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Con Secondo tempo, il vulcanico e instancabile cantautore completa il discorso iniziato a novembre col primo disco. E dopo aver girato l’Europa, ora riparte con "Elle Elle tour".


(di Gigi VESIGNA)


Primo tempo: nel novembre 2007 si apre il sipario e comincia lo spettacolo di Luciano Ligabue che coincide con l’uscita di un album che è la mezza somma (con qualche inedito) di una ventennale carriera. Sette concerti a San Siro, oltre mezzo milione di spettatori.

Intervallo. Per il secondo tempo bisogna aspettare il 7 aprile di quest’anno, quando lo spettacolo ricomincia con nove concerti in altrettante città europee, da Amsterdam a Londra, passando per la Spagna, la Francia, la Svizzera e la Germania: stavolta non sono gli stadi ad accogliere il Liga, ma i club di dimensione più "umana", dove il feeling è molto più arduo da ottenere.

Con l’uscita di Secondo tempo, con due inediti e un ghiotto momento musicale nato otto anni fa dalla collaborazione con l’inaccessibile Francesco Guccini, in teoria lo spettacolo dovrebbe considerarsi concluso. Giusto, Luciano?

Il sorriso dolce mi contraddice. «Il 4 luglio riparto con "Elle Elle tour", una serie di concerti che partono da Milano e si concludono a Palermo. Poi, a settembre altri sette concerti all’Arena di Verona. Non ce la faccio a star lontano dalla musica».

Quest’anno nessuna squadra italiana di calcio è arrivata alle finali delle competizioni europee di calcio. Lui, dopo aver stravinto in casa, come dice in Ho ancora la forza, ha giocato fuori casa e ha vinto ancora.

Com’è stata questa esperienza? E come ti hanno accolto a Londra, dove abitano da sempre il rock e anche il pop?
Partiamo dal presupposto che questo tour aveva la funzione di farmi incontrare pubblici diversi, per me ogni pretesto è buono per salire su un palcoscenico. L’Europa che ho incontrato è stato un luogo anomalo, perché il pubblico che veniva ad ascoltarmi in parte era italiano, e gli altri erano gente curiosa di capire chi fosse il sottoscritto, e veniva con aria di sfida del tipo "vediamo cosa sa fare" questo qui. Alla fine si sono arresi alla musica, e allora ho avuto la sensazione di quando facevo i primi concerti in Italia, rivedevo le stesse facce, solo che a differenza di questi, là capivano le parole.

È successo anche in Inghilterra?
Lì è stata più dura: gli "indigeni" s’erano accomodati con le braccia platealmente incrociate e un’aria di sfida, ma alla fine erano tutti in piedi come a San Siro, come a casa.

Quindi pensi di esserti aperto un mercato nuovo?
Se sei italiano e non fai la melodia che tutti si aspettano, ma ci provi col pop e col rock, allora dovresti cantare in inglese. Io, visto che ho appena... 24 anni (battuta a parte è nato a Correggio il 13 marzo 1960, ndr), devo capire se cominciare o no questa avventura. Sinora quella strada non l’ho mai trovata percorribile, la linea che scelgo di usare nelle mie canzoni è molto precisa nel suo essere chiara, comunica con un linguaggio parlato e spesso gergale. L’inglese è la lingua ritmica per eccellenza, quindi è più facile farci pop e rock, ma non è un caso se non riesci a trasmettere le immagini come vorresti. Comunque ci sto pensando.

Per i concerti all’estero hai fatto campagna acquisti, scritturando nuovi musicisti, addirittura affidando per la prima volta l’intera operazione, produzione del disco compresa, a Corrado Rustici. Sinora avevi sempre fatto tutto da solo...
Era ora che mi togliessi di dosso il peso di missioni impossibili. Rustici è un mago in questo e ciò che abbiamo fatto all’estero è stato una specie di rodaggio. Il pubblico italiano conoscerà un nuovo tipo di musica, uguale e diversa.

Com’è nata la canzone "Ho ancora la forza", premio Tenco nel 2000, che hai scritto con Guccini, un personaggio davvero difficile da "catturare"?
C’era stata la possibilità di conoscerci bene durante la lavorazione del mio film "Radiofreccia", dove Guccini amabilmente s’era prestato a interpretare un barista, e c’è venuta l’idea di scrivere una canzone insieme. Siamo stati subito d’accordo che la canzone riguardasse soprattutto lui, infatti alla fine dice: "Ho ancora la forza di fare la mia parte". Tra l’altro nella versione originale si diceva: "Abito sempre qui da me, in questa stessa strada che non sai mai se c’è". Era un chiaro riferimento a via Paolo Fabbri 43, che non era solo la strada dove abitava fisicamente, ma anche il titolo di uno dei suoi album più famosi.

E tu hai ancora la forza?
Dopo due dischi che raccontano la mia storia e che in qualche modo segnano la fine di un ciclo, e lo ribadisco proprio in chiusura di Secondo tempo, ho ancora la forza e la voglia di cominciare un’altra partita, o quello che sarà.

Luciano Ligabue, ovvero come usare i media a 360 gradi: alla presentazione del suo disco c’erano 12 telegiornali e aveva tenuto una conferenza stampa con giornalisti di 20 testate.

Ma quando ci siamo incontrati davanti a una bottiglia di acqua minerale, sembrava fosse appena uscito dalla doccia: facile allora parlare di un libro, La neve se ne frega, che ha venduto oltre 200 mila copie e che è stato presentato da Alessandro Baricco e Fernanda Pivano prima di diventare un fumetto; facile tentare di scoprire se ha voglia o intenzione di girare il suo terzo film («Non ho in mente una storia giusta e sai bene quanto le idee nascono per germinazione spontanea, ma sono sicuro che il produttore dei miei film si farà vivo presto»). Facile anche fargli confessare che non perde una puntata di Lost, ma segue parecchi altri telefilm, come Heroes.

E proprio da questi due grandi successi televisivi, probabilmente, è venuta l’idea del video, davvero coinvolgente, che lancia l’inedita Il centro del mondo, una specie di storia spazio-temporale che racconta l’incontro di due ragazzi con un superpotere, la telecinesi, che li avvicina e li separa.

Luciano, parliamo di "Luna di febbraio", il lambrusco che è un po’ la storia della tua famiglia...
Quello è un giochino a cui teneva molto mio fratello Marco (ottimo chitarrista di un gruppo che si chiama Rio, ndr ), perché voleva portare avanti la tradizione familiare. Dai e dai c’è riuscito, ma io ero d’accordo a patto che venisse prodotto solo per essere regalato agli amici. Poi è scappato fuori il diabolico Internet ma io, ripeto, sono d’accordo sulle tradizioni, non sulle commercializzazioni.

Questo significa che non lo assaggeremo mai?
Beh, magari un cartone, a titolo di amicizia, te lo mando, se mi ricordo.

Liga non dimenticartelo, tanto sappi che la "Luna di febbraio" ha già reso migliore una mia cena.


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