- SPETTACOLI & CULTURA -
Il giurato Ligabue:
"Vado a Venezia per sdebitarmi con la Mostra"
Il rocker, scrittore e regista sarà uno dei membri della giuria del festival del cinema.
Ci spiega perché ha accettato, quali saranno i suoi criteri e le analogie fra film e canzoni.
(di Gino CASTALDO)
Conosce personalmente gli altri giurati? Si sente a suo agio in questa lista?
È un impegno importante, e sicuramente stimolante. Il regista e sceneggiatore indiano Anurag Kashyap
è uno dei più quotati a Bollywood. E poi Ang Lee, Joe Dante, la Bonnaire: non ho avuto il piacere di
conoscerli personalmente, neanche la Cavani, anche se è originaria di Carpi, dunque sarà una conoscenza
forzata, ma anche una grande opportunità. Mi piace l'idea del confronto con chi il cinema lo frequenta
più di me.
Ma dovrà comunque esprimere la sua personale visione. Tra musica e cinema ci sono punti di
contatto?
C'è un punto di vista più generale. Credo che in questo momento siamo tutti sotto assedio, a causa di
una fase di transizione che non sappiamo dove ci porterà. E questo riguarda sia la musica che il cinema.
Da una parte lo Stato mostra sempre meno sensibilità verso la cultura, ma anche le canzoni, che magari
riescono a vivere con maggiore autonomia, sono trattate male. Ci vogliono mesi per fare un disco e quando
esce in due o tre ore sei già liquidato. Questo non può non generare ansie e riflessioni sul senso di
quello che fai, però poi ti accorgi che chi viene ai concerti conosce i testi meglio di te. E allora io
parto da lì: è sbagliato generalizzare, non tutto il pubblico è fatto alla stessa maniera. Il punto è che
scrivere canzoni, così come fare un film, è un atto di presunzione: alzi la mano e quando la gente si
gira tu devi avere qualcosa da dire. Questa presunzione è perdonabile solo se mostri un bisogno, lo
ritengo cruciale e infatti con questo criterio giudicherò i film a Venezia.
Pochi giorni dopo c'è la maratona all'arena di Verona, otto date con l'orchestra sinfonica.
L'impegno di giurato non va a discapito della preparazione dell'evento?
Questa è la complicazione più grossa, ho avuto rassicurazioni per avere una macchina a disposizione
se proprio dovessi scappare a Verona... è c'è di più, stiamo pensando ad aggiungere due date, ancora
prima, forse il 19 e il 20 di settembre, di puro rock'n'roll, al netto di scenografie ed effetti speciali.
Ogni tanto mi piace ricordare che c'è la musica e basta.
Ultimamente il suo modo di cantare è cambiato, diciamo migliorato dal punto di vista del
controllo e dell'espressione. Si dice che abbia preso lezioni di canto. È vero?
Il problema è che sono cresciuto coi cantautori, quindi non pensavo tanto a cantare, casomai a dire,
però nel volume che faceva la band le cose dovevo urlarle. Mi dicevo: basta far vedere l'emozione. Ma a
un certo punto mi sono reso conto che non bastava più e per capirlo ho dovuto fare l'esperienza del
teatro. Lì ti devi confrontare col silenzio, ti devi prendere le tue responsabilità. Ho cercato di
lavorare sulle sfumature. I primi tempi ero naif, venivano fuori ghirigori che facevano tenerezza, le
mie "a" erano confondibilissime con le "e" e anche con le "i". Ora non ho più scuse, dopo quasi vent'anni
non posso più dire: mi butto e via. Quello che faccio si chiama vocal training. Sono esercizi che ti
insegnano cose fondamentali, per esempio che curiosamente bisogna spingere meno, perché la gola sia più
rilassata, per avere più volume e più chiarezza. Forse fa ridere che uno si metta a farlo a 48 anni ma
è così.
Comincia intravedere il traguardo dei cinquant'anni. Come rocker, è preoccupato?
Ovviamente c'è il corpo che manda segnali diversi, ma personalmente non ho ansie. Ho cambiato il mio
modo di pensare di un tempo. Nelle prime interviste, come qualsiasi rocker che vuole sboroneggiare,
dicevo: non mi vedo a cinquant'anni a fare questo, adesso non solo mi ci vedo, ma guardo con attenzione
gli Stones. Ci sto ancora bene sul palco a "ballare sul mondo".