PICCOLE STORIE DIARI MINIMI
Leopoli: Città di confine
di Roberto Salvadori
da De musica-nuove
pagine, volume VI
http://free.art.pl/demusica/de_mus_4/04_01_r.html
Ho cercato di
contattare il sito (Polacco) e il Prof. Salvadori cosa che non mi è
riuscita. La pubblicazione si intende quindi sotto riserva |

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Un oceano. Un oceano di terra.
E in mezzo a quest'oceano un
atollo di colline. Sull'alto della più alta il castello, nella conca in basso la
città. Così è per cinque secoli Leopoli, circondata da mura, bastioni e fossato.
Splendente miraggio di cupole, torri, campanili e palazzi. Fortezza
imprendibile. Nodo strategico del commercio fra Mar Nero e Mar Baltico, fra Asia
e Europa. Una stampa del 1618 mostra una veduta seducente di questa «Leopolis,
Russiae australis urbs primaria, emporium mercium orentalium celeberrimum».
Leopoli caledoscopio di traffici e di popoli, dove fin dal Medioevo sono di casa
o di passaggio turchi e armeni, greci e russi, italiani e polacchi, tartari e
ungheresi, tedeschi ed ebrei, scozzesi e ruteni. Solo fra gli anni Ottanta
dell'Ottocento e il 1914 l'abitato si arrampicherà fino in cima alla cerchia
delle colline, colmando tutta la conca. Poi, dal 1944, deborderà al di là delle
colline, quadruplicandosi, quintuplicandosi nell'immensità circostante la città
socialista.
Esistono in Europa città-soli e città-pianeti. Le prime sono quelle
che brillando di luce propria hanno irradiato bellezza (Parigi, Firenze, Vienna,
Roma, Venezia), le seconde sono quelle che hanno assorbito bellezza riflessa
(come San Pietroburgo, Vilna, Cracovia, Praga). Fra le città-pianeti, Leopoli è
una delle più straordinarie. Cantata dai poeti come una Firenze galiziana per la
sua elegante magnificenza e celebrata quanto Roma per via dei sette colli su cui
si estende, Leopoli è collocata alla stessa latitudine di Praga e Cracovia. A
nord di Vienna. E sta a sud del Bug, sulla longitudine di Brest e Kaunas (città
lituana). Trovandosi sull'altopiano Volino-Podolico, fa anche da spartiacque fra
due bacini idrografici fondamentali: quello dei fiumi che - a nord-ovest - si
gettano nel Baltico e quello dei fiumi che - a sud-est - sfociano nel Mar Nero.
Leopoli, però, è orfana di corsi d'acqua che la bagnino. E' una Vilna
senza fiumi, una Cracovia con le colline. Ricca di chiese ancor più di Cracovia
e Vilna. Di qui passa il confine del mondo. Quello romano-cattolico da una parte
e quello russo-bizantino dall'altro. Una città, due mondi. Leopoli è in Europa
la regina delle metamorfosi. Qui la comune bevanda si divide in chai e herbata ,
qui il caffé può essere alla turca o alla viennese, l'alfabeto latino o
cirillico, il cristianesimo cattolico o ortodosso (oppure dal 1596, della Chiesa
uniate, di rito ortodosso bizantino ma dipendente dal Vaticano coi preti sposati
detto anche di rito orientale). Qui
finisce l'estrema propaggine meridionale della penetrazione del Barocco nelle
terre orientali, di cui Vilna
(Vilnius
capitale contesa della Lituania *) è l'avamposto settentrionale
(entrambe hanno il
centro storico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco). Hic sunt leones
: anche il leone alato di San Marco è volato fin qui. Per annidarsi sulla
facciata della residenza dell'ambasciatore veneziano. Adesso fronteggia, nella
piazza del Mercato, la coppia di leoni indigeni che sorvegliano, impietriti,
l'ingresso del Municipio. Fino alla prima guerra mondiale,
Lemberg (Lwow- Lvov-
Lviv- Leopoli) è una città absburgica, capitale della
Galizia** orientale, estremo
lembo dell'Impero austro-ungarico. Dal dopoguerra al 1939, Lwow è una città
sud-orientale della neonata Repubblica polacca. Dal 1939 al 1941, Lvov è una
città prima occupata dall'Armata Rossa, in attuazione del patto segreto con i
nazisti per la spartizione della Polonia, e poi annessa con un "plebiscito" alla
Repubblica socialista d'Ucraina, di cui diventa l'estremità occidentale. Dal
1941 al 1944, Lemberg è il capoluogo del Distrikt Galizien, appendice
sud-orientale del Generalgouvernement tedesco durante l’operazione Barbarossa.
Dal 1945 al 1991, Lvov è una città occidentale della Repubblica d'Ucraina dell’Urss
poi a partire dal 1991, L'viv è una città nord-occidentale della post-comunista
Repubblica d'Ucraina. Una volta lasciatisi alle spalle l'aeroporto e le
periferie socialiste (che parlano russo), a interrogarla con lo sguardo la città
risponde esclusivamente in due lingue: italiano e tedesco. L'italiano
dell'architettura rinascimentale e barocca, il tedesco dello storicismo
eclettico e dello Jugendstil. Chi non ama le città in quanto tali non venga a
Leopoli. Chi è attirato solo dai tesori d'arte conservati nei musei o dalle
occasioni di vita culturale (mostre, concerti, spettacoli) che una città può
offrire scelga un'altra destinazione. Il
bello di Leopoli consiste,unicamente e semplicemente, in Leopoli.
Leopoli non ha
da mostrare altro che se stessa, quale l'hanno plasmata i secoli. Una città
siffatta appartiene, in definitiva, a tutti e a nessuno. A tutti quelli che vi
hanno lasciato traccia della propria presenza, a nessuno di coloro che vi sono
passati senza imprimervi la propria orma. 120 ettari di centro storico, con
un'altissima densità di capolavori usciti indenni dalla guerra, costituiscono un
tessuto urbanistico-architettonico di rara ricchezza in Europa, al di fuori
delle città d'arte italiane. Su quest'area in leggero pendio, completamente
preclusa al traffico (salvo i tram che sferragliano lungo il lato meridionale
del Mercato), si affollano - fin dal XIV secolo - chiese di ogni epoca e stile,
dove vengono celebrate funzioni in ogni rito e ogni lingua (russo, latino,
polacco, armeno, ucraino, ebreo*). Il momento culminante, che segnò una svolta
cruciale sotto il profilo religioso e architettonico, si colloca tra la fine del
XVI e gli inizi del XVII secolo quando nasce la Chiesa uniate e arrivano da
Roma, per l'offensiva controriformistica , Gesuiti e Barocco (1610-30
all'architetto Briano la costruzione cattedrale sul modello della romana chiesa
del Gesù) poi conventi e chiese e cappelle che verranno edificati dai più
svariati ordini religiosi cattolici: Bernardini, Francescani, Carmelitane
scalze, Benedettini, Cappuccini, Clarisse e, buoni ultimi, i Domenicani (Jan de
Witt terminerà la loro cattedrale solo nella seconda metà del XVIII secolo). Gli
architetti che realizzano questi luoghi di culto, nonché palazzi di mercanti e
residenze patrizie, sono perlopiù italiani: Barbona, Gisleni, Paolo Romano,
Nobile, i Quadro, Pietro da Lugano. Rinascimento e Barocco hanno dunque
conferito un aspetto decisamente occidentale alla città vecchia, stemperando
l'originaria fisionomia russa di Leopoli, edificata prevalentemente in legno. Le
più antiche costruzioni in pietra rimaste sono la deliziosa chiesa ortodossa di
San Nicola (fine XIII secolo) situata ai piedi dei ruderi del Castello e la
Cattedrale armena della seconda metà del XIV secolo. Ma, fra i tanti gioielli
architettonici, quello a mio avviso più seducente è San Giorgio, la "San Pietro"
degli uniati. Questa cittadella della fede - costituita dalla chiesa, dal
monastero, dalla residenza del metropolita, dal parco - si innalza su un colle
ameno con armoniosa eleganza di forme barocche-rococò.
Costruita alla metà del XVIII secolo da Jan de Witt, domina la città con le sue magiche cupole
sfavillanti di verde. Non escludo che il pathos suscitato in me dalla visita
alla cattedrale greco-cattolica sia dipeso anche dall'appassionante lettura di A
Journey through Illusions (1994), il libro di memorie scritto da Kurt I. Lewin,
il figlio del rabbino di Leopoli salvato nel 1942 dal metropolita uniate
Szeptycki. Bellissima è dunque Leopoli: uno dei vertici della civiltà urbana
europea. Ma il contrasto fra bellezza e povertà è stridente….Mica facile
elemosinare in una città povera come questa. Ci vuole inventiva. Il più scontato
è l'ometto malandato che suona la fisarmonica all'angolo della strada. Meno
banali il terzetto delle cieche che mendica canticchiando in coro oppure la
vecchia chitarrista allampanata in cappotto e ciabatte. Sublimi la madre "ejzenstejniana",
muta nel suo dolore, col piccino in grembo e accanto la monumentale carrozzina
….. Ma, in fondo, non è neanche tanto la miseria nera che stride col fulgore
della città. Quanto un altro elemento, affatto peculiare di Leopoli. La marea
contadina che ha investito la città uscita intatta dalla guerra.
Appropriandosene. E' un caso unico nel vecchio continente: un centro storico
evacuato dei suoi cittadini e colonizzato da contadini. Totale lo scollamento
fra le vie, i palazzi, i parchi - costruiti e vissuti, nel corso delle epoche,
da altri - e i tutejszy che attualmente vi si aggirano: al tempo stesso, da
padroni e da estranei. Sulla numerosa comunità ebraica si accanirono nazisti
prima e sovietici poi, annientandola. Il genocidio, consumato soprattutto nel
vicino campo di sterminio di Belzec, fu accompagnato dalla completa distruzione
di ogni testimonianza della presenza ebraica. Sotto questo profilo Leopoli
detiene, nell'Europa centro-orientale, un record negativo forse ineguagliato:
*neanche una delle tante sinagoghe è però sopravvissuta, neanche uno dei due
cimiteri preesistenti (quello "vecchio" del XIV secolo e quello "nuovo" del
1875) è rimasto. Solo l'ospedale moresco del 1903, sormontato da una cupola
azzurrina, è tutt'ora in funzione (nessuno l'ha distrutto perché, evidentemente,
tornava utile a tutti...). Oggi, in conclusione, su 800.000 abitanti (più del
doppio dell'anteguerra), circa ventimila sono gli ebrei e intorno ai trentamila
i polacchi. E, con la recente derussificazione della città, è stato scompaginato
definitivamente il quadruplice mosaico di popoli e tradizioni di vita su cui si
reggeva il complesso equilibrio multietnico e pluriculturale della Leopoli
novecentesca.
Decisamente più
brillante la fine secolo precedente, quando la città era ancora "imperial-regia".
Il tramonto del XIX secolo e gli albori del XX sono stati davvero una belle
époque per Leopoli. E' il periodo in cui, abbattute le mura, si dispiega
l'impetuoso sviluppo edilizio della città nuova. L'omogenea estensione dei
quartieri moderni, tutti di raffinata eleganza, è espressione della felicissima
congiuntura economica compendiatasi nell'Esposizione del 1894. Nella bellezza
architettonica di Leopoli si rispecchiavano le intraprendenti attività
commerciali e industriali della borghesia galiziana, così come la contemporanea
bellezza di Praga aveva radici nel trionfo economico della borghesia
moravo-boema. E laddove Cracovia, come sottolinea Alexander Wat (Mój Wiek),
rappresentava in Galizia il volto burocratico-amministrativo dell'Impero
absburgico, Leopoli interpretava a meraviglia l'aspetto leggero, allegro dello
spirito viennese, pervaso di cosmopolitismo e d'una grande gioia di vivere.
Questo mondo finisce bruscamente con la prima guerra mondiale, che interromperà,
insieme alla "dolce vita" rievocata da Józef Wittlin (Mój Lwòw), anche il
grandioso sviluppo urbanistico della città. Esemplare il caso della stazione
ferroviaria, che se ne sta in disparte, distante più del dovuto dall'abitato (Leopoli
è un centro di snodo delle comunicazioni ferroviarie e di qui passava la quasi
totalità dei soldati Italiani impegnati in Ucraina con l’Armir). Arrivarci è
un'impresa. D'accordo che, essendo una stazione di transito, la cintura dei
binari non doveva soffocare il respiro della città; ma è chiaro che era stato
preventivato un ulteriore sviluppo edilizio che poi è venuto a mancare. La città
non le è andata incontro a colmare il vuoto. Ultimata da Władysław Sadłowski nel
1904, è un gaio esempio di Jugendstil, un po' padiglione da esposizione
universale, un po' stabilimento termale, un po' giardino zoologico. Con
un'aggettante pensilina d'ingresso, in vetro e ferro battuto, che conferisce
slancio floreale all'imponente facciata d'un giallo squillante. Il complesso,
fresco di restauro, è dominato dall'orgoglioso cartellone che scandisce "Viva
l'Ucraina". (1772-1914) Leopoli si arricchisce di molteplici edifici pubblici e
delle infrastrutture essenziali - tribunali, poste, teatri, ferrovie, scuole,
banche, ospedali, perfino un circo - assumendo quella configurazione urbanistica
che ancor oggi la caratterizza.
Leopoli
(Lemberg)
è conosciuta dagli italiani
perché era il centro logistico
dell'Armir e di qua passavano
quasi tutti i convogli per l'Ucraina.
Come retrovia ospitava un ospedale militare italiano e magazzini. L'8/9/43 colse molti italiani ancora in servizio in queste strutture. Di molti
si persero le tracce.

Leopoli stazione centrale |
Il comando italiano intermedio di Cracovia.
Il cartello dietro lo ha scritto un
tedesco con un italiano incerto "Transporti" |
Galleria di immagini della eliminazione degli
Ebrei e storia dell'Olocausto in Inglese
http://fcit.usf.edu/HOLOCAUST/resource/gallery/gallery1.htm |
Leopoli 30 aprile 1942
Arrivato alle 2 del mattino sotto bufera di neve, ma solo alle 4 ho potuto
raggiungere l’alberghetto assegnatomi dal comando stazione. Da Cracovia a
Leopoli le tradotte militari costringevano spesso il nostro treno a lunghe soste
in aperta campagna. .. Abbiamo anche incrociato in una stazioncina un convoglio
di prigionieri russi in un lungo treno merci. Il mio primo incontro con la
guerra. Ieri a Cracovia incontro occasionale con una connazionale, giovane donna
sfiorita, che ha voluto offrirci in un modesto appartamento tè caffè e vodka. A
Cracovia squallore e miseria, la gente sembra sempre in fuga. Così a Leopoli.
Case distrutte, negozi e finestre simili a grandi occhiaie vuote: macerie e
mendicanti. Anche qui come a Vienna, gli ebrei portano un contrassegno speciale:
una stella gialla sul braccio destro e sulla schiena; camminano curvi,
taciturni, frettolosi, come colpevoli inseguiti. Spettacolo quotidiano: cortei
di ebrei, donne e uomini, giovani e vecchi, con attrezzi sulle spalle, diretti
ai lavori pesanti sotto la sorveglianza di militari tedeschi. Drammatica
separazione fra tedeschi e polacchi, tra vincitori e vinti. In molti negozi
cartelli su cui è scritto Nur fur deutsche, solo per i tedeschi così per le
carrozze ferroviarie. I polacchi sono considerati una razza inferiore. Di ciò in
Italia si ignora tutto. Stamane uscendo dall’albergo ho dato una galletta ad un
inserviente, allampanato e curvo seppur giovane, che me la aveva chiesta con
sguardo implorante. Passeggiando per Leopoli ho distribuito tutta la mia riserva
di gallette. La gente si avvicina con un sorriso, qualcuno ti dice buongiorno in
perfetto italiano e poi ti chiede del pane. Stasera parto per Fastow in Ucraina,
sulla direttrice di Kiev. Mi avvicino al fronte; ritroverò il mio reggimento
Savoia Cavalleria, che qui opera dal luglio 1941. Sedici ore da Leopoli a Fastow.
Il comando militare di stazione, che è tedesco, ci consente di consumare un
rancio caldo intorno a decorosi tavoli di legno: una zuppa di cavoli, carne con
patate, del burro misto a sugna e margarina da spalmare su del pane nero e
acido. Una tazza di caffè pessimo. Fastow è un villaggio di casette bianche
apparentemente pulite, dal tetto di paglia, con finestre piccole e quadrate….Pietro
Crespi da "Dosvidania " di Luciano Mela e Pietro Crespi |
Questo assetto
architettonico si rivelerà
talmente lungimirante che ben poco resterà da fare ai polacchi negli anni
Venti-Trenta del Novecento. E così Leopoli salterà totalmente l'esperienza del
razionalismo e del funzionalismo, che verrà recuperata nel secondo dopoguerra
dai sovietici nelle forme sciagurate che ben conosciamo in tutto il Centro-Est
europeo.
Principale protagonista dell'onesto eclettismo Kaiserlich & Königlich
di fine secolo è Alfred Zachariewicz, autore del Politecnico (1877), della
Galicyjska Kasa Oszczędności (1891) e, insieme a Jan Lewinski, del Passaggio
Mikolascha (1900), andato distrutto durante la seconda guerra mondiale e oggi
modernamente ricostruito col nome di Passaggio Roksolana. A Lewinski si deve
inoltre anche la stupenda sede delle Assicurazioni "Dnestr" (1905, con T.
Obminski), così come Hochberger progettò il palazzo della Dieta regionale
(1877-81). Ma indubbiamente l'episodio culminante di questo periodo resta la
realizzazione di quello che da cinquant'anni si chiama Viale della Libertà (Prospekt
Svobodi) e che da sempre (anche quando si chiamava Karl-Ludwig-Strasse, anche
quando si chiamava ulica Legionòw) funge da corso principale, affollato di
banche, alberghi, caffè, negozi, uffici, cinema, musei, ristoranti. Un'impresa
colossale degli amministratori austriaci, paragonabile all'apertura del Ring
viennese o alla praghese piazza San Venceslao. L'ampio viale occupa lo spazio
reso disponibile, a sud-ovest della città murata, dallo smantellamento dei
bastioni e del fossato. Si tratta di un lungo rettangolo sontuosamente alberato
che fa da cerniera fra la città antica e i nuovi quartieri. Il viale-piazzale è
delimitato, a un capo, dal Teatro dell'opera e del balletto - splendido
complesso, degno di Vienna o Parigi, costruito nel 1897-1900 da Zygmunt
Gorgolewski, che ne realizzò uno analogo anche a Odessa - dedicato (come del
resto l'Università e il Parco adiacente) allo scrittore Ivan Franko e, all'altro
capo, dal neorinascimentale Hotel George, lussuosamente progettato per un
albergatore inglese nel 1901 da Ferdinand Fellner e Hermann Helmer. Passeggiarci
in una giornata festiva è uno spettacolo avvincente. Vi si dà infatti convegno
la più varia umanità. A cominciare dai devoti raccolti intorno alla statua
immacolata della Madonna, contornata di fiori, che si erge non lontana da quella
di Mickiewicz, alta sulla sua colonna (1905).
Folti capannelli maschili
stazionano intorno a ogni panchina dove silenziosi giocatori sono impegnati,
fino a tarda sera alla luce dei lampioni, in estenuanti partite a scacchi,
domino o carte. Anche dopo il tramonto, sotto una luna piena sfuocata dalla
foschia, continua il viavai della gente: famiglie al completo, coppie
d'innamorati, gruppi di ragazze o di soldati in divisa mimetica. Intorno ai
caffè all'aperto, dove si esibiscono complessi rock, folle di giovani ballano
sul marciapiede brandendo coni di gelato. A metà del Viale - fra il Grand Hotel
da un lato e la Wiener Kaffeehaus dall'altro - un crocchio di ambosessi
attempati intona canti patriottici sotto il monumento a Shevcenko, dove ogni
tanto approdano anche giovani coppie appena sposate, essendo di buon augurio
farsi fotografare accanto a questa statua (così come, a San Pietroburgo, posare
accanto a quella di Pietro il Grande). Più in là, mani e dita sfarfalleggiano
concitate nel cerchio dei sordomuti che hanno un sacco di cose da raccontarsi.
Poi ci sono le macchinine elettriche e i venditori di palloncini per i bambini e
i fotografi ambulanti per i gitanti. Infine, davanti al Teatro - dove stasera va
in scena un'Aida non spregevole - adesso suona una banda militare. E dietro il
Teatro si dipana l'ex-quartiere ebraico con i suoi edifici di sempre più
sommesso Jugendstil man mano che si scivola verso la periferia e si esce dalla
città.
Leopoli è circondata dalle "terre nere" ucraine, un mare sconfinato di
culture estensive e campi indivisi solcato da antiquati trattori sulla cui scia
- come gabbiani dietro le navi - volteggiano le cornacchie. Già dall'aereo avevo
visto interrompersi le variopinte listerelle del parquet agricolo polacco e
cominciare a dilagare la massa scura della superficie ex-kolchoziana. Enormi
mandrie di cavalli e di vacche pascolano in libertà su ondulate praterie
punteggiate dal riverbero del sole sulle cupole argentee delle chiesette rurali.
Branchi di cani randagi scorrazzano nei villaggi, dove sono meli gli alberi dei
viali e nei giardini pubblici razzolano oche e galline. Falò giganteschi
increspano di fumo bianco l'orizzonte, mentre lunghe file di contadine e
contadini zappano i solchi a perdita d'occhio. Ma la natura non si esaurisce
fuori della città.
La invade. Le mucche giacciono stravaccate anche sui ciuffi
d'erba che s'insinuano fra i bloki periferici di Leopoli, sotto i cartelloni che
inneggiano ai primi sette anni d'indipendenza del paese.
Nel parco collinare
dedicato a Shevcenko sono state trasferite dai Carpazi - che stanno a Leopoli
come i Tatra stanno a Cracovia - non solo case e chiese lignee di eccezionale
rilievo storico-etnologico, ma anche alberi e piante che ricreano in piena città
il tipico ambiente della montagna. Il principale grande magazzino di Leopoli non
è altro che un confuso bric-à-brac di rudimentali mercanzie da bazar contadino.
La bigliettaia è una brava donna in grembiule e ciabatte che sputa il torsolo di
mela e viene a vendervi lo scontrino mentre la collega scarmigliata fa ripartire
il tram. In fondo a un corridoio dell'Hotel George, accanto alla men's room
(come recita l'elegante targa della toilette), dalla porta della stanza 18
filtrano voci femminili che intonano canzoni folcloristiche: sono le cameriere
che trascorrono così il pomeriggio della domenica, come fossero sull'aia a
festeggiare la trebbiatura. La stazione centrale è un formicolio di famiglie
contadine che arrivano dal circondario oberate da sacchi di patate e ceste
d'ortaggi. In definitiva, l'intera città - col caldo estivo, la scarsità d'acqua
corrente e le fogne decrepite - olezza di stalla e di fienile. E' piena
campagna. Non c'è neanche bisogno di allontanarsi da Leopoli per capire che qui
il confine più incisivo è quello fra civiltà e natura. Fra un certo modello di
convivenza civile e una realtà geografica che suggerisce una diversa dimensione
dello spazio fisico e del tempo storico. Questo è il discrimine cruciale che si
avverte in maniera palpabile a Leopoli. Una città immersa in un universo
contadino, con la terra che assedia la città e vi irrompe dentro per mille vie.
A oriente di Leopoli si dissolve il tessuto della civiltà urbana che ci è
abituale: una certa tipologia architettonica, un certo ritmo di distanze fra i
centri abitati, una certa umanizzazione delle campagne. E si spalanca un'altra
configurazione del rapporto fra uomo e ambiente, fra cultura e natura. Ci si
avventura in spazi da Far East europeo o, per dirla con Karl Emil Franzos, da
Halb-Asien. Leopoli capolinea, dunque. Dove naufragano i concetti di grazioso,
pittoresco, sublime, romantico foggiati dalla modernità occidentale per
connotare il nostro approccio col paesaggio. Da qui in poi valgono solo le
categorie dell'estensione e della spazialità, della vastità e della
smisuratezza. Sopravvento della natura sull'uomo, della terra sulla città. Si
capisce allora che per poeti di frontiera come Venclova, Brodskij, Herbert città
come Vilna, San Pietroburgo, Leopoli abbiano costituito isole di libertà,
modernità e cultura. Foci diverse di un medesimo fiume, che essi hanno
faticosamente risalito per raggiungere la sorgente: Roma classico-cattolica, in
definitiva. Per questi "barbari nel giardino" città è libertà - la terra eterno
ritorno dell'identico, città è modernità dello sradicamento - la terra
tradizione delle radici, città è cultura (patrimonio di bellezza e invenzione
del futuro) - la terra corso "naturale" degli eventi.
Guerra austriaca a Leopoli e sul fronte orientale nel 1914
http://www.ariannaeditrice.it/ricerca.php?search2=4&search3=Le%20battaglie%20di%20Leopoli%20nell%27agosto-settembre%201914
http://en.wikipedia.org/wiki/History_of_Lviv e il massacro degli Ebrei dal 1941 al '44
http://www.olokaustos.org/geo/ghetti/lvov/lvov.htm
Anna
Andreevna Achmatova
«Sono stata via settecento
anni
ma nulla è cambiato...
sempre la misericordia di Dio
scende da vette incontestabili,
sempre gli stessi cori di stelle e di acque,
sempre così nera è la volta del cielo,
e lo stesso vento sparpaglia semi,
e lo stesso canto canta la madre.
E' salda la mia dimora asiatica,
non bisogna preoccuparsi...». |
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Prima
della guerra Leopoli (oggi Ucraina) possedeva la terza maggior popolazione
ebraica in Polonia che raggiunse e oltrepassò le 200.000 unità quando i
rifugiati entrarono nella città a seguito degli eventi bellici. Nell'Estate del
41 due pogrom portarono alla morte di circa 10.000 Ebrei (ma anche di più
secondo altre fonti). Gli altri vennero
deportati. Nel 1944, quando i russi rientrarono in possesso di Leopoli, solo
200-300 ebrei erano ancora in vita. Il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal fu
uno dei più famosi sopravvissuti ebrei di Leopoli. A fine guerra, a ripetute
richieste di edificare un monumento alla barbarie nazista
nella russa Leopoli,
Stalin rispose - No !
At the time, there were about 175,000 Jews living in Kiev (Ucraina) and its
suburbs. Sixty-five years ago today, on September 29, 1941, thousands of Jewish
men, women, and children reported as ordered, expecting to be taken onto trains
and deported. At the meeting-place they were surrounded by German soldiers and
local collaborators from the Ukrainian auxiliary police, who drove them into
small groups of ten, forced them to the edge of the gorge, and then opened fire
with machine guns. The mobile killing unit Einsatzgruppe C, which kept records
of the massacre, reported that they systematically killed 33,771 Jews from Kiev
in two days, on September 29th and September 30th. After the end of World War II,
Stalin’s regime became increasingly anti-Semitic, and the Soviet government
refused repeated demands to build a memorial to the dead.
Many years
before 1920, Vilna had been taken over by Russia (1795). Historically, Vilna had
been the capital of Lithuania when the state had existed in the Middle Ages (La
città era sempre stata la capitale storica della Lituania, fin dai tempi
dell’omonimo Granducato). After World War One, Lithuania had been re-established
and Vilna seemed the natural choice for its capital. However, by 1920, 30% of
the population (in the district) was from Poland with Lithuanians only making up
2% of the city’s population. In 1920, the Poles seized Vilna. Lithuania asked
for League help but the Poles could not be persuaded to leave the city. Vilna
stayed in Polish hands until the outbreak of World War Two. The use of force by
the Poles had won !!!.
La “Russa” Vilnius
(aveva perso l'indipendenza
quando Polonia e Lituania erano state cancellate nel 1795 dallo Zar di Russia e
dalla Prussia), usciva da tre anni di occupazione tedesca quando il 16 febbraio
1918, in seguito alla pace fra Russi e tedeschi (pace firmata a Brest Litovsk il
3 marzo), si autoproclamava indipendente ed autonoma nella nuova entità politica
e geografica Lituana a cui per lingua e tradizione aveva sempre appartenuto, pur
restando in un circondario ai confini con la Polonia abitato da Polacchi in
"maggioranza" relativa. In passato l’Unione fra i due stati (cattolici) era
sempre stata ben vista ma ora qualcosa doveva essere cambiato in casa polacca se
a guidare la politica erano persone sempre più arroganti. Priva di mezzi e di
forze, nei 2 anni successivi, la città fu contesa fra Russi e Polacchi che per
loro conto stavano già regolando un’altra partita, quella dei confini con la
Russia dei Soviet sorta dalla rivoluzione. Nel 1919, in conseguenza dell’inizio
della guerra russo-polacca, la maggior parte del territorio lituano fu
nuovamente occupato dall’Armata Rossa Rivoluzionaria, che riuscì a sconfiggere
le unità di autodifesa polacche e lituane. La successiva controffensiva polacca
ricacciò nuovamente i bolscevichi, ma nello stesso tempo portò il lituani ad
allearsi proprio con Mosca, per riottenere il territorio di Vilnius. Infatti con
il trattato di pace tra la Lituania e la Russia sovietica firmato il 12 luglio
1920 (Pace di Mosca), il territorio di Vilnius tornò ufficialmente alla
Lituania. Ma non doveva passare che un mese per rimettere tutto in discussione
con il ritiro dei Russi sconfitti a metà Agosto a Varsavia. Con l’intervento
questa volta della Società delle Nazioni, il 7 ottobre 1920, venne firmato il
trattato di Suvalkai, con il quale il territorio di Vilnius rimaneva alla
Lituania. Malgrado il trattato due giorni dopo un colpo di stato militare
d’ispirazione polacca (il generale polacco Lucjan Zeligowski, autorizzato dal
maresciallo Jozef Pilsudski, organizzò una ribellione nei territori contesi e
guidò forze polacche in Lituania) provocò una scissione delle province
meridionali con la nascita di un nuovo stato Lituano, la Litwa Srodkowa, che due
anni dopo chiese l’annessione alla Polonia. Vilnius divenne così il capoluogo
del Voivodato polacco di Wilno.
http://www.rbvex.it/lituania.html le bandiere
La nuova controffensiva lituana venne bloccata dalla Società delle Nazioni,
desiderosa di risolvere la situazione con mezzi diplomatici. Il 20 febbraio 1922
l’assemblea regionale di Vilnius votò per l’annessione alla Polonia.
Successivamente anche la conferenza degli Ambasciatori riconobbe i confini
esistenti nel 1923, lasciando Vilnius alla Polonia, con grande disappunto dei
lituani che rifiutarono di riconoscerne l'annessione alla Polonia e le relazioni
diplomatiche tra i due paesi vennero interrotte fino al 1938 quando si verificò
(11/3) un incidente di frontiera nei pressi del villaggio di Trasninkai. Un
soldato polacco rimase ucciso nell’incidente che vide coinvolte unità della
polizia di frontiera lituana e la guardia di frontiera polacca. La radio ed i
giornali polacchi fomentarono i sentimenti anti-lituani nel paese. Il 13 marzo,
il governo polacco emise un comunicato ufficiale accusando la Lituania di aperta
provocazione. La Lituania, attraverso il suo Presidente Smetona, propose una
commissione bilaterale per investigare sull’incidente, ma i polacchi rifiutarono
la proposta chiedendo ai lituani di rinunciare definitivamente alle loro
richieste su Vilnius. Alla fine, tra i due paesi venne firmato un accordo, dove
vennero regolati i rapporti sulle frontiere, sulle linee dei trasporti, le
comunicazioni postali, ecc. Nelle elezioni del 1938, il partito
nazionalsocialista lituano, ideologicamente vicino a quello tedesco, ottenne la
maggioranza. Come primo atto negoziò il ritorno di Memel (Klaipeda) alla
Germania. Il 23 agosto 1939, Germania e Unione Sovietica firmarono il patto di
non aggressione, con un protocollo segreto che stabiliva le sfere di influenza
dei due paesi nel Baltico: la Lettonia, l’Estonia, la Polonia orientale e la
Finlandia, rientravano nella sfera d’influenza sovietica, la Lituania e la
Polonia occidentale in quella tedesca: naturalmente non era detto che questi
benché simpatizzanti fossero totalmente d’accordo (e fossero informati). Il 19 settembre
1939 (mentre i tedeschi si prendevano la Polonia occidentale e il corridoio di
Danzica) Vilnius venne conquistata dai Russi che l’avrebbero restituita alla
Lituania (formalmente indipendente e neutrale fino ad allora), in cambio di un
accordo militare, offerto anche agli altri due paesi che stentò di più ad arrivare. Questa offerta, presentata come la proposta d'un patto
d’amicizia tra i due paesi, aveva anche il fine di aiutare i comunisti lituani a
guadagnare in breve una maggiore popolarità. Al rifiuto lituano seguì
l’ultimatum di Mosca. Il 10 ottobre 1939, Vilnius e le aree circostanti (circa
un quinto delle terre reclamate dai lituani) furono annesse alla Lituania. Alla
concessione delle basi non era seguita l'occupazione forse in rispetto
alla clausola stipulata coi tedeschi. Nel giugno del
1940, quando il trasferimento della capitale non era stato ancora completato, la
Lituania ricevette il 14 l'ultimatum di lasciare libero accesso alle proprie
armate e il 15 l'occupazione come per la Lettonia e l'Estonia. Vennero instaurati governi comunisti
senza che da parte dei tedeschi si registrasse alcuna obiezione. Erano cambiati
i patti ?. Vilnius divenne la capitale dell’appena proclamata Repubblica
Socialista Sovietica Lituana (RSS). Tra i 35.000 ed i 40.000 abitanti della città
furono arrestati dall’NKVD ed inviati nei gulag. Con l’operazione Barbarossa del
giugno 1941, la città fu conquistata dai tedeschi fino all'arrivo dei Russi.
Nella città vecchia, vennero
creati due ghetti per la numerosa popolazione ebraica. Una rivolta degli
abitanti del ghetto, fallita il 1° settembre 1943, fu seguita dalla definitiva
distruzione dello stesso (l’altro lo era già stato). Nel complesso, circa il 95%
della locale popolazione ebraica fu assassinata. Nel luglio 1944, l’Armia
Krajowa (partigiani polacchi) ed in seguito l’Armata Rossa riconquistarono Vilnius,
che fu subito riannessa all’Unione Sovietica come capitale della restaurata RSS Lituana. L'11 marzo 1990, il Soviet
supremo della RSS di Vilnius proclamò l’indipendenza dall’URSS, restaurando la
Repubblica di Lituania. Il governo sovietico, il 9 gennaio 1991, inviò truppe ed
il 13 gennaio successivo, durante l'attacco dell'Armata Rossa all'edificio della
radiotelevisione lituana, vennero uccise quattordici persone e più di 700
rimasero gravemente ferite. Solo in agosto l'Unione Sovietica
riconobbe l'indipendenza della Lituania.
** GALIZIA (e BUCOVINA)
per
conoscere meglio la Galizia e la grande guerra
http://www.trentinograndeguerra.it/UploadDocs/176_libretto_Galizia_completo.pdf
La Galizia è una regione
storica Polacco/l'Ucraina ex provincia dell'Impero Austro-Ungarico
dal 1772 al 1918, con capitale
Leopoli. Comprendeva i territori a Est di
Cracovia, Przemysl, Lvov (leopoli) che
erano altrettante fortezze nella grande guerra (vedi sopra), Stanislau o
Stanisławów e Tarnopol. Stanisławów/oggi Ivano-Frankivs'k in Ucraina è un centro storico situato nella parte
occidentale del paese, oggi capoluogo dell' Oblast' russo omonimo ed è un raion a sé stante nell'oblast'. Prima del 1962, la
città era conosciuta come Stanyslaviv (Станиславів) o Stanisławów.
1867: Dualismo
Austria-Ungheria. Anche se i piani cechi e polacchi per far sì che le loro parti
della monarchia venissero incluse nella struttura federale fallirono, prese il
via un lento ma stabile processo di liberalizzazione del dominio austriaco in
Galizia. Dal 1873, la Galizia fu de facto una provincia autonoma dell'Austria-Ungheria
con il polacco e a un livello molto inferiore l'ucraino, come lingue ufficiali.
La Camera dei deputati della Polonia galiziana e l'amministrazione provinciale
ebbero privilegi e prerogative estese, in particolare nel campo di istruzione,
cultura e affari interni.
A partire dagli anni 1880, si ebbe però un'emigrazione di massa dei contadini
galiziani causata dalle estreme condizioni di povertà, l'emigrazione iniziò
nella parte occidentale, popolata da polacchi, per poi spostarsi verso est verso
le parti ucraine. Polacchi, ucraini, ebrei e tedeschi, parteciparono tutti a
questo spostamento di massa della popolazione rurale. Nel 1888 la Galizia
occupava una superficie di 78.500 km² ed era popolata da circa 6,4 milioni di
abitanti, di cui 4,8 milioni erano contadini (75% della popolazione totale). La
densità della popolazione era di 81 abitanti per chilometro quadrato, superiore
a quella della Francia (71 ab./km²) o della Germania. L'aspettativa media di
vita era di 27 anni per gli uomini e di 28,5 per le donne, rispetto ai 33 e 37
anni in Boemia, 39 e 41 in Francia e 40 e 42 nel Regno Unito. Anche la qualità
della vita era molto più bassa. Il consumo annuo pro capite di carne non
superava i 10 kg, rispetto ai 24 dell'Ungheria e ai 33 della Germania. Ciò era
dovuto principalmente a un reddito medio molto più basso. Il reddito medio pro
capite non superava i 53 fiorini, rispetto ai 91 fiorini del Regno di
Polonia, ai 100 dell'Ungheria e ai più di 450 del Regno Unito
Nel 1919
Stanisławów viene annessa alla IIa repubblica polacca come capoluogo del Voivodato
omonimo per passare dal 1939 sotto il dominio Russo con la spartizione
della Polonia in base al patto Molotov/Ribbentrop. Migliaia di abitanti
d'etnia polacca vengono deportati verso la Siberia dove periranno e la
successiva ondata tedesca uccide 40.000 ebrei. Ternopil', Tarnopol in polacco, in russo Тернополь è ora una città dell'Ucraina
occidentale, capoluogo dell'oblast' omonimo che nel 1919/20 aveva più volte
cambiato nazionalità (russi/polacchi/austriaci) finendo poi sotto i Russo Ucraini.
http://www.sbg.ac.at/ges/people/lichtblau/cape.html
Janett Margolies-Il
salto dal treno
Eravamo ottanta donne. Le piccole finestre erano alte, con sbarre e filo
spinato. Una volta dentro, scoprimmo che qualcuno vi aveva nascosto una lima per
tagliare le sbarre. Iniziai a organizzare una squadra. Levandoci in piedi sopra
le altre, iniziammo a lavorare. Il treno continuava a correre. Quando il lavoro
fu terminato e le sbarre tagliate, ogni candidata, gambe attraverso la finestra,
tenendosi poi con le mani, quindi con una sola mano, e con una forte
oscillazione, saltò nella direzione della corsa del treno. Stavo guardando i
salti. Molte di loro vennero uccise sul posto. Alcune furono uccise dai treni
che arrivavano dalla direzione opposta. Altre vennero fucilate dalle guardie
della Gestapo. Quelle che ebbero successo furono poi catturate da speciali
guardie ferroviarie. Di tutti i saltatori dal treno di Tarnopol, credo che io
fui l’unica rimasta in vita. Ci volle un po’ di tempo per decidere di saltare, o
non saltare. Mi resi conto completamente di come la situazione sembrava senza
speranza. (...) Decisi di saltare. Già appesa all’esterno del vagone, mi
aggrovigliai nel filo spinato. Essendo spaventata, gridai molto forte, sentendo
che stavo cadendo. Si sentì uno sparo sopra la mia testa. Era una guardia.
Fortunatamente mi mancò. Nello stesso momento notai una locomotiva che correva
dritta verso di me. Con le mie ultime forze, rotolai giù, in una depressione.
Tutto questo durò pochi secondi. Ero salva, ma seriamente ferita, con testa e
mani sanguinanti. Strappai un po’ di erba gelida, mettendola sulle mie ferite.
Riuscii a fermare l’emorragia. Poi mi sono pulita la faccia, rimettendomi in
ordine." . Margolies, Ebrea di Tarnopol (Galizia Or.), sopravvisse alla guerra.
Dal 1941 all’ 8 Novembre 1942 si trovò nel ghetto di Tarnopol, dove sopravvisse
a numerose "azioni"
Quando i Tedeschi conquistarono Tarnopol, circa 18.000 Ebrei vivevano in città.
La prima deportazione dal ghetto di Tarnopol verso Belzec fu organizzata il 31
Agosto 1942 - 5.000 persone vennero deportate in questa occasione. Solo un
piccolo gruppo di giovani uomini fu selezionato e spedito al campo di lavoro di
Janowska a Leopoli. Prima di questa deportazione centinaia di Ebrei della città
erano già stati massacrati durante pogroms o esecuzioni di massa. Gli Ebrei
rimanenti di Tarnopol molto presto ebbero informazioni riguardo
Belzec. Abitanti
del ghetto ricevettero lettere da Leopoli che raccontavano il destino dei loro
parenti. La successiva deportazione da Tarnopol venne organizzata il 30
Settembre e il 5 Ottobre 1942, quando 1.200 ebrei furono deportati a Belzec
(Lublino).
L’ultima deportazione da Tarnopol verso Belzec avvenne l’ 8 Dicembre 1942,
allorché 1.400 Ebrei furono inviati nel campo di sterminio
(qui furono uccise mezzo milione di persone).
Una piccola
comunità nelle vicinanze
Brody was the principal city for the county, also called Brody, in Galicia. It
was formerly in the province of Wolnia (Volinia-Ukraine). It lies on the river
once known as Suchowalka; the stream runs along the main road between Zloczow
and Brody. Along the river runs the railroad line, once called the Karol Ludwik
(Karl Ludwig) so called during the Austrian occupation. It covered a distance of
93 kilometers heading towards Lwow [now L'viv]. The railroad crossed the border
between Galicia (ex austriaca) and Russia at the town of Radziwilow, 9
kilometers from Brody. The village lies on a very muddy and flat plain,
surrounded by forests. The population count at the end of the 1800’s showed
3,500 Roman Catholics, 1717 Greek Catholics, 42 Atheists, and 14,718 Israelites
(73,5 %), a total of 19,977
There were approximately 10,000 Jews in Brody (Nord Nord Est di Leopoli) when
World War II broke out. This area came under Soviet occupation following the
partition of Poland in 1939. The town fell to the Germans in July 1941, at which
time the Germans set up a Judenrat headed by Dr. Abraham Glasberg. Persecution
of the Jews began immediately, and several hundred were murdered by the Nazis
and their Ukrainian collaborators. Among the victims were 250 Jewish
intellectuals. A ghetto was established in January 1942 for the 6,500 remaining
Jews of Brody, who were joined later on (in September 1942) by some 3,000
refugees from the neighboring towns and villages. The unbearable conditions in
the ghetto (lack of fuel and foodstuffs), led to the decline of the ghetto
population at a rate of 40–50 daily. In the hopes of better chances for survival,
a few Jews managed to get into work camps in the vicinity by bribing the guards.
Typhoid fever, claiming several hundred victims, broke out in the ghetto which
was completely sealed off from contact with the outside. Mass extermination of
the Brody community began with the deportations to
*Belzec death camp of several
thousand Jews on Sept. 19–21, 1942, followed by several thousand more on
November 2. The ghetto and labor camp for Jews were finally liquidated on May
21, 1943, when the surviving 3,500 Jews were deported to *Majdanek. Around 250
Jews survived the war.
RESISTANCE
During the Russian occupation and particularly after the Nazis invaded Russia,
large numbers of young Jews from Brody joined the Soviet Army. By the end of
1942 a fighting unit (ZOB), consisting of young Jews of all political trends was
formed in the ghetto, and led by Jakub Linder, Samuel Weiler, and Solomon
Halbersztadt. The ZOB was divided into an urban unit which prepared for armed
resistance within the ghetto, and a unit which trained small groups for partisan
operations in the neighboring forests. The Jewish fighting organization
maintained contacts with the non-Jewish resistance. So far as is known no Jewish
community was reconstituted in Brody after World War II. [Danuta Dombrowska]
The famous writer, Jozef Korzeniowski (Joseph Conrad), was born in Brody; in
1879 (+1924) Libri- Lord Jim, Nostromo, L'agente segreto, Cuore di tenebra,
Reietto delle isole, La linea d'ombra, Tifone.
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Brody |
Tarnopol Stazione |
Mercato di Brody |
Per saperne di più
http://www.youreporter.it/video_Leopoli_parco_e_cimitero_monumentali_1
http://www.youreporter.it/video_Passeggiata_a_Leopoli_L_viv_-_Ucraina
http://www.ladigetto.it/article.aspx?c=11&a=19900 cimiteri della Grande
Guerra "italiani trentini" in
Galizia
mappe Polonia dal 1772 ad oggi
http://info-poland.buffalo.edu/classroom/maps/task2.html dettagliata
Galizia
http://www.feefhs.org/maplibrary/austro-hungary/ah-galic.html
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