C) della legge istitutiva dei consultori familiari[62]
in cui si sottolinea tra gli scopi del “servizio di assistenza alla maternità
e alla famiglia” anche “la tutela della salute della donna
e del prodotto del concepimento”. Va da sé che la tutela della salute
presuppone la tutela della vita, dal momento che il “valore-vita” precede
logicamente il “valore- salute” .
Ora, riferirsi al momento del concepimento o al concepito significa
riferirsi al momento della fecondazione nel primo caso, alla realtà
dell’embrione unicellulare (zigote) nel secondo. La parola concepimento, in
senso tecnico, coincide con la fecondazione. Il participio passato del verbo
concepire, concepito, è usato come
sostantivo per indicare il “frutto del concepimento”, cioè la nuova realtà
che viene all’esistenza con la fecondazione e prosegue il suo sviluppo in modo
continuo, graduale, ininterrotto[63].
Si può sostenere, tuttavia, che il “concepimento” non si identifica con la
fertilizzazione ma con l’impianto dell’embrione a livello di blastocisti
nella parete uterina[64]. A
questo riguardo la riflessione interseca, come si vedrà tra poco, il tema
dell'inizio della gravidanza: sostenere che coincide col momento dell'impianto
significa cambiare il significato delle parole. A conferma è sufficiente
sfogliare qualche vocabolario della lingua italiana o qualche manuale di
ostetricia, per trovarvi l'uso equivalente tra le parole
"fecondazione" e "concepimento".
Va comunque ricordato che l'interpretazione
delle leggi deve farsi in primo luogo secondo il tenore letterale delle parole e
che in tutto l'ordinamento giuridico il "concepimento" è sinonimo di
fecondazione[65].
Una lettura di alcune norme del codice civile viene a conferma di questo
assunto. Gli artt. 1 (capacità giuridica), 231 (paternità del marito) e 232
(presunzione di concepimento durante il matrimonio), 235 (disconoscimento di
paternità), 250 (riconoscimento del figlio naturale), 462 (capacità a
succedere), 784 (capacità di ricevere per donazione), indicano il concepimento
come la formazione dell'uovo fecondato prima dell’impianto[66].
E’ anche opportuno ricordare dai lavori preparatori della legge 194/1978
risulta che gli emendamenti volti a precisare che la vita umana inizia nel
concepimento-fecondazione furono tutti respinti non perché – almeno
esplicitamente – si rifiutasse il contenuto di una tale specificazione, ma
perché la si ritenne pleonastica. Va anche ricordato che la Corte
Costituzionale interpreta l'espressione dell'art. 1 della legge 194 ("La
Repubblica tutela la vita umana fin dal suo inizio")
nel senso che "in dette proposizioni non è solo contenuta la base
dell'impegno delle strutture pubbliche a sostegno della valutazione dei
presupposti per una lecita interruzione della gravidanza, ma è ribadito il
diritto del concepito" (sentenza
35/97).
Estendendo lo sguardo oltre i confini
dell’ordinamento italiano si ha conferma che il dato scientificamente certo
dell’inizio della vita umana nel concepimento-fecondazione è accolto, o
comunque mai formalmente negato, da diversi documenti giuridici di varia natura.
A riprova si ricordano la Raccomandazione
1046/1986 del Consiglio d’Europa[67], nel cui punto 5 si
afferma che “fin dalla fecondazione dell’ovulo la vita umana si sviluppa in
modo continuo, sicché non si possono fare distinzioni durante le prime fasi
(embrionali) del suo sviluppo” e che pertanto “l’embrione o il feto umano
devono in ogni circostanza beneficiare del rispetto dovuto alla dignità
umana” (punto 10); la Raccomandazione
1100/1989, sempre del Consiglio d’Europa[68]
“è opportuno definire la protezione giuridica dell’embrione umano fin dalla
fecondazione dell’ovulo” (punto 6); la Risoluzione
16. 3. 1989 sui problemi etici e giuridici della fecondazione umana in vivo
e in vitro[69] del Parlamento Europeo:
“consapevole della necessità di proteggere la vita umana fin dal momento del
concepimento” (punto C) e più avanti nella parte dedicata alle motivazioni:
“è certo che la vita umana comincia dalla fecondazione e si sviluppa senza
salti di qualità attraverso una continuità che permane fino alla morte”; la Risoluzione
del 16. 3. 1989 sui problemi etici e giuridici dell’ingegneria genetica[70],
sempre del Parlamento Europeo: “Anche lo zigote deve essere protetto”; nella
relazione che accompagna la risoluzione citata si insiste molto su questo
aspetto: “la dignità umana spetta già allo zigote in quanto stadio iniziale
della vita umana”. Nel rapporto conclusivo dei lavori della Commissione
nominata dai Ministri per la Ricerca e per la Giustizia in Germania – il noto
Rapporto Benda del 1985 -
si legge: “E’ stato sollevato da più parti il problema se l’ovulo
fecondato di per sé possa essere detentore di diritti fondamentali stabiliti
dalla Costituzione ai fini di una definizione dei limiti delle nuove tecnologie.
La risposta a questa domanda è superflua. Infatti anche se qualcuno ritenesse
che l’embrione, nella fase precoce del suo sviluppo, non sia ancora detentore
dei diritti civili fondamentali, è inoppugnabile che dalla fecondazione
scaturisce una vita di tipo specificatamente umano [… ] a cui spetta uno
status giuridico particolare in quanto forma embrionale di un soggetto umano”[71].
Recentemente la Corte Costituzionale di Costa Rica ha dichiarato
l’incostituzionalità del decreto avente per oggetto la materia
della procreazione artificiale, e ciò sulla base del riconoscimento che
con la fecondazione inizia l’esistenza di un nuovo individuo umano, che in
quanto tale ha il diritto di essere protetto dall’ordinamento giuridico[72]
B)
E’ da chiedersi, comunque, se
l’inizio della vita umana possa essere determinato solamente sulla base di
un’indagine nel campo del diritto positivo. L’indagine riguarda un aspetto
tutt’altro che secondario dell’ordinamento giuridico. Capire quando inizia
la vita umana, se tale vita sia senz’altro da riconoscere come propria di un
essere umano, se si possano o no accettare distinzioni tra gli esseri umani in
modo che alcuni non debbano essere considerati uomini a tutti gli effetti,
è questione che riguarda il fondamento stesso dell’assetto
costituzionale dell’ordinamento giuridico statuale. Tutte le Costituzioni
moderne, a partire da quella italiana all’art. 2 già ricordato,
dichiarano più o meno diffusamente di voler garantire e promuovere la
dignità umana ed i conseguenti i diritti dell’uomo[73].
L’affermazione
dei diritti umani fondamentali che precedono e giudicano il diritto positivo
sembra chiudere l'epoca della fiducia incontrastata in una concezione del
diritto esclusivamente come norma “posta” e “efficiente[74]”.
Il discorso si porta sul terreno del
principio di uguaglianza il quale per essere autentico si fonda su una dignità
umana che non sopporta graduazioni di valore e che pertanto scaturisce
direttamente e semplicemente dall’esistenza umana. Nonostante le ambiguità
che talvolta avvolgono quanto si viene affermando sui diritti umani, questa
faticosa costruzione del pensiero umano per avere un senso deve essere intesa
come limite e orientamento dello stesso diritto positivo.
C)
In ogni caso, la mancanza di “una nozione certa circa il momento
iniziale della vita umana” o il pluralismo
di opinioni (la “presenza
di differenziati orientamenti etici e religiosi circa il momento iniziale della
vita umana”, l’“ampio dibattito in
sede scientifica, bioetica e religiosa”) non possono essere invocati
per sottrarre dalla protezione giuridica determinate categorie di soggetti
umani. Il discorso conduce alla riflessione sul tema, grandissimo ed attuale,
dell’uguaglianza: “se ciò che è costitutivo dell’uguaglianza è il
valore supremo, nell’ordine della realtà umana, dell’esistenza dei singoli
esseri umani, essi non possono essere trattati come se fossero una opinione”[75]
In altri termini, qualora residuasse un dubbio
sull’esistenza in vita, il diritto è chiamato a scegliere la soluzione che
praticamente suppone l’esistenza e ammette la tutela e non la elimina. E’
questo un orientamento di fondo a carattere generale presente in alcuni testi di
rilievo giuridico. Pensiamo alla prima sentenza della Corte Costituzionale
tedesca in materia di aborto: “nei casi dubbi deve essere scelta quella
interpretazione che sviluppa nel modo più penetrante la forza giuridica del
diritto fondamentale[76]”;
all’art. 30 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo: “nulla
nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un
diritto di qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di
compiere un atto mirante alla distruzione di alcuni dei diritti e delle libertà
in essa enunciati”; ad un passaggio del documento di lavoro
che ha preparato la Risoluzione del Parlamento Europeo sulle manipolazioni
genetiche: “E’ compito della politica articolare e cercare di risolvere il
rapporto conflittuale esistente tra le possibilità che l’ingegneria genetica
offre e gli inalienabili diritti fondamentali dell’uomo. Appare evidente che
in casi dubbi va sempre accordata priorità assoluta ai diritti umani
fondamentali”[77].
Ma
anche senza andare troppo lontano, basta rileggere le norme del codice civile
riguardanti l’incertezza sull’esistenza
di persone di cui si ignori ubi
sint et an sint (scomparsa, assenza, dichiarazione di morte presunta): fino all’ultimo limite
del dubbio vanno considerate vive. O ancora basti riflettere sulle norme che
regolano l’accertamento della morte (perché
attendere un giorno o più di un giorno, a seconda dei casi, anche quando un
dubbio remotissimo può far solo immaginare che la morte sia apparente?) o sulle
norme che le regolano il
comportamento da tenere in caso di
disastri o calamità: le ricerche
delle persone continuano, senza risparmio di energie, finché resta l’ultimo
dubbio sulla loro permanenza in vita. Nel dubbio l’ordinamento deve
prescrivere comportamenti conformi all’ipotesi che una vita umana sia iniziata[78].
Tale pensiero è stato autorevolmente espresso dal Comitato nazionale per la
Bioetica nel suo parere Identità e
statuto dell’embrione umano del 22. 6. 1996: “Il Comitato è pervenuto
unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin
dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e di tutela che si devono
adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la
caratteristica di persone[79]”.
E’ da sottolineare l’insistenza di tale documento nel ribadire che anche
coloro che esitano a riconoscere l’identità personale dell’embrione fin
dalla fecondazione, affermano “il dovere di trattare l’embrione come dotato
di identità personale fin dalla fecondazione” e “riconoscono che
l’embrione ha diritto di essere trattato come una persona, cioè nel modo in
cui conveniamo che debbano essere trattati gli individui della nostra specie
sulla cui natura di persone non vi sono dubbi”. Tutta questa problematica è
stata ignorata dalla sentenza del TAR.
L’inizio della gravidanza: Il Norlevo e la 194
Anche
riguardo al secondo motivo di ricorso la risposta del TAR è stata inadeguata. I
ricorrenti, ricordiamolo, avevano impugnato il decreto perché con la
commercializzazione del Norlevo viene
introdotta una pratica abortiva in contrasto con la disciplina della legge
194/1978, la quale – come risulta dall’impianto del testo normativo - tra i
suoi fini ha anche quello di reprimere le pratiche abortive che si svolgono in
circostanze differenti da quelle previste dalla stessa legge. Il TAR respinge
questa censura collocando al di fuori della L. 194/1978 l’assunzione della
“pillola del giorno dopo” con motivazioni che, ad essere sinceri, destano
non lievi perplessità. Evidentemente
questo profilo è strettamente collegato con la problematica dell’inizio della
gravidanza su cui ci siamo sopra diffusamente soffermate approdando alla
conclusione che essa rappresenta quella specialissima situazione di “inabitazione”,
di “dualità nell’unità” ”, di “commensalità” in cui un essere
umano vive, si alimenta e cresce dentro il corpo di un altro essere umano.
Certo, l’utero è la sede principale della “commensalità”, ma la
“dualità nell’unità” si verifica già da prima, dalla fecondazione. Ora,
lo stesso significato ha il concetto di gravidanza nella legge 194 e nel
restante ordinamento giuridico. Semmai, anzi, la discussione tende ad
anticipare, come tra poco si dirà, l’inizio della gravidanza all’ultima
mestruazione. In risposta ai ricorrenti, il TAR osserva invece
“che la legge n. 194/1978, nel regolamentare i casi di interruzione
volontaria della gravidanza, non enuncia una puntuale nozione clinica
dell’inizio della gravidanza, e cioè se tale momento coincida con la
fecondazione dell’ovulo, ovvero con il suo annidamento nell’utero materno,
evento che si verifica in un lasso temporale di circa sei giorni dalla
fecondazione”. Il Collegio, dunque, non solo non prende una posizione (anche a
questo riguardo copre col dubbio la questione), ma fa dire alla legge qualcosa
che dalla stessa legge non si ricava. Infatti, la legge parla esplicitamente di
“interruzione di gravidanza entro i primi novanta giorni” (art. 4) e di
“interruzione di gravidanza dopo i primi novanta giorni” (art. 6): sembra
dunque evidente che il legislatore abbia voluto calcolare novanta giorni di
effettiva gravidanza, per distinguere con rigore la disciplina del primo
trimestre da quella del periodo successivo. Ma a partire da quale momento?
In letteratura si riscontrano due interpretazioni: 1. a decorrere dalla
data delle ultime mestruazioni, il che significa circa due settimane prima della
fecondazione (e non dopo!); 2. a decorrere dalla fecondazione. Si fa, dunque,
differenza tra età gestazionale ed età concezionale[80]. Anzi, nella prassi
medica l’orientamento è di partire dall’età gestazionale: “Ricordiamo
che da sempre al ginecologo è
chiesto di determinare l’epoca presunta del parto. Per fornire una risposta in
merito il ginecologo fa riferimento alla data
delle ultime mestruazioni e pertanto all’età gestazionale della gravidanza.
La più recente introduzione di
nuovi metodi di determinazione, basati soprattutto sull’ecografia, ha
ricalcato la medesima impostazione in quanto le misurazioni alle quali si fa
ricorso sono espresse i termini di
“età gestazionale”, anche se opportuni correttivi del dato statistico
possono fornire, in realtà, indicazioni più prossime all’età
concezionale”[81].
Chi fa, invece, riferimento all’età concezionale, si basa invece sulla
considerazione che, se il
legislatore ha previsto novanta giorni perché la gravidanza possa essere
interrotta, tale possibilità non può comprendere anche il periodo – prima
della fecondazione – in cui la gravidanza non si è ancora instaurata,
rimanendo poi da individuare l’esatto momento della fecondazione. A tale
proposito, la circolare della Giunta Regione Veneto, parlando di aborto prima
dei novanta giorni, fa riferimento esplicito al
“novantesimo giorno dal concepimento”[82].
Del
resto le norme del codice civile relative al concepito (sopra richiamate)
confermano che l’inizio della gravidanza coincide con la fecondazione.
“Affermare il contrario, significa oltretutto prolungare arbitrariamente il
termine indicato dall’art. 4 della legge 194/1978, con conseguenze
ulteriormente lesive del diritto alla vita, in contrasto con la pratica e
l’interpretazione dispiegatesi per cinque lustri”[83]
Ma anche qualora accettassimo la tesi che la gravidanza non inizia
al momento del concepimento ma dopo l’annidamento, per cui non si potrebbe
definire abortiva l’azione di una antinidatorio, questo non cancella la
caratteristica di illiceità di questi prodotti in quanto lesivi di una vita che
– comunque si definisca la
gravidanza – è già iniziata e alla quale si impedisce di svilupparsi. Ed
interrompere lo sviluppo – cioè quel
dinamismo biologico che testimonia l'"essere vivente" del nuovo
individuo umano - equivale a
privare questi della vita stessa e, "privare della vita"
equivale ad uccidere[84].
Non
cambia, dunque, la fattispecie dell’atto, ma solo la sua denominazione, con la
necessità poi di distinguere tra
la gravidanza come stato
fisiologico della donna, e la fecondazione come momento in cui ha inizio un
nuovo ciclo vitale, quello dell’embrione umano.
L’argomento
più capzioso per escludere il Norlevo
dalla normativa sull’interruzione volontaria della gravidanza è proprio
un’interpretazione forzatamente restrittiva del concetto di interruzione di
gravidanza alla luce della L. 194. Si legge infatti che “l’esame sistematico
della regolamentazione dettata dalla legge n. 194/1978 – che ammette
l’aborto entro i primi novanta giorni
di gravidanza (art. 4); prevede congrui tempi procedimentali per gli
accertamenti medici, estesi all’esame delle ragioni che muovono la donna a
richiedere l’interruzione della gravidanza, alla ricerca di soluzioni per la
rimozione delle cause che inducono alla
scelta abortiva (art. 55), fino alla possibilità di assegnare alla madre un
termine di sette giorni per ogni definitiva decisione (art. 5, comma quarto) –
induce a ritenere che il legislatore abbia
inteso quale evento interruttivo della gravidanza quello che interviene in un
fase successiva all’annidamento dell’ovulo
nell’utero materno. Tale conclusione è avvalorata dall’art. 8 della
legge n. 194/1978 che in dettaglio prende in considerazione le modalità
interruttive della gravidanza e ne impone l’effettuazione con l’intervento
di un medico specialista ed all’interno di
strutture ospedaliere o case di cura autorizzate, circostanze
non peculiari alle metodiche
anticoncezionali i cui effetti si esplicano in una fase anteriore all’annidamento
dell’ovulo”.
A parte il fatto che lascia perplessi la confusione che viene fatta tra
un fatto biologico ed indicazioni strettamente
procedurali (il colloquio; l’attesa
dei sette giorni; l’espletamento
delle indagini richieste dopo i 90 giorni), si vuole far notare come dalla
lettura dello stesso testo si possa arrivare a una conclusione diversa di una
questione rilevante, vista la differente disciplina per l’aborto entro o oltre
il 90° giorno. In effetti,
le disposizioni degli artt. 4 e 5 relative all'aborto nei primi tre mesi
non sembrano tutte compatibili con l'uso del Norlevo. Il TAR ricorda che il medico deve accertare la gravidanza,
procedere a un colloquio con la donna, invitarla ad attendere 7 giorni per
l'intervento, da farsi solamente in un ospedale o centro convenzionato. E' vero
che alcuni di tali incombenti - in particolare l'attesa di sette giorni -
renderebbero impossibile l'uso del Norlevo, ma altri non presenterebbero
difficoltà insormontabili (colloquio e somministrazione ospedaliera) mentre
l'accertamento della gravidanza pur complicato, non è impossibile nelle prime
72 ore dal rapporto non protetto. Ad ogni buon conto, se queste sono le
condizioni, si può convenire sul
fatto che il legislatore non ha pensato alla “pillola del giorno dopo”. Ciò
non significa tuttavia che la somministrazione-assunzione della “pillola del
giorno dopo” sia irrilevante per l’ordinamento. In primo luogo va tenuto
presente il principio generale contenuto nell'art. 1 della legge 194/78 relativo
all'impegno di tutela della vita umana, impegno che riguarda qualsiasi vita
umana, anche quella in provetta. Certamente, quindi, tutela anche la vita che si
sviluppa nel corpo materno prima dell'impianto.
Dai lavori preparatori risulta che il
legislatore all'art. 1 intese fare riferimento al concepimento. Si osserva a
riguardo nella memoria difensiva che se il legislatore avesse inteso aderire
alla “teoria dell’impianto”, lo avrebbe esplicitamente detto; “avrebbe
specificato che per gravidanza si intende lo stato fisico che si produce dopo
che l'embrione si è impiantato. Il legislatore non si è però, nemmeno
indirettamente, espresso in tal senso[85]”.
In secondo luogo in tutta la legge l'espressione "interruzione di
gravidanza" è usata come sinonimo di "aborto", cioè di
distruzione del frutto del concepimento all'interno del corpo materno[86].
L’unico caso in cui il concetto di “interruzione volontaria della
gravidanza” non coincide con quello di aborto è previsto dall’art. 7, terzo
comma, quando si impone al medico di “adottare ogni misura idonea a
salvaguardare la vita del feto” nell’ipotesi in cui vi sia un “grave
pericolo per la vita della donna” e “sussiste la possibilità di vita
autonoma del feto”. Tutte le regole procedurali e i limiti sostanziali sono
giustificati dal fatto che è in gioco una vita umana. Perciò l'obiezione di
coscienza di cui all'art. 9 non può non estendersi alla somministrazione del Norlevo[87].
L’argomento più forte viene comunque dalla ratio
legis. Essa va ravvisata nella “preferenza per la nascita”, nella
ricerca di un modo di difendere la vita nascente in un contesto di interessi
contrastanti (“reprimendo le pratiche abortive che si svolgono in circostanze
differenti da quelle, tassativamente ed accuratamente delimitate, in cui la
stessa l. 194/1978 consente che si proceda ad un aborto[88]”), piuttosto che in un
diritto di libertà della donna. Il modello giuridico seguito dalla Corte
Costituzionale è, come si è detto, quello dello "stato di necessità"
adattato alla particolare situazione della gravidanza. La stessa legge 194 è
perciò tenuta, almeno nella sua parte teorica, a rispettare le indicazioni
costituzionali proponendo un bilanciamento tra la vita del figlio e la salute
della madre. Ora, ci pare che non abbia senso disapplicare questo schema
giuridico solo perché il figlio si
trova nella fase più giovane della sua esistenza. La
ratio legis non viene meno perché all'epoca della legge il legislatore non
aveva abbracciato nel suo orizzonte di pensiero possibilità che si sarebbero
verificate in futuro. Ciò che è nuovo non è l'aborto, previsto e disciplinato
dal legislatore in tutta la sua estensione, ma il mezzo per realizzarlo che
rende più facile l'aggiramento della legge, al punto che “sul piano
materiale, il Norlevo potrebbe
addirittura essere somministrato ad una donna diversa da quella nei cui
confronti è emessa la prescrizione medica[89]”.
A
questo riguardo ci pare opportuno riportare un passaggio della relazione
presentata dal Ministro della sanità sull’attuazione della legge
sull’interruzione volontaria della gravidanza (L. 194 del 22. 5. 1978) per
l’anno 1992[90]: «è motivo di
preoccupazione il diffondersi probabile di metodiche
impropriamente chiamate contraccettive, che, in realtà non impediscono
la fecondazione dell’ovulo, e che perciò non vanno catalogate nel campo della
contraccezione. Variamente denominate (“pillola del giorno dopo”, “contragestazione”,
“pulizia mestruale”) queste metodiche vengono usate dopo un rapporto non
protetto, omesso l’accertamento della gravidanza. Sfuggono perciò ad ogni
controllo, anche se violano la legge 194, il cui art. 1 non distingue tra tutela
della vita prima o dopo l’impianto e possono aumentare in modo non
verificabile la quantità di abortività clandestina[91]».
In ogni caso la sentenza in esame non riguarda le modalità di estensione
della normativa vigente al Norlevo, ma la legittimità del decreto che ne ha
autorizzato la vendita nelle farmacie. Il richiamo effettuato dal TAR all'uso
della spirale non è pertinente, perché la spirale non è qualificata come
“farmaco” e la sua vendita in farmacia non è sottoposta ad autorizzazione
alcuna.
In base alle considerazioni fin qui fatte ci pare chiara
la illegittimità del provvedimento che rende l’aborto un evento facile e –
è il caso di dirlo – ridotto in pillole. Non dimentichiamo che la Corte
Costituzionale vuole che l’aborto sia legalmente disciplinato solo previo
accertamento medico circa la gravità o inevitabilità del danno o pericolo per
la salute della madre.
Il vero problema
riguardo agli aborti precoci è quello della prova[92].
E' difficile, ma non impossibile, provare
l'aborto. La difficoltà di applicare le sanzioni previste per gli aborti
illegali non implica, però, la
rinuncia a strumenti anche giuridici diversi di prevenzione e di tutela della
vita umana. L'autorizzazione alla vendita del Norlevo
va invece nella direzione opposta, perché essa non è altro che la riduzione
alla massima insignificanza della
vita umana nella fase più giovane della sua esistenza.
Marina Casini (*) –
Maria Luisa Di Pietro (**)
(*) Assegnista di Ricerca (**) Professore Associato,
Istituto di Bioetica, Università Cattolica S. Cuore - Roma
[1]
L’estratto del decreto del Ministro della Sanità
Autorizzazione all’immissione in commercio della specialità medicinale
per uso umano “Norlevo” (decreto AIC/UAC n. 510/2000 del 26. 9.
2000) è riportato in “Gazzetta Ufficiale” dell’11. 10. 2000, Serie
Generale, n. 238: 26 – 27.
[2]
M.L. Di Pietro, R. Minacori, La contraccezione d'emergenza, Medicina e Morale 2001;
1: 11-39.
[3]
I primi studi con l'uso di levonorgestrel sono stati condotti da: P.C.Ho,
M.S.W. Kwan, A Prospective Randomised
Comparison of Levonorgestrel with the Yuzpe Regimen in Post-coital
Contraception, Human Reprod 1993; 8: 389-392.
[4]Task Force on Postovulatory Methods of Fertility
Regulation, Randomised Controlled
Trial of Levonorgestrel versus the Yuzpe Regimen of Combined Oral
Contraceptives for Emergency Contraception, Lancet 1998; 352(8):
428-433.
[5] J. Ellison, A.J. Thomson, I.A. Greer, Apparent
Interaction Between Warfarin
and Levonorgestrel Used for Emergency Contraception, BMJ 2000; 321:
1382.
[6] C. Wellbery,
Emergency Contraception, Arch Fam Med 2000; 9: 642-646.
[7] E.C.
Grant, Adverse Reaction and Emergency
Contraception, Lancet 2001; 357: 1203.
[8] C.L. Nielsen, L. Miller, Ectopic Gestation Following Emergency
Contraceptive Pill Administration, Contraception 2000; 62(5): 275-276.
[9] M.B. Braken, Oral
Contraception and Congenital Malformations in Offspring: a Review and
Metanalysis of Prospective
Studies, Obstet Gynecol 1990; 76: 552-557.
[10] Cfr.: F. Grou, I. Rodriguez, The Morning-after Pill. How Long After?, Am J Obstet Gynecol 1996;
171: 1529-1534; A. Glasier, Emergency
Postcoital Contraception, NEJM 1997; 337(15): 1058-1064.
[11] B.M. Landgren, E. Johannisson, A.R. Aedo, et al., The
Effect of Levonorgestrel Administered in Large Doses at Different Stages of
the Cycle on Ovarian Function and Endometrial Morphology, Contraception
1989; 39: 275-289.
[12] D.
Hapangama, A.F. Glasier, D.T. Baird, The
Effects of Peri-ovulatory Administration of Levonorgestrel on the Menstrual
Cycle, Contraception 2001; 63(3): 123-129.
[13] Nielsen, Miller, Ectopic
Gestation Following Emergency…
[14] L.A. Cole, D.B. Seifer, A. Kardana, et al., Selecting
Human Chorionic Gonadotropin Immunoassays: Consideration of Cross-Reacting
Molecules in First-Trimester Pregnancy Serum and Urine, Am J Obstet
Gynecol 1993; 168: 1580-1586; D.K.
Edmonds, K.S. Lindsay, J.F. Miller et al., Early
Embryonic Mortality in Women, Fertil Steril 1982; 38(4): 447-453.
[15] A.C. Cavanagh, An
Update on the Identity of Early Pregnancy Factor and its Role in Early
Pregnancy, J. Assist Reprod Genet 1997; 14: 492-495; R. Bose, An
Update on the Identity of Early Pregnancy Factor and Its Role in Early
Pregnancy, Ibid., pp. 497-499.
[16] N. Noyes, H.C. Liu, K. Sultan et al., Endometrial
Tickness Appears to Be a Significant Factor in Embryo Implantation in
In-Vitro Fertilization, Human Reprod 1995, 10 (4): 919-922; Y. Gonen, R.
F. Casper, W. Jacobson, et al., Endometrial
Thickness and Growth During Ovarian Stimulation: a Possible Predictor of
Implantation in In-Vitro Fertilization, Fertil Steril 1989; 52: 446-450.
[17] J-d. Wang, J. Wu, J. Cheng et al., Effects
of Emergency Contraceptive Mifepristone and Levonorgestrel on the
Endometrium of the Time of Implantation. In: Proceeding
of the International Conference on Reproductive Health, 1998 mar. 15-19;
Mumbai, India.
[18] Landgren, Johannison,
Aedo, et al., The Effect of
Levonorgestrel…
[19] B. A. Lessey, A.J. Castelbaum, C.A. Buck, et al., Further
Characterization of Endometrial
Integrins during the Menstrual Cycle and in Pregnancy, Fertil Steril
1994; 62: 497-506.
[20] B.A. Lessey, A.J. Damjanocìvich, C.A. Buck, et al., Integrin
Adhesion Molecules in the Human Endometrium. Correlation with the Normal and
Abnormal Menstrual Cycle, J Clin Invest 1992; 90: 188-195.
[21] S.S. Tabibzadeh, Patterns
of Expression of Integrin Molecules in Human Endometrium throughout the
Menstrual Cycle, Human Reprod 1992; 7: 876-882.
[22] S.G.
Somkuti, J. Sun, C.W. Yowell, et al., The
Effect of Oral Contraceptive Pills on Markers of Endometrial Receptivity,
Fertil Steril 1996; 65(3): 484-488.
[23] M.J. Murray, J. Zhang, B.A. Lessey,
Expression of Alpha6 and Beta4 Integrin Subunits throughout the Menstrual
Cycle: No Correlation with Uterine Receptivity, Fertil Steril 1999;
72(3):522-526.
[24] Wang, Wu, Cheng et al., Effects of Emergency…
[25]
Art.
3 dello Statuto della Federazione dei Movimenti per la Vita e Centri di Auto alla Vita d’Italia, in vigore dal 2. 6.
1991: “La Federazione, tenendo in particolare considerazione la dignità
della persona e la crescita e lo sviluppo della stessa nell’ambito
naturale di una stabile famiglia, si propone di difendere la vita umana sin
dal suo concepimento e in tutto l’arco del suo sviluppo fino alla morte
naturale e promuove sia a livello individuale, sia nell’ambito dei gruppi
sociali naturali ed organizzati, una mentalità aperta all’accoglienza ed
alla protezione di ogni essere umano.
La Federazione opera per un
generale rinnovamento della società e considera a questo scopo il diritto
alla vita come prima espressione della dignità umana, fondamento di ogni
altro diritto dell’uomo, garanzia di una corretta definizione e promozione
della libertà, del diritto, della democrazia, della pace. La Federazione in
tale contesto attribuisce importanza decisiva alla tutela della vita umana
nascente e persegue tutte quelle iniziative che, a livello di assistenza,
costume, opinione pubblica, cultura, amministrazione e legislazione sono
idonee a promuoverne il riconoscimento, la difesa e l’accoglienza
[…]”.
[26]
Dattiloscritto della Memoria difensiva
del 21. 6. 2001.
[27] Sull’argomento vedi:
W.L. Larimore, J.B.
Stanford, Postfertilization Effects of
Oral Contraceptives and Their Relationship to Informed Consent,
Arch Fam Med 2000, 9: 126-133; J.A. Spinnato, Mechanism
of Action of Intrauterine
Contraceptive Devices and Its Relation
to Informed Consent, Am J Obstet Gynecol 1997; 176(3): 503-506.
[28]
Art.
9, quinto comma del D.lgs. 29. 5. 1991 n. 178,
Recepimento delle direttive della comunità economica europea in materia di
specialità medicinali, Gazzetta Ufficiale, 15. 16. 1991, n. 139,
(successivamente modificato dal d.lgs.30. 12. 1992 e dal d.lgs. 18. 2. 1997
n. 44 n. 541): “Con il decreto autorizzativo sono approvati le etichette,
le quali devono sempre indicare il numero di autorizzazione, ed i fogli
illustrativi delle specialità medicinali, nonché il riassunto delle
caratteristiche del prodotto di cui alla lettera D) del comma 3 dell’art.
8. Agli eventuali aggiornamenti degli stampati predetti si procede con atto
del competente ufficio del Ministero della Sanità”
[29]Tra
i più noti sostenitori di questa posizione, cfr.: A. Mc Laren, Prelude to Embryogenesis, in Ciba Foundation, Human Embryo Research: Yes or No?, Tavistock, London 1986; N.M. Ford,
When did I begin? Conception of the
human individual in history, philosophy and science, Cambridge University Press, Cambridge 1988.
[30]
L’espressione è di: L. Lombardi Vallauri, Manipolazioni
genetiche e diritto, in Id.,
Terre. Terra del nulla, terra degli
uomini, terra dell’oltre, Vita e Pensiero, Milano 1989, p. 156.
[31]
Cfr. per es.: G. Berlinguer, La
bioetica fra tolleranza e responsabilità, in C. Romano, G. Grassani, Bioetica, Utet, Torino 1995, pp. 62 – 69;: V. Franco, Etica,
vita, responsabilità, Testimonianze 2000; 4(412): 60-63.
[32]
M. Mori, Libertà procreativa e
pluralismo etico: il caso della “gravidanza surrogata”, Notizie di
Politeia 2000; 57:
12.
[33]
S. Rodotà, Modelli culturali e
orizzonti della bioetica, in ID., (a cura di), Questioni
di bioetica, Sagittari Laterza, Roma-Bari 1993, p. 430.
[34]
M. Zanchetti, La legge
sull’interruzione della gravidanza, Cedam, Padova 1992, p. 59.
[35]
E’ questa la linea di pensiero
seguita dalla giurisprudenza costituzionale tedesca in materia di
interruzione volontaria di gravidanza (cfr. le decisioni del 25 febbraio
1975, del 4 agosto 1992 e del 28 maggio 1993). In questo senso
il Pdl n. 2160, Nuove norme a tutela
della vita umana fin dal suo inizio e modifiche alla legge 22 maggio 1978,
n. 194, presentata per la prima volta durante la XI legislatura il 23
gennaio 1993 e poi in quelle successive. Questo progetto rinuncia alla
sanzione penale cercando al contempo di rendere controllabile e serio il
c.d. “filtro” (colloquio,
attesa di sette giorni) che dovrebbe dissuadere dall’aborto e
predisponendo strumenti giuridicamente obbligatori per realizzare misure di
sostegno, di chiarificazione e solidarietà che orientino verso
l’accoglienza della vita.
[36]
Cfr.
A. Trabucchi, Istituzioni di diritto
civile, Cedam, Padova 1989, pp.
34-35. L’Autore riporta come tipico esempio di norma ”imperfetta”
l’art. 315 c.c. che prevede il dovere di rispettare i genitori. Accanto
alle norme “imperfette” l’ordinamento conosce sia le norme
“perfette” (ovvero munite di idonea sanzione), sia quelle “minus quam
perfectae” (cioè munite di sanzioni non adeguate: ad es. l’art. 89 c.c.
e 140 c.c.)
[37]
Cfr. S. Cotta, Diritto, persona, mondo
umano, Giappichelli, Torino 1989; Id., Il
diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica. Giuffrè,
Milano 1991; F. D’Agostino, Bioetica
nella prospettiva della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino,
1998.
[38]
La Stampa, 23 novembre 2001, p. 17: “Il
TAR del Lazio: Non è un farmaco abortivo”; Il Tempo, 23 novembre
2001, p. 10: “Pillola del giorno
dopo, non è abortiva. Per il giudice amministrativo il farmaco agisce con
effetti contraccettivi”; Libero,
23 novembre 2001, p. 12: “La pillola
del giorno dopo? Non è aborto”; Il Manifesto, 23 novembre 2001, p.
10: “Una pillola, non un aborto”;
Il Giornale, 23 novembre 2001, p. 15: “Il
TAR: Ecco perché la pillola del giorno dopo non equivale ad un aborto”;
La Repubblica, 23 novembre 2001, p. 26:
“Pillola del giorno dopo. Per
il TAR non è aborto”.
[39]
Il Messaggero, 23 novembre 2001, p. 15.
[40] P. D. Thomas, Emergency
Contraception: Time of Deregulation, Br. J. Obstet. Gynecol. 1994; 101:
361-364; J. Scotson, Emergency
Contraception. Use of theTerm is Erroneus, BMJ 1995;
311: 762-763.
[41] R.G. Rahwan, Morning-after
birth control, Lancet 1995; 346: 252.
[42]
L’espressione ricorre spesso in C.E. Traverso, La
tutela della persona umana prima della nascita, Giuffrè, Milano 1977.
[43] E.C. Hughes (ed.), Committee of terminology, American College of Obstetricians and
Gynecologists, Obstetric-Gynecologic Terminology, FA Davis Company, ,
Philadelphia (Pennsylvania), 1972.
[44]
E. Lauricella, Dizionario Medico,
USES, Firenze 1987.
[45] Concise Medical
Dictionary, Oxford Medical Publications, Oxford 1985.
[46]
G. Pescetto, L. de Cecco, D. Pecorari, N. Ragni., Manuale
di Ginecologia e Ostetricia , SEU, Roma 1996, pp. 823-824.
[47]
E. Baulieu, Il -Punto sull'RU486,
JAMA (ed. Italiana) 1990; 2: 12.
[48] D.A. Grimes, E.G. Raymond, Bundling a Pregnancy Test with the Yuzpe Regimen of Emergency
Contraception, Obstet Gynecol 1999; 94 (3): 471-473.
[49]
Grande dizionario italiano dell’uso,
diretto da T. De Mauro, vol. III, Utet, Torino 1999.
[50]
Grande dizionario della lingua italiana,
diretto da S. Battaglia, VII, Utet,
Torino, 1972.
[51]
Vocabolario della lingua italiana,
diretto da A. Duro, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
Roma 1995.
[52]
Aborto (voce), in G. Zuccalà, Enciclopedia del diritto, Giuffré, Milano 1958, p. 131.
[53]
Cfr. C. Casini, Sentenza in agrodolce, Sì
alla vita 2001; 12: 10 – 16.
[54]
Corte Costituzionale, sentenza 18
febbraio 1975 n. 27, Giurisprudenza Costituzionale 1975; 1: 117 – 120.
[55]
La Corte, tuttavia ricorre ad un linguaggio sfumato, quasi a voler coprire
ciò che lascia intuire. In primo luogo, infatti, ha preferito parlare di
“situazione giuridica” del concepito, “interesse del concepito”,
“salvaguardia dell’embrione” piuttosto che di “diritto alla vita”
del concepito; secondariamente, la Corte ha evitato di impegnarsi in modo
diffuso ed esplicito sulle ragioni della tutela che viene in certo modo
relativizzata con l’inciso “sia pure con le caratteristiche sue
proprie”. La Corte non spiega in che cosa consistano queste
caratteristiche. Si potrebbe ritenere che l’allusione sia dovuta alle
diverse modalità di tutela esigite dall’eccezionale ed irripetibile
rapporto di “dualità nell’unità”, di commensalità” del figlio nel
corpo della madre.
[56]
Così Mantovani definisce le
scriminanti: “particolari situazioni in presenza delle quali un fatto, che
altrimenti sarebbe reato, tale non è perché la legge lo impone o lo
consente”, F. Mantovani, Diritto
penale. Parte generale, IV ed., Cedam, Padova 2001,
p. 249.
[57]
In questo senso è molto chiaro un passaggio della sentenza:
“l’interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può
venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela
costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una
prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione”. La
Corte giustifica questo speciale stato di necessità ricordando che
l’ordinamento già prevede accanto allo stato di necessità generale
dell’art. 54 c.p. “alcuni particolari stati di necessità
giustificatrice (art. 384 c.p.)”.
[58]
Ci si riferisce alle pronunce riguardanti il sistema degli artt. 4 e 5 della
legge 194, ovvero quelli che più di tutti contrastano con il diritto a
vivere del nascituro.
[59]
Cfr. M. Casini, Il diritto alla vita
del concepito nella giurisprudenza europea: le decisioni delle Corti
Costituzionali e degli organi sovranazionali di giustizia, Cedam, Padova
2001, capitolo IV.
[60]
C.
Casini, Verso il riconoscimento della
soggettività giuridica del concepito?, Giurisprudenza Costituzionale
1997; 1:
p. 301.
[61]
Corte Cost., Sentenza
35/1997, Giurisprudenza Costituzionale 1997, 1: 290.
[62]
Legge 29 luglio 1975 n. 405, Istituzione
dei consultori familiari, in F.M. Agnoli (a cura di), Codice
della maternità, Maggioli Editore, Rimini 1987, p. 436.
[63]
Cfr. A. Serra, Per
un’analisi integrata dello “status” dell’embrione umano.
Alcuni dati della genetica e dell’embriologia, in S. Biolo (a cura
di), Nascita e morte dell’uomo,
Marietti, Genova 1993, pp. 55 – 105.
[64]
Concepimento: cum + capio dal
latino concipere composto di cum
+ capere cioè prendere con, accogliere in sé il germe della nuova
vita. “Concepimento” equivarrebbe dunque all’atto di “prendere
insieme”, vale a dire all’azione dell’utero di accogliere
l’embrione. Se l’etimologia è giusta, il soggetto che “prende con sé”
resta però sottinteso, ed è chiaro che tale soggetto non è l’utero, ma
più generalmente, la madre. Nello stesso modo il tedesco usa per indicare
il concepimento la parola Empfängnis,
da empfangen = accogliere: è la
madre che accoglie in sé la nuova vita.
[65]
Cfr.: F. Scardulla, Nascita (dir. civ.)(voce),
in Enciclopedia del diritto ,
Giuffrè, Milano 1977, p. 523.
[66]
Cfr.: L. Campagna, Concepimento (dir.civ.)(voce),
in Enciclopedia del diritto,
Giuffrè, Milano 1961, pp. 357-361; .
V.M. Trimarchi, Filiazione(voce),
in Enciclopedia del diritto,
Giuffrè, Milano 1968, pp. 458-459.
[67]
Raccomandazione n. 1046 del 24. 9.
1986 relativa all’utilizzazione di embrioni e di feti umani a fini
diagnostici, terapeutici, scientifici, industriali e commerciali,
Straburgo 1986.
[68]
Raccomandazione 1100 del 2. 2. 1989 sull’utilizzazione
degli embrioni e dei feti umani nella ricerca scientifica,
Strasburgo 1989.
[69]
Risoluzione 16. 3. 1989 sui problemi etici e giuridici
della fecondazione umana in vivo e in vitro, Strasburgo 1989.
[70]
Risoluzione del 16. 3. 1989 sui
problemi etici e giuridici dell’ingegneria genetica, Strasburgo 1989.
[71]
Cfr.: F. Luzi, Fecondazione in vitro e tutela dell’embrione nella Germania Federale,
Senato della Repubblica Italiana- Servizio Studi, Ufficio Ricerche nel
Settore Sociale, Roma 1991 (in off-set).
[72] Sala Costitutional de la Corte Suprema de Justicia
de Costa Rica, Sentencia 15 marzo 2001,
El Derecho 2001;
30 de octubre: 10-14, serie especial. Cfr. anche: Revista de Derecho
y Genoma Umano 2001; 14:
171-175.
[73]
Cfr.: F. Biscaretti Di Ruffia, Costituzioni
straniere contemporanee, I.
Le costituzioni di dieci Stati di
“democrazia stabilizzata”, Giuffré, Milano 1994; ID. (con la
collaborazione di M. Ganino),
Costituzioni straniere
contemporanee, II. Le
Costituzioni di sette stati di recente ristrutturazione, VI ed., Giuffrè,
Milano 1996; E. Palici di Suni Prat, F. Cassella, M. Comba ( a cura di), Le
Costituzioni dei Paesi dell’Unione Europea, Cedam, Padova 1998.
[74]
E’ noto che la teorizzazione più completa del laicismo giuridico si trova
in Kelsen, La dottrina pura del
diritto, Torino 1954 (1934). La dottrina pura del diritto è stata
ripetutamente criticata in Italia: G. Capograssi, Impressioni
su Kelsen tradotto, in Opere di
Giuseppe Capograssi, vol. V, Giuffré, Milano 1959, pp. 313-356.
[75]
C. Casini, Lo statuto giuridico
dell’embrione umano, Iustitia, in corso di pubblicazione.
[76]
Tribunale Costituzionale della Repubblica federale tedesca, Sentenza del 25 febbraio 1975, in Quaderni della Giurisprudenza
Costituzionale, L’aborto nelle
sentenze delle Corti Costituzionali, Giuffrè, Milano 1976, p. 273.
[77]
Commissione giuridica per i diritti dei cittadini, Documento
di lavoro sui problemi etici e giuridici della manipolazione genetica (P.E.
115.268), presentato il 24 luglio 1987, approvato il 21 novembre 1988
(relatore: on. Willy Rotheley). In C. Casini (a cura di), Il parlamento europeo per uno statuto giuridico dell’embrione umano,
Ed. Cinque Lune, Roma 1989, p. 106.
[78]
Osserva L. Eusebi: “Non si trovano […] argomenti razionalmente
sostenibili che consentano di estromettere l’embrione dall’ambito
relativo alla tutela della vita: tanto più in un orizzonte giuridico
internazionale […] fra l’altro, perfino in rapporto al dubbio sulla
natura dell’embrione la tutela suddetta, dato il bene in gioco, dovrebbe
imporsi (andrebbe applicato il c.d. principio precauzionale o tuzioristico)”.
L. Eusebi, La tutela giuridica
dell’embrione, in S. Zaninelli (a cura di), Scienza, tecnica e rispetto dell’uomo. Il caso delle cellule staminali,
Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 166.
[79]
Comitato Nazionale per la Bioetica, Identità
e statuto dell’embrione umano, 22. 6. 1996, Presidenza del Consiglio
dei Ministri – Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, Roma 1996, p. 25.
[80]
Nel primo senso cfr. C. Casini, F. Cieri,
La nuova disciplina
sull’aborto, Cedam, Padova 1978, p. 57; nel secondo senso:
Zanchetti, La legge sulla
interruzione…, p. 99,
nota 44.
[81]
P. Benciolini, A. Aprile, L’interruzione volontaria della gravidanza,
Liviana, Padova1990, p. 52. In tal
senso si pronuncia la Sentenza del
19.11.1985 del Tribunale di Padova.
[82]
Regione Veneto – Giunta Regionale, Circolare
n. 54/78, riportato in Benciolini, Aprile, L’interruzione
volontaria di gravidanza…, pp. 200-214. Vedi anche la Sentenza
29.3.1979 del Tribunale di Napoli e la Sentenza 29 luglio 1989 della
Corte d’Appello di Trento.
[83]
Casini , Sentenza in agrodolce…,
p. 16.
[84]
Dizionario Garzanti della Lingua Italiana,
Garzanti, Milano 1985.
[85]
Memoria…., p. 10
[86]
Cfr.: P. Nuvolone, A. Lanzi, Gravidanza
(interruzione della)(voce, in Digesto
delle discipline penalistiche, UTET, Torino 1992, p. 25.
[87]
C. Casini, Parere su: Norlevo.
L’obiezione di coscienza dei farmacisti, Medicina e Morale 2001, 5:
973 – 983.
[88]
Memoria…, p.5- 6
[89]
Memoria…, p. 11.
[90]
Ai sensi dell’art. 16 L.194/1978, primo comma, “Entro il mese di
febbraio, a partire dall’anno successivo a quello dell’entrata in vigore
della legge, il Ministro della Sanità presenta al Parlamento una relazione
sull’attuazione della legge stessa e dei suoi effetti, anche in
riferimento al problema della prevenzione”.
[91]
Cfr. Senato della Repubblica – XI Legislatura, Doc. LI n. 3-bis, Relazione sull’attuazione della legge contenente norme per la tutela
sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza
(anno 1992), Presentata dal Ministro della sanità (Garavaglia),
comunicata alla Presidenza il 15 aprile 1994, p. 29. Sulla questione della
“nuova clandestinità abortiva” si veda anche Movimento per la Vita, IV Rapporto al Parlamento – Prevenzione dell’aborto volontario e
applicazione della legge 194, suppl. a Sì alla Vita, 1994, 7-8.
[92]
Si veda al riguardo quanto affermato dal Prof. E. Benda in occasione delle
audizioni in preparazione delle risoluzioni sui problemi etici e giuridici
della manipolazione genetica e della fecondazione umana, adottate poi dal
Parlamento Europeo nel 1989. In:
Commissione giuridica per i diritti dei cittadini, Problemi
etici e giuridici della manipolazione genetica e della procreazione
artificiale umana, Ufficio delle Pubblicazioni Ufficiali delle Comunità
Europee, Lussemburgo 1990, p. 134.