12 giugno 2006
Ciao a tutti.
Poi mi spiega che Massimo (così si chiamava) era venuto al concerto perché all’ultimo
minuto una sua amica aveva dovuto rinunciare e gli aveva regalato o venduto il biglietto.
Si era messo a penzoloni su quella balaustra e da lì era caduto alle 20 e trenta circa.
Diceva di non essersi fatto niente nonostante il volo di tre metri.
Sembra che anche quelli del pronto soccorso si fossero rassicurati alle sue parole.
Più tardi ha cominciato a sentirsi male e hanno dovuto fare degli accertamenti.
Hanno trovato una forte emorragia interna aggravata da una patologia cronica già esistente.
Non hanno potuto farci niente.
Poco dopo le tre se n’è andato.
L’assurdità della concatenazione di questa serie di eventi non fa che aumentare il mio
sconvolgimento.
Credetemi avevo molta voglia di scrivervi delle emozioni che ho vissuto in questa parte di
tour, quello degli stadi.
Ma le emozioni di cui parliamo hanno a che fare con il nostro tacito accordo, quello di
ballare, stonare, commuoversi, urlare, lasciarsi andare ecc.
In una parola: vivere.
Perché questo vogliono essere questi concerti: un inno e una celebrazione alla vita.
E’ anche per questo che non riesco a capacitarmi di quello che è successo.
Per quanto possa servire porgo tutto il mio cordoglio e la mia solidarietà alla madre di
Massimo (che, mi dicono, da qualche anno è pure vedova).
E a lui, ora che è stato deciso che lo dovesse fare, buon viaggio.