Smemoranda 12 mesi 2001
Luciano Ligabue
Racconto di maggio
Ho fatto un giro, l'altra sera.
Ho fatto un giro per i miei giardini.
Ho fatto un giro standomene a casa.
Ho rivisto tutti gli angoli, ricordando bene che ognuno di loro era una conquista del
"crescere".
La zona del grado zero era il parco giochi: qui ci andavano i più piccoli. Il parco
occupava il lato dei giardini più lontano dalla piazza, era curiosamente recintato da una
sorta di siepe metallica e l'anello interno era una pista per le gare fra tricicli,
go-kart a pedali, bici con le rotelline dietro e via andare.
Poi, fra scivolo, altalene e compagnia bella c'era la "piscina di sabbia" per le
infinite gare a biglie con su Gimondi e Zandegù, Bitossi e Balmamion, Adorni e Motta.
Chi teneva le biglie coi francesi o i belgi era un puzzolente fighino. E mentre noi ci
impegnavamo, i più grandicelli, fuori dal recinto, si impegnavano a prenderci per il culo
per le nostre colpe: essere più piccoli ed essere lì dentro.
Incapace di starmene al mio posto, feci e disfeci finché non conquistai la fiducia di una
compagnia di "più grandi" che mi ammise al grado uno. La zona del grado uno era quella
per i "non più bambini" ed era adiacente al parco giochi.
Qui, nonostante il fondo di ghiaia, si giocava a pallone, e si prendevano per il culo
quelli del recinto.
Poi c'era il problema dei vigili (che si portavano addosso curiosi nomi d'arte: Grand
Hotel, Bolero, l'Intrepido eccetera) che, almeno una volta la settimana, ci requisivano
il pallone di gomma e noi a ingoiare pensando a dove sarebbe finita la nostra paghetta
settimanale.
Sapevamo che quel pallone, intanto, sarebbe caduto nelle mani dei figli dei vigili stessi.
Che, però, era meglio non provassero a venire ai giardini. Incuranti delle stramaledizioni
di quel vecchietto che voleva godersi la sua panchina troppo vicina al nostro "stadio" e
delle prepotenze di qualche "più grande" che dalla gelateria adiacente ci invitava al
mutismo assoluto, mettevamo in piedi i tornei del secolo.
Tanto alla gelateria ci saremmo arrivati, prima o poi.
La mia carriera ebbe un brusco stop un giorno di maggio in cui sentii pronunciare da un
compagno del grado uno uno strano verbo: guzzare.
Incautamente gli chiesi cosa volesse dire e lui, senza pietà, mi bocciò insieme agli altri:
torna nel parco, cinno!
Così ripartii dal grado zero e quando venne il mio turno di diritto anagrafico per il grado
uno puntavo già al grado due.
La zona del grado due era quella centrale dei giardini.
Qui imperavano varie compagnie di ragazzini delle medie inferiori.
Ogni compagnia aveva la propria panchina e la propria aiuola.
Qui non ci si abbassava a prendere per il culo i bambini del parco giochi e i quasi bambini
del calcio.
Qui c'erano delle responsabilità, cazzo!
C'era l'onore della compagnia da difendere e qualche spedizione punitiva nei confronti di
compagnie irriverenti ma, soprattutto, c'era qualcuno che aveva sentito l'odore dell'altro
sesso.
Insomma, le cinne non erano più solo teoria.
Io, ancora incapace di starmene al mio posto, mi avventurai senza averne diritto d'età in
una di queste compagnie, ma il mio bluff durò pochissimo. Intanto fu durissimo cercare di
far pensare che sapessi qualche cosa di ragazzine ma, soprattutto, il giorno in cui mi
chiesero come prova di coraggio di starmene fermo contro un albero mentre il capo del
gruppo avrebbe fatto il lanciatore di coltelli con le sue freccette, mandai tutti a cagare
e tornai al grado uno.
Insomma, la mia trafila me la feci tutta capendo che il grado superiore era un po' faticoso
e il pari grado a volte mi rompeva i maroni.
Arrivai con pieno merito al grado tre della gerarchia dei giardini in qualità di avente
diritto.
La zona laterale dei giardini, quella adiacente alla piazza da una parte e alla gelateria
dall'altra, era quella appunto del grado tre: dai 13 ai 18 anni.
Io ci arrivai in un periodo peso: metà anni Settanta.
Le chitarre ci regalavano grandi orchiti con Inti Illimani e stonature cantautoriali.
Ci straziavamo nervi e genitali con infinite, esasperanti discussioni politiche.
Qualcuno si prendeva la sua bella vacanza andandosene in un altro parco e frequentando la
panchina più buia.
Tenendo il motorino bene in vista, lì a due metri, ti toglievi le tue soddisfazioni con
un'amica.
Poi tornavi ai giardini bello gasato, sperando che qualcuno si accorgesse di qualche
cambiamento in te e ti chiedesse cosa avevi.
E allora tu a straripare raccontando, caricato, ogni minimo particolare. Per arrivare a
sapere che, con quella, eri stato solo uno di una lunga fila. E poi cominciare a sentire
la discussione: il sesso di bocca è di destra o di sinistra? E quello di mano? E quello
vero?
E allora salutare, che in pochi minuti ti avevano rovinato una gran sera. Che due maroni
i giardini!
Però domani ci torno! Perché fra poco sono pronto per la piazza e la gelateria...
Ho fatto un giro, l'altra sera, è mi è venuta una gran voglia di farlo di persona.