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Ligabue riparte in tour nei palasport
"Prossima sfida: l'opera rock"

L'INTERVISTA. Il 26 prima tappa a Genova. Il cantautore parla di questa nuova fase della sua carriera.


(di Gino CASTALDO)


ROMA - Di notte i pensieri rock viaggiano più veloci. È quasi mezzanotte, Luciano Ligabue è appena uscito dagli studi Rai di via Asiago e le strade buie sono spazi vuoti da riempire con la fantasia. Il Liga è ripartito, da zero, ricominciando dai club ("incredibile, mi sono ritrovato con la mia vecchia band, i Clandestino e con la gente a un metro davanti al palco, mi sembrava di essere tornato agli inizi, ma con tutta l'esperienza che ho accumulato in questi anni"), da domenica a Genova passa alla fase palasport, con il gruppo attuale, e poi dal 19 maggio ad Ancona la terza fase, quella ruggente degli stadi. Rock e sempre rock. Possibile che abbia ancora un senso?
"C'è poco da fare, se uno deve individuare la mia cifra stilistica è l'emozione. Sono fatto così, vivo di quello".

Ma dica la verità, davvero riesce ancora a emozionarsi?
Non solo mi emoziono, la realtà è che me la godo. Per lo stesso motivo per cui nella vita sono uno tra il timido e il riservato, sul palco mi sento al sicuro. Mi sento capace di sostenere lo sguardo e l'attenzione di chi c'è, e soprattutto mi sento a casa.

Mai successo di provare la sensazione di aver imparato in un concerto qualcosa di nuovo, che prima non sapeva?
Soltanto in due momenti, la mia prima esibizione, febbraio 1987: concerto al centro sociale Lucio Lombardo Radice di Correggio davanti a 100 amici, un'illuminazione. Non immaginavo che avrei avuto la possibilità di sentirmi forte sul palco. La seconda fu nell'ottobre del '90. Era uscito da pochi mesi l'album Ligabue, ero finito a suonare a una Oktoberfest ad Alessandria, la prima volta fuori dalla mia regione, l'ingresso era diecimila lire compresa la birra, e c'era la gente che cantava tutte le canzoni. Quella cosa lì mi ha insegnato il peso che possono avere le canzoni, la più grande lezione sulla responsabilità. Una rottura di palle immane ma ti ci devi confrontare. Se tu dici in una canzone che "cinque ragazzi sono su una macchina e inseguono una striscia invitante talmente accogliente da perderci il fiato" (in Sogni di rock'n'roll) non puoi permetterti di essere così ingenuo da non pensare che alcuni possano pensare che quella striscia sia una striscia di coca. La mia intenzione era diversa, ma poi mi sono ritrovato gente sotto il palco che faceva il gesto di sniffare. Continuo a sostenere che chiunque faccia il mio mestiere al suo meglio è uno specchio, anzi uno che regge lo specchio. C'è gente che passa di lì e qualcuno si ferma a guardare.

Andiamo più a fondo. Il suo ultimo disco sembra molto più personale dei precedenti. Che sta succedendo nella sua vita?
Credo che il disco lo racconti bene. È un momento in cui sono riuscito, credo, spero, a essere più tenero. Non so se sia un bene, in genere non è una cosa che si richiede a un rocker. Ho usato la parola amore come non mai, e ho dovuto vincere un forte pudore. Prima mandavo avanti dei personaggi. Quando arrivi a dire una cosa così ovvia come "l'amore conta", vuol dire che sei in una fase in cui questa cosa ha un'urgenza.

Anche De Gregori nell'ultimo disco ha detto "ti amo"...
Sì lo so, e a volte non è così semplice come sembra. C'è una canzone nel mio disco, Sono qui per l'amore, con un testo che è tra i meno chiari che abbia scritto. Ma è quello che cerco di portare avanti col mio mestiere, ovvero: sono qui per l'amore. Poi uno fa presto a fare la battuta: ciccio, sei qui anche per la cassa.

È notte, Ligabue, approfittiamone. Cosa c'è davvero in quella canzone?
La prima strofa: "sono qui per l'amore, per le facce curiose che fa, per la coda alla cassa con il saldo lasciato a metà, per le gabbie di carta e la chiave scordata in cantina". Per me è l'esilità delle gabbie che ci costruiamo da soli e la nostra abilità di dimenticarci la chiave. Ora, le canzoni non andrebbero mai spiegate, non saprei dire fino in fondo cosa significa il verso del ritornello: "con tutto il sangue andato a male e poi di colpo questo andarsi bene", però di sicuro dentro c'è un tema per me cruciale: io ho bisogno di pensare che la mia vita sia intensa, sia fatta di momenti che vale la pena vivere.

Il rock è una garanzia per una vita intensa?
È stato il modo più naturale e più forte per potermi permettere la sfacciataggine delle emozioni.

Ma il rock è ancora una missione?
Come in tutte le cose c'è gente molto cinica, e molti che ci credono. Personalmente penso che uno come Bono ci creda molto.

E Springsteen?
Penso che ci creda moltissimo. Dirò di più, penso che anche Dylan ci creda moltissimo anche se vuole fare la parte del cinico.

E lei ci crede?
Ci credo. Penso che come un buon film o un buon libro possa migliorarti la giornata. Io in missione mi ci sono sempre sentito. Che è anche un limite perché a volte mi prendo troppo sul serio.

Un guaritore?
No, non esageriamo. Va beh, ci sono stati episodi di persone in coma che si sono risvegliate con la mia musica in cuffia, ma questi sono casi estremi. Rimane la forza dello specchio, io credo che nelle persone ci sia già tutto e il rock sia un ottimo specchio, ben pulito. Io non posso permettermi di parlare a un'élite; se Ivano Fossati sente che una sua canzone arriva a una nicchia profonda di ascoltatori, pensa di aver fatto la cosa giusta, a me succede il contrario. Per me la canzone non può non essere popolare, e questo mi ha portato a scelte precise, al rifiuto del congiuntivo, a scelte tecniche che hanno a che fare con una comunicazione molto viscerale.

A rischio di risultare un po' didascalico?
Nel disco canto "tienimi su la luce, fatti vedere meglio", sto dicendo che siamo in un periodo buio, e sto cercando una luce a cui attaccarmi attraverso l'incontro con una persona, "fare l'amore o sesso poi non è più un dettaglio", che è molto diverso dal ruolo un po' macho che tante volte si attacca alla figura del rocker. "Baciami la fortuna", non so ancora oggi cosa voglia dire questa frase, non credo che queste immagini siano così didascaliche, possono avere molte interpretazioni se uno ha tempo e voglia di farle. Una sera ero a cena con De Gregori e gli ho confessato di essere da sempre un fan della canzone Atlantide, anche perché non avevo capito niente e mi piaceva moltissimo poter pensare di continuare a non capire niente. Lui purtroppo mi ha spiegato cosa vuol dire, e dico purtroppo perché adesso mi piace meno.

Ligabue ovviamente è anche un fan...
Sempre. Da ragazzo stavo sentendo Punto Radio, la radio dove lavorava Vasco, e a un certo punto uno mise Jungleland di Springsteen.
Io mi bloccai e scoppiai a piangere. Ma ancora oggi posso mettere la registrazione di Where the streets have no name degli U2 e ogni volta mi metto a tenere il tempo a braccia aperte.

Un'ambizione segreta?
Le mie ambizioni le ho vissute tutte, ma a dire la verità c'è una cosa abbastanza assurda che rimbalza tra me e Domenico Procacci della Fandango, ed è il progetto di una rock opera. È talmente assurdo che ogni tanto ci ripenso.


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