- CULTURA & SPETTACOLI -

"Che la forza sia con voi"
Ligabue: io canto per trasmettere coraggio

Il cantautore sarà sabato allo stadio Olimpico. E intanto racconta la carriera, il cinema, il mestiere di scrittore.


(di Marco MOLENDINI)


ROMA - "Ricordo la mia prima volta qui, al cinema Castello, vicino al Vaticano. Tredici, quattordici anni fa: era appena uscito il mio primo disco. Cantai per una dozzina di persone", racconta Luciano Ligabue, 46 anni, supereroe della musica nazionale, pronto a passare di nuovo gli Appennini con il suo lungo tour autobiografico per un altro debutto, sabato allo stadio Olimpico per sessantamila romani. E' un viaggio cominciato a settembre, nel Campovolo di Reggio Emilia, a pochi passi da casa, con una maratona divisa in quattro palchi e poi trasformata in una sorta di compagnia itinerante che se ne va in giro per le arene d'Italia, in attesa di affrontare in autunno l'atmosfera più raccolta dei teatri. Ma l'estate è l'estate, invita alle operazioni in grande. "E' una spedizione speciale, quattro furgoni che ci trasportano in carovana. Ci sono tutte le persone che hanno fatto musica con me da sedici annia questa parte e molte canzoni che raccontano la mia storia. Si è creato un clima speciale, di convivialità e amicizia. Davvero, me la sto godendo come un matto", confessa il Liga.

Come mai ha cominciato così tardi a fare il musicista professionista?
Ho debuttato a 30 anni, un'età generalmente da pensione per chi fa musica. Credo che fosse per pudore, pudore di quello che scrivevo.

Non le piaceva?
Sono cresciuto negli anni 70 a pane, cantautori e radio libere. In giro c'era la sensazione che bastavano tre accordi per essere capaci di fare musica. Così veniva voglia di provarci. Ho scritto tante cose, ma le suonavo per me. Poi, un giorno, trovai il coraggio di farne ascoltare una a Claudio Maioli, che lavorava con me in una radio di Correggio. E' stato lui a convincermi.

E' stato un vantaggio digerire il successo già in età matura?
Per come sono fatto io, se l'avessi avuto a vent'anni avrei perso la testa. Invece ho potuto farmi le ossa con altri mestieri, l'operaio, il ragioniere, il promoter, il dj, il consigliere comunale. E ho pure evitato di pubblicare tante schifezze.

Nessun riflesso negativo?
Forse avrei avuto l'incoscienza di provare a cantare in inglese e a mettere il naso fuori d'Italia.

In questi anni ne ha provate tante: ha fatto il regista, lo scrittore. Manca solo la tv.
Quella roba lì non fa per me. Io faccio altro, scrivo canzoni. Poi in tv c'è quell'ansia assurda di correre dietro agli ascolti. Mi hanno fatto molte proposte, ma alla fine hanno rinunciato. L'unica eccezione che mi concedo è il Festivalbar.

Che è pur sempre un festival...
Ma c'è molta differenza rispetto a Sanremo, per questo l'ho sempre fatto, come accadrà quest'estate. Non c'è altra pretesa che far ascoltare le proprie canzoni in tante piazze. Sanremo, dove non sono mai stato, trasmette invece un'idea di angoscia, di gente che va lì e si gioca il tutto per tutto.

Per ora, dunque, niente libri o film.
Nella mia carta d'identità c'è scritto musicista. Se ho un'idea che dentro una canzone non ci sta, allora posso pensare ad altro. E poi fare il regista è faticosissimo.

Mai pensato di cantare canzoni di altri, le cosiddette cover?
Lo facevo ai primi tempi: non avevo un repertorio sufficiente per un concerto e allora cantavo gli U2, Springsteen, Patty Smith. Recentemente ho inciso un pezzo di Battisti, I giardini di marzo. La canto accompagnandomi alla chitarra. E' una canzone malinconica e bellissima che ha una chiusa che non mi piace.

Vale a dire?
Quando canta: "il coraggio di vivere ancora non c'è". Ecco è un frase densa di disillusione che non vorrei mai suggerire al mio pubblico. Io cerco sempre di trasmettere forza e coraggio nelle mie canzoni.


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