- RECORDING STUDIO -
Allo Zoo con Ligabue
Un nuovo "Nome e Cognome"
"Nome e cognome" è il nuovo album di Ligabue, l'undicesimo della serie,
il settimo di inediti: un prodotto cruciale, predestinato a sfondare,
in cerca di novità pur mantenendo i legami con i suoni e lo stile che
hanno caratterizzato 15 anni di carriera.
(di Stefano BONAGURA)
Fabrizio Simoncioni (sound engineer) è entrato nello Zoo ai primi di
gennaio 2005, per sistemare lo studio nuovo di zecca (dov'è stato
trasferito il "vecchio" mixer) e iniziare la lavorazione dell'album
pochi giorni dopo: la pre-produzione è andata avanti fino a febbraio,
per poi passare a tre mesi e mezzo circa di registrazione e produzione
pura (batterie registrate tutte in trio, chitarra-basso-batteria, per
tenere solo le batterie e rifare il resto), con un gran lavoro sui
suoni, avendo a disposizione molti strumenti diversi (testate, casse,
15/16 rullanti), infine registrare la voce di Ligabue e incidere i cori
(di sostegno, controcanto) quasi al volo durante l'ultimazione dei
mixaggi, iniziati ai primi di giugno e finiti nella seconda decade di
luglio, poco prima di partire per il mastering a New York. Il team che
ha lavorato al progetto comprende stavolta due produttori, Fabrizio
Barbacci (collabora con Ligabue da Buon compleanno Elvis, 1995)
e Luca Pernici (produttore de Il Nucleo, Marla Singer), con la supervisione
di Ligabue, "che ha sempre sviluppato un approccio al lavoro che
comprende un impegno anche sotto il profilo produttivo" come
sottolineato da Barbacci, più Fabrizio Simoncioni (tecnico del suono)
con l'assistente di studio Stefano Riccò e Mirko Cascio (tecnico del
suono, registrazioni addizionali), cui si sono aggiunti diversi
musicisti. Proprio da qui, dalle collaborazioni, dall'elaborazione dei
nuovi brani, cominciano le grandi novità che caratterizzano Nome e
cognome e lo rendono diverso dagli ultimi quattro album di studio
di Ligabue: dal '95 infatti c'è sempre stata La Banda ad affiancarlo,
mentre in questa occasione il gruppo ha partecipato in ordine sparso
alle registrazioni, insieme ad altri musicisti. Ma cominciamo dal
principio, parlando coi produttori.
> LE PRIME FASI DI LAVORAZIONE
[Fabrizio Barbacci] Luciano ha dato un grossissimo contributo nella
fase iniziale: per la prima volta si è presentato portando i pezzi in
una veste già più articolata e arrangiata del solito. Anche lui si è
avvicinato, come molti, al mondo del Pro Tools, all'uso del computer,
per cui è stato in grado di realizzare provini non più come faceva
prima, chitarra e voce, per poi arrangiare i brani in studio con la
partecipazione della band, ma con diversi elementi (chitarre fatte da
lui, campioni, batterie che già davano l'idea di una direzione, di un
suono). Per cui siamo partiti da brani "finiti", con un'idea di
arrangiamento già abbastanza precisa, compiuta; non è rimasta
necessariamente quella l'idea per tutti i brani (per alcuni sì, per
altri no), ci abbiamo lavorato sopra in pre-produzione. Per quanto
riguarda i musicisti, c'è una situazione radicalmente diversa dal
solito: da quando c'è La Banda, questa è la prima volta che non sono
stati utilizzati loro in blocco come musicisti, con la volontà di
aprire le porte dello studio anche ad altri, per ricevere stimoli
diversi.
E' stata una scelta programmata?
[FB] Assolutamente sì. Sono state fatte anche delle audizioni,
nella prima fase, per capire a chi aprire queste porte.
[Luca Pernici] Le indicazioni utili per fare delle scelte sono venute
dalla pre-produzione: le audizioni infatti hanno avuto luogo in
momenti diversi, quando la maggior parte dei brani cominciavano a dare
segnali precisi; sulla base di questo abbiamo scelto i musicisti che
ci sembravano più indicati per colorare i brani.
[FB] Il contributo della Banda risulta diverso: a parte Antonio "Rigo"
Righetti (che ha suonato tutti i bassi del disco, perché s'integra
bene con gli elementi nuovi che abbiamo trovato), tutti hanno registrato
delle cose, ma gran parte del materiale tenuto ha origini diverse.
Prima di realizzare questo disco avete pensato anche a una
sonorità generale diversa, a rendere l'album un po' meno omogeneo del
solito?
[FB] Secondo la mia sensibilità, questo è un disco abbastanza vario,
non soltanto per il contributo dei musicisti ma anche per il nostro
contributo (due diversi produttori). In realtà tutti i brani, essendo
stati lavorati fino alla pre-produzione insieme, come nella fase della
finalizzazione (c'è stata solo una fase centrale nella quale noi
produttori abbiamo lavorato separatamente), ci sono infiltrazioni
reciproche, fra un brano e l'altro, anche a livello di gusto, di
taglio di produzione e alla fine si sente una certa varietà, un
elemento fortemente positivo.
Il suono di Ligabue è sempre stato fondamentalmente
chitarristico: ci sono novità?
[LP] Tastiere non ce ne sono, qualche accenno sparso, a volte
neanche facilmente individuabile.
[Fabrizio Simoncioni] Tra Clavia Nord Lead 3 e Acces Virus 2 kb ho
usato di più Virus, ma sono soprattutto colori, suoni di synth,
tappeti, fra le chitarre e il resto della band, poca roba.
[LP] Sicuramente per il suono Niccolò Bossini (il nuovo chitarrista)
è determinante, perché ha portato una mano nuova: è un chitarrista
importante per questo lavoro, si fa sentire non poco! Oltre Niccolò ci
sono anche Fede Poggipollini e Mel Previte, Nicola Milazzo e
naturalmente Barbacci...
[FB] Finora non esiste un disco che abbia prodotto dove non ho suonato
qualcosa! In particolare con Luciano ho sempre fatto delle chitarre,
esclusivamente acustiche, invece stavolta ci sono anche un paio di
interventi elettrici.
> COME SUONA LO ZOO?
Sicuramente entrare in uno studio nuovo, sconosciuto, per realizzare
un album così importante può essere rischioso, almeno all'inizio:
tarature, assestamenti, imprevisti possono essere all'ordine del
giorno, come l'assenza di un riferimento.
Dal punto di vista del tecnico del suono e dei produttori,
come suona il nuovo Zoo?
[FS] Siamo ancora in rodaggio: contenti di quello che ascoltiamo,
il resto lo scopriremo vivendo, nel senso che che è uscendo dallo
studio che capiremo bene che cosa abbiamo fatto. Lo studio ha un suono
particolare: è molto colorato, senti molto il legno, aggressivo,
abbastanza "cattivo", rock, bello rotondo sotto, ben bilanciato.
Abbiamo giusto avuto dei problemi all'inizio: in sala abbiamo sostituito
dei pannelli mettendone di assorbenti, perché l'ambiente era un po'
troppo riflettente; prima era tutto di legno, non verniciato, non
completamente riflettente.
[LP] Era concepito apposta così, per sentire subito il suono e poi
tamponare pian pianino.
[FS] Lo studio è stato progettato modularmente, con la possibilità di
sostituire rapidamente alcuni elementi, a seconda delle esigenze.
Non ci sono molti pannelli mobili in giro, oltre quelli
assorbenti utilizzati per creare l'area di ripresa della voce in sala.
[FS] Abbiamo utilizzato i riverberi naturali per cercare di sfruttare
molto la sala, per cui scarse pannellature, tranne che per la voce (per
la presenza). I collegamenti in studio sono tutti analogici (cavi
Mogami, più corti e diretti possibile tra jackiera e varie patch). In
fase di progettazione abbiamo cercato di prevedere qualsiasi tipo di
cablaggio: linee MIDI, video, poi alla fine ci siamo dimenticati di
cose importanti, ovviamente... Lo studio è molto funzionale, siamo
riusciti a fare qualsiasi cosa, compresa una banalissima, che invece è
un problema nella maggior parte degli studi: se voglio fare una chitarra
in regia, con testata e cassa in sala, non c'è mai un passaggio
sbilanciato fra sala e regia; questo comporta sempre dover passare dalle
linee bilanciate, che introducono rumore su strumenti con jack mono,
comunque perdi segnale, hai dei problemi. Invece noi abbiamo fatto passare
quattro linee dirette, cavo pulito, perfetto, jack in regia e in sala mono,
per cui il chitarrista è come se avesse un cavo di 10 m, diretto. Non
abbiamo mai avuto problemi, così abbiamo fatto molte chitarre.
Rispetto al vecchio studio, con una regia piccola, qui c'è
stata la possibilità di avere dei main monitor Genelec (1039) con
tanto di subwoofer.
[FB] Dal mio punto di vista, questo rende più divertente e
gradevole il lavoro: specialmente in alcune fasi, registrando bassi e
batterie, avere quel riferimento è più godurioso. In realtà sulle casse
grosse ci siamo andati piano: in partenza c'era l'incognita della
risposta di sala e regia, per cui coi nearfield ci sentivamo più
garantiti, poi nella pratica in fase di mixaggio abbiamo riscoperto i
main monitor, addirittura come riferimento, perché facendo una serie
di confronti nel tempo, a un certo livello di volume risultano più
lineari. C'è da dire che le casse erano nuove: a fine lavoro avevano
circa sei mesi di vita, all'inizio avevano sì e no 20 giorni, per cui
sono state tarate almeno tre volte, chiaramente si dovevano assestare.
Hanno avuto una storia variegata: all'inizio ci avevano gettato un po'
nel panico, non suonavano bene, poi fatta la prima ritaratura erano
diventate "belle" però anche brillanti; dopo qualche settimana sono
diventate scurissime...
[FS] ...anche perché si assestava il resto dello studio, magari la lana
di roccia si spostava verso il basso, cambiava la risposta in frequenza:
più lavoravamo, più cambiava la situazione. All'inizio è stato piuttosto
faticoso cercare di capire in che mondo ci trovavamo: capita sempre
così negli studi nuovi; poi quando tutto si è assestato, siamo andati
come dei treni.
Con più sistemi d'ascolto (Genelec 1039 e 1031, Yamaha NS10-M
Studio), su quali avete lavorato preferibilmente? Avete saltato dall'uno
all'altro per fare confronti?
[FB] Abbiamo fatto spesso confronti.
[FS] C'è da considerare che abbiamo i main 1039 a tre vie preamplificati,
le 1031 a due vie preamplificate, con punti di crossover molto diversi,
per cui con una risposta diversa. Le Yamaha le conoscono tutti.
Tendiamo a cambiare sistema spesso, per cercare di non abituarci.
Essendo in una regia che ancora non conosciamo a fondo, se fai la media
dei difetti riesci a ottenere l'immagine realistica del suono.
Lo speakerino della radio Tivoli Model One (posizionata sul
mixer) serve per far confronti drammatici in mono?
[FS] Noi lo chiamiamo "l'ascolto isoradio", peggio di così
non si può suonare! L'ascolto in mono è tuttora utile per il controllo
delle fasi, con tutti i microfoni che abbiamo utilizzato. Questo genere
d'ascolto è una lente d'ingrandimento sul lavoro: quando vai a mettere
18 microfoni su una batteria, devi stare molto attento alle fasi,
soprattutto in una sala che non conosci bene. In stereo è tutto bello:
se hai un problema con una fase, si allarga l'immagine, per cui è bello;
dopo però devi mixare e magari la cassa non picchia come dovrebbe,
spariscono delle cose, le alte sono dure. Con il controllo in mono metti
a fuoco il problema, puoi operare degli aggiustamenti sui microfoni.
Il Tivoli (curiosamente) l'abbiamo usato più in ripresa che in mixaggio.
> LE CHITARRE DI NICCOLO' E GLI ALTRI
Tirato in ballo da Luca Pernici, Niccolò Bossini è il chitarrista che
sicuramente caratterizza più di altri Nome e cognome: viene da
un gruppo del reggiano, affonda le radici del suono nel punk di fine
anni Settanta e ancora più indietro, sino ai grandi chitarristi degli
anni Sessanta; ha un suono classico, caldo e teso, cattivo al punto
giusto.
Che strumenti hai utilizzato per la registrazione di questo
album?
[Niccolò Bossini] Per le elettriche sono molto presenti chitarre
con pickup humbucking al ponte, Fender Telecaster Custom (quella di
Simoncioni, reissue anni Settanta) e due Gibson SG Standard (la mia
e quella di Ligabue), più Stratocaster Standard (con pickup Gibson
PAF al manico, tipo SG, utilizzata al massimo in un 10 per cento dei
casi), corde D'Addario (0.10). Amplificazione prevalentemente Marshall
(JCM800 e 900 da chitarra, con prevalenza del primo) e JCM800 Super
Bass per i suoni puliti, con cassa Marshall Vintage 4x12'' Custom
(coni Greenback) e Marshall 4x10'' (standard), con compressori Boss
e Maxon praticamente fissi in entrata. Come ampli alternativo abbiamo
usato spesso anche un vecchio portatile Pignose (a pile), come altri
pedali (Electro-Harmonix Memory Man Deluxe, distorsori soprattutto
Double Muff, poi Big Muff, Ratt, Ibanez Tubescreamer TS5, DOD Envelope
Filter).
Come è stato ripreso il suono delle chitarre elettriche?
[FS] Prevalentemente abbiamo multimicrofonato le casse: sulla
Marshall 4x12'' abbiamo posizionato uno Shure 57 a centro cono e un
Sennheiser MD421 sempre a centro cono; un po' più indietro (semi-ambiente)
un Neumann U87, cambiando i bilanciamenti fra i microfoni a seconda
del colore voluto. L'unica caratteristica particolare della ripresa
delle chitarre è che abbiamo tolto il back alla 4x12'' e 4x10'',
diventate open-back.
[NB] Abbiamo provato con la cassa chiusa: non ci convinceva, l'abbiamo
aperta ed è stata una scelta determinante.
[FS] Solo per alcune chitarre particolari, che richiedevano anche una
ripresa dal back, abbiamo usato microfoni sul retro. In altri casi,
abbiamo fatto delle chitarre riprendendole solo con un microfono
Royer Labs R-122 a nastro, d'ambiente, a circa un metro dalla cassa,
al centro. Com'è stato determinante il Pignose, microfonato solo con
un Neumann U87, con pre Neve.
[NB] Utilizzato a basso volume, col nasino appena girato, acceso, col
Big Muff e i soliti compressori Boss e Maxon.
Il tracking è stato fatto tutto in sovrapposizione, oppure
le ritmiche sono state suonate in diretta?
[FS] La ripresa delle ritmiche è stata fatta suonando in trio
(chitarra-basso-batteria).
[FB] Qualcosina è rimasto dalla pre-produzione: il basso, qualche
chitarra.
[NB] Quando i batteristi registravano, anche "Rigo" e io tiravamo
fuori qualcosa, idee, che a volte sono state tenute.
[FS] Una band intera non ha mai suonato tutta insieme: solo per
riprendere la batteria c'erano 18 microfoni, molti ambienti diversi,
che richiedevano inevitabilmente l'utilizzo di tutta la sala di ripresa.
[NB] A un certo punto ci sono stati dei (normali) problemi d'ascolto...
[FS] ...allora ho allestito una situazione live, montando in sala due
monitor Martin: invece di suonare con le cuffie lo hanno fatto coi
monitor, a livelli da live, microfonando in modo che non ci fossero
rientri.
[NB] Ed era godurioso, a mio parere più bello! Ha reso molto.
Oltre quelle di Niccolò, chi ha suonato il resto delle
chitarre e come sono state riprese?
[FS] Oltre ai membri de La Banda (Mel Previte ha utilizzato una
Les Paul Custom, una 335 e una Telecaster, su Vox Ac30 e Marshall
JCM800, mentre Fede Poggipollini ha usato la sua Telecaster, una
reissue del 1952, con gli stessi amplificatori, più il JCM800 Super
Bass per i suoni puliti), c'è Nicola Milazzo, che ha suonato con un
amplificatore Fender Super Reverb (fine anni Sessanta, molto bello),
con testata Matchless Hurricane da 15W e cassa Marshall 4x10'',
soprattutto chitarre pulite e slide.
[NB] Ha fatto anche delle parti ruggenti, con Gibson SG, Tubesvreamer
TS5 e Marshall JCM800. C'è un brano in particolare, dove Nicola è
molto presente col Fender Super Reverb e Telecaster, proprio per
poter utilizzare il riverbero di quel combo, molto bello. Tutte le
alte chitarre le ha fatte con le Gibson (SG e Les Paul Custom).
Chitarre acustiche ce ne sono molte?
[FS] Barbacci ha comprato una Gibson J50 del 1977 che sembra
un pianoforte: ha un suono bellissimo. Le acustiche (suonate da
Luciano, Niccolò e Fabrizio) le abbiamo fatte tutte con quella,
ripresa con doppio microfono (Neumann U87 sulla cassa, Schoeps MK4G
sul ponte, passati in un pre GML).
> BASSO E BATTERIE
Basso e batteria su Nome e cognome sono tutt'uno: Antonio
Righetti ha un suono bello e profondo, stupendo, un gran tocco, e
viaggia coi vari batteristi che è un piacere! Cesare Barbi alla fine
suona la batteria in ben sei brani, il resto è rimasto ad altri tre
musicisti, tutti solidi.
Righetti per i suoi bassi cosa ha utilizzato?
[FS] La sua testata Ampeg (SVT-IV Pro), con casse Ampeg 4x10'' e
1x15'' (microfonate Neumann TLM 170R), però, poi alla fine abbiamo
tenuto principalmente la D.I. (canale bilanciato passato in un pre
Neve 1073 e nel Summit Audio TLA 100A) e l'uscita linea della testata
(equalizzata e lavorata direttamente sulla testata, direttamente in
registrazione), per avere due canali utilizzabili; il terzo canale
(quello microfonato) l'ho usato veramente molto poco. "Rigo" ha degli
strumenti bellissimi: ha usato due Fender Jazz, uno attivo, un po' più
spinto, uno passivo, a seconda dei brani e delle esigenze di sonorità.
Suoni poco trattati, solo un po' di compressione. Sulla batteria invece
c'è un capitolo enorme, perché abbiamo utilizzato diversi musicisti:
Alessandro Lugli, Cesare Barbi (batterista dei Rio), Eugenio Mori,
Helder Stefanini e Robby Pellati (batterista de La Banda, l'unico che
però non è presente nel mix definitvo). Emanuela Borzi nella fase di
registrazione ha svolto un lavoro fondamentale (uno standard all'estero,
un po' meno in Italia): ha curato l'accordatura delle batterie (un grande
aiuto per i musicisti che hanno suonato), che durante le sessioni è
stata tenuta d'occhio costantemente; un apporto determinante per la
qualità del suono, concordato fra produttori e tecnico. Avere sempre lo
stesso suono ha facilitato molto l'editing.
Cambiava completamente lo strumento a ogni cambio musicista?
[FS] Abbiamo avuto la fortuna che Aramini ci ha "concesso" uno
strumento stupendo, una batteria DW, un modello molto particolare e
costoso, con cassa da 24'', molto potente. Di base abbiamo cercato di
utilizzare quella, adeguandoci alle esigenze del pezzo, utilizzando
ogni tanto i tom di una vecchia Ludwig fine anni Sessanta, una marea
di rullanti. C'è solo un batterista che ha cambiato cassa con una
Drum Sound, sempre da 24''. Anche i piatti sono diversi: principalmente
Zildijan, poi Paiste, qualche UFIP.
La scelta di utilizzare Pro Tools (HD v. 3.0, 24 bit/96 kHz)
per registrare deriva dalla comodità dello strumento?
[FB] Onestamente io non riesco neanche più a pormi il quesito: è
talmente pratico...
[LP] A livello musicale quello che conta di più è l'editing, che un
tempo non potevi fare su nastro, oppure lo potevi fare ma era molto
complicato. Il mondo dell'editing è esploso con lo sviluppo dei sistemi
digitali.
Nell'album c'è molto editing, oppure Pro Tools è stato
utilizzato come un semplice strumento di registrazione?
[LP] C'è molto editing, soprattutto per la selezione delle parti:
sulle batterie per esempio ci siamo trovati ad avere per lo stesso
brano anche quattro batteristi diversi, solo dopo abbiamo scelto.
Li avete mischiati fra loro in uno stesso brano?
[LP] No, una volta battezzato un batterista per un brano, la take
migliore, quella più adatta al mood, quello è stato. Dello stesso
batterista, l'editing consiste per esempio nella scelta del miglior
fill.
Le batterie sono state registrate tutte col click?
[LP] Sì, tutte. Però in trio, chitarrista e bassista davanti al
batterista, nella stessa stanza, con qualche piccolo rientro.
[FB] Anche per l’editing, il click non è stato sempre il
riferimento inderogabile: a seconda dei brani sono stati utilizzati
anche altri criteri di selezione; insieme al click spesso c’era un
tamburello pre-registrato, oppure un loop di riferimento per
aiutare ad entrare in un groove particolare. E’ molto più facile che
siano state montate le varie parti tenendo questi elementi aperti
piuttosto che il click, servito essenzialmente per la registrazione.
C’è dell’elettronica in questo disco, oppure è tutto
suonato?
[LP] E’ un album di chitarra, basso e batteria. Ci sono alcuni suoni
di chitarra che possono venir letti come elettronici: in realtà sono trattamenti
di suoni reali. E’ un disco elettrico: elettronica assente, a parte
forse un pad in un pezzo.
[FS] Questo riguarda anche il miraggio: come riverberi, effettistica,
c’è pochissimo, abbiamo cercato di mantenere il suono più naturale
possibile. Anche sulle batterie sono tutti ambienti naturali, non c’è
niente di sintetico, è stata proprio una scelta dei produttori: suono vero,
rock’n’roll.
In 15 anni di carriera Ligabue ha presto raggiunto un suono
riconoscibile, che alla lunga diventa un cliché. Al di là delle molteplicità
di interventi musicali diversi, alla fine il suono che esce fuori è lo stesso
di sempre oppure è diverso?
[FB] Penso che sia diverso, me lo auguro: la volontà di aprirsi a
nuovi contributi credo che derivi proprio dal non volere sentir dire che
è sempre la stessa minestra. Mi sembra che l’obiettivo sia stato centrato:
ci sono diverse novità rispetto al passato. E’ anche vero che noi siamo
i soggetti meno indicati per fare una valutazione di questo tipo. Abbiamo
ragionato a lungo durante il lavoro in studio. Per dirla tutta, in
Fuori come va? avevamo già introdotto moltissime novità, a
livello di criteri di realizzazione, di sonorità… però questa cosa non è
stata percepita più di tanto dal pubblico, per cui dall’interno non vorrei
sbilanciarmi, perché queste sono valutazioni molto soggettive.
[FS] Per l’ascoltatore medio, quello che arriva di più è lo stile di scrittura:
è chiaro che quello è Ligabue! Da un punto di vista sonoro abbiamo
cercato di diversificare: disco molto suonato, niente elettronica, ambienti
naturali. In Fuori come va? al contrario c’era molta elettronica
però l’opinione più diffusa è stata che quel disco non suonava “diverso”.
Per questo siamo andati a riascoltare quello che avevamo fatto: “Voglio
volere” per esempio era basato sul suono di un pianoforte (che Ligabue non
usa mai), per cui era proprio un mondo a parte. “Tutte le strade portano a te”
è un pezzo in cui l’arrangiamento è basato sull’editing di un feedback di
chitarra. All’utente finale, che non distingue nei particolari queste differenze,
arriva un pezzo di Ligabue, punto e basta.
In mixaggio è immaginabile che i due produttori abbiano messo
insieme al tecnico del suono le mani sul banco. Se però questo è un disco naturale,
è facile pensare che si debba (per il mixaggio) trovare solo un bilance corretto
fra i suoni, con pochissimi altri interventi.
[FS] I produttori hanno portato i suoni al mixaggio già come dovevano essere:
il mix è stato solo una messa a punto, abbiamo solo dovuto fare piccoli ritocchi.
Il lavoro è stato costruito con un obiettivo chiaro: il suono c’è, gli ambienti ci sono,
al livello in cui devono stare sul piano sonoro, per cui il mix è quasi più un problema
di scelte d’arrangiamento.
[LP] Come per costruire una casa, nel mix ci sono chitarra, basso e batteria, le fondamenta.
Dopodiché cominci ad aprire il resto: su quello abbiamo portato diverse opzioni, stesse
parti ma con suoni diversi, take diversi, con amplificatori o microfonature diverse, con
l’obiettivo di scegliere dopo il meglio, in regia. Anche perché nei mesi di lavorazione in
certi momenti ci siamo divisi: alcune cose sono state riprese nel vecchio studio, utilizzando
la vecchia regia, con la dotazione tecnica necessaria. Di solito abbiamo avuto una giornata
per brano, in cui abbiamo fatto le valutazioni fondamentali sulle diverse opzioni di suono,
cominciando a costruire un mix, in compagnia di Luciano, dopodiché Simoncioni in pochissimo
tempo lo ha finalizzato.
[FS] Sono contrario ai mix che durano giorni interi: sostengo la filosofia che un mix
lungo è un mix sbagliato, per cui si deve chiudere nell’arco della giornata.
> LA RIPRESA DELLA VOCE E IL MIXAGGIO
In questo album la voce di Ligabue viene fuori meravigliosamente bene:
molto presente, in “Cosa vuoi che sia” e “Sono qui per l’amore” grazie a una
tessitura strumentale meno densa sembra di avere Ligabue di fronte, un suono eccellente.
[FS] Sono sette anni che lavoro con Luciano: a ogni disco continuo
imperterrito a provare tutti i microfoni possibili per la sua voce…
Abbiamo provato anche preamplificatori e set up diversi, ma alla fine
torniamo sempre lì, non c’è niente da fare! Luca per esempio, “nuovo”
del team, ha portato molte macchine che non conoscevo e ho avuto
modo di provare, prodotti esoterici… ma alla fine per il timbro e
l’espressività di Luciano il set up migliore è proprio quello che abbiamo
utilizzato.
La catena è costituita da microfono Sony C800G, pre George Massenburg
Labs, con Tubetech CL1B (compressore, leggero), poi diretto in registrazione;
questo set up è stato utilizzato anche per i cori (la maggior parte li ho
cantati io, uno Barbacci, un paio Luciano stesso). In realtà questo disco
(è un’altra novità) ci sono dei trattamenti un po’ più spinti sulla voce,
soprattutto a livello di dinamica (compressioni violente). In mix poi
limitiamo molto, per cui un eccesso di limitazione comporta distorsione
armonica, una serie di cose che danno un colore particolare alla voce.
Principalmente come equalizzatore uso l’Urel 545 (che dà alla voce
un colorino che a me piace tanto, abbastanza chirurgico come tipo di
equilizzazione), seguito dal Distressor EL8 fisso in mix sulla voce
(come limiter e distorsore di seconda armonica, 10 dB di compressione
fissi), a volta addirittura plugin (tipo L1, L2 su Pro Tools). Il Distressor
secondo me è fantastico perché 10 dB d’intervento ammazzerebbero qualsiasi
suono, invece non lo senti lavorare. C’è un plus, che uso sempre e che mi sono
portato dall’esperienza negli USA, che è il Dolby A sulla voce: slitto il
canale della voce, da un bus mando lo split Dolby A in codifica (per cui applica
compressione e filtraggio da Dolby), torno con il segnale codificato
in un secondo canale, parallelo alla voce “pulita”; su questo secondo
canale codificato taglio proprio tutto sotto i 5.000 Hz, pendenza elevatissima,
per cui cominci a sentire il suono dai 10.000 Hz fino ad armoniche che arrivano
altissime (da Dolby), e addiziono questo segnale alla voce pulita, lasciandolo
fuori da qualsiasi tipo di trattamento (riverbero, delay). Così ti trovi la voce,
bagnata, morbida, ma sopra il bagnato hai sempre questa frequenza,
che ti tiene inchiodato alla voce e non perdi mai la presenza, una pasta
molto interessante.
Durante il mixaggio, che tragitto fa il segnale? Da Pro Tools
passa attraverso il banco SSL 4048 G Series e finisce nello Studer A820
a 1/2’’?
[FS] Esattamente: usciamo senza nessun tipo d’intervento su nastro a
1/2’’ analogico, tarato a un livello alto di registrazione (510 nanoweber).
Praticamente utilizzo la compressione naturale del nastro, che smussa tutti
i picchi (i transienti del digitale, che sono un po’ eccessivi, elevati) conferendo
al suono un colore che mi piace tantissimo. Parallelamente il segnale torna
comunque indietro a Pro Tools, per una copia digitale.
Dopodiché prendi i master di tutti i brani e te li porti a New York
per il mastering da Ted Jensen, allo Sterling Sound.
[FS] Da uno dei cinque grandi del mastering mondiale ci aspettiamo che
faccia il miracolo e tiri fuori il miglior disco italiano della storia! Un’orecchio
esterno, di grande esperienza, ci aiuterà a correggere eventuali difetti,
dopo circa sette mesi che lavoriamo a questo progetto. L’obiettivo
volume non è nelle mie priorità, però… ci piacerebbe che Jensen desse
a questo disco la sua impronta, una grossa presenza, nel più totale
rispetto del suono originale. Punch, volume, una botta all’americana
a un disco che è già così di suo.
> IL MASTERING ALLO STERLING SOUND DI NEW YORK
Passa qualche giorno dall’incontro allo Zoo col team di produzione di
Nome e cognome: nel frattempo Simoncioni e Barbacci sono volati
a New York per il mastering degli 11 brani che compongono l’album.
Per il mastering vi siete presentati con dei suoni (o un CD) di
riferimento?
[FS] Assolutamente no! Siamo andati da Jensen e gli abbiamo detto che
cosa volevamo ottenere: l’esigenza di Luciano (come quella di tutti gli
artisti) è di essere a un livello standard di volume (richiesto purtroppo dal
mercato), rispettando le dinamiche dei mixaggi. Dico purtroppo perché
nono sono d’accordo sulla corsa al volume. Dato il nostro mercato di
riferimento, abbiamo richiesto particolare attenzione sulla parte mono (voci,
batterie). Siamo arrivati con nastri pesantissimi da 1/2’’, uno per ogni
brano; mi sono comunque portato i miei backup su digitale (un HD, con le
sessioni originali, a 24 bit/96 kHz), perché all’ultimo dopo un lavoro lungo
e intenso puoi scoprire che ci sono dei piccoli errori, soprattutto nel rapporto
fra base strumentale e voce. C’era un brano in cui non ero soddisfatto di
questo balance, allora ho ritirato fuori il mix strumentale più la voce (separata)
e solo per quel brano lì abbiamo fatto il mastering con le due cose separate,
ribilanciando tutto. Jensen è velocissimo: dei mastering engineer coi quali ho
lavorato credo che sia il più veloce in assoluto; tutta l’operazione, compresi
gli ascolti, è durata sei ore, una scheggia! Oltretutto mi sono trovato in una
regia ce non conoscevo per niente, con degli ascolti (B&W) a cui non sono
abituato. Ero completamente nelle sue mani, non ero in condizione di dare
il mio parere (anche se non era richiesto, visto la fama del personaggio!).
Di solito mi piace avere il controllo della situazione… e lì non ce l’avevo.
In tutto questo, Jensen andava come un razzo: abbiamo ascoltato rapidamente
il materiale, nella sequenza voluta, poi lui ha cominciato a fare le sue
valutazioni, mi ha chiesto quale brano considerassi di riferimento, gli ho
indicato un paio di brani, lui li ha presi e da lì è partito, concentratissimo.
Ascoltando il risultato fuori dallo Sterling Sound, sono molto soddisfatto:
Jansen ha fatto un ottimo lavoro.
Che tipo di processori usa?
[FS] Ha un setup curioso, per le mie abitudini. Per quanto riguarda
il volume, lavora con plugin: ha Nuendo, su Macintosh, con quattro
plugin aperti, fissi, che sono mi sembra un Phase Linear Multiband Limiter
(a cinque bande) e una coppia di equalizzatori plugin che usa di default,
in ingresso, come controllo di volume. Dopodiché la sua catena standard
comprende EQ Focusrite Blue 315, poi API 550 (un equalizzatore che non
c’entra niente col mastering, usato massicciamente); a seguire, un EQ Sontec,
che alterna o somma al Focusrite a seconda della quantità d’intervento
che deve fare, ultimo in catena un limiter autocostruito da George
Massenburg, con la firma a mano su una scatola grigia, brutto da vedere
ma con un suono molto efficace. Con queste quattro “scatole” ha fatto
un mezzo miracolo! A livello complessivo, il segnale è elevatissimo:
Jensen ha detto che è riuscito a dare + 8/9 dB ai mix, che non erano
altissimi perché avendo masterizzato su nastro analogico non ho il
range dinamico che potrei avere su Pro Tools, per cui gli ha dato una
grandissima botta. Ma la cosa che mi ha colpito di più è che se tu
guardi la forma d’onda (sono abituato a vedere dei bei cubetti, limitato,
compatto, una cosa normale per ottenere poi il livello di volume che
serve) comunque ha respiro: complessivamente è ovvio che le forme
d’onda hanno l’aspetto “limitato”, però c’è aria!
Quando siete tornati indietro e avete fatto ascoltare il
mastering eseguito a New York, quali sono state le reazioni?
[FS] Con Barbacci a New York siamo tornati in hotel, dove
avevamo il nostro CD-player e un impianto su cui ascoltare. Eravamo
soddisfatti, ma sempre col dubbio, non avendo i nostri riferimenti;
abbiamo comunicato il nostro entusiasmo agli altri, vabbé… sentiremo.
Arrivati in Italia, eravamo distrutti, abbiamo lasciato il CD in studio,
spinto play e chiesto di poter fare una doccia… Quando siamo tornati,
era un’apoteosi: tutti in piedi, che ballavano, contenti, Luciano entusiasta,
mi ha detto che per lui è il più bel mastering che abbia mai avuto. Una
grande soddisfazione, anche un po’ inaspettata, perché abituato a
mastering lunghi e faticosi, anche belli, dentro di me ero po’ preoccupato
per la brevità.
Il master su che supporto è stato consegnato per la
duplicazione?
[FS] Siccome a New York abbiamo solo fatto mastering (non
editino, non abbiamo montato fisicamente l’album), ci siamo
riportati indietro un Exabyte con la copia lavoro, più un paio di copie
CD per l’ascolto, dopodiché al Nautilus di Milano abbiamo ricaricato
l’Exabyte e montato il tutto in edit (coi fade-in, fade-out, tendine, ecc.),
per consegnare un altro Exabyte alla fabbrica.
> PAROLA DI LIGA
Nel suo Zoo, Ligabue è un quarantacinquenne disteso, visibilmente
soddisfatto, indaffarato nella chiusura di un album e nella preparazione
di un concerto enorme (“Campovolo”, a Reggio Emilia).
“Spero che questo disco svolga una funzione sana: quella di essere
l’album fotografico dell’ultimo periodo che ho vissuto, come se
riuscisse a rappresentare, per quanto possibile in maniere fedele, le esperienze
vissute negli ultimi tre anni e mezzo, alcune drammatiche, altre entusiasmanti,
anche da un punto di vista privato, e il fatto che sulla base delle esperienze
il tuo punto di vista un pochino cambia”.
Questa è la sua visione su Nome e cognome, ma il fatto di avere
Luciano a disposizione invita a toglierci qualche altra curiosità.
Secondo il tuo “sentire”, in questo periodo ci sono
stati dei cambiamenti nel modo di scrivere, di comporre, di
concepire strutture e suoni?
[Ligabue] In termini di scrittura credo che tutti, quando
scriviamo, ci lasciamo andare un po’ alle cose che ci piacciono,
facciamo emergere cose che ci rappresentano in un momento
specifico. Più di tanto non si cambia: se hai un mondo che ti
rappresenta musicalmente è difficile allontanarsene.
Dopodiché è anche vero che tante volte ti sembra che quel mondo
abbia bisogno di più spazio, di altre esplorazioni, per cui ti viene
di fare dei tentativi, di annusare un’aria diversa. Credo che questo
nel disco ci sia: è un album con una componente di partenza quasi
contraddittoria, una forte componente rock, ma allo stesso tempo
molto intimo. Queste due cose di solito non vanno insieme: col
rock racconti sesso, trasgressione, mediamente usi corde musicali
differenti per esprimere la tua intimità, il tuo modo di vivere i
sentimenti. Ciononostante, secondo me, questi due elementi
riescono abbastanza a convivere nel disco: è una mia sensazione,
chiunque avrà il diritto di contraddirmi.
Ho sempre utilizzato un metodo: ho scritto delle canzoni, voce
e chitarra, spesso dei riff portanti, non so… da quello di “Balliamo sul
mondo”, “Salviamoci la pelle”, a quello di “Libera nos a malo”, piuttosto
che di “Vivo morto o x”, che secondo me sono parte dell’essenza della
canzone, non più forma ma sostanza, con un’idea di batteria (quella di
“Vivo morto o x”, per esempio, era un pattern che avevo in testa da
casa). Per cui: arrivavo, mi mettevo a sedere in una stanza e
intorno a me avevo un gruppo di persone che prendevano in mano gli
strumenti. Con questi elementi a disposizione (che diventano anche una
gabbia) lavoravano sui brani con me. Stavolta abbiamo voluto cambiare:
ho voluto suggerire le mie sensazioni, ma giocando; i provini li ho fatti
completamente, a casa, con tutte le parti d’arrangiamento, usando Logic.
Alcune di queste idee sono state trasportate nel disco, con una logica
diversa: non quella di avere un gruppo attorno, ma di avere tante mani
diverse, modi d’esprimere la propria personalità su uno strumento;
ha penalizzato un po’ il lavoro di gruppo, di cui sono sempre stato molto
orgoglioso, ma questa scelta significa la voglia di sfrondare, di vedere che cosa
succede con un metodo diverso, collaborazioni diverse.
Era anche la necessità di non sentirsi troppo comodi seduti nella propria
poltrona. Ovviamente c’è anche una ricerca d’apertura. “Aperto” mi sembra un
aggettivo corretto per questo album: è aperto, per tutti i tentativi fatti per ottenere
il miglior suono possibile o la migliore atmosfera, anche per quello che dice.
In questi anni hai composto testi e musiche che ti rappresentano
direttamente, hai scritto libri, sceneggiature, diretto due film. Questi diversi
tipi di scrittura quanto ti aiutano nella scrittura musicale?
[Ligabue] Scrivere canzoni è sempre una cosa a parte.
Scrivere una sceneggiatura vuol dire fare i conti con delle regole, molto
diverse da quelle della canzone, soprattutto con regole produttive (leggi:
costi) lontanissime dal mondo della canzone.
Per la narrativa, ho due esperienze: i racconti, secondo me, hanno la
possibilità di avere una struttura molto libera, non c’è la necessità di uno
scheletro importante, si può sperimentare, mentre con il romanzo
ci deve essere uno scheletro importante, però hai la fortuna che puoi
veramente scrivere quello che ti pare.
Non è un caso che “La neve se ne frega” sia ambientato nel 2179 e non
sia riducibile a un film, perché costerebbe troppo, in Italia… dentro ci
potevo mettere tutto quello che volevo! Per quanto riguarda lo
scrivere canzoni (è una mia teoria, molto personale), sono abbastanza
convinto che le canzoni debbano viaggiare all’interno di un arco
circoscritto di parole, un lessico molto limitato, 400/500 parole,
non di più, che devono avere una funzione sonora oltreché
comunicativa. Sono felice di aver letto nell’autobiografia di
Bob Dylan che ha cercato molto di far suonare le parole, più
che attribuire loro valore per il significato: detto da Dylan,
che nelle sue canzoni ha caricato molto il significato, è una cosa
che mi ha rincuorato… Nella mia testa la canzone è comunicazione
popolare, non è di nicchia, deve avere una sua facilità, una
scioltezza nel suono, nella comunicazione
L’attuale allestimento dello studio ti ha pemesso
per la prima volta di realizzare qui tutta la lavorazione dell’album,
dalla pre-produzione al mixaggio.
[Ligabue] Lo studio è diventato così perché potessi stare
tranquillo: ho avuto una vita privata un po’ complicata (un
figlio da tenere diversi giorni alla settimana, una nuova famiglia),
tutta una serie di situazioni personali qui a Correggio e il nuovo
studio mi mette in condizione di poter lavorare avendo uno
studio mio, seguendo anche i mixaggi, e nello stesso tempo
continuare a fare quello che devo. Era un obiettivo: è chiaro che può
sembrare un’assurdità, in un momento in cui il mercato è quello
che è, avere a disposizione uno studio così, una bella struttura,
con una buona zona relax, ecc. Però credo che questo rientri
fra le cose che merito: alla fine, siccome non mi concedo
molti lussi, credo che sia lecito avere uno studio mio, a disposizione
di quando ne ho bisogno, per fare in modo che il lavoro sia
controllato come voglio.