Le origini
Ogni cosa ha una sua origine. Per trovare quella di Luciano Ligabue si può benissimo saltare a una frase detta dodici anni dopo il suo debutto. Tanto per essere esatti, allo Stadio Olimpico di Roma, la sera del 15 luglio 2002, quando Luciano parla al pubblico: "Allora... voi lo sapete con precisione perché siete qui, questa sera? No, voi ne sapete solo una parte. La parte che sapete voi, e che è bellissima, è quella che avete deciso di essere qua per i motivi vostri. La parte che, forse, non potete sapere è che voi siete qua questa sera perché è successo un fatto, tanti anni fa. E il fatto è legato a un omino che gestiva una balera e... rientrava in casa, la domenica mattina, e tutte le volte diceva al sottoscritto: i musicisti son tutti dei morti di fame. Poi, io, ogni tanto seguivo questo omino nella sua balera e vedevo che questo omino aveva un grandissimo rispetto per qualsiasi musicista di liscio. Finché questo omino, che tutte le settimane mi diceva 'i musicisti son tutti dei morti di fame', un giorno venne a casa con una chitarra. Io non gliela avevo chiesta. Decise lui di portarmela a casa e quando regali una chitarra a qualcuno lo costringi, quasi, ad imparare a suonare. Ecco, voi siete qui perché comunque su questa terra è passato questo omino che, purtroppo, se n'è andato sette mesi fa e si chiamava Giuanin".
Luciano Ligabue è un bambino che ascolta tantissime canzonette: una
vera e propria passione che cresce col passare degli anni.
Ma lo start verso la vita del piccolo Liga è un po' difficile, nel
senso che nasce in casa come si usava un tempo, con solo
un'ostetrica e nessun altro tipo di assistenza. Sua madre è molto
giovane e, in quelle condizioni, il parto si presenta complicato.
L'ostetrica non si accorge che il cordone ombelicale chiude la fronte
del nascituro e per questo non riesce a estrarre il bambino. Il tempo
passa, la resistenza della madre viene sempre più fiaccata e l'ostetrica
non trova la soluzione. Alla fine, quando se ne accorge, è quasi tardi:
la mamma è stremata e il bambino in serio pericolo. Riesce a far scivolare
il cordone dalla fronte del nascituro e forza la madre alle ultime
disperate spinte necessarie per estrarre il piccolo. Il quale,
quando esce, è cianotico, ma fortunatamente, dopo poco, dà normali
segni di vita. "Luciano non viene da cianotico" scherza Liga
a riguardo, "ma è una coincidenza bizzarra".
Poi, sempre a sottolineare una partenza difficile, quando il piccolo ha
un anno e mezzo, è colpito da pertosse talmente violenta da provocargli
un'appendicite, di cui però non si accorge nessuno: il medico continua
a sostenere che si tratta di un'influenza. Sua madre insiste a farlo
visitare, ma sempre con lo stesso esito, anche se la situazione si
trascina e non è per niente tranquilla. Un giorno va in farmacia per
provare a chiedere almeno un ulteriore parere, anche se da un farmacista,
e lì, per fortuna, s'imbatte casualmente in un altro medico che, visto
il colorito del bambino, lo visita al volo. Gli basta poco per capire
e portarlo d'urgenza in ospedale: l'appendicite era già peritonite. Non
proprio la cosa più semplice a diciotto mesi di vita.
Per non farsi mancare niente sul fronte della sfiga, subisce pure, tre
anni dopo, un'operazione sbagliata alle tonsille. Intervento che, fra
l'altro, ha convinto Luciano essere un po' alla base dell'anomalia della
sua voce: un'anomalia che si rivelerà poi un'arma vincente a livello
canoro, ma queste sono considerazioni col senno di poi. Dunque, un'operazione
innocua, risolta sempre nell'arco di un paio di giorni, qui riesce a
diventare pericolosa. L'intervento è stato eseguito maldestramente e
Luciano sembra addormentato ma, nella realtà, ha come perso conoscenza.
In quelle condizioni continua a inghiottire il sangue dell'emorragia
in corso. Nessuno può sospettare niente. Va avanti così quasi tutta la
notte, fin quando sua madre, che comunque vegliava, preoccupata dal
pallore del bambino, lo scuote un po'. Dalla bocca di Luciano esce un
enorme sbotto di sangue. Parte l'emergenza e un secondo intervento.
Non è mai stato chiarito alla famiglia cosa sia accaduto di preciso in
quel primo intervento, si sa solo che Luciano resta in ospedale per 24
giorni a causa di una banale operazione alle tonsille e per qualche anno
il suo sistema immunitario funziona poco e male. Forse da qui deriva
quella anomalia alla voce e una notevole sensibilità alla gola, che
tuttora Ligabue deve tenere protetta. Molti pensano che si tratti di
una voce da fumatore incallito, ma Luciano non ha mai fumato in vita
sua e quella voce così particolare è probabilmente frutto di un mix di
natura e bisturi.
Tutti questi problemi finiscono col provocare una certa fragilità
congenita nel piccolo Luciano, che si ritrova anche con un sistema
immunitario compromesso. Di conseguenza, è messo nelle condizioni non
proprio di isolarsi, ma di sviluppare una visione tutta sua della vita:
un trip in cui si rifugia per dare libero sfogo alla creazione di un
mondo fantastico, modellato sui suoi desideri e su come lo avrebbe
voluto. Per questa fragilità è costretto spesso a stare in casa,
rinunciando a tutto ciò che fanno i suoi coetanei, a cominciare dai giochi
in strada. Ma è una condizione con la quale deve convivere, non può farci
niente nessuno. Questo periodo di cura estrema dà alla fine i suoi frutti:
alle elementari Luciano è ristabilito e scopre lo sport.
Ma resta un bambino con una forte predisposizione alla creatività, che
si sviluppa attorno a un'interpretazione molto soggettiva della realtà.
Anche i suoi rapporti con gli altri sono condizionati dalla rappresentazione
assolutamente originale che s'è fatto del mondo. Un mondo interiore che
genera timidezza, oltre che i più classici degli atteggiamenti introversi.
L'amore per il calcio nasce in questo periodo. Pensando che lo sport
possa fargli bene sotto tutti gli aspetti, i suoi genitori lo iscrivono
alle giovanili della Corregese.
Ognuno s'innamora di quella che sarà la squadra del cuore per tutta la
vita attorno ai cinque, sei anni, sulla base di chi vince di più in
quel momento: "Ed eccomi qui interista".
"Il calcio" spiega Liga, "c'entra molto nella mia vita, perché
avendolo praticato, mi ha formato fisicamente e mi ha fatto sviluppare
meglio il sistema immunitario. Ma è stato formativo anche sotto altri
aspetti: disciplina, attenzione e rispetto per gli altri, oltre alla
capacità di fare squadra, di lavorare in una squadra e per una squadra.
Olio canforato e carne greve, il tè a fine primo tempo e le prime divise
complete. Una volta che ci hai giocato ti porti dentro delle immagini
con cui convivi per sempre".
Grazie al calcio, Luciano capisce che in qualche modo è importante
condividere tutto insieme agli altri, senza eccedere, mantenendo ben
chiaro l'obiettivo che è solo una partitella fra ragazzini: di fatto, un
risultato importantissimo da ottenere. "Mi piaceva anche che ci fosse
un senso di complicità, di attenzione, di rigore rispetto a una cosa che
si faceva insieme, ognuno rendendosi responsabile per la squadra".