Il giorno di dolore che uno ha
Qui dietro c'è una storia un po' difficile. E' una vecchia canzone che scrissi tantissimo tempo fa. Poi capitò che un mio caro e giovane amico, Stefano Ronzani, si ammalò gravemente. Gli ultimi mesi della sua vita li passò in un ospedale per malati terminali, vittima di dolori atroci che neanche la morfina più volte al giorno sapeva lenire. Ci fu un momento in cui capii che le lunghissime chiacchierate sul farsi forza, sul darsi speranza, sul combattere in qualche modo il suo male in realtà avevano perso di significato. A forza di ripetere le stesse cose, non avevano più senso.
Provai allora a comunicargli queste cose nella maniera che la fortuna o il caso o qualcuno ha deciso che, tutto sommato, con me funziona: con una canzone. Quindi in maniera, se vuoi anche patetica, per il suo compleanno gli feci avere questo brano, totalmente riscritto rispetto all'originale. La registrammo in una giornata, io e i ragazzi del gruppo, per potergliela fare avere quel giorno. Gli portai il nastro su cui la incidemmo in mezzo ad altri regali, raccomandandomi di aprire quel pacco per ultimo.
La canzone gli servì, mi raccontò che l'aveva aiutato ad aprire dei rubinetti che aveva bisogno di aprire. Poi era un critico musicale e vide la cosa pure sotto un altro profilo. "Questa canzone è troppo bella perché resti dentro un nastrino. Non ha senso che rimanga fra me e te, pubblicala!".
Devo dire che sono molto contento del successo che ha avuto, proprio per la storia che c'è dietro. E' una canzone che "sento" molto.


Tra palco e realtà
E' una canzone che credo mi rappresenti abbastanza, anche nei miei limiti. Una canzone che nessuno mai definirebbe "raffinata", che punta tutto sulla comunicatività, a costo di sembrare ingenua. Sono orgoglioso del testo: "Abbiamo facce che non conosciamo/ ce le mettete voi in faccia pian piano/ a abbiamo fame di quella fame/ che il vostro urlo ci regalerà". E' la descrizione di come si sta al di qua di quella famosa proiezione che a volte ti schiaccia e a volte ti attira, nel senso che hai la tentazione di assomigliare a uno di questi modelli fantastici. Si fatica a non lasciarsi calamitare in un gioco del genere, ed è una fatcia vera.
Con tutti i pregi e i limiti del caso, questa canzone rappresenta abbastanza il mio modo di essere e di fare. Il testo per certi versi è impegnativo, ma c'è anche un umore scanzonato e a me piace fare così, prendere argomenti di un certo peso ma ogni tanto sbeffeggiarli, non farmene troppo carico.

Ultimo tango a Memphis
E' la cover di "Sospicious Mind", piuttosto bruttarella. Io volevo chiudere finalmente il discorso con Elvis affrontato durante il periodo di "Buon compleanno Elvis", quando mi avevano affibbiato l'idea che ero un suo fan e invece il suo Fan Club mi aveva attaccato per aver detto di lui cose sgradevoli. Dopo tutte queste chiacchiere, decisi di scrivere un testo in cui era lui a parlare in prima persona. Il succo del suo discorso era: "Alla fina, che cazzo ne sapete? Nessuno di voi ha mai avuto i miei vestiti addosso". Insomma, era un gran parlare a vuoto. Sotto questo profilo il brano funziona, il testo mi sembra riuscito. E' l'arrangiamento che è lontano anni luce dalla bellezza dell'originale.


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