Un fatto di cronaca nera
"LA
CONTESSA LARA"
I dati
di nascita di Evelina Cattermole sono in parte oscuri così come la prima infanzia. Secondo alcuni sarebbe nata a
Cannes da padre inglese e madre russa, ed avrebbe compiuto gli studi
presso il "Sacre Coeur" di Parigi. Documenti più attendibili
la fanno nascere a Firenze nel 1849. Suo padre sarebbe stato William Mc
Kattermol, alias
Guglielmo Cattermole, scozzese d’origine, console inglese a Cannes che
viene poi trasferito a Firenze (una lieve variante). Sua madre è Elisa Sandusch, virtuosa
di pianoforte, figlia d’un'italiana. La Sandusch era l’ennesima
moglie ricca che Guglielmo sposava dopo le vedovanze, e dopo la caterva
di figli che queste ed altre non regolari gli lasciavano. Evelina
avrebbe dunque appreso dal padre le lingue e il carattere e dalla madre le
arti musicali, mentre con la letteratura aveva preso dimestichezza nel
salotto letterario
di Mariana Giarrè, al tempo frequentato dal poeta Pietro Giannone,
Niccolò Tommaseo, Francesco Dall'Ongaro (suo pigmalione) e altri. S'era nel 1867,
e a Firenze, capitale provvisoria d'Italia, fiorivano diversi salotti
letterari, primo tra tutti quello di Maria Letizia Bonaparte, nipote di
Napoleone III e moglie dell'On. Urbano Rattazzi, presidente del
Consiglio dei Ministri. Proprio qui Evelina fece il suo ingresso in
società ed ebbe modo di far conoscere le sue doti letterarie. Passò
successivamente a frequentare anche
il salotto della
“poetessa” Laura Beatrice Oliva, moglie del patriota, giurista ed avvocato
Pasquale Stanislao Mancini,
primo sostenitore del
“centrosinistra”.
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Di Donna Laura si diceva
"che voleva educare gli italiani ai
nuovi tempi ed educare le sue creature a ogni virtù".
Fu
proprio il suo ardente patriottismo ad attirare anni prima sul marito le ire del
governo borbonico. La coppia dovette lasciare Napoli prima
per Torino poi a Firenze.
(dopo
Porta Pia il marito diventerà Guardasigilli-Ministro della Giustizia,
ma era anche stato tutore di Umberto I e ministro della Pubblica
Istruzione)
Qui, nelle pause di servizio, la giovane Evelina ebbe modo di catturare
gli sguardi del giovane ufficiale dei bersaglieri Francesco Mancini, figlio di Donna Laura, e di legarlo
al suo dissoluto destino. Dopo le nozze i novelli
sposi si stabilirono prima a Napoli, sede di un nuovo comando, poi a
Milano per la promozione del Mancini a capitano. Fu
qui che Evelina entrò in contatto con l'ambiente letterario della
Scapigliatura Milanese che le consentì di esprimere liberamente il suo
anticonformismo e la sua spregiudicatezza. Qui i guai non si fecero
attendere. Come fanno molte donne che, nel tentativo
di giustificare il loro non irreprensibile comportamento rovesciano le
accuse, anche Evelina accusava il marito (in verità per certo) di venire meno ai suoi
doveri coniugali e di preferirle il tavolo da gioco e le ballerine
dei “cafè chantant”. Lei peraltro aveva un'infinità di spasimanti
e la scelta cadde su un impiegato del Banco di Napoli di Milano,
tale Giuseppe Bennati di Baylon, con un quarto di nobiltà veneziana,
amico del marito. Una lettera anonima avvertì il marito della relazione
ma Bennati negò recisamente. I due continuarono a vedersi quasi ogni
giorno in una camera a ore, a poco distanza dalla casa dei Mancini. Gli
incontri avvenivano nel pomeriggio mentre il capitano faceva la siesta.
In caso di pericolo, ed era quando il marito si svegliava, la cameriera
aveva il compito di avvertire subito i due e il segnale per farsi aprire
era quello di battere tre colpi alla porta. La cameriera Giuseppina,
vuoi per il suo amore segreto per il padrone, o perché disgustata dal
comportamento della padrona, un brutto giorno, il 22 maggio 1875, vuotò
il "sacco" riferendo anche dei segnali convenuti all'indirizzo
incriminato. Il capitano Mancini corse a prendere la rivoltella
d’ordinanza ma, non trovandola al suo posto, si precipitò ugualmente
inerme nella casa vicina. Dopo i convenuti tre colpi la porta venne
aperta e comparve sull'uscio Giuseppe Bennati seminudo che gridò:
-
Lina il revolver!!!-
In un lampo
l’arma del marito era nelle sue mani tremanti puntata contro Mancini.
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Il
Tenente dei Bersaglieri, Francesco Saverio Eugenio
Mancini, era ritornato da Porta Pia senza essere impegnato più di tanto
nella vicenda militare. Nel suo palazzo a Firenze, aveva di nuovo incontrato Evelina
Cattermole, promettente poetessa e seduttrice. Gli uomini cadevano
letteralmente ai suoi piedi al primo sguardo. Con Evelina Cattermole la
sventura entrò in quella casa. Donna Laura Beatrice Oliva se n’accorse
quando vide il figlio Eugenio innamorarsi follemente di quella frivola
ragazza, che non prometteva nulla di buono (borghesemente), frequentatrice
assidua del loro salotto letterario. Laura, sposata al Giureconsulto
Stanislao Pasquale Mancini, patriota ed esule napoletano, era soprattutto
una donna di casa (anche lei con aspirazioni letterarie), che non vedeva
di buon occhio la relazione.
Per il figlio avrebbero visto più volentieri
una ragazza ricca, equilibrata e tranquilla, come si diceva allora e non
quella rossa...La
famiglia Mancini sì oppose fermamente al fidanzamento ma invano. Per il
forte dispiacere, donna Laura, già minata nel fisico, si spense a Fiesole
il 17 luglio 1869, in tempo per non vedere la rovina del figlio. F.
Eugenio Mancini il 5 marzo 1871 sposò la Cattermole. Ma chi era veramente
Evelina Cattermole che a 18 anni, nel 1867,aveva già pubblicato, per interessamento del poeta
Dall'Ongaro, la raccolta di versi d'ispirazione romantico patriottica,
Canti e Ghirlande ?.
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La moglie gliel'aveva
sottratta per difendere sé stessa e l'altro in caso di necessità, non si
sa mai con tutti i cornuti che ci sono in circolazione. Lì
per lì non accadde nulla, anche perché le grida dei tre avevano
richiamato gente e anche due carabinieri di passaggio.
Nell'allontanarsi Mancini rivolse a Bennati la classica frase: -
Ci rivedremo!
- che
equivaleva alla sfida a battersi in duello. Lo
scontro alla pistola avvenne il 27 maggio nei pressi di Bollate alla
periferia di Milano. Il Bennati, di fronte all'amico che aveva tradito, non voleva
alzare l'arma.
Toccava a lui il primo colpo che gli andò fuori bersaglio volutamente o
erroneamente. Non così per Mancini che gli mise una palla in testa:
morirà 10 giorni dopo.
Mancini, imputato di omicidio in duello, fu processato e
assolto. I coniugi Mancini si erano separati nello stesso giorno del
fattaccio di Via dell'Unione.
Il 1° giugno Evelina era partita per
Firenze, con l'impegno a non usare più il nome del marito e a tenere una
condotta onorata In cambio riceveva un assegno mensile di cento lire.
Tornò precipitosamente a Milano, appena seppe della morte di Bennati e
si recise i capelli che lasciò sulla sua tomba. Ritornata a Firenze, a
casa della nonna,
collaborava ad alcune testate per passare il tempo e per guadagnare qualcosa
nell'attesa
che i capelli le ricrescessero. Sempre vestita a lutto stretto (il
nero da rossa-bionda le si addiceva) non si faceva però mancare gli
ammiratori. Dai primi inserti
che firmava “Lina di Baylon” passò allo pseudonimo «Contessa Lara».
Lo pseudonimo
piacque molto anche all'editore Sommaruga, che le pubblicò una raccolta
di versi subito bestseller del pubblico. |
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Sull'onda del successo si trasferì a Roma
e fece la comparsa nella redazione del “Fieramosca” dove incontrò
il poeta catanese Mario Rapisardi. L’incontro non poteva essere più
tempestoso. Rapisardi, protetto di Giovanni Verga, lasciò moglie e due figli. La sceneggiata-sfuriata che Verga
fece ad entrambi passò alla cronaca, non senza aver lasciato strascichi
sentimentali. Si disse che Verga stesso fosse innamorato della moglie di Rapisardi
(forse si riferisce all'intreccio a fianco narrato dal
Dossi).
La sua passione sfrenata per gli uomini sembrò acquietarsi
con il giovane letterato (11 anni di meno) Giovanni Alfredo Cesareo col
quale convisse circa dieci anni. Gli anni passavano anche per la
“Contessa Lara” che si era ora saltuariamente messa a coltivare il
suo senso materno che non ebbe a realizzarsi. Si disse che anche questo,
oltre alle solite scappatelle (sue di lei), fu la causa della separazione da Cesareo.
A Roma era giunto intanto un giovane ferroviere (impiegato disegnatore) che
stravedeva per la sua prosa, Giovanni Pierantoni.
Nel leggere i versi della Cattermole, s'era innamorato a ...distanza e spesso declamava con enfasi l'ultima terzina di un sonetto
che la poetessa aveva dedicato a Mario Rapisardi ai bei tempi felici: .......Era
di maggio un dì, sull'imbrunire / Ei mi gettò una rosa entro 'l
balcone / Io la raccolsi e mi sentii morire.
Un amico comune,
sapendo delle aspirazioni dell’uno (per la pittura) e dell’altra, li fece incontrare.
L'incontro avvenne in casa della scrittrice e, come era da prevedersi,
il pittore le piacque all'istante. L’avrebbe scelto per illustrare il
suo “Romanzo
della bambola”
Dopo alcuni giorni da che era iniziata la collaborazione, per
incoraggiare il timido giovane, la contessa gli propose di cenare da lei
invece che in trattoria a Trastevere come egli abitualmente faceva da
scapolo.
Oltre alla cena - gli disse - ci sarebbe stato un extra. E così ebbe inizio la storia o meglio l'epilogo della
tragedia. L'atmosfera non era sempre serena poiché la
“contessa” faceva spesso scenate (finte) di gelosia col proposito di
togliere dalla mente di Pierantoni ogni sospetto sulle sue di
scappatelle. Una volta il pittore ebbe la prova, da una lettera
intercettata, che Evelina avesse una camera in via Goito.
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Ferdinando Martini, segretario generale
del Ministero della P.I. nominò la Rapisardi, donna malfamata, a
ispettrice delle scuole di Firenze, nonostante la giusta opposizione
degli impiegati del Ministero. Notisi che la Rapisardi coronò di corna
il marito poeta, Mario il quale, scoperta la sua corrispondenza in cui
si parlava persino dei modi del piacere, la cacciò di casa. La Rapisardi
fu a Milano con Giovanni Verga, romanziere da dozzina, altro de' suoi
amanti: poi, venne piantata anche da lui. Verga e Rapisardi,
intermediario Martini, fornivano all' editore Sommaruga il materiale per
diffamare il marito Mario. Dicesi che Martini avesse, anche lui, de'
rapporti intimi coll' adultera. Martini si lasciò facilmente corrompere
in ogni concorso artistico in cui fu giudice. Michetti dice di avere la
morale certezza che le 6000 lire da lui date a Sommaruga perché
s'adoperasse a fare acquistare dal Governo il suo bel quadro "Il voto"
passarono nelle tasche di Martini. da Alberto Carlo Pisani Dossi, in
arte Carlo Dossi: tra il 1870 e la sua morte, avvenuta nel 1910
raccoglie segreti imbarazzanti sui personaggi del Risorgimento e solo
recentemente (64) vengono rieditate e purgate. |
La violentissima
scenata di gelosia la fece lui e la picchiò pure. Decisero di separarsi,
ma dopo pochi giorni la pace era fatta: la maliarda, ormai 45enne riuscì a
convincere l'uomo che s'era trattato d'un improvviso sussulto (di ritorno)
d'una vecchia relazione ormai sepolta da anni. La squallida relazione si
trascinava tra litigi, propositi di separazione e riappacificazioni, con Pierantoni ben deciso (coi soliti metodi) a farsi mantenere. Nell'agosto del 1896, mentre Pierantoni
si preparava ad un concorso per un posto di insegnante di disegno (aveva
forse finalmente deciso di lavorare),
Evelina ne approfittò per trascorrere un periodo di
riposo a Portofino. In treno incontrò Ferruccio Bottini, figlio di una
sua amica, aspirante in marina (minorenne), che si recava a La Spezia, e con questi,
inutile dirlo, Evelina trascorse una parte del suo periodo di riposo
rinfrancandosi sull'attualità delle
sue arti seduttive. Quando, per motivi di servizio, Ferruccio dovette
partire per l'isola di Creta nel suo “cuore” trovò subito posto un altro
di famiglia: Ezio, tenente di fanteria, fratello minore di Ferruccio. La
“contessa” tornò a Roma molto rimessa. Pierantoni non tardò a capire che la
moglie gli
nascondeva qualcosa.
Trascorso poco più di un mese
tra scenate violentissime e propositi di separazione, i due convennero
di vedersi per un ultimo colloquio. Si ritrovarono ancora una volta
sotto il tetto coniugale la sera del 30 novembre. La donna non tardò a
confessare l'avventura avuta con Ferruccio Bottini; poi con la sua
innata malvagità, per ingelosire maggiormente l'uomo, finse di
nascondergli una lettera. Pierantoni gliela strappò di mano e lesse. La
lettera non era di Ferruccio ma del fratello Ezio. Le "effusioni" in essa
contenute non lasciavano più alcun dubbio: “la contessa” era stata l'amante di tutti e due i
fratelli. Fu allora che Pierantoni, afferrò una piccola rivoltella dal
comodino e fece fuoco. Evelina moriva proprio della stessa morte
violenta che tante volte aveva destinato alle sue eroine. Dietro al
feretro, oltre al bel mondo romano, c’era il popolino e qualcuno volle
riconoscere nella lunga processione anche molti dei suoi amanti compreso il marito ora Colonnello
Mancini. Chi gli doveva soldi e favori s'era eclissato, mentre i creditori s'erano divisi
quanto restava. |
Duelli
la legge Italiana dell'epoca circa i
duelli
Art. 237.
Chiunque sfida altri a duello, ancorchè la sfida non sia accettata, è punito con la multa sino a lire
500; ma se egli sia stato la causa ingiusta e determinante del fatto dal
quale è derivata la sfida, la pena è del la detenzione sino a due mesi.
Va
esente da pena chi sia stato indotto alla sfida da grave insulto o da
grave onta .Chi accetta la sfida, qualora sia stato la causa ingiusta e
determinante del fatto dal quale essa è derivata, è punito con la multa
da lire 100 a 1.500. Se il duello avvenga, si applicano soltanto le
disposizioni degli articoli seguenti .
Art.238.
Chiunque fa uso delle armi in duello
è punito, se non cagioni all'avversario lesione personale,con la
detenzione sino a due mesi. Se il colpevole sia stato la causa ingiusta e
determinante del duello la detenzione è da 15 giorni a 4 mesi.
Art.
239.
Il duellante è punito con la
detenzione : 1-da 6 mesi a 5 anni se uccida l'avversario o gli cagioni una
lesione personale da cui derivi la morte; 2 - da un mese a due anni se gli
cagioni una lesione personale. I padrini o secondi sono puniti con la
multa da lire 100 a 1.000 se il duello non abbia per effetto alcuna
lesione personale.
Art.
240..................................................
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Verran vendute, povere memorie, per
comprarmi due zolle di terra nel camposanto”
Lei, che non l'aveva previsto, finì nella fossa comune dei nullatenenti. Al processo, iniziatosi davanti alla Corte
d'Assise di Roma il 3 novembre 1897, Pierantoni fu difeso dall'On.
Salvatore Barzilai, deputato repubblicano. Barzilai
tracciò un ritratto della "Contessa Lara", sulla base di
quanto emanava dalle sue
liriche e per "esperienza" personale: un'isterica sensuale priva di qualsiasi freno morale. Mentre
altre persone oneste, testimoniavano a favore dell'imputato, servette
ciarliere e portiere pettegole accusavano Pierantoni di essere uno
sfruttatore, un mantenuto e un violento nonchè volgare assassino. Alla
arringa finale il pubblico che assiepava l'aula, proruppe in un lungo
applauso, tanto che il presidente si vide costretto a far sgomberare
l’aula. All'imputato fu riconosciuta l'ingiusta provocazione e in
forza di ciò la Corte lo condannò a 11 anni e 8 mesi. Morì di tisi,
povero e abbandonato nel 1925, al Vomero.
Rielaborazione
da Raffaele Raimondo Torre del Greco 1974
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Da una cronaca del 1897
Del processo della contessa Lara è quasi superfluo parlare, poichè esso
riempie da alcuni giorni molte colonne di tutti i giornali italiani.
Stamane ho contato nell’aula delle Assise ventidue reporter, intenti a
scrivere febbrilmente le lunghe cartelle che un fattorino del telegrafo
viene ogni mezz’ora a prendere. Oltre i reporter vi sono i pupazzettisti
che, non contenti di fermar sulla carta le parole dell’imputato, dei
testimoni, del Presidente, del Procurator Generale e degli avvocati, ne
fermano anche le fisonomie. Il giurì è un ottimo giurì.... specialmente
per l’accusa: quasi tutti impiegati e impiegati del ministero della
guerra, per giunta. Non mancherà quindi un verdetto militarmente severo.
Al banco dell’accusa sta un magistrato egregio per coltura ed ingegno, il
cav. Cavalli, che fu a lungo Procuratore del Re a Viterbo, il centro del
brigantaggio. Da poco è stato tramutato a Roma..., il centro d’un altro
brigantaggio, più civile, ma non meno temibile.
Al banco degli avvocati, stanno due indiscusse notorietà: l’on. Rosano,
per la parte civile, che sabato colla sua arringa rinverdì l’alloro
acquistatosi vent’anni orsono, in quella stessa aula dei Filippini, nel
famoso processo Fadda, e l’on. Barzilai, per la difesa, che parlerà questa
sera (lunedì) e che colla sua eloquenza moderna farà un degno pendant
all’eloquenza classica del suo avversario.
L’imputato non è simpatico, e ha perduto la causa col suo interrogatorio.
Se i giurati avessero visto in lui un uomo commosso e pentito, forse lo
avrebbero assolto. Ne hanno assolto di peggio! Ma hanno visto, invece, un
uomo freddo, calcolatore e che si contraddice continuamente. Del resto -
al di fuori di tutte le questioni secondarie che si possono fare e che si
faranno dall’on. Barzilai - la questione principale è questa: il Pierantoni impugnò la rivoltella e colpì la contessa Lara perché tra loro
si discuteva volgarmente di danaro, o perchè egli, geloso, rimproverava
alla sua amante la sua condotta non certo fedele?
Ecco il problema che i giurati dovranno risolvere. Problema difficile,
poiché all’ultimo supremo colloquio non assisteva nessuno. La vittima ha
giurato, moribonda, che il Pierantoni l’uccise per interesse. - Ma non
giurò anche che il suo amore per i due fratelli Bottini era un amore...,
materno? - Che strana e terribile donna è mai stata la Contessa Lara! Una
donna veramente fatale - come disse il prof. De Gubernatis al Pierantoni,
la prima volta che la presentò a lui. Peccato che il Pierantoni non si sia
spaventato di quell’aggettivo!. Ella ha fatto uccidere dal marito il suo
primo amante, ed è stata uccisa dall’ultimo.
La sua prima cameriera - pentita di avere rivelato al Mancini la tresca
della sua padrona col Bennati -si suicidò quando seppe che il Bennati era
morto in duello. La sua ultima cameriera è venuta in Corte d’Assise per
raccontare la tragica fine della contessa Lara, e ha dovuto deporre che
questa- poco prima dell’ultima scena col Pierantoni - le aveva consegnato
per impostare una lettera diretta al tenente Bottini! Una storia triste e
trista, da cui emana un tanfo di immoralità, e in cui non si sa se l'azione peggiore sia stato il colpo di rivoltella che l’ha tragicamente
finita. |
(postilla il 9 novembre è uscita la sentenza. Il Giurì riconobbe
il Pierantoni reo di aver uccisa Evelina Cattermole-Mancini, detta la
Contessa Lara, ed ammise ch’egli agì in un impeto d’ira e di intenso
dolore determinato da provocazione ingiusta, ma non grave. Perciò il
Tribunale lo condannò a 11 anni e 8 mesi di reclusione).
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per saperne di più
http://it.wikipedia.org/wiki/Evelina_Cattermole
http://www.letteraturadimenticata.it/Contessa%20Lara.htm
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