Recensione del libro


"Fuori e dentro il borgo" è il primo libro scritto da Luciano Ligabue, uscito nelle librerie italiane a ridosso del successo ottenuto con "Buon compleanno Elvis", ma soprattutto con il doppio cd live "Su e giù da un palco".
"Erano le prime settimane del '97 e l'idea era quella di scrivere un libro. Niente di organico e complicato, così, una serie di racconti su quel che mi frulla in capo e soprattutto vedo/ho visto: oggi, dieci anni fa, con gli occhi, con la mente. A Correggio, ma non solo.
Avevo scritto sei o sette racconti per "Smemoranda" negli anni, per il diario e per "Direfarebaciare". Ogni anno scrivo una cosa per l'agenda, perché sono amico di Gino e Michele, sono persone splendide con cui sto bene, fratelli neroazzurri. Gli regalo anche i miei pezzi che loro usano negli spot, poi la gente mi dice che sono un venduto anche se non prendo una lira. Va bé.
Fatto sta che a un certo punto si fecero avanti quattro o cinque case editrici, anche importanti, che volevano un mio libro. In realtà non avevano la minima idea di che libro poteva essere. Volevano un libro e basta.
A quel punto scattò il famoso discorso del "perché no". Scattò quando la proposta me la fece la Baldini & Castoldi, che conosceva gli scritti che avevo fatto per "Smemoranda" e sapeva quindi se ero in grado di mettere insieme due parole o no, e su che cosa. Insomma, mi chiesero un libro vero, mentre qualcun altro voleva che io facessi una raccolta più che altro per i fans, con aforismi e frasi fatte. Il progetto mi piacque e più ancora mi attirò l'idea di misurarmi con un libro di racconti; un genere perdente, i libri di racconti in Italia di solito vanno malissimo. La sfida mi stimolava.
Avevo deciso di non prendere modelli. Volevo vomitare parole e questo buttar fuori fece emergere una scrittura secca, senza aggettivi, soprattutto molto ritmata.
"

Nasce così una raccolta di 43 racconti, scritti dal cantante romagnolo in momenti e circostanze diverse... tanto da poterne trovare alcuni che narrano storie bizzarre, legati in qualche modo al buonumore... altri più riflessivi, maggiormente meditativi su problemi e momenti particolari di Liga ma non solo. Il filo conduttore di tutte le storie raccontate da Ligabue è il borgo, il luogo dove il cantante ha coltivato le prime aspirazioni, dove è cresciuto e al quale è rimasto inevitabilmente legato.

La scrittura è quella del racconto popolare, della "storia orale", mentre i protagonisti sono personaggi che riescono in un modo o nell'altro a costruirsi da sé il proprio mito, indipendentemente dal fatto che siano compagni di bevute, ragazzi del borgo oppure grandi registi o cantanti.
Emerge la consapevolezza di Luciano che forse senza tutti i personaggi apparentemente "privi di significato", bizzarri ma non necessariamente importanti, probabilmente anche lui stesso ora sarebbe diverso; ed è per questo che il racconto sfuma nel diario e il diario, quando il cantante è lontano dal borgo, ritorna facilmente nel racconto... in un alternarsi di storie "minime" ed altre "tragiche", come l'omicidio del padre di Tito, che stuprava la figlia; la brutta fine di Freccia; quel che è successo alla Cianciulli; il ricordo dello scrittore più famoso del borgo, morto tre piani sopra la casa dell'allora piccolo Luciano.

"Nel momento in cui ti decidi di scrivere racconti, puoi scrivere un racconto di trenta righe o cento pagine. Non hai alcun obbligo dal punto di vista formale né lessicale né di struttura, come invece nelle canzoni. Questa libertà mi ha eccitato. Io il libro mi sono divertito moltissimo a scriverlo, così, di getto: una cosa più di pancia che di cervello.
Penso che questo libro abbia il pregio di rispecchiare l'intensità con cui scrivo anche le canzoni. Io credo che la cosa che devo assolutamente a chi mi segue è la visione dell'interno delle mie budella. Credo che sia giusto, credo sia un prezzo onesto da pagare da parte di chi fa questo mestiere, far vedere quello che c'è dentro; e questo lo puoi fare solo così, certe cose puoi farle emergere solo in maniera emotiva, perché nel momento in cui attivi il processo razionale attivi anche le tue censure. Scrivere così vuol dire fare un enorme investimento dal punto di vista emotivo e, forse, un investimento inferiore da un punto di vista intellettuale. Ma io trovo che sia giusto così, a me sta bene.
Piergiorgio Paterlini (editor) ha avuto un ruolo fondamentale: mi ha aiutato a vincere le paure che avevo all'inizio, mi ha fatto capire che ce la potevo fare. Quando ho avuto il suo okay dopo quattro o cinque racconti, quando mi ha detto: "Luciano, forse non faccio bene il mio mestiere, ma qui non c'è niente da toccare", bé, sono filato via a razzo e ho scritto ancora più intensamente e con più piacere. Il suo è stato un intervento superdiscreto, e più sulla selezione dei racconti che sul resto. Ne avevo scritti in tutto cinquantuno, cinquantadue. Ne sono usciti 43, il resto erano ripetizioni o cose di poco conto.
Questo lo sento assolutamente come il MIO libro. Credo che addirittura, rispetto alla musica, con il libro sia andato un po' oltre alle mie possibilità. Non so perché, ma ho questa sensazione: di aver toccato dei punti che non credo di aver raggiunto con la musica e forse neanche con il film.
Mi sono reso conto di nominare spesso i due premi letterari che ho preso per questo libro, il "Fiesole" e l'"Elsa Morante". Sono molto orgoglioso. Sono orgoglioso che una giuria, che due giurie di letterati che in teoria avrebbero potuto avere un sacco di pregiudizi rispetto al libro, non solo lo abbiano letto, ma addirittura abbiano deciso di premiarlo.
"

Concludo con una citazione dalla presentazione del libro:
"Perché questo è il borgo: racconto e memoria, memoria e racconto, e per questo il cantante sa cosa lo aspetta quando vi torna. Se stesso, lo aspetta. Se stesso, e le strade, la gente, perfino le cose, che lo guardano e lo interrogano non meno delle persone, e i "42 sassi" che gli appartengono di diritto, secondo il rigoroso calcolo fatto da Mandrake e Valvoline in un lungo, noioso pomeriggio invernale."


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