- FOTOGRAFIA -

L'emozione è anche in una fototessera
"La fotografia? Come una canzone: serve a guardarsi dentro e dà la forza per andare avanti"

Parola di Ligabue.


(di Gianluigi COLIN)


«La fotografia? È come una canzone. È lo specchio dove ritrovarsi, guardarsi dentro e scoprire un po' di più chi sei. E così, trovare anche la forza per andare avanti». Luciano Ligabue parla come un fiume in piena. Ascoltandolo, capisci come questo perenne ragazzo, classe 1960, di Correggio (dove tutt' ora abita) riesca da 15 anni a entrare nel cuore di milioni di ragazzi, avvolgendo anche quelli di tanti mamme e papà in un abbraccio transgenerazionale fatto di semplicità e parole schiette, come un bicchier di buon sangiovese bevuto con gli amici nel bar sotto casa. Dopo lo straordinario tour in tutta Italia, Ligabue si gode un po' di pace in Sardegna. Ma per parlare di fotografia è disposto a interrompere il suo relax. Foto, dunque, il loro uso, il loro abuso in un mondo che si basa sul «potere dell'immagine», il peso che hanno per smuovere le coscienze, la loro forza poetica capace di regalare emozioni. Già, proprio Liga, che oltre a scrivere canzoni è anche autore di un romanzo ("La neve se ne frega", 150mila copie vendute), ma soprattutto un artista che con l'immagine ha dovuto fare i conti: è infatti regista di due film, ("Radio freccia" e "Da zero a dieci") uno dei quali, il primo, è entrato nella cineteca permanente del MoMa di New York. Come dire, non (solo) un personaggio della buona musica, ma soprattutto un autore trasversale, a suo modo unico, completo, capace di muoversi su terreni diversi, quello della parola e quello della visione, terreni lontani, insidiosi, che riesce però sempre a controllare con cura e sensibilità. E che controlla con pudore: «Sono sincero, non penso di essere tra quelli che hanno il dono. Sì, quel dono che possiede il grande fotografo, o un maestro della pittura; o che avevano due grandi del cinema come Fellini e Kubrick. No, io proprio non ce l' ho. Lo dico a malincuore. Entrambi i film, dove funzionano, credo riescano a raccontare di più grazie alle atmosfere, al suono e alle parole. La mia predisposizione è far fluire le emozioni mentre far regia è riuscire a progettare un flusso di sensazioni che arriva da altrove. Un lavoro immane. Ce l' ho messa tutta, ma è stata una faticaccia». Emozioni. Una parola che ricorre continuamente nel vocabolario di Liga. Emozione può essere anche un'immagine banale come una fototessera, perché dietro ogni volto c'è la storia di una persona. Mille storie, mille vite. Così, ecco che nel suo ultimo album "Nome e cognome", nella copertina del cd appare un insieme di ritratti di ragazzi e ragazze per dare il senso profondo di un rapporto tra identità e vita quotidiana. «Volevo con questa copertina ricordare una cosa che mi è cara: al di là di ogni ideologia, al di là delle diversità, c'è per tutti un punto in comune: la nostra unicità. Non siamo altro che il risultato della nostra complessa esistenza, le malattie che hai subito, quelle che hai schivato, il sesso che hai fatto e quello che ti è stato negato, le amicizie, i libri e tutti i sentimenti che ti hanno accompagnato. Tutto quello che ti ha formato nell'arco della tua vita, nel bene e nel male, tutto questo non è altro che la tua personalità. Una complessa unicità. E questo essere unici non è una sfiga che non ci permette di raccontarci, anzi. È una risorsa. E mi sono detto: ho raccontato quello che mi è capitato, allora mi piacerebbe che questo potesse servire come spunto per ognuno. Per fare i conti con la propria identità. Come per me, tirare la somma della propria esistenza. Ecco il perché delle fototessere. Certo, le foto, viste così, tutte insieme, possono apparire banali. Ma basta avvicinarsi e scrutare gli occhi, leggere i segni dei volti e allora si scopre quell'unicità. E tutto diventa più interessante». Ma guarda un po' questo Liga! E' bastata una copertina di un album per mettere insieme Roland Barthes, Franco Vaccari e buona parte della storia della fotografia e dell'arte concettuale. Forse, bisognerebbe abituarsi a leggere con più attenzione cosa nascondono i linguaggi della grafica dei manifesti, dei video e dei cd, appunto. Una piccola lezione da non dimenticare. Per Luciano Ligabue la fotografia appare anche come luogo della memoria. Simbolo poetico del tempo che scorre, di un amore finito. Scrive in "Ho messo via": «Ho messo via un bel po' di foto / che prenderanno polvere / sia su rimorsi che rimpianti / che rancori e sui perché...». Un tema che ricorre, con una presenza sempre discreta. Fotografia come spazio privato, ricco di interiorità. Nel suo romanzo, ad esempio, per dire che non c'è affinità con una persona, il protagonista afferma: «Io e te non siamo nella stessa foto». «Ho sempre pensato che quando uno sceglie di farsi fotografare con un'altra persona dichiara una certa intimità - spiega Ligabue -. Ho un rapporto difficile con la fotografia. Non mi piace subirla. Forse anche per questo più di tanto non faccio televisione. E se scatto delle foto è con persone care. Penso a quando le riguardo. E mi piace pensare siano amici veri». Tra le parole delle sue canzoni si leggono anche delle critiche sul consumo dell'immagine e su come queste fotografie incidano sulle coscienze collettive, sui giudizi superficiali: «Non dovete badare al cantante / guarda solo la foto che c'è sul giornale / ci siamo capiti che razza di uomo sarà...». «Nel momento in cui diventi un personaggio pubblico - racconta - sembra che ogni persona abbia diritto di un giudizio su di te. E questo è dettato anche da una semplice foto sul giornale. All'inizio non capivo. Non sapevo come difendermi. Poi mi sono reso conto che anch'io subivo questo meccanismo perverso del potere dell'immagine. Sparavo giudizi, magari solo guardando la faccia di un calciatore. Così ho scritto questa canzone». Poi Ligabue libera un lungo sospiro di rassegnazione: «Starci dentro? Fa parte delle attività necessarie. Ognuno vorrebbe fare quello che gli piace. A me piace scrivere e cantare canzoni. Che per me hanno la necessità di assolvere alla loro funzione primaria: parlare alla gente. E se il brano non arriva, hai fallito. Più ti racconti, più permetti alla gente di esprimere un giudizio approfondito e non superficiale». Ma poi aggiunge con disincanto: «Comunque, nel tempo ho capito una cosa. Ha ragione anche chi prova una sana simpatia e antipatia semplicemente sulla base di una foto. Va tutto bene!». Le fotografie hanno in sé verità e menzogna. Ligabue lo sa bene, anche quando sfoglia i quotidiani ogni mattina. Ma a suo modo, un omaggio all'informazione visiva l'ha fatto durante l'ultimo tour: sui megaschermi apparivano immagini di cronaca drammatica accompagnate da dati e numeri. Un vero pugno allo stomaco. «Per ricordare le realtà che conosciamo, per ricordare quello che facilmente dimentichiamo. E riflettere. Un'immagine che mi ha particolarmente colpito? Vado al passato. È quella che ferma il momento dell'assassinio di Kennedy. È il fotogramma di un video. Si vede la guardia del corpo che sale sull'auto in una estrema, inutile, difesa del presidente e Jacqueline che cerca di scappare. Una foto potente e che diceva: qui si è messo lo stop a un ideale di politica. Ma è anche una foto che racconta di persone che hanno due istinti molto umani». Ligabue si ferma. Poi continua con un tono della voce che sottolinea un punto che gli sta a cuore: «Sì, due istinti. Quello del dovere e quello della sopravvivenza. Un'immagine bellissima per i sentimenti che racconta. Senza alcun giudizio. Uno scatto che descrive il potere della fotografia e il suo valore di testimonianza. È come se il mondo si lasciasse rubare un'immagine per poi averla restituita con la potenza di una riflessione storica». E aggiunge: «Forse per questo sono stato colpito dall'occhio di Robert Capa. Ho visto qualche mese fa un suo libro. Ho sentito la necessità di comprarlo. Un grande. Se ho un clic mentale dentro di me? Se vedo quando scrivo? Quando accade, sono immagini di evocazione, ma grossolane. Non ho il talento del dettaglio. A me interessa soprattutto raccontare un punto di vista. Comunque, penso a quello che diceva lo scrittore Chuck Palahniuk: "Ogni opera di un artista è sempre una forma di autoritratto". Un quadro, una poesia o una canzone è soltanto la fotografia dell'anima».
CHI È? Luciano Ligabue nasce a Correggio (Re) nel 1960. Nell' 87 fonda gli Orazero, gruppo con cui incide il primo singolo, «Anime in Plexiglas» (poi comparso su «Lambrusco coltelli rose & popcorn» del '91). L'album d'esordio, «Ligabue», è del 1990. Cinque anni dopo firma «Buon compleanno Elvis», il disco della consacrazione. L'ultimo, «Nome e cognome», è uscito nel 2005. Oltre a 10 album, Ligabue ha realizzato due film («Radiofreccia» nel '98 e «Dazeroadieci» nel 2002) e due libri («Fuori e dentro il borgo» nel '97 e «La neve se ne frega» nel 2004).


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