PICCOLE STORIE DIARI MINIMI 

La Vittoria in Adriatico

di Maffio Maffii

Edizioni digitali del CISVA, 2007 - a cura di Antonio R. Daniele -  Biblioteca digitale  Da pag 40 a pag 58 del file Pdf http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR/biblioteca_digitale/titoli/scheda_bibliografica.2007-03-01.7983753448

(le immagini sono dall'archivio del sito e sono attinenti al periodo e all'argomento)

Si ringrazia il C.I.S.V.A  (CENTRO INTERUNIVERSITARIO INTERNAZIONALE DI STUDI SUL VIAGGIO ADRIATICO) nella persona della sua direttrice Prof. Giovanna Scianatico per aver concesso l'uso del testo

…..« Fratelli d'Italia » e mille mani afferravano le nostre. « Figlioli » e le madri toccavano le nostre spalle madide di salsedine e poi si facevano il segno della croce. « Liberatori...» e belle bocche s'imprimevano sulle nostre bocche. « Soldati che avete vinto la nostra guerra... » e fiori di bambini s'attaccavano con le manine protese alle nostre bandoliere e alle nostre cinture. Poi ci siamo visti salutare in perfetta posizione d'attenti, con uno scatto d'amore e di rispetto, da soldati italiani pallidi e consunti che non avevamo portati con noi. Erano venuti a piedi da Klagenfurt, da Lubiana, dai campi di concentramento della Croazia, fin dalla lontana Ungheria e sono giunti chissà per quali vie, chissà con quanti patimenti, in tempo per riceverci ed accoglierci con sguardi che dilaniavano le fibre del nostro cuore. Altri soldati, dissimili da loro, ma stanchi, laceri e pallidi come loro, s'aggiravano a frotte stasera in questa tumultuante città, curvi sotto il peso del sacco gonfio legato alle spalle, più curvi sotto un peso più greve che non si vedeva, ma si leggeva negli occhi smarriti: erano i nemici vinti, arrivati fin qua dal Friuli, dal Tagliamento, dall'Isonzo nella precipitosa ritirata; travolti fin qui dalla marea arretrante, senza più ordine né direzione né orientamento né mèta. Sono ancora nemici, ma non hanno più anima; alcuni portavano il, fucile a tracolla, ma trascinandolo come un peso inutile forse senza sapere neppure essi il perchè.
I nostri prigionieri scampati di prigionia, i nostri avversarci sospinti dalla disfatta si mescolavano e s'incrociavano senza che la promiscuità più li stupisse. Gli uni e gli altri ci hanno visti arrivare con animo diverso, ma con aria di sbalordimento uguale : essi soli silenziosi in mezzo al generale frastuono.
C'è qualche cosa d'assurdo, stasera, a Trieste...
Cinque giorni fa, oltre le linee del Piave, udivo ancora i concentramenti di fuoco delle artiglierie austro-ungariche abbattersi con rabbia contro gli ammassamenti delle nostre truppe all'attacco ; ancora gli aeroplani crociati di nero bombardavano le nostre batterie galleggianti... Ed ecco che stanotte le mie finestre aperte in faccia ai moli di San Carlo — dove fremono ancora per l'ansito della corsa le navi italiane, — echeggiano del canto degl'inni nazionali cantati da centomila bocche non avvezze a lanciarli impunemente a gola spiegata, in faccia al mare di Venezia, ai piedi di San Giusto.
Ma che cosa sono, che cosa ho fatto di bene nel mondo, perchè Dio mi desse questa giornata che generazioni e generazioni d'italiani hanno atteso invano, soffrendo il martirio, mentre stasera 1'Ermada così torvo e fosco ricorda a tutti noi che i più prodi di noi giacciono dietro quella muraglia affocata ch'eravamo abituati a veder sempre, terribile, irraggiungibile, dall'altra parte?. Mentre le lagune di Cortellazzo e di Sdobba che abbiamo intraviste nella nebbia dall'alto delle prue vittoriose, passando, chiudono nelle loro marcite sinistre i corpi che s'avventarono alla morte per veder questa giornata, né chiedevano altro premio ?
Ciò che altri, senza la nostra fede, avrebbe creduto inverosimile, è vero. La speranza di ieri, è un fatto. Come il cervello d'un uomo può in questo momento, in questo luogo, in questa prima notte italiana riassumerlo ?. Anche la gioia umana ha un limite ; anche la commozione ha un limite. Al di là, la memoria vacilla. E poiché ho il compito di descrivere la spedizione navale che ha sciolto il voto seicentenario dei connazionali dell'altra sponda, non posso che trascrivere le mie note di viaggio.
Venezia, ore 5. — Le torpediniere, i caccia, i trasporti, fumano nella notte nebbiosa che ancora non schiarisce nell'alba. Eruttano vulcani di nafta incombusta che avvolgono la città d'una caligine nera. I « Mas » fremono nel buio. Bagliori e faville di caldaie che s'accendono. I bersaglieri del generale Coralli — i bersaglieri dell'Ermada — s'imbarcano. I carabinieri s'imbarcano. I marinai in grigio-verde (Fanteria Marina S. Marco) s'imbarcano. Calpestio di scarpe ferrate, battiti di fucili sulla pietra, tintinnii di mitragliatrici portate a spalla. Un mormorio dovunque; dovunque lo stesso nome — Trieste — sussurrato come una preghiera.
Le navi onerarie ricevono gli ultimi carichi di viveri e munizioni. La Marina ha dovuto operare, in poche ore, uno sforzo immenso. La vittoria ha dato agli avvenimenti un ritmo così precipitato, che qualunque previsione è stata oltrepassata e sconvolta. Ieri l'altro, a quest'ora, nessuno poteva immaginare né imminente né vicina la spedizione che sta per salpare alla santa mèta. Fra ieri e stanotte è stata decisa, apparecchiata, fornita. Alle sei si deve partire col primo convoglio. Alle cinque e mezzo il convoglio è pronto.
Ore 6. — Usciamo dagli sbarramenti. Il corteo è immenso. E' una lunga fila di navi che si perde nel grigio dell'alba nuvolosa. Il mare è in bonaccia. Sciami di siluranti vanno e vengono, incrociando a varie velocità lungo i fianchi del convoglio. Siluranti in testa. Siluranti in coda. I Mas, i cavalleggeri del mare, partono rombando con scatti fulminei, esplorano contro possibili insidie le acque all'orizzonte. Siamo ancora in piena guerra. Nessun sentore d'armistizio. Il nemico è in ritirata dal Tagliamento ; ma non vorrà tentare la difesa estrema del suo grande sbocco in Adriatico ? E' quello che vedremo quest'oggi....Sorpassiamo la torpediniera fino a ieri l'altro austriaca, la «T. B. 3 » della Kriegsmarine», sulla quale imbarcarono i delegati del Comitato di Salute pubblica triestino, quando vennero a dirci che la città s'era riscattata dall'antico regime, che I'esercito imperiale, rotto dal colpo italiano, era impotente a difendere la sua preda secolare. Chiedevano il nostro aiuto, la nostra bandiera, i nostri soldati. Ci chiedevano difesa, ordine, nutrimento. Accorriamo. Ma che avviene dunque a Trieste perchè noi v'accorriamo con questa fretta guardinga? Una cosa semplice e maravigliosa: Trieste ha fatto la rivoluzione. Da tre giorni s'è proclamata italiana. Appena ha saputo che il nostro esercito, sui monti ed in pianura, inseguiva il nemico in rotta, il popolo triestino è insorto, sicuro dell'appoggio della nostra vittoria. Mercoledì 30 ottobre, dopo mezzogiorno, dal Caffè degli Specchi usci fuori all'improvviso uno stormo di giovani. Spettacolo inaudito : portavano spiegata una bandiera tricolore. Fu la scintilla che accese la fiammata. In un attimo, Piazza grande ed il Corso si vestirono di vessilli bianco-rosso-verdi. Tele cucite alla meglio nel momento, pezzi di carta colorata incollati insieme, lenzuoli tinti di fresco. Alle prime grida di Viva l'Italia, le strade s'empirono di folla plaudente, decisa a tutto. — L'ora è scoccata ! Il Governo austriaco è decaduto per sempre ! »
C'erano migliaia di soldati austriaci e bosniaci, nelle Caserme. La polizia era al completo. Il barone stava al suo posto, al Palazzo della Luogotenenza. Intervennero; ma inutilmente. Polizia e soldati scesero nelle strade, tentarono di strappare le prime bandiere, di disperdere ed arrestare i dimostranti. Questi reagirono. Nelle colluttazioni, i poliziotti furono sopraffatti. Gli arrestati vennero liberati a furia di popolo. Una voce sorse dalla folla e dominò le altre: « La bandiera sulla torre del Comune ! » E la bandiera fu issata sulla torre, in mezzo al delirio di decine di migliaia di triestini, quasi in faccia alle finestre del Governatore.
Poi i dimostranti si recavano in Via della Sanità ad acclamare il loro antico podestà, l'avvocato Valerio, destituito ed internato dall'Austria allo scoppio della guerra, da poco ritornato alla città natale. Grida unanimi: — Viva il primo sindaco della città redenta ! — L'ex-podestà s'è affacciato, ha parlato ai concittadini, ha ringraziato dell'augurio, ha proclamato Trieste libera di rientrare nella grande famiglia italiana. Il campanone di San Giusto chiamava frattanto il popolo alla riscossa. Il Fascio nazionale italiano si riuniva d'urgenza; e, con una rappresentanza del partito socialista, creava un Comitato di Salute pubblica, sotto la presidenza d'Alfonso Valerio: dodici italiani nazionali e dodici italiani socialisti, ai quali sono stati aggiunti più tardi quattro delegati slavi.
Il Comitato di Salute pubblica, appena costituito, si reca dal Luogotenente e gli comunica d'aver proclamato la decadenza dell'Austria dalle terre italiane adriatiche; perciò intende assumere il governo della cosa pubblica. Durante il colloquio, una moltitudine immensa, stipata nella gran piazza, fa comprendere al barone Fries Skene che ogni resistenza è inutile. Il Luogotenente s'è limitato allora ad informare a Vienna il Presidente del Consiglio Lammasch di quanto accadeva ; poi — impotente a fronteggiare la situazione — ha abbandonato il suo posto ed è partito per Graz. L'Ammiragliato, andandosene, consegna le navi da guerra al Consiglio nazionale iugo-slavo. Cessione in articulo mortis.
L'ingegner Forti e il socialista Passigli, membri del Comitato, arringando la folla da un'automobile, le lanciano la notizia che Trieste non appartiene più all'Impero. Scoppio d'evviva all'Italia. 1I Comitato siede d'ora in poi in permanenza, assume i servizi ferroviari, proibisce ogni partenza di treni trasportanti viveri, requisisce i depositi di cereali, fa liberare i detenuti politici, scioglie dal giuramento all'Austria le guardie di pubblica sicurezza e le passa agli ordini dei Commissari civili. Centinaia di cittadini si costituiscono in guardia nazionale e cominciano subito a reprimere tentativi di disordini e di saccheggi, provocati dai teppisti che s'illudono di non trovare ancora riorganizzato l'ordine pubblico. Tutta la notte le donne lavorano a fabbricare, con ogni sorta di stoffe e di carta, bandiere italiane.
Al mattino dipoi la città è pavesata di tricolori. II Comitato s'insedia nel Palazzo della Luogotenenza. Piazza Grande è ribattezzata u Piazza Italia ». Nel giardino di essa, il gigantesco marinaio di legno che l'Austria aveva innalzato, costringendo la cittadinanza ed i ragazzi delle scuole a piantarvi chiodi di ferro e chiodi d'argento ogni volta che l'Impero credeva di propiziarsi la Vittoria, è rovesciato, schiantato, abbruciato fra il giubilo della popolazione. I busti e i ritratti imperiali, le aquile bicipiti, i segni dell'antico dominio, vengono dovunque abbattuti e distrutti.
Ma la città non può sentirsi sicura. I suoi dintorni sono pieni di truppe austro-ungariche in ritirata. Gruppi di prigionieri russi e serbi assalgono i vagoni delle derrate. Incidenti sorgono qua e là, a mano armata, fra soldati, cittadini e guardie nazionali. Alla periferia, nei dintorni delle Caserme, i tafferugli e le fucilate sono frequenti. E, quel che è peggio, la città è isolata dal mondo... Allora il Comitato di salute pubblica chiede alla rappresentanza iugo-slava, rimasta erede delle pavida guerra, di potere usare la radiotelegrafia ed una torpediniera, per entrare in comunicazione con l'Italia. Gli iugoslavi discutono e tergiversano un poco, poi acconsentono. Da Trieste, la sera del 31 ottobre (Giovedi), parte per Venezia questo radiotelegramma: «II Comitato di Salute Pubblica di Trieste, vista la gravissima situazione della città, manderà domattina 1 novembre una torpediniera del Comitato Nazionale jugo-slavo per parlamentare con la flotta dell'Intesa. Preghiamo di venirci incontro all'altezza di Caorle»
L'ammiraglio Marzolo, comandante in capo della piazza marittima di Venezia, invia questa risposta: «Sta bene».
Alle nove di venerdì 1 novembre la torpediniera ex-austro-ungarica «T. B. 3» è avvistata fuori Càorle dalla squadriglia di torpediniere del comandante Almagià, partita da Venezia al mattino per incontrarla. La nostra « 1 P. N. » s'avvicina alla « T. B. 3 », che issa tre bandiere: una italiana, una bianca e una jugo-slava. E' comandata dal tenente Pierpaolo Vucetic. Porta a bordo tre parlamentari del Comitato triestino: Marco Samaia, rappresentante degl'italiani nazionali; Alfredo Canini, rappresentante degl'italiani socialisti; e Giuseppe Ferfolja, rappresentante degli slavi.
La « T. B. 3 » è scortata fino a Venezia dalle nostre siluranti ed è fatta fermare all'imboccatura del porto di Lido, fuori degli sbarramenti. Un nostro motoscafo, con a bordo il capitano di vascello Rota, esce dalle ostruzioni, accosta alla torpediniera battente tre bandiere e riceve i parlamentari. Alle una e mezza del pomeriggio i delegati triestini giungono all'Arsenale di Venezia, dove sono immediatamente ricevuti dall'ammiraglio Marzolo. Il colloquio dura due ore. Mentre la conversazione si svolge, arriva davanti a Venezia una piccola nave mercantile, l'Istria del Lloyd, sulla quale sono imbarcati il dottor Jacchia ed altri tre cittadini di Fiume, i quali annunziano che anche Fiume s'è ribellata al dominio austriaco, ha cacciato i rappresentanti imperiali ed invoca l'intervento della Marina italiana.

Ndr: La mattina del 1 novembre 1918 (festa di Tutti i santi)) il 39° battaglione dell'11° reggimento bersaglieri era accampato a Sala di Campagna di Treviso. Dopo il rancio della mattina e la Messa, arrivò l'ordine di marcia. Incolonnati sui lati della strada i bersaglieri si trasferirono in stazione a Treviso. Da li con una tradotta si portarono allo scalo marittimo di Venezia. Il segreto della destinazione stava cedendo e sempre più spesso si sentiva dire che la meta era Trieste. Alloggiati in un capannone fino alle 17 del giorno 2 ebbero anche il tempo di fare una passeggiata in città. Sulla far della sera vennero imbarcati con un altro battaglione bersaglieri, il 10° del 7° reggimento, su due trasporti scortati (cacciatorpediniere Audace) che fecero rotta lungo la costa. In mare c'erano ancora molte mine e si doveva fare molta attenzione.

L'ammiraglio Marzolo parte in serata per il Comando Supremo e ne ritorna nella notte. All'indomani, 2 novembre sabato, si sparge a Venezia la voce che una spedizione navale per l'occupazione di Trieste, è imminente. L'arrivo della seconda Brigata bersaglieri (7° e 11° Rgt) e l'allestimento improvviso di compagnie di marinai da sbarco ne costituiscono l'esplicita conferma. La sera del 2 novembre, riceviamo infatti l'ordine d'imbarco per la notte.


Ed eccoci ora, sulle siluranti di scorta, in rotta per l'altra sponda. Non è un sogno ?
Ore 9. — Ci manca il sole, stamane; ma il sole è nell'anima. Già l'impazienza ci fa soffrire. Non possiamo navigare con tutta la velocità delle nostre macchine e del nostro desiderio, perchè l'alto Adriatico è cosparso di mine.
La torpediniera sulla quale m'ha accolto il capitano di vascello Vaccaneo, comandante delle siluranti e della spedizione, incrocia continuamente, ad alta velocità, innanzi e indietro, attorno alla formazione immensa ; immensa anche perchè 1'e acque insidiate, sulle quali procediamo con ogni cautela, hanno reso necessario scartare dalla spedizione i piroscafi di gran tonnellaggio, troppo facilmente vulnerabili, in questo mare basso, dalle armi subacquee.
Una pioggerella fine e viscosa avvolge d'un nuovo velario il convoglio. Vedette di coffa, vedette di prora, attenzione ! Voi portate, non migliaia d'uomini soltanto, ma tutta l'Italia, ma tutta la sua gloria, ma millenni di storia, sui vostri bastimenti fumiganti. Portate anche i nostri dolori, anche i nostri morti, con voi. Che non vadano perduti !
Ore 12. — Avvistiamo Càorle riconquistata dal Reggimento Marina; poi le foci del Tagliamento, silenziose.
Le sentinelle di bordo annunziano : « Torpedini alla deriva ! »
Sono due mine galleggianti austriache sulla rotta del convoglio. Distinguiamo sull'orlo superiore emerso dall'acqua gli « urtanti » che, se toccati, fanno esplodere l'ordigno. La nostra torpediniera vi si avvicina. I marinai imbracciano i moschetti. Cinque minuti di fucileria. Le mine affondano, esplodono. La via è libera. Idrovolanti tricolori volteggiano sulle nostre teste.
Ore 13,30. -- La silurante capo-linea segnala : « Avvistamento di sommergibili ». Gli uomini si dispongono ai pezzi e ai tubi di lancio. I Mas partono a tutta corsa, per esplorare le acque circostanti e dar la caccia a sottomarini o a periscopi che eventualmente affiorassero.
Nessun periscopio spunta sulla superficie tranquilla. Avanti !
Ore 14.30. -- Passiamo al traverso di Grado. Vediamo i campanili, le casette allineate lungo la diga semicircolare, il ben noto profilo venezianeggiante, caro al nostro cuore.
Gli austro-ungarici ci sono ancora, o l'hanno abbandonata? Lo ignoriamo. Ma nessun colpo parte dalle batterie austriache che il nemico aveva armate lungo il litorale. Almeno, gli artiglieri della costa debbono essersene andati... Ma non abbiamo tempo per compiere indagini gradensi. Legato ad un boa, a qualche miglio della spiaggia, scorgiamo un barcone con dentro un pezzo da campagna : affusto, ruote e cassone. A bordo, nessuno. Una torpediniera s'avvicina al barcone e se lo prende a rimorchio. Entriamo nel golfo di Trieste. La vigilanza è raddoppiata.
Ore 15. --- Appare a proravia lo sciame dei cacciatorpediniere che vengono avanti sulla nostra rotta, già dragata. E' in testa l' « Audace ». Ha alzato il pavese sull'albero di prua. Ha a bordo il generale Petitti di Roreto, il vincitore della battaglia dei due Piave, fra poche ore governatore di Trieste. Comanda l'« Audace » Pietro Starita, colui che con un battaglione di marinai tenne fermo a Cortellazzo contro gli ungheresi soverchianti ed arrestò l'invasione verso Venezia. — Non è ancora un anno !

Le campane.

  Per le spiagge, per le vie di Trieste,
suona e chiama di San Giusto la campana.
L'ora suona, l'ora suona non lontana,
che più schiava non sarà.

Le ragazze di Trieste cantan tutte con ardore:
oh Italia, oh Italia del mio cuore!
Tu ci vieni a liberar.
rip


 

.di S. Giusto

Avrà baci, fiori e rose la Marina,
la campana perderà la nota mesta;
su San Giusto sventolar vedremo
a festa il vessillo tricolor.

Le ragazze di Trieste cantan tutte con ardore:
oh Italia, oh Italia del mio cuoe!
Tu ci vieni a liberar
rip
 

MP3 http://www.fiammacanicatti.it/multimediali/La Campana di San Giusto.mp3

I caccia ci oltrepassano, si mettono in testa al convoglio. Una vela all'orizzonte. Un Mas corre a sventare la possibile insidia. E' un povero bragozzo carico di terrecotte diretto alla penisola istriana. Vien lasciato proseguire.
Ore 16. (del 3 novembre Domenica) — La mèta è vicina. Le navi accelerano l'andatura. L'impazienza diventa angosciosa. Siamo tutti pallidi, gli occhi fissi in direzione delle prore. La nebbia è inesorabile. I bersaglieri già cantano le loro canzoni d'amore e di guerra. Già una fanfara echeggia sulle acque brumose. Spuntano fuori bordo, da ogni trasporto, miriadi di bandiere, grandi e minuscole.
Ecco, a prora, nella caligine, disegnarsi una riga più nera, dentata. La riconosco ! E' la catena di monti che da Duino s'innalza a Prosecco ed a Officina, poi digrada a levante, verso la collina di San Giusto. La vidi l'anno passato, nella nostra offensiva di maggio. La rividi nell'offensiva d'agosto. Poi... poi non la vidi più. La riveggo stasera. Sia lodato Iddio d'Italia !
La nostra torpediniera capolinea ha un fremito in avanti, uno scatto improvviso. Gli spruzzi salsi feriscono le nostre pupille, ma le pupille non si chiudono. Fra la caligine, ecco biancheggiare un castello e una torre. Miramare !
Passano pochi minuti. Ecco i contorni ancor vaghi della città. Lumi s'accendono. Razzi brillano. Fuochi di gioia sulle colline. Sulle fortificazioni più alte, scoppii di, munizioni fatte saltare. Fumi di treni che se ne vanno... E questo clamore di campane che ci viene col vento? Dev'essere crosciante, perchè vince il fragore delle nostre macchine in corsa. E questo rimbombo come di tuono, strano, continuo, crescente, che ci martella le orecchie, prima che gli occhi possano vedere nella caligine vespertina? Forse un bombardamento lontano ?
Ci sentiamo più, pallidi, perchè riconosciamo che non è rombo d'artiglierie, è clamore umano ! Gli occhi si velano. Un singhiozzo ci stringe alla gola. Oltrepassiamo le dighe. Un motoscafo, con bandiera italiana, è già venuto incontro alle navi, accosta ai fianchi dell' « Audace » . Sono i rappresentanti della città, i membri del Comitato provvisorio, Alfonso Valerio e il socialista Puecher, che vanno dal generale Petitti di Roreto.
Entriamo nello specchio grande del porto, in cui migliaia di lampade elettriche riflettono e moltiplicano i barbàgli delle luci. Tutte le finestre dei grandi palazzi prospicienti la riva sono illuminati. Hanno tutte il tricolore pendente dal davanzale. La riva, i moli, le banchine, la piazza grande, gli scali, i tetti, i balconi sono neri di folla. Rallentiamo. Le macchine non strepitano più. E' allora che riceviamo in pieno petto l'esplosione di Trieste italiana e redenta.
Dopo, quello che sia avvenuto, precisamente non lo so. Le mie note tacciono. La memoria non m'assiste. Ricordo d'aver barcollato sulla prua della torpediniera ché accostava al Molo della Sanità. Ricordo che le mie orecchie non udivano più, martoriate dalle acclamazioni e dalle grida d'evviva all'Italia. Ricordo che non ho potuto, sbarcando, baciare la banchina, perchè ogni pietra era scomparsa sotto la calca. Ricordo d'a-vere intravisto, nel pianto, decine di migliaia di volti che piangevano come me e una ridda di fazzoletti, di crisantemi, di bandierette davanti agli occhi. Le mie mani non appartenevano più a me, ma alla folla. Sono stato trascinato fino ad un palazzo maestoso, inondato di lumi e di gente, che ho riconosciuto più tardi come il palazzo della ex-luogotenenza. Ricordo d'aver notato con stupore, sotto il peristilio, guardie in uniforme austriaca e fiocco tricolore al bavero del cappotto, che m'hanno salutato di scatto, con un saluto che non è il nostro regolamentare.
Nel tragitto, signore eleganti e popolane mi hanno abbracciato; me, come ognuno degli arrivati. Ricordo d'essermi trovato con fiori nelle mani, nelle tasche, nella fondina della pistola. Ricordo d'avere osservato che tutti, anche ufficiali e soldati austriaci, avevano la coccarda italiana. Mille mani tese a chiedere giornali, giornali, giornali... Ci caviamo quelli che abbiamo in tasca : disputati. Ricordo d'essere stato sospinto per lo scalone del Palazzo Municipale, gremito, in una sala dove il generale Petitti, col braccio bendato in una fascia di seta nera, parlava al potestà italiano, ora sindaco di Trieste, Valerio.
Qualcuno, accanto a me, sussurrava, accennando il Governatore:
— Sapete? Quand'è sbarcato per primo dall'Audace sul molo di San Carlo, ha battuto forte il piede in terra ed ha proclamato: In nome di Sua Maestà il Re d'Italia, prendo possesso della città di Trieste. Sapete? Quando il cavo d'ormeggio è stato lanciato dall'Audace in terra, chi l'ha raccolto s'è inginocchiato e l'ha baciato, prima di dargli volta !...
Ricordo che era un vecchio tutto bianco ; e, mentre raccontava, i lucciconi gli rigavano il raso della redingote.
Ricordo che, dopo le comunicazioni ufficiali, il Governatore e il Sindaco si sono gettate le braccia al collo. Alfonso Valerio ha additato un giovinetto in divisa di esploratore e, mostrandolo al generale, ha detto : « E' mio figlio. Prendetelo ». Né, per i singhiozzi, ha potuto aggiungere parola. I1 Governatore ha tratto dalla folla che gremiva tutto intorno il salone un giovanissimo ufficiale italiano: « Le presento il mio. Ha fatto il suo dovere ». Ciascun padre ha baciato il figliuolo dell'altro. Le generazioni degli italiani delle vecchie terre e delle nuove parevano ricongiungersi idealmente ed eternamente in quell'atto. Poi il Governatore s'è affacciato alla balconata del Comune, sulla piazza Italia, dove più di centomila faccia in istato di grazia erano volte in su, sotto il biancore delle lampade elettriche, come aspettanti il battesimo dello spirito. Il Governatore ha parlato al popolo brevi parole, a voce altissima, col tono degno della grandezza dell'ora.
Cittadini di Trieste - ha detto - le accoglienze che avete fatto alle nostre truppe sono degne del vostro gran cuore : ve ne ringrazio e vi saluto in nome dell'Italia, in nome del nostro Re. Vi porto l'offerta d'amore e di dolore dell'Esercito che sacrificò generosamente il suo sangue per rendere reale il sogno d'un secolo. Le vostre sofferenze sono finite. Abbiate fede nei destini della grande Madre. Comincia per voi un'era nuova ; e sarà di pace e di prosperità. Conto sull'opera di tutti voi, per questo scopo comune. Vi invito a gridare con me: Viva il Re ! Viva l'Esercito ! Viva l'Italia ! »
Ricordo che gli ha risposto un triplice urlo immenso, che, visto dall'alto, quasi metteva paura. Poi, della serata, non ricordo altro se non una visione di delirio: battaglioni di bersaglieri, fanfara in testa, elmetto d'acciaio, piumetto al vento, fucile a bilanciarm, sfilanti a passo di corsa dal molo di sbarco alla Caserma d'Oberdan, attraverso una marea umana, fatta divina dalla speranza compiuta...


Cap.VII.
LA LIBERAZIONE DEL GOLFO SACRO. Trieste, 11 novembre.
A Trieste la Marina italiana, fino dal primo giorno dell'occupazione, ha costituito un Comando di difesa marittima, affidato al capitano di vascello Alfredo Dentice di Frasso. Cotesto Comando, rapidamente organizzatosi coi battaglioni del Reggimento Marina venuti dalla Livenza e con elementi di Venezia e delle antiche difese di Monfalcone e di Grado, si estende attualmente da Grado a Parenzo, abbracciando un enorme sviluppo costiero. Soprintende alla disciplina dei lavoratori nei porti litoranei, all'attrezzatura e all'armamento dei piroscafi che vi si trovano, agl'imbarchi e sbarchi delle truppe e dei prigionieri rimpatrianti, al trasporto degli approvvigionamenti, alla rimozione dei campi minati, ai servizi aerei e navali per le comunicazioni fra Trieste e i paesi rivieraschi, fra Trieste e l'Italia. Provvede alla polizia portuaria e fornisce distaccamenti per la tutela dell'ordine pubblico nelle cittadine affidate alla giurisdizione della Marina. Nei giorni passati, ebbe una parte importante nell'occupazione delle località costiere del Basso Isonzo e dell'Istria.
Il 4 novembre i comandanti Dentice e Dal Pozzo si imbarcavano a Trieste sulle torpediniere « 40 P. N. » e « 46 P. N. » comandate dal tenente di vascello Procaccini e dal capitano di corvetta Bella, capo della sezione ; ed imbarcarono una compagnia di bersaglieri, una ventina di carabinieri, una sezione di marinai mitraglieri.
Mezz'ora dopo sbarcavano a Capo d'Istria, in mezzo ad una fantastica accoglienza di popolo che aveva in pochi minuti improvvisato sulla banchina, con festoni e con fiori, innumerevoli archi di trionfo. Il Sindaco Niccolò Belli ha porto al comandante Dentice il saluto ed il ringraziamento dei capodistriani.
La folla, intraveduto fra gli sbarcati un suo concittadino, il tenente motonauta Gessi, che ha combattuto nella Marina italiana fino dal giorno dell'apertura delle ostilità, prima a Monfalcone ed a Grado, poi sul Basso Piave, ha rivolto una grande acclamazione a lui ed alla nostra Armata. Gli equipaggi italiani hanno risposto gridando: « Viva la patria di Nazario Sauro ».
Le truppe ed i marinai sbarcati hanno subito preso possesso della città, del porto e dei dintorni. Tra un entusiasmo che non si descrive, il tricolore è stato issato sul Palazzo della Ragione, prospiciente la bellis-sima piazza veneziana ancora adorna del leone marmoreo.
In quella stessa mattina, la torpediniera « 13 O. S. n, comandata dal tenente di vascello Vivaldi, partiva da Trieste, filava a Monfalcone e vi sbarcava un plotone di marinai del Reggimento. Anche qui, la scarsissima popolazione rimasta ha fatto ai marinai grandi accoglienze. Intanto attraversavano il paese i battaglioni austro-ungarici in ritirata dall'Isonzo, divisi per nazionalità. Trascinavano seco le artiglierie che avevan potuto salvare al di sopra della linea del Tagliamento. I pezzi erano rimorchiati da pesanti trattrici, e lunghe colonne di carreggi fangosi, con salmerie affastellate alla rinfusa, impazientemente li seguivano. La sfilata era sufficientemente ordinata, data la fretta della marcia e l'ingombro del carreggio.
Mentre il tenente Vivaldi, dalle finestre d'una casa, contemplava indisturbato quella marea umana in risucchio, ecco venir contro corrente una folla di soldati italiani prigionieri, ch'erano stati fino allora adibiti a lavori nelle retrovie nemiche, ma ch'erano accorsi a Monfalcone appena avevano visto il tricolore sventolare sul mare. Apparivano stanchi e denutriti. Vivaldi ne ha imbarcati duecento sulla torpediniera : tutti quelli che la nave poteva contenere ; li ha rifocillati alla meglio e portati a Trieste, dopo aver lasciato sul luogo un forte presidio.
A Monfalcone si son trovati in costruzione cinque sommergibili. Il cantiere, riattato in parte, aveva da qualche mese ricominciato a lavorare. La « Naven, la famosa « Nave » che ci servì da osservatorio e da riparo in tante azioni contro il Carso, era come noi la lasciammo. Esistono ancora, nelle antiche nostre riservette, le munizioni d'artiglieria che, or è un anno, dovemmo abbandonare. Oggi sono gli austro-ungarici che hanno dovuto abbandonare, lungo tutte le strade, cannoni d'ogni calibro, camions d'ogni forma e molte trattrici impantanate nel fango., tra le quali distinguiamo anche qualche nostra « Tolotti » perduta dopo Caporetto. I prigionieri liberatisi ci raccontano che gli ungheresi hanno fino a stamane malmenato i nostri ufficiali. Il giorno 5, mentre trenta mitraglieri del Reggimento Marina occupavano Barcola, la « 40 P. N. » partiva da Trieste alla volta di Pirano, portando una compagnia di marinai del battaglione Golametto.
L'entusiasmo dei piranesi, col loro Sindaco e tutto il Comitato di Salute Pubblica alla testa, è stato frenetico, folle. La silurante non s'era ancora accostata alla banchina che è stata letteralmente coperta dal getto dei fiori. Appena i marinai dalla prua hanno lanciato il cavo d'ormeggio a riva, mille persone hanno proteso le mani per toccarlo, colla riverenza con cui si tocca una reliquia.
Intanto, uno stormo di camicie rosse garibaldine, fendeva, acclamante, la folla. La coorte scarlatta aveva in testa una gran bandiera e si faceva largo tra la calca. Era il corteo delle più belle ragazze della città; s'erano vestite da cacciatrici delle Alpi: camicia e berretto rosso, pezzuola al collo, giberne alla cintura. La loro apparizione fiammeggiante ha suscitato il delirio.
Nessuno ha potuto trattenere le ragazze dal salire a bordo. Hanno offerto agli ufficiali mazzi di rose ed il saluto italico « ai liberatori », a nome di tutte le donne istriane. Volevano navigare ad ogni costo con noi, compiere con noi il periplo attorno alla penisola sacra. La torpediniera, però, era insufficiente a contenerle. Dovevamo trasportare ancora truppa ad Umago. Il comandante, a fatica, ha potuto dissuaderle.
Allora le garibaldine hanno avuto un'idea magnifica : sono corse al porticciuolo, si sono imbarcate in tanti piccoli battelli, si sono spinte al largo. Sicché, quando la torpediniera è uscita da Pirano dirigendosi alla volta di Umago, il suo passaggio è avvenuto attraverso una fantastica parata di galleggianti carichi di gioventù vermiglia, come se l’Istria avesse gettato in mare, a fiorire la nostra scìa, le più belle rose della sua terra e della sua razza.
La « 40 P. N. » è arrivata ad Umago verso le 16. Umago: malinconico villaggio nascosto dietro i muraglioni della sua cintura veneziana, dai quali spunta fuori solo il campanile cuspidato. La scarsa popolazione del luogo era tutta addensata sull'unico pontile proteso fuor delle mura. Qui s'è avuto un vero e proprio ricevimento ufficiale. Il sindaco De Franceschi, antico podestà del paese, in « redingote » e cilindro, è venuto a bordo coi maggiorenti del paese, a fare atto di sottomissione all'Italia. Quindi ha offerto, con una colazione cordiale, cordialissima ospitalità alla spedizione italiana, che ha lasciato ad Umago un plotone di marinai del Reggimento.
Allo sbarco, una bimba di Umago doveva porgere un gran mazzo di fiori e recitare una poesia patriottica al comandante dei reparti. La bimba ha dato i fiori, poi la commozione l'ha presa e la poesiola l'è rimasta in gola, tra i singhiozzi. Intanto, nella stessa giornata, una compagnia di bersaglieri metteva piede a Muggia e di lì procedeva ad occupare Ovic e i paesetti dell'interno. Gl'idrovolanti nazionali di tipo cc Macchi » cominciavano subito il servizio delle comunicazioni postali fra Pirano, Umago, Capodistria, Monfalcone e Trieste; e fra Trieste e Venezia. Contemporaneamente, una mezza compagnia di marinai della compagnia « mitraglieri del Reggimento era stata portata a Grado, e l'aveva occupata, al comando del tenente Meriggio, tra la riconoscenza della popolazione piangente, che ha sofferto un anno di martirio sotto la dura oppressione degli ungheresi di Boroevic....
 

Maffio Maffii nasce a Firenze il 6 agosto 1881. Studia all’Istituto di studi superiori di Firenze. Collabora a Hermes, la rivista letteraria fondata e diretta da Giuseppe Antonio Borgese nel 1904, quindi al Regno, diretto da Enrico Corradini e al Nuovo Giornale di Firenze. Fonda e dirige, nel biennio 1908-09, Il Giornale di Vicenza; è vicedirettore della Tribuna di Roma negli anni dal 1910-24 ma anche irredentista e combattente nella prima guerra mondiale. Passa alla direzione della Gazzetta del Popolo di Torino nel biennio 1926-27, poi, per volere di Mussolini, a quella del Corriere della Sera tra il 1928-29. Dirige quindi per undici anni, dal 1932 al 1943, La Nazione di Firenze. Muore a Roma il 30 novembre 1957.  http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR/rete_interadriatica/biblioteca_digitale   CENTRO INTERUNIVERSITARIO INTERNAZIONALE DI STUDI SUL VIAGGIO ADRIATICO (CISVA). Il Centro si pone come soggetto di raccordo tra la Comunità scientifica universitaria, il sistema delle Imprese del turismo, gli Enti locali e la potenziale utenza delle popolazioni locali e dei turisti, e può fornire un fondamentale supporto all’ideazione e al lancio di percorsi innovativi paesistico-culturali, avvalendosi di un consistente apporto di avanzate tecnologie informatiche.
Attività del Centro sono: individuazione, catalogazione, riorganizzazione, e valorizzazione di un patrimonio condiviso di testi letterari e documentali della scrittura di viaggio dell’area adriatica, attualmente disperso, per costruire su di esso l’offerta di itinerari turistico-culturali innovativi, mirati allo sviluppo di un turismo sostenibile, organizzando una Rete Interadriatico di Enti locali e imprese, destinata a supportare tale sviluppo.
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