-CULTURA & SPETTACOLO-
LIGABUE:
"Il mio rock
che non muore mai"
Il 10 settembre torna ad esibirsi dal vivo a Reggio Emilia
e sta terminando le registrazioni del nuovo album.
(dal nostro inviato Gino CASTALDO)
"C'è molta contemplazione della
femminilità. La mia ammirazione per le donne", racconta, "come se
percepissi sempre che sono in contatto con qualcosa a cui noi non
arriviamo, con delle voci che non sentiamo".
Sullo sfondo la sua amata provincia, l'orizzonte lungo della padana, e
un capannone, tra altri capannoni, alla periferia di Correggio, che è
il centro del suo mondo, lo studio di registrazione, pulito,
modernissimo, un esempio di sana imprenditoria emiliana. Il 10
settembre Liga tornerà davanti al pubblico in una folle idea di un
concerto con quattro palchi. Qual è la genesi di questa follia?
"Una serie di combinazioni. L'anno scorso pensavamo a cosa fare di
nuovo. In fondo sono due anni e mezzo che manco dal palco, la pausa
più lunga da quando faccio questo lavoro...".
E conoscendo Ligabue, è facile immaginare che le prudano le
mani, vero?
Mi prudono molto le mani. Nella mia testa c'era qualcosa di più
normale, diciamo un tour, ma non c'erano i tempi perché sto finendo il
disco, che uscirà il 16 settembre, poi è venuta l'idea. Facciamo una
cosa che non abbiamo mai fatto. Cambiamo i termini soliti del
calendario. Facciamo un solo concerto, prima dell'uscita del disco.
Abbiamo pensato che c'era il Campovolo di Reggio Emilia, dove già gli
U2 hanno fatto un concerto con un mare di pubblico. Il posto è
sterminato. Per ora siamo già a più di centomila biglietti, ma saranno
sicuramente di più. E poi tutto questo asseconda la mia natura, io sono
molto sull'emozione, senza pudori, e l'idea di fare una cosa così
brutale, senza prove e senza repliche mi ha dato una forte emozione.
Ma che succederà la sera del 10 settembre?
Intanto l'idea è che con quattro palchi saremo intorno al pubblico,
una specie di abbraccio, muovendomi su quattro palchi raggiungerò più
gente possibile.
E come passerà dall'uno all'altro?
Ci saranno dei passaggi, dei collegamenti. E poi quando sarò su
un palco anche gli altri quattro manderanno la musica. Certo, è un
esperimento, ma abbiamo fatto vari sondaggi per garantire che funzioni
tecnicamente. Il rischio c'è, ovvio, ma qualche volta bisogna prendersi
dei rischi. Magari non sarà perfetto, ma sarà pieno di emozione e, come
dice il vate, lo scopriremo soltanto vivendo.
Quattro palchi per quattro lati della personalità di Ligabue?
Volendo. Ci sarò io solo con la chitarra da una parte. Dall'altra
ci sarà vicino a me Mauro Pagani in un set più acustico, più teatrale.
Poi su un palco mi ritroverò coi Clandestino, il gruppo con cui ho
cominciato a fare rock, e sul palco principale sarò con la band di oggi.
Coi Clandestino ho già cominciato a provare. E' divertente, come fare
un salto indietro di quindici anni e riprodurremo il suono di allora,
il suono che c'era nei primi dischi. Sarà una saga rock.
A sentirla sembra che il rock sia in piena salute, eppure
molti avvertono una specie di disillusione, come se il rock avesse
tradito le aspettative. Si sente fuori da questa crisi?
Sono uno che non ce la fa a guardare un quadro generale. Il rock è
composto da troppe diverse espressioni, troppi diversi protagonisti,
difficile dire qualcosa che valga per tutti. Esempio: guardiamo agli
U2. Il loro lavoro lo svolgono egregiamente. Il punto è un altro. Se
pensiamo che il rock debba cambiare il mondo, allora chiediamo troppo.
C'è stato un momento in cui il rock ha potuto cantarle chiare. Ma anche
Dylan oggi dice che non ha più senso cantare politico perché
l'informazione è tale e tanta che una canzone arriva sempre in ritardo.
Per quanto mi riguarda penso che a volte ci siano delle urgenze, come
quando abbiamo inciso Il mio nome è mai più. Quando senti che a
una cosa non puoi mancare, ci vai anche se sei nei casini, come è stato
per "Live8". Ma per quanto riguarda la scrittura mi sono sempre
concentrato sulle poche cose che so, che ho visto e su quelle ho
elaborato il mio disagio, anche a volte raccontando dei temi non
proprio popolarissimi. Poi si cambia, ci si trasforma e sono contento
di aver potuto scattare fotografie su questi cambiamenti e mandarle in
giro.
E le piace la fotografia di oggi?
Sì, è un periodo che sono contento, forse non mi sono mai piaciuto
così tanto in fotografia, e forse ha a che fare col sentirsi in pace
con se stessi, e anche col senso del dovere che uno che fa il mio
mestiere, e che per di più è stato cattolico e comunista, sente di
avere addosso. Quella è una cosa che muove i tuoi demoni, potesti
sentire di non fare mai abbastanza. Quello che provo oggi è la
sensazione di essere consapevole, una consapevolezza che mi fa vivere
le emozioni di cui sono orgoglioso, ma anche vittima, in modo più
pacificato. Lo devo a tanti fattori, alla bambina che adesso ha dieci
mesi...
Ha resistito alla tentazione di scrivere una canzone per la
nuova nata?
Sì, ho resistito. Non ci sarà nel nuovo disco. Ci sarà in compenso
questa nuova consapevolezza, dovuta all'essere uscito fuori con
difficoltà da un periodo difficile, pieno di lutti, primo fra tutti
quello di mio padre, e da una separazione. Mi giustifico di più, e
quindi mi sento più libero.
Quando era al Circo Massimo, per il "Live8", si è reso conto
di quello che stava succedendo nel mondo, di far parte di una cosa
così grande?
Di sicuro ero molto emozionato perché non mi esibivo da più di due
anni. Ed essere da solo era ancora più destabilizzante. Però mi ha
fatto stare bene. Di quello che accadeva in giro era difficile
accorgersene. La verità è che sono stato mosso da una motivazione
molto pratica. Ho pensato: se è vero che due miliardi di persone
vedranno questo evento, il G8 dovrà per forza tenerne conto. Rimane
allarmante che debbano essere i cantanti a fare questo. Ma è così e
non c'è niente da fare.
Non crede che il disco, come oggetto, rischi di apparire
antico?
Assolutamente. Ma la sequenza di un disco è fondamentale. Io non
riesco a fare altro. Esco con un disco nuovo, come ho sempre fatto,
con un certo numero di pezzi. Quello che mi preoccupa, viste le nuove
condizioni in cui la gente oggi riceve la musica, è che possa diventare
un sottofondo, che si perda l'occasione di trovarti con te stesso di
fronte all'emozione che ti provoca un'opera d'arte, o presunta tale.
Di sicuro questa idea è rimasta viva nei concerti. Tutti insieme a
condividere un'emozione, visto che per fortuna l'emozione non è
scaricabile. Speriamo che i concerti non diventino un'isola, magari
l'isola dei famosi.