QUEI
BERSAGLIERI TEMERARI ..........4
IL
PAPA' DEI PARA': GIUSEPPE BAUDOIN
Il Foglio di Disposizioni n.12 del 28 settembre 1939, costituì la Regia Scuola di Paracadutismo di Tarquinia. Posta a poca distanza dal piccolo aeroporto "Amerigo Sostegni", la Scuola divenne in brevissimo tempo un mito. Il Comando venne affidato al colonnello pilota conte Giuseppe Baudoin de Gillette, bersagliere, legionario, pilota e
paracadutista. Baudoin costituì il Corpo degli Istruttori con i diplomati dell'Accademia Fascista di Educazione Fisica della Farnesina, il Ten. Col. di fanteria Augusto Saltamacchia, il Ten. Col. del Genio Alberto Bettica a capo dell'Uff. Studi e Esperienze, il Magg. Pilota Dante Salvetat a capo del reparto volo,
il Magg. dei Bersaglieri Giovanni Verando a capo dell'Uff.
Addestramento, il Capitano medico dell'Aereonautica Mikalef a capo del servizio sanitario. |
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GIUSEPPE BAUDOIN DE GILETTE
(13/8/1896-4/3/1963)
A Cameri il Tenente Baudoin venne definito, dal Comandante Militare della Scuola,
«Primo fra i primi allievi piloti del suo corso, in quattro mesi ha conseguito il brevetto su
SVA ed agli esami teorici ha riportato una media di diciannove ventesimi, non raggiunti da nessun altro Ufficiale del suo corso. Per la sua passione all'arte del volo ed il suo alto spirito militare, è stato a tutti di esempio e d'incitamento a perseverare, proprio in quei giorni in cui si abbatterono sulla Scuola di Cameri luttuosi incidenti di volo. Parla e scrive l'inglese per aver compiuto parte dei suoi studi in Inghilterra, conosce il tedesco. Ritengo che abbia attitudine per coprire qualsiasi carica, anche se superiore al grado che riveste. Nella vita civile è signore nel vero senso della parola. Lo giudico ottimo Ufficiale di Squadriglia in S.A.P. ». |
«La Scuola comincia a prender consistenza”,
racconta in proposito il noto storico del paracadutismo italiano Dante Pariset, “ i teloni
per i lanci se li procura dai pompieri dell'Urbe; così pure si fa
apprestare opere varie da una ditta romana che normalmente fabbrica
poltrone, senza contare che un'industria perugina costruisce 50 tavoli
ricoperti di linoleum, necessari per il Reparto Ripiegatori
(Paracadute). C'è poi la faccenda della torre di lancio. A Villa Glori
esiste una torre metallica alta 52 metri. Essa appartiene ai Vigili del
Fuoco del Genio Militare. Un Sergente maggiore e una decina di genieri
vi si esercitano, da qualche tempo, discendendo dall'alto di essa con un
paracadute frenato. In cima la gru dispone di un braccio a falcone,
orizzontale, di una decina di metri. La torre viene adocchiata e
ritenuta valida da loro che pensano a Tarquinia. La torre è munita di
un motore destinato a far vento e a gonfiare calotte. Essa è stata
approvata, costruita e realizzata con una spesa non indifferente, e
consente tutte le operazioni di lancio, senza ricorrere all'aereo, il
cui impiego è costoso. La torre quindi è un risparmio di tempo e di
danaro, è una semplificazione ingegnosa. Si incaricherà dello
spostamento della torre di Villa Glori il Maggiore Lo Bianco”.
Un incidente incredibile, emozionante, a lieto fine, degno di un romanzo o di un film di avventure, fu quello che ebbe come protagonista l'Istruttore Sottotenente Biaggioni. Lo ha rievocato uno degli allievi paracadutisti del tempo, Gaetano Argento, nel n. 7 del « Corriere Militare » del 1 15 aprile 1960. « Biaggioni ebbe un giorno il compito di dimostrare agli allievi, in volo con lui, la nuova tecnica di uscita dall'aereo, detta « ad angelo » (corpo orizzontale leggermente inarcato in su, braccia aperte, gambe divaricate). Egli effettuò la dimostrazione di uscita dandosi una
spinta troppo energica e troppo verso l'alto, tanto che il suo paracadute rimase impigliato nei piani di coda dell'aereo. II Sergente Dall'Ara, che pilotava l'apparecchio, se ne accorse immediatamente e prese perciò a circuitare l'aeroporto, sperando che l'ufficiale riuscisse a staccarsi. Però quando egli riduceva la manetta dei gas e quindi la velocità del velivolo l'ufficiale andava giù, penzolando in basso; se invece aumentava il regime dei motori, l'ufficiale ritornava orizzontale, ma non si staccava. « Il Colonnello Baudoin, che seguiva quel dramma da terra, si alzò subito in volo di guida e soccorso, si portò immediatamente davanti all'altro velivolo e lo diresse verso il mare. Colà fece iniziare opportune manovre a bassissima quota, mantenendo entrambi i velivoli davanti al pontile del vecchio Porto Clementino, di dove, imbarcazioni già approntate, avrebbero potuto
soccorrere l'ufficiale non appena avesse toccato l'acqua. Il Sottotenente Biaggioni intuì quanto gli restava da fare, e giunto che fu l'aereo, al quale era appeso, a circa 5 metri dall'acqua, si sganciò l'imbracatura del paracadute e tentò il tuffo. Data la velocità del corpo all'impatto con l'acqua, l'urto fu violento tanto che egli rimbalzò più volte, ricadendo alla fine in acqua ove rimase svenuto e inerte. Solo un atleta della sua fibra (era stato istruttore di educazione fisica alla Farnesina) poteva resistere e guarire delle lesioni riportate nell'impatto. Per alcuni giorni giacque all'ospedale privo di conoscenza, poi, lentamente, si riprese sino a rimettersi completamente ». E' evidente che se il Colonnello Baudoin, con intelligente e pronta iniziativa, non fosse intervenuto in suo aiuto, l'avventura non sarebbe stata a lieto
fine.
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UFFICIO STORICO AERONAUTICA MILITARE
NOVEMBRE 1971
Nel 1937 le nostre Forze Armate, sull'esempio di quanto si era fatto e si stava facendo in altre parti d’Europa, decisero di utilizzare le prestazioni del paracadute aeronautico anche in campo militare( costituire la specialità di paracadutista). Le prime unità del genere nacquero in Libia nel marzo del 1938: è di quei giorni appunto la circolare del Comando delle Forze Armate in Africa Settentrionale a tutti i Reparti Nazionali e Indigeni, per il reclutamento di ufficiali e di libici volontari, per la costituzione di un Reparto Paracadutisti. Subito dopo giunse in Libia il Ten. Col. Prospero Freri (ex Bersagliere), per addestrare gli uomini sul funzionamento e sulla tecnica di lancio col paracadute « Salvator D.37 », lo stesso tipo di paracadute allora in uso nella R. Aeronautica, ma con caratteristiche che vedremo poi inidonee ai lanci di gruppo (discesa troppo veloce). Il 16 aprile 1938 venne eseguito il primo esperimento in massa: trecento uomini del I° Battaglione si lanciarono da 24 trimotori S.M.81 del 15° Stormo. Durante questa fase iniziale vi furono purtroppo delle vittime: 8 morti, e 30 feriti più o meno gravi. Nonostante ciò il Comando Superiore d'Africa dispose di reclutare e addestrare anche un altro Battaglione (il 2°) onde costituire, con il 1°, il 1° Reggimento Paracadutisti. Il lancio di questi non fu dissimile dal primo. Nondimeno lo stesso 1° Reggimento partecipava alle Grandi Manovre svoltesi, cinque giorni dopo, alla presenza di S.M. il Re Vittorio Emanuele III e del Maresciallo dell'Aria Italo Balbo (in Libia). Tutti gli uomini stavolta, eccezion fatta per due di essi che riportarono leggere ferite, toccarono il suolo indenni. Il bilancio generale non era incoraggiante. Le cause dell'insuccesso vennero, a ragione, attribuite in parte all'affrettato addestramento degli uomini, e in parte all'impiego di un paracadute inadatto per i fanti dell'aria. Nel novembre 1940 il paracadute D.39 Salvador di Freri viene soppiantato dal IF.41/SP. Mentre in Libia si era in attesa di riprendere l'attïvità, nel territorio metropolitano si stava approntando una Scuola Nazionale di Paracadutismo, una scuola sul modello di quella tedesca di Stendal. Tale compito, in base al vecchio Decreto Legge n. 220 del 22 febbraio 1937 sul riordinamento della R. Aeronautica (Art. 34) era di sua pertinenza. Come località la scelta cadde sull'aeroporto di Tarquinia. Fu poi la volta dell'uomo. A chi affidare il comando del nuovo organismo? Fu scelto il Colonnello pilota dell'Arma Aeronautica Giuseppe
Baudoin. In quel tempo Baudoin aveva 43 anni, di cui 23 trascorsi sotto
le armi: egli era nato infatti nel 1896, aveva iniziato la vita militare
nel gennaio del 1916. Inviato al fronte (era allora caporale nei
bersaglieri), in due distinti combattimenti, il 30 giugno e il 2 luglio
1916, riportava ferite varie. Nominato il 3 settembre 1917 Aspirante
Ufficiale di Fanteria, il 30 dello stesso mese (sfondamento di Caporetto)
veniva fatto prigioniero a S. Daniele del Friuli. Verso la fine di marzo
del 1921, Baudoin, allora Tenente di Complemento di Fanteria, partiva
per la Libia, assegnato al 6° Battaglione del 241° Reggimento, di
stanza a Homs, quale comandante di una compagnia mitragliatrici
(qualcuno dice che fu anche con D’Annunzio l’anno prima a Fiume).
Rimpatriato nel giugno del 1921, ai primi di agosto dello stesso anno,
transitava, per merito di guerra, dal ruolo di complemento al servizio
attivo permanente con il grado inferiore. Nel marzo del 1922 era di
nuovo tenente. Nel biennio seguente Baudoin partecipò ad un corso di
perfezionamento presso la Scuola Militare di Modena, poi fu di nuovo in
Colonia, stavolta a Mogadiscio. Si era intanto maturata in lui la
decisione di entrare in Aeronautica, certamente più congeniale al suo
temperamento spregiudicato e battagliero. Andò ad apprendere l'arte del
volo nel marzo 1921 alla Scuola di Cameri (Novara), vecchia e gloriosa
fucina di piloti, la cui data di nascita risaliva a 10 anni prima. A
Cameri l'istruzione si svolgeva allora secondo una didattica originale:
gli allievi si addestravano soli a bordo, alla manovra di partenza
(meglio si dirà alla manovra di rullaggio), su aerei incapaci, per
insufficiente potenza motrice, di staccarsi dal suolo. Poi, ancora soli
a bordo, eseguivano su velivoli in grado di sollevarsi da terra ma di
soli 2 3 metri, dei brevissimi voli rettilinei. Completavano infine
l'addestramento su macchine più potenti, a doppio comando, con
istruttore a bordo, insomma con aeroplani normali. Conseguito dunque il
brevetto militare aeronautico, Giuseppe Baudoin iniziava come subalterno nel XX° Stormo da Ricognizione, quindi, in virtù della conoscenza di lingue straniere, della sua cultura e tratto signorile, fu alla Sezione Stranieri dell'Ufficio Segreteria dello Stato Maggiore. Successivamente con la costituzione ufficiale della Regia. Aeronautica, venne incorporato nel Ruolo Combattente. Nel 1938, a 42 anni, con il grado di Colonnello, era al comando della Scuola di Osservazione Aeroplani Terrestri, e di qui, il 1° novembre dell'anno dopo, veniva trasferito, quale Comandante, alla Scuola Paracadutisti di Tarquinia (si fa per dire, non c’era nulla). E' probabile che chiunque altro, nei panni di Baudoin, dopo quel sopralluogo si sarebbe adoperato per ottenere una revoca del trasferimento, o, quanto meno, avrebbe prospettato, sia allo Stato Maggiore dell'Aeronautica come al Comando di « Esercitavia » sotto le cui direttive la Scuola avrebbe operato sul piano addestrativo, le enormi e pressoché insuperabili difficoltà di creare celermente, dal nulla, su quel piccolo squallido aeroporto di fortuna, un efficiente centro di paracadutismo.
Baudoin invece, in silenzio, senza batter ciglio si rimboccò le maniche e si gettò a corpo morto nell'impresa. Era sicuro di se stesso. Era certo che ce l'avrebbe fatta.
« Anche in Inghilterra e negli Stati Uniti diceva -
Baudoin, bene informato di quanto si faceva nei due Paesi - si lavora sodo nel campo del paracadutismo militare per riguadagnare il tempo perduto. E noi che aspettiamo per fare altrettanto? Che ci cadano sul capo migliaia e migliaia di uomini, più fitti di una nevicata? ». |
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Altre difficoltà erano legate al terreno
paludoso di Tarquinia. Al 28 marzo 1940 dipendevano dal Col. Baudoin un Ufficiale di collegamento con l'Esercito, nella persona del Maggiore Lo
Bianco, un Comandante del Reparto di volo (Capitano Pilota dell'Arma Aeronautica Dante Salvetat) cinque ufficiali piloti e sei sottufficiali, addetti, con varie mansioni, al Comando della
Scuola, due Tenenti Medici, responsabili dei servizi sanitari. 53 allievi paracadutisti provenienti da ogni Arma e Corpo, così suddivisi: 3 Capitani 13 Tenenti 1 Sottotenente 2 Marescialli 34 Sergenti Maggiori. Da quel primo contingente di allievi paracadutisti doveva essere tratto un nucleo di istruttori, destinati ad esercitare una duplice attività: insegnare ad altri allievi paracadutisti l'arte e la tecnica del lancio, e nel contempo addestrarli all'impiego di armi leggere d'ogni tipo, alle modalità del combattimento, alle azioni di sabotaggio, e via dicendo. Il tempo stringe. La guerra è nell'aria. L'addestramento degli istruttori, le future colonne vertebrali del paracadutismo militare nazionale, procede senza soste. A terra questi allievi vengono sottoposti ad un intenso allenamento ginnico sportivo: corse piane dai cento ai diecimila metri, salti in lungo e in alto, esercizi agli attrezzi, flessioni, torsioni, sospensioni, esercizi respiratori, salita sulla torre a forza di muscoli, salti dalla sommità della torre sul telone sottostante: il tutto sotto costante controllo degli Ufficiali Medici. Seguono i lanci dall'aeroplano, personalmente controllati dal Col. Baudoin: egli s'intende di paracadutismo pratico per aver compiuto, negli anni precedenti, alcune discese col «Salvator». Si aggiungano le lezioni di anatomia, fisiologia,
igiene: Le istruzioni sull'impiego degli esplosivi, delle mine, delle armi; quindi un corso guastatori presso la Scuola del Genio di Civitavecchia, un corso nuotatori, un corso camionisti, ed altro ancora.
« Non aver pronti per l'impiego entro novembre otto Battaglioni, significa tradire la Patria
». disse Baudoin allo scoppio del conflitto in Giugno. Nulla da fare. Allorché giunse quel mese di novembre del 1940,
esisteva in Italia un solo Battaglione operativo. Un altro era in
addestramento e uno appena inquadrato. Ma fra il 25 e il 27 luglio quattro allievi si schiantarano di nuovo al suolo per mancata apertura della calotta. Le cause di questi impressionanti sinistri erano certamente quelle dei mortali incidenti avvenuti in Libia alla vigilia della guerra: il « Salvator », più di nome che di fatto, sebbene avesse dato ottima prova come strumento di salvataggio per aviatori, non possedeva le prestazioni di un paracadute da scuola, cioè sottoposto, per forza di cose ad un impiego sistematico, persistente, logorante, ai limiti della tolleranza. Sospesi i lanci lo Stato Maggiore dell'Aeronautica ordinò lo studio di un nuovo paracadute e, poiché la scuola si era già fatta proposta, le venne dato l’incarico. Il Colonnello Baudoin aveva organizzato a Tarquinia un efficiente Reparto Studi ed Esperienze alla cui direzione aveva posto l'elemento adatto: il Tenente Colonnello del Genio, Ing. Giuseppe Bettica. Richiamato in servizio allo scoppio delle ostilità Bettica era un tecnico e un inventore di raro talento. Aveva fra l'altro ideato uno speciale lanciabombe denominato appunto « Bettica », e una pistola mitragliatrice; più oltre, durante il servizio prestato alle dipendenze di Baudoin, escogiterà un nuovo tipo di bombe a mano adatto per fanterie dell'aria, un semplice ma efficace modello di bazooka, pur esso per fanti dell'aria e, infine, come diremo, il « paracadute per paracadutisti ». Bettica era stato « scoperto » per caso dal Colonnello Baudoin: questi infatti un giorno, mentre si aggirava fra i Monti della Tolfa (situati a 12 15 chilometri a nord est di Civitavecchia) in cerca di una zona adatta per esercitazioni di lancio collettivo di paracadutisti in assetto bellico, s'imbatteva nel Tenente Colonnello Bettica che si era momentaneamente stabilito colà per effettuare, coadiuvato da un gruppo di genieri, esperimenti pratici di lancio dall'apice di un pilone, di un suo modello di paracadute a « discesa controllata ». Baudoin, uomo di fine intelligenza e di acuta sensibilità, intuito da quel, sia pure breve, incontro, quale prezioso collaboratore sarebbe stato quell'ufficiale per la sua Scuola, lo persuase a chiedere il trasferimento a Tarquinia. Nel contempo lui, Baudoin, avrebbe esercitato le necessarie pressioni nelle alte sfere affinché il movimento si compisse ipso facto e senza difficoltà. E così fu.. Bettica andò a Tarquinia e qualche tempo dopo, con la promozione a Colonnello, fu nominato Direttore del Reparto Studi ed esperienze. (Bettica verrà ucciso dai tedeschi in Val d'Aosta, nell'agosto del 1942, in circostanze non mai chiarite).
Lavorando giorno e notte Bettica e i suoi tecnici crearono a tempo di record un modello siglato IF.41 SP ( imbracatura fanteria » 1941 Scuola Paracadutismo). Questo prototipo differiva sostanzialmente dal « Salvator. D 39 »: la sua imbracatura era costituita da due bretelle, un alto cinturone e due cosciali. La superficie della velatura era stata aumentata di circa 8 metri quadrati, il che modificava la velocità di discesa, che da 6 metri al secondo, diminuiva, a circa 5 metri. La calotta, infine, anziché essere espulsa dal suo contenitore con processo meccanico, veniva sfilata di forza, a trazione, al momento del distacco dall’aereo. Sottoposto ad ogni prova tecnologica a terra, poi collaudato in volo dal Capo Istruttore di Tarquinia Capitano Leonida Turrini, il nuovo paracadute rispose pienamente alle aspettative.
Il 27 settembre ripresero a ritmo sostenuto le esercitazioni. Non si verificarono più incidenti mortali dovuti alla mancata apertura della calotta; se ne ebbe qualcuno causato da motivi estranei al funzionamento vero e proprio del paracadute, come, |
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Nel 1940 Alessi entrava col grado di maggiore nel I° Battaglione Carabinieri Paracadutisti. Poco tempo dopo assumeva il comando dell'unità che, rinviato il progetto d'invasione di Malta, venne immediatamente impiegata in Africa. Il battaglione si distinse in una complicata operazione militare che lo vide ingaggiare una dura lotta con le truppe britanniche. E’ in questo momento (14 dicembre 1941 operazione Kmpass) che il 1° battaglione Carabinieri paracadutisti, al suo comando riceve l'ordine di attestarsi sul bivio di Eluet el Asel, a sud di Berta, e di resistere ad oltranza. Sono solo 400 uomini,
rinforzati da 6 cannoni controcarro da 47/32 mm dell'8° bersaglieri 9° compagnia del ten. Coglitore, dotati di bombe Passaglia e di una settantina tra fucili mitragliatori e mitragliatrici.
Al termine degli eventi solo 91 uomini erano sopravvissuti e l'unità terminava così la sua funzione operativa. Un omaggio al grande coraggio dimostrato in questi scontri, venne anche da parte del nemico che tramite Radio Londra ammise: " i paracadutisti italiani si sono battuti come leoni: fino ad ora, in Africa, i reparti britannici non avevano mai incontrato una resistenza così accanita". Dopo l’8 settembre 1943 appena poté, varcò il confine seguito dalla moglie rifugiandosi nella vicina Svizzera dove restò fino al 21 maggio 1944. Allorché Campione, primo fra i comuni d'Italia, fu liberato grazie ad un colpo di mano dei Carabinieri locali, la Regia Legazione d'Italia in Svizzera ne nominò Alessi Vicecommissario. Successivamente, nel febbraio 1945, il CNL lo invitò a prendere il comando della prima Divisione Alpina Valtellina dei Volontari della libertà. Con il consueto spirito di abnegazione Alessi, col nome di battaglia "Marcello", si prodigò nella sua missione, arrivando a costituire una seconda divisione il cui territorio d'azione fu la bassa Valtellina. Il giorno 26 aprile 1945, quando ormai la Guerra di Liberazione era terminata, Alessi ed il suo aiutante Adriano Cometti, "Cesare", caddero in una misteriosa imboscata poco a valle di Sant Anna e furono uccisi.
Alla sua memoria viene concessa una medaglia d'Argento al V.M.
Proprio in quel periodo (10 febbraio 1941) un commando di parà britannici scendeva nottetempo in Campania con l'ordine di sabotare l'acquedotto pugliese, immobilizzandone la centrale di Caposele (Avellino). L'azione fallì. Trascurabili furono i danni arrecati all'acquedotto. Quando la notizia giunse a Tarquinia, subito Baudoin inviò sul posto, per condurre un'inchiesta e stilare una relazione, un suo Ufficiale di fiducia:
il Maggiore Alberto Bechi Luserna. Nell'inviare a Mussolini la relazione il Colonnello mise in rilievo la necessità di forgiare un corpo di paracadutisti assai più poderoso di quello programmato, non senza aver prima accresciuto le possibilità addestrative di Tarquinia, o creato una seconda scuola di paracadutismo militare. |
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I BECHI LUSERNA
Si consumava anche l’11a battaglia dell’Isonzo nell’agosto del 17, dopo la 10a di maggio senza alcun risultato apprezzabile se non il mezzo piede sulla Bainsizza. La paura dall’altra parte però doveva fare a novanta perché richiesero immediatamente forze sufficienti ai tedeschi per controbattere con una offensiva, quella che poi per noi diventerà
Caporetto. In quel lontano 28 agosto la Brigata di Fanteria “Porto Maurizio” (253° e 254°.) si lanciò per l’ultima volta all’assalto delle ben difese posizioni nemiche ad est di Gorizia. L’azione si esaurì contro il secondo ordine di reticolati con gravissime perdite. Cadde anche il Comandante del 254° Col. Giulio Bechi Luserna, decorato successivamente con la Medaglia d’Oro alla memoria. Poco più di 26 anni dopo, nel settembre 1943, si ripeteva per la vedova lo straziante dolore del 1917 allorquando le venne comunicata la morte dell’unico figlio, il Ten. Col. Alberto Bechi Luserna, Capo di Stato Maggiore della Divisione paracadutisti “Nembo”, anch’egli decorato “post-mortem” della Medaglia d’Oro.
Era nato a Spoleto, aveva frequentato il Collegio Militare di Napoli, l’Accademia Militare di Modena dalla quale era uscito Ufficiale di Cavalleria, la Scuola di Guerra. Tre medaglie di bronzo le aveva guadagnate nei conflitti coloniali in Libia e A.O.I. (1935).
Scoppiato il secondo conflitto mondiale, dopo aver prestato servizio presso lo Stato Maggiore dell’Esercito, aveva chiesto il passaggio nella neo costituita specialità dei paracadutisti. Al comando del IV Battaglione raggiungeva l’Africa Settentrionale nell’estate del 42 e nell’ottobre, quale Comandante del 187° Reggimento paracadutisti “Folgore”, partecipava alla battaglia di El Alamein, ove veniva decorato sul campo con una quarta Medaglia di Bronzo. Ai primi di novembre di quell’anno, ottemperando malvolentieri ad un perentorio ordine dello Stato Maggiore dell’Esercito tornava in Italia per assumere la carica di Capo di Stato Maggiore della nuova divisione di paracadutisti “Nembo”. All’atto della proclamazione del l’armistizio questa grande unità si trovava nella Sardegna centrale.
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Nell'inverno del 1940 la Scuola Nazionale di Paracadutismo funzionava regolarmente, per quanto non poche fossero le difficoltà di ordine soprattutto operativo e logistico, come vedremo in dettaglio fra poco. I giovani che affluivano a Tarquinia, già selezionati presso i reparti di provenienza, subivano tuttavia un rigoroso esame fisico e psichico personalmente controllato dal Colonello Baudoin; la percentuale degli elementi scartati era infatti molto
alta, oltre il 58%. Gli allievi venivano addestrati secondo l'iter seguito per i candidati istruttori, ma perfezionato e ampliato nei modi suggeriti dall'esperienza, sì da formare un combattente di elevata preparazione tecnico tattica. I1 successo dell'impiego delle fanterie dell'aria è infatti condizionato, in misura determinante, dalla capacità di condurre, una volta posto piede a terra, azioni rapide, aggressive, spregiudicate; azioni collettive, dapprima a livello di squadra e di plotone, quindi a livello di compagnia e di battaglione. Nelle prime settimane del 1941 le forze già addestrate a Tarquinia consistevano in tre Battaglioni, di cui uno Carabinieri. Un quarto Battaglione era in via di costituzione.
Considerate le energie profuse e i pochi mezzi a disposizione i
risultati non potevano che essere più gratificanti, ma a giudizio di alcuni alti ufficiali delle
Forze Armate l'esame della situazione strategica richiedeva di potenziare al massimo il paracadutismo
militare e quindi di moltiplicare gli sforzi per altri reparti. Sulla stessa linea era, toto corde, il Colonnello Giuseppe Baudoin. Secondo lui i fulminei clamorosi risultati conseguiti dal Flieger Korps tedesco nei primi mesi di guerra parlavano chiaro. Bando agl'indugi dunque. Preparare subito diverse divisioni di paracadutisti per un Corpo d'Armata di Fanti dell'Aria. L'appello non venne formulato invano. Poco tempo dopo il Generale Cavallero, Capo di Stato Maggiore Generale, disponeva d'incrementare le formazioni. Così nel marzo 1941 fu costituito il 1° Reggimento
Paracadutisti Folgore, composto da tre Battaglioni. Cavallero s'impegnò
inoltre ad approntare, entro cinque sei mesi, un secondo Reggimento.
Questo tardivo ma vivace risveglio viene accolto dal Colonnello Baudoin con grande soddisfazione, non disgiunta però da un senso d'inquietudine. La Scuola di Tarquinia infatti, col suo campo di atterraggio
di poco ingrandito, si può dire un lenzuolo, con i suoi impianti di fortuna gli uni addossati agli altri, con la sua penuria di mezzi tecnici e logistici non è più in grado di soddisfare le crescenti richieste dello Stato Maggiore Generale. La situazione
che è già difficile, sta per divenire drammatica. Di ciò
Baudoin, che non ha timore di esporsi, non ha peli sulla lingua, informa direttamente Mussolini; questi lo chiama e quello ripete parola per parola quanto ha detto qualche giorno prima. Mussolini ascolta, annuisce, tace. Non succede niente. Le cose non accennano a cambiare. Allora il coraggioso dinamico Comandante di Tarquinia, invia direttamente al Capo del Governo e Ministro della Guerra, una lunga relazione che meriterebbe
di essere interamente trascritta. Nessun altro, al suo posto, avrebbe osato tanto con Mussolini, la cui suscettibilità e asprezza di carattere erano note. Contrariamente alle aspettative Mussolini questa volta non s'irritò. Ritenne valide le critiche del Colonnello e senza por tempo in mezzo emanò le disposizioni affinché si provvedesse a migliorare l'aeroporto e la Scuola di Tarquinia, si accelerassero gli addestramenti degli allievi, si inviassero all'aeroporto di Viterbo degli esperti per studiarne l'adattamento per una nuova scuola di paracadutismo militare. Il primo frutto del suo intenso, diuturno e talora concitato lavoro, Baudoin lo raccolse con l'impresa di Cefalonia. Verso la
metà di aprile del 1941 Superesercito, visto che sotto la pressione delle forze
italiane la resistenza greco albanese stava ormai crollando, ritenne giunto il momento di occupare le Isole Ioniche. Il 26 dello stesso mese giungeva al Comando del 1° Reggimento paracadutisti, allora nelle mani del Colonnello Bignami, l'ordine di approntare
« due Compagnie di paracadutisti per azione di aviolancio in territorio nemico
». Il 30 aprile 1941 due compagnie del II° battaglione del maggiore Zanninovich vennero
aviolanciate su Cefalonia.
Direttore di lancio era il maggiore Giovanni Verando, il bersagliere che comandava il reparto addestramento. In un secondo tempo, a bordo di caicchi greci, i paracadutisti occuparono anche Zante e Itaca. L'impresa di Cefalonia costituì l'esordio in guerra dei paracadutisti di
Tarquinia; nei tempi seguenti essi furono impiegati su vari fronti: fra le operazioni cui parteciparono, va, per prima, ricordata la battaglia di El Alamein, durante la quale gl'indomiti Battaglioni della « Folgore » scrissero le più belle pagine del valore e delle virtù del soldato italiano. Ai primi di novembre del 1942 Baudoin lasciava Tarquinia, ed il 14
dello stesso mese era nominato Comandante delle Forze Aeree della Corsica. Per il periodo trascorso dal Colonnello Giuseppe Baudoin al Comando della Scuola Paracadutisti di Tarquinia, gli furono tributati due encomi: il primo dal Sottosegretario di Stato per l'Aeronautica, l'altro dal Sottocapo di Stato Maggiore dell'Aeronautica. Nel corso del nuovo incarico non ebbe modo d'impiegare le ben modeste unità aeree alle sue dipendenze, tuttavia pur venuto a trovarsi in una situazione difficile, nel momento in cui l'Italia si avviava verso la disfatta, non venne meno la sua energia ne le sue ottime doti di organizzatore.
Dimostrò altresì molto tatto nei rapporti con il Comando dell'Esercito, da cui dipendeva, e con la popolazione e le autorità locali. L'8 settembre 1943 (giorno in cui Badoglio annunciava l'armistizio, e le Forze Armate Italiane si dissolvevano) il nostro era a Roma, per conferire con il Ministro e il Capo di Stato Maggiore della R. Aeronautica. Il successivo mattino, riprese con fermezza il posto di comando in
Corsica. In un momento particolarmente grave per il personale di un aeroporto, il Colonnello Baudoin, rifiutandosi di aderire alla richiesta di collaborazione rivoltagli da un parlamentare tedesco, emanò le opportune disposizioni per risolvere la critica situazione. Venuto poi a sapere dello sbarco di truppe francesi nell'Isola, dispose che l'attrezzatura aeronautica di Ajaccio venisse messa a disposizione dei nuovi Alleati. E nei giorni seguenti prese gli opportuni accordi con alti Ufficiali Alleati per stabilire le modalità di consegna del materiale della R. Aeronautica, e fissare la nuova destinazione del personale dislocato nell'Isola. In Corsica si chiuse praticamente la vita aeronautica del Colonnello Pilota Giuseppe Baudoin. Nel gennaio 1947 veniva collocato in ausiliaria, il 26 marzo 1953 era nominato, ad anzianità, Generale di Brigata Aerea, e collocato nella riserva alla fine del 1958. Baudoin si spense a Roma, per malattia, il 4 marzo 1963.
Dal centro studi El Alamein Guest Forum
http://www.cselalamein.it/cse/index.php?module=EnvoGB&func=view&page=16 |
«Fra le sabbie non più deserte son qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi. Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dello stesso nemico, essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna, il cammino dell’onore e della gloria. Viandante, arrestati e riverisci. Dio degli Eserciti, accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo che riserbi ai martiri ed agli Eroi». |
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«La notizia del concluso armistizio con le direttive dell’atteggiamento da assumere (proclama Badoglio) giunse inattesa la sera dell’8 (settembre). La sorpresa del Comando della Sardegna fu completa, ove si consideri che nessun orientamento in merito era pervenuto e che solo 24 ore prima lo Stato Maggiore dell’Esercito aveva ordinato di opporsi a qualsiasi tentativo delle forze alleate». |
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Della generale situazione di
sconcerto ne trassero beneficio elementi della 90ª Panzergr. per infiltrarsi nei ranghi della “Nembo” onde convincere i paracadutisti italiani a seguirli in Corsica.
L’opera sobillatrice fece presa su alcuni Reparti, un battaglione circa, che si
incolonnò con la 90ª, per lo Stretto di Bonifacio verso la difendibile
Corsica. Il mattino del 10 settembre 1943, nel tentativo di far desistere i sediziosi dai loro propositi, accorsero nella zona di Macomer il Comandante della “Nembo” Gen. Ercole Ronco ed il Capo di Stato Maggiore Ten. Col. Alberto Bechi Luserna. Il primo venne sequestrato ed il secondo aggredito ed ucciso. Alberto Bechi Luserna,
ufficiale di Cavalleria, si trovò ad affrontare una situazione terribilmente difficile già
di per se stesso e improponibile per i suoi sottoposti con lo stesso coraggio e lo stesso sprezzo del pericolo con cui aveva combattuto ad El Alamein. Alberto Bechi
Luserna era anche l’autore della famosa epigrafe posta all’ingresso del vecchio cimitero della “Folgore” nel deserto di El Alamein. |
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Alberto BECHI LUSERNA Medaglia d'oro al valor militare:
Tenente colonnello di S.M. Div. «Nembo».
Ufficiale di elevate qualità morali ed intellettuali, più volte decorato al valore, capo di S.M. di una divisione paracadutisti, all’atto dell’armistizio, fedele al giuramento prestato ed animato solo da inestinguibile fede e da completa dedizione alla Patria, assumeva senza esitazione e contro le insidie e le prepotenze tedesche, il nuovo posto di combattimento.
Venuto a conoscenza che uno dei reparti dipendenti, sobillato da alcuni facinorosi, si era affiancato ai tedeschi, si recava, con esigua scorta e attraverso una zona insidiata da mezzi blindati nemici, presso il reparto stesso per richiamano al dovere. Affrontato con le armi in pugno dai più accesi istigatori del movimento sedizioso, non desisteva dal suo nobile intento, finché, colpito, cadeva in mezzo a coloro che egli aveva tentato di ricondurre sulla via del dovere e dell’onore. Coronava così, col cosciente sacrificio della vita, la propria esistenza di valoroso soldato, continuatore di una gloriosa tradizione familiare di eroismo.
— Sardegna, 10 settembre 1943.
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