PICCOLE STORIE - DIARI MINIMI
COME UNA COLONNA DI
BERSAGLIERI
SBARRO’ AI RUSSI LA VIA DEL NIPRO (Dniepr)
By Cesco Tomaselli (1893-1963) - from "Corriere della
Sera"
11 maggio 1943 |
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Ciò che conta è informare; e per informare
occorre andare, vedere, interrogare, investigare, avere insomma
l’umiltà di considerarsi sempre cronisti, come il primo giorno che si entrò in
redazione.Cesco Tomaselli
DAL NOSTRO INVIATO
La Divisione Celere, veterana del C.S.I.R con la Pasubio e la Torino, non era
nuova ai traslochi improvvisi, alle partenze lampo. Non per niente si chiamava
Celere. Aveva dei bellissimi reggimenti, il Terzo e il Sesto bersaglieri, Il
120° artiglieria e, ancora, un battaglione di motociclisti, uno di cacciatori dl
carri, e la Legione croata. Ma mettersi in marcia aveva questa volta diverso
significato. Fra il 17 e il 20 dicembre avvenimenti importanti si erano
verificati sul medio Don, e la Divisione, che si trovava quasi all’estremità
orientale dello schieramento della VIII Armata, era seriamente esposta sul
fianco sinistro, tanto che dovette on fretta e furia costituire da quella parte
un caposaldo difensivo. Non era disponibili al momento che due battaglioni del
Sesto bersaglieri , uno dei quali anzi fu dovuto richiamare indietro mentre
viaggiava in autocarro verso altra direzione. Il gruppo che ne risultò prese
provvisoriamente il nome del colonnello cui era stato affidato.
Le
vicende della battaglia sono spesso generatrici di formazioni nuove, autonome,
che talora si sciolgono dopo qualche giorno, o qualche ora, talaltra durano e si
fanno una storia. Sul Ticiaja, un affluente del. Don, nacque in quei giorni la
colonna Carloni, che farà gloriosamente parlare di sè per alcuni mesi. Nella
famiglia dei fanti piumati si sanno molte cose sul conto di questo colonnello,
che inganna con una apparenza placida, con un che di mesto e bonario nello
sguardo. Lo chiamano il “vendicatore” ed è commovente la ragione di
quell’epiteto. Carloni aveva un figlio sottotenente nel 6°, che nell’estate del
41 tenne fede alla tradizione paterna con si generoso impegno che, ferito una
volta e poi una seconda, sanguinando tornò all’assalto finché la morte lo stese
ancora furente di lotta come l’eroe che i popoli primitivionorano dandogli il
nome di una fiera. Allora il padre chiese di essere mandato in Russia.
Ecco, e venuta l’ora di vendicare il figlio nella carne dallo stesso nemico.
Cartoni porta al combattimento i suoi bersaglieri con una foga che ha del
mistico. E’ in piedi giorno e notte, non si sa quando dorma, neanche la testa
abbassa quando rugge un colpo in arrivo, e soldati, che sul campo di battaglia
diventano ragazzi, vanno allo sbaraglio con le mascelle serrate. Sono i miracoli
dell’esempio. Il 24 dicembre, alle undici di notte, Carloni espugnerà un
villaggio lanciandosi di corsa alla testa di un battaglione. Tale è il fascino
del gesto che un reparto di tedeschi si unisce ai bersaglieri, e il grido
ch’esce dalle loro gole è lo stesso che trascina i nostri :
Savoia
L’immenso scacchiere
Infine anche la Celere si svincola dalla morsa, e le superstiti forze si
radunano e si radunano dietro il solco del Donez. Ultima ad arrivare
all’appuntamento perché è sempre stata di retroguardia, la colonna Cartoni non
viene sciolta, ma si ritiene anzi che convenga rinforzarla. Al momento del nuovo
impiego essa risulta costituita da un battaglione del Sesto col Comando di
reggimento, da un altro battaglione misto di carristi e di motociclisti pure del
Sesto, da due battaglioni appiedati del 120° artiglieria e dal secondo Gruppo e
del 17° artiglieria da campagna, il bellissimo reggimento della Sforzesca che ha
il primato dei pezzi portati in salvo. I nuovi compiti della colonna consistono
nella protezione delle nostre unità in trasferimento verso occidente. Siamo già
a febbraio (43). In una vasta area compresa fra il Donez e il Nipro si sviluppa
il movimento dell’VIII armata che ha necessità di concentrasi e di riordinarsi.
E’ uno spostamento considerevole di uomini, di automezzi, di materiali (basti
dire che c’è tutta l’intendenza coi suoi cospicui magazzini, con le officine
automobilistiche, con gli impianti sanitari, con l’organizzazione delle tappe),
e questo spostamento è effettuato da scaglioni procedenti a diversa andatura,
con soste che spesso si prolungano oltre il previsto per le condizioni delle
strade e delle piste, il ritardato arrivo del carburante, la convenienza a
modificare all’ultimo momento l’itinerario. Già lo scacchiere è immenso.
Per
dare un’idea, fra gli alpini che sono in marcia nella reqione a nord dl Poltava
e la Divisione Ravenna, che è l’estrema unità di ala destra, corrono non meno di
500 chilometri. Nello stesso verso, cioè da est a ovest, camminano le colonne
dell’Armata romena e dell’Armata ungherese, anch’esse avviate in zona di
riordinamento; in senso opposto, usufruendo delle medesime vie di comunicazione,
avanzano le Divisioni germaniche che vanno a sostituire le Unite alleate e ad
arginare l’avanzata sovietica. No, per quanto si dica e si scriva, non è
possibile rappresentare con evidenza questo colossale movimento e le difficoltà
di ogni genere che incontrava. La neve ricopriva ancora il suolo, ma non era più
quella di gennaio, spessa ed asciutta, era una neve fradicia, su cui le gomme
degli automezzi non avevano più presa. Anche lo stato dell’atmosfera variava
continuamente. Nei grossi centri, per effetto di queste alternative nel deflusso
del reparti in marcia, si verificavano all’ improvviso ammassamenti di migliaia
di uomini, che bisognava alloggiare, nutrire e sfollare al più presto possibile.
Le linee ferroviarie, poi, erano addirittura congestionate: convogli dietro
convogli si inseguivano a tutte le ore: lo spettacolo ai passaggi a livello era
impressionante.
L’estremo sforzo russo
Dall’altra
parte , il comando sovietico aveva intuito quanto avveniva e il maresciallo
Sciaposnikof, che ora è stato esonerato dalla carica di capo dl Stato Maggiore,
doveva mordersi le labbra dal dispetto. Evidentemente l’Armata rossa si era
sanguinosamente esaurita sul Don e nella fornace dì Stalingrado. Dal Cremlino
partivano ordini furenti di far presto, di serrar sotto, di dare addosso, perchè
perdere una simile occasione era militarmente un delitto; ma i Comandi operanti
non avevano più riserve, dovevano limitarsi a portare avanti l’offensiva con
unità logore e decimate. Nella seconda metà di febbraio fu fatto dai russi
l’estremo sforzo. Questo li portò a quaranta chilometri dal Nipro. Mosca cantava
vittoria, Londra faceva coro. Si udivano recitare alla radio bollettini
rimbombanti. Non accadde nulla di risolutivo. L’Armata rossa dimostrava un’altra
volta di non avere la capacità di sfruttare il successo iniziale, ottenuto
facendo massa in un settore ristretto.
Per noi Italiani è motivo di orgoglio ricordare che in quei giorni, che potevano
essere fatali, uno scaglione dei nostri combatteva accanitamente per impedire ai
russi di passare Il Nipro. E’ l’episodio di Pavlograd che ora mi viene alla
penna. Pavlograd a un centinaio chilometri a est di Nipropetrovsk, è una città
di ottantamila abitanti, con alcune fabbriche e una stazione da cui passa la
ferrovia da Carcov alla Crimea. Di primo acchito sembra un grosso villaggio per
essere l’abitato sparso e allungato su un percorso di alcuni chilometri. Mista,
cioè per metà operaia e per metà rurale è la popolazione, e noi, che ci stemmo
un paio di giorni, riportammo l’impressione di gente operosa e tranquilla di
natura ospitale. Rammento che avendo bisogno di un pezzo di fune per legare la
cassetta mi vidi offrire, nella casa dove avevo pernottato, la corda per
stendere la biancheria, e non ci fu verso che accettassero i1 compenso.
Anche i bersaglieri giunti in retroguardia ai primi di febbraio, ebbero la
stessa impressione. Ma poi subentrò un intiepidimento che di giorno in giorno
volgeva in freddezza. A mano a mano che i sovietici venivano avanti la gente
diventava ritrosa e scontrosa. Era una zona infestata di partigiani, bisognava
stare all’erta. Il colonnello Cartoni, quando seppe che doveva difendere
Pavlograd, prese le sue misure, e fu avveduto, perchè la rivolta scoppiò
improvvisamente il 13 mattina in una fabbrica alla periferia. Non servi a nulla,
bastarono alcune cannonate con proietto incendiario a soffocarla sul nascere, e
il tenente della Ghepeu che l’aveva fomentata si fece saltare le cervella. O lui
aveva anticipato le cose, o gli altri, che venivano avanti un po’ lentamente,
erano in ritardo sulla data. Come sempre ne andò di mezzo la Popolazione.
Mille chilometri di steppa
L’investimento di Pavlograd ebbe inizio il 17 febbraio, con un attacco da tre
direzioni, il cui punto d’incrocio era il ponte sul Samara ch’è appena fuori
dell’abitato, verso ponente. Dopo qualche ora la città era intenibile per la
sparatoria degli abitanti, che i partigiani aizzavano distribuendo qualche
esempio sommario: armi a chi voleva usarle e pallottole esemplari a chi
nicchiava. Le forze, sovietiche sommavano a 3 reggimenti, appoggiati da carri,
artiglieria e mortai. I nostri contrapponevano i 3 battaglioni di cui si
componeva la colonna, più il gruppo del 17° artiglieria con cinque pezzi:
c’erano inoltre un battaglione di movieri cioè di militi addetti al movimento
stradale, mezzo migliaio di avieri tedeschi combattenti come fanteria e sette
carri pure germanici. La sproporzione delle forze era evidente. Sgombrata la
città, che divampava di vorticosi incendi e spandeva tutto intorno un calore
ardente, insopportabile, la difesa s’era ristretta al ponte. Era una difesa
rabbiosa, convulsa, perchè improvvisata sul terreno scoperto e concentrata su
una breve striscia in corrispondenza di quel passaggio che i russi volevano
forzare. Le perdite non tardarono ad assottigliare le nostre file. I bersaglieri
cadevano avvinghiati alla mitragliatrice, artiglieri erano colpiti da pallottole
mentre servivano ai pezzi, i portaordini dovevano essere spediti a pattuglie
perché almeno uno arrivasse, il cappellano militare, col pastrano mezzo
abbruciato da un proietto incendiario, aveva preso il comando di un plotone (in
mezzo al ponte una pallottola gli spezzò la canna della pistola che brandiva),
il tenente colonnello comandante dei movieri cadeva alle prima raffiche. La
posizione del difensori si faceva sempre più precaria, Carloni la rappresenta
nella sua crudezza al Comando germanico. Ma che poteva fare questa se non
affidarsi al valore del nostri?.
I rinforzi tedeschi erano ancora in viaggio, la Divisione di testa non era
ancora arrivata a Nipropetrovsk, sui ponti del Nipro non c’erano che i
guastatori che dovevano farli saltare, e a tutti i costi bisogna trattenere i
russi, contenerli in ogni caso ritardare il più possibile la loro corsa al Nipro.
La consegna fu eseguita. I russi fecero ancora qualche progresso, giunsero in
vista di il Novo Moscovsca, dove la strada che viene da Pavlograd si unisce a
quella che scende da Cercovo, fecero avanzare le artiglierie per la nuova
battaglia, ma la rivolta partigiana, che doveva aiutarli dal di dentro non
scoppiò, perchè il colonnello Carloni l’aveva sventata in tempo riuscendo ad
impadronirsi delle armi segretamente approntate (in una fabbrica si scopersero
persino sette cannoni, oltre a mortai, mitragliatrici, « pepescià », cioè
fuciloni automatici con caricatore a tamburo), e nel frattempo erano arrivati
sul Nipro i rinforzi tedeschi, Nipropetrovsk non correva più pericolo, a Kiev si
aveva una felice ripercussione dl questi fatti con una repentina caduta dei
prezzi, che erano saliti ad altezze fantastiche.
I bersaglieri e gli artiglieri della colonna Carloni furono colmati di elogi dai
tedeschi, e il loro comandante citato più di una volta negli ordini del giorno.
Ultimi nella marcia dal Don al Nipro, per oltre mille chilometri di gelata
steppa sempre a contatto del nemico, essi furono i primi ad assaporare la
riscossa, quasi si può dire che ne odorarono la fragranza. Ai primi di marzo la
situazione era infatti radicalmente mutata. Cesco Tomaselli
Ndr. A
differenza dell'altro articolo, presente in questa sezione, scritto anni dopo la
Battaglia di Pradis in Carnia del 1917, commemorativo e celebrativo di una vittoria sofferta, questo è scritto ben 3
mesi dopo i fatti quando i superstiti sono già alle loro case o negli ospedali
di convalescenza. E' vero che fino
a marzo la stampa non accennava a quanto era successo in Russia ma non potè
esimersi quando al Brennero arrivarono i primi pochi treni dei congelati, feriti
o superstiti. E non era nemmeno celebrativo di vittoria perchè la guerra in
Tunisia era già al capolinea (la resa 2 giorni dopo, 13). Al capolinea era anche la
politica
italiana che salterà il 25 luglio.
Qualche
anno prima l'inviato speciale Cesco Tomaselli aveva fatto il viaggio a bordo del
dirigibile "Italia" da Roma alla Baia del Re (Svalbard), ma non era a
bordo per la trasvolata del Polo, perché Nobile, dovendo scegliere tra due
giornalisti, ha tirato una moneta. La scelta è caduta su Ugo Lago che sarà uno
dei 6 dispersi con l'involucro del dirigibile staccatosi dopo l'impatto con il
pack (questi non verranno mai trovati). Tomaselli riporterà dei tentativi di soccorso e
di salvataggio effettuati dalla base appoggio nel suo libro "L'inferno bianco".
La Rivista (Le vie d'Italia,
Touring Club Italiano, del giugno 1928 a destra), va in stampa in maggio quando Umberto Nobile inizia, dalla Baia
del Re, le sue esplorazioni dell’Artide, ma quando il numero è in Edicola, alcuni
giorni, dopo la tragedia al polo si è già compiuta.
Dal Libro: "Alla Baia del Re stavano intanto succedendo delle cose straordinarie. Il 4
giugno, verso la una del mattino, la Città di Milano riceveva dalla stazione
radiotelegrafica di Mosca la notizia che il giorno prima, alle 20, il
radioamatore Schmidt con un apparecchio ad onde corte, aveva raccolto l’S.O.S.
dell’Italia. Il Comitato di soccorso dell’Osoaviachim, che aveva trasmesso la
comunicazione, aggiungeva essere lo Schimdt persona seria e degnissima di fede.
Contemporaneamente altri radioamatori asserivano di aver udito la segnalazione
dell’Italia: un avvocato svedese di Talleborg, nella notte tra il 3 e il 4,
aveva intercettato la parola "Italia Nobile S.O.S". Il capitano della nave russa
Sikvic, in navigazione nel golfo di Botnia, faceva sapere di aver ricevuto un
messaggio dell’Italia: in Olanda, nel Belgio, negli Stati Uniti altre stazioni
confermavano la segnalazione.
In tutti i rami dell’attività umana il dilettantismo è riguardato come un
fenomeno di faciloneria e di presunzione: ma nella radiotelegrafia i dilettanti
sono, sotto certi aspetti, all’avanguardia, e il contributo che essi danno al
perfezionamento della scoperta è senza dubbio considerevole. Nel caso in
questione, c’era una circostanza importantissima: i radioamatori possiedono per
la maggior parte stazioni a onda corta realizzate da loro stessi, il che spiega,
in un certo senso, come essi avessero potuto sentire l’apparecchio di fortuna
dell’Italia".
Biografia
Tomaselli
http://www.centrostuditomaselli.org/dynamicdata/Biografia.asp
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