- SPETTACOLI -

Ligabue, piccoli club con lo spirito rock
Il rocker ha iniziato in Spagna la sua prima tournée estera

“Scrivo tanto. Se metto 12 brani in un disco significa che ne ho scritti almeno settanta o ottanta.”


(di Gino CASTALDO)


BARCELLONA - Quando scende dal palco del sudatissimo club dove si è appena esibito, e gli diciamo che finalmente il suo concerto ha un bel suono, il suo è un sorriso dolceamaro: «Mi fa un piacere enorme, anche se vuol dire che finora non ero stato capace di crearlo». Il cambio miracoloso è nel fatto che a 48 anni, di cui 18 in carriera, Luciano Ligabue ha imparato ad affidarsi, nella fattispecie a Corrado Rustici che gli ha prodotto, riarrangiato, riprogettato il suono live: «Prima l'ho sempre fatto io, in modo istintivo. E il bello è che così mi diverto molto di più. È come salire su una macchina potente, già messa a punto, e guidarla, mi posso appoggiare di più, lavorare sulle sfumature». In effetti è cambiato tutto, una ritmica americana, un sound più limpido ed efficace, e queste, all'estero, in un tour immaginato soprattutto per divertirsi a girare un Europa che ancora lo conosce poco, sono le prove generali per il tour estivo negli stadi.

La prima volta in Europa. Che effetto fa?
Soprattutto un gran divertimento. Per il momento non c'è in mente un progetto per aprire il mercato all'estero. Ma è comunque un'esperienza nuova. Suono nei club dove tutto è nudo e crudo. C'è il contatto fisico con la gente, che ti porta via anche lo stivale. Ma per me il rock è proprio questo. Metà sono italiani che vivono qui, qualcuno è addirittura venuto dall'Italia, altri sono stranieri, curiosi...

Visto il momento non si può fare a meno di pensare che una cura del genere farebbe bene anche al nostro paese. Non crede?
Magari fosse così facile, sarebbe bello. Se la gente fa fatica ad arrivare a fine mese non c'è più pazienza, ma la pazienza è necessaria. Il nostro paese è molto sentimentale, emotivo, e questo lo blinda, non lo fa essere lucido, ma in questo momento c'è bisogno di praticità. La cosa che mi preoccupa di più è che non si riesce a ragionare in termini di futuro, nessuno lo ha fatto neanche in campagna elettorale, ci avete fatto caso? Ma il sentimento è anche la nostra maggiore risorsa. Non vorrei passare per l'ennesima volta per buonista, ma se si riuscisse a diffondere un sentimento di appartenenza, le cose andrebbero meglio. Siamo molto bravi a essere furbi, a cavarcela, è il nostro Dna, ma questo estro andrebbe applicato proprio a costruire un'immagine del futuro. Non c'è niente di più potente del sentimento della fiducia. Da interista lo posso ben dire. Quando in settantamila dicevamo, giocando col Lecce, tanto perdiamo, quell'energia negativa faceva sì che alla fine perdevamo. Come diceva Einstein: meglio un ottimista che sbaglia che un pessimista che ha ragione.

Qual è il miglior complimento che ha ricevuto?
Beh, nel tempo abbiamo costruito un rito con i fan. Quando mi dicono grazie, è la cosa più bella che possano dirmi. Ma alla fine del concerto sono io a fare i complimenti al pubblico. Dico grazie delle facce di cui siete capaci. Io mi diverto anche a suonare nei bar, perché quello che mi fa sentire utile è quello che vedo succedere nella facce della gente, anche il solo trasmettere sollievo, energia, riflessione, quando lo vedo in atto, mi sento fortunato, grato.

Ma il successo non è una patologia, in un certo senso?
La risposta è certo che sì, basterebbe pensare che se mi togli una serata come questa io sarei perso, ha qualcosa a che fare con la dipendenza, sì, sono un tossico di concerti.

Ma al di là di questo non succede che inconsciamente si comincia a fare quello che con certezza iacerà alla gente?
Ci vorrebbe un analista per dirlo. Ovviamente non posso escluderlo a priori, ma quello che so è che io scrivo tanto, scrivo anche molte brutte cose, scrivere è un piacere, un'esigenza, ma se metto dodici canzoni in un disco, vuol dire che ne ho scritte settanta- ottanta. Il fatto di ritenere spesso di aver scritto delle gran cagate mi fa pensare di essere abbastanza libero, scrivo di getto, il calcolo casomai arriva in sede di supervisione, lì mi impongo una disciplina. E' importante, so cosa succede quando si scrive senza riflettere sulle implicazioni. Un conto è che ognuno una canzone la legge come vuole, questo è legittimo, ma non che si arrivi al significato opposto. All'inizio in Sogni di rock'n'roll raccontavo di un rito di cinque ragazzi, che poi era anche un mio rito, di salire in macchina, imboccare l'autostrada senza direzione, mettere la radio a manetta, e cantare in playback... beh, lì c'era una frase che diceva: "una striscia invitante, talmente invitante". Io ovviamente intendevo la strada, ma per anni c'è stata gente che ha pensato alla cocaina. Poi le canzoni vanno un po' dove gli pare, sono selvagge, è difficile se non impossibile indirizzarle, a volte ti sorprendono, come è capitato per Certe notti, è la mia canzone di maggior successo. Io non me l'aspettavo, un po' perché quelle cose le avevo già dette, però evidentemente messe in quel modo hanno avuto un altro effetto, perfino paradossale, perché a causa del successo, e del controllo a cui ti espone il successo, io quelle notti così non le passo più.

Non si è stancato di apparire sempre come quello bravo e positivo? Non le viene voglia di fare qualche cosaccia brutta, di lasciarsi andare?
Certe cose non le farei mai, perché non sono Iggy Pop. Io penso più all'allegria che c'era nel rock'n'roll delle origini, che era una celebrazione della vita. Però ho imparato nella vita a capire che non si può mai dire mai. Per cui, chi lo sa...


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