- SPETTACOLI -
Ligabue, piccoli club con lo spirito rock
Il rocker ha iniziato in Spagna la sua prima tournée estera
“Scrivo tanto. Se metto 12 brani in un disco significa che ne ho scritti
almeno settanta o ottanta.”
(di Gino CASTALDO)
La prima volta in Europa. Che effetto fa?
Soprattutto un gran divertimento. Per il momento non c'è in mente un progetto per aprire il mercato
all'estero. Ma è comunque un'esperienza nuova. Suono nei club dove tutto è nudo e crudo. C'è il contatto
fisico con la gente, che ti porta via anche lo stivale. Ma per me il rock è proprio questo. Metà sono
italiani che vivono qui, qualcuno è addirittura venuto dall'Italia, altri sono stranieri, curiosi...
Visto il momento non si può fare a meno di pensare che una cura del genere farebbe bene anche
al nostro paese. Non crede?
Magari fosse così facile, sarebbe bello. Se la gente fa fatica ad arrivare a fine mese non c'è più
pazienza, ma la pazienza è necessaria. Il nostro paese è molto sentimentale, emotivo, e questo lo blinda,
non lo fa essere lucido, ma in questo momento c'è bisogno di praticità. La cosa che mi preoccupa di più
è che non si riesce a ragionare in termini di futuro, nessuno lo ha fatto neanche in campagna elettorale,
ci avete fatto caso? Ma il sentimento è anche la nostra maggiore risorsa. Non vorrei passare per
l'ennesima volta per buonista, ma se si riuscisse a diffondere un sentimento di appartenenza, le cose
andrebbero meglio. Siamo molto bravi a essere furbi, a cavarcela, è il nostro Dna, ma questo estro
andrebbe applicato proprio a costruire un'immagine del futuro. Non c'è niente di più potente del
sentimento della fiducia. Da interista lo posso ben dire. Quando in settantamila dicevamo, giocando col
Lecce, tanto perdiamo, quell'energia negativa faceva sì che alla fine perdevamo. Come diceva Einstein:
meglio un ottimista che sbaglia che un pessimista che ha ragione.
Qual è il miglior complimento che ha ricevuto?
Beh, nel tempo abbiamo costruito un rito con i fan. Quando mi dicono grazie, è la cosa più bella
che possano dirmi. Ma alla fine del concerto sono io a fare i complimenti al pubblico. Dico grazie
delle facce di cui siete capaci. Io mi diverto anche a suonare nei bar, perché quello che mi fa sentire
utile è quello che vedo succedere nella facce della gente, anche il solo trasmettere sollievo, energia,
riflessione, quando lo vedo in atto, mi sento fortunato, grato.
Ma il successo non è una patologia, in un certo senso?
La risposta è certo che sì, basterebbe pensare che se mi togli una serata come questa io sarei perso,
ha qualcosa a che fare con la dipendenza, sì, sono un tossico di concerti.
Ma al di là di questo non succede che inconsciamente si comincia a fare quello che con certezza
iacerà alla gente?
Ci vorrebbe un analista per dirlo. Ovviamente non posso escluderlo a priori, ma quello che so è che
io scrivo tanto, scrivo anche molte brutte cose, scrivere è un piacere, un'esigenza, ma se metto dodici
canzoni in un disco, vuol dire che ne ho scritte settanta- ottanta. Il fatto di ritenere spesso di aver
scritto delle gran cagate mi fa pensare di essere abbastanza libero, scrivo di getto, il calcolo casomai
arriva in sede di supervisione, lì mi impongo una disciplina. E' importante, so cosa succede quando si
scrive senza riflettere sulle implicazioni. Un conto è che ognuno una canzone la legge come vuole,
questo è legittimo, ma non che si arrivi al significato opposto. All'inizio in Sogni di rock'n'roll
raccontavo di un rito di cinque ragazzi, che poi era anche un mio rito, di salire in macchina, imboccare
l'autostrada senza direzione, mettere la radio a manetta, e cantare in playback... beh, lì c'era una
frase che diceva: "una striscia invitante, talmente invitante". Io ovviamente intendevo la strada, ma
per anni c'è stata gente che ha pensato alla cocaina. Poi le canzoni vanno un po' dove gli pare, sono
selvagge, è difficile se non impossibile indirizzarle, a volte ti sorprendono, come è capitato per Certe
notti, è la mia canzone di maggior successo. Io non me l'aspettavo, un po' perché quelle cose le avevo
già dette, però evidentemente messe in quel modo hanno avuto un altro effetto, perfino paradossale,
perché a causa del successo, e del controllo a cui ti espone il successo, io quelle notti così non
le passo più.
Non si è stancato di apparire sempre come quello bravo e positivo? Non le viene voglia di
fare qualche cosaccia brutta, di lasciarsi andare?
Certe cose non le farei mai, perché non sono Iggy Pop. Io penso più all'allegria che c'era nel
rock'n'roll delle origini, che era una celebrazione della vita. Però ho imparato nella vita a capire
che non si può mai dire mai. Per cui, chi lo sa...