Un oceano. Un oceano di terra. E in mezzo a quest'oceano un atollo di colline. Sull'alto della più alta il castello, nella conca in basso la città. Così è per cinque secoli Leopoli, circondata da mura, bastioni e fossato. Splendente miraggio di cupole, torri, campanili e palazzi. Fortezza imprendibile. Nodo strategico del commercio fra Mar Nero e Mar Baltico, fra Asia e Europa. Una stampa del 1618 mostra una veduta seducente di questa «Leopolis, Russiae australis urbs primaria, emporium mercium orentalium celeberrimum». Leopoli caledoscopio di traffici e di popoli, dove fin dal Medioevo sono di casa o di passaggio turchi e armeni, greci e russi, italiani e polacchi, tartari e ungheresi, tedeschi ed ebrei, scozzesi e ruteni. Solo fra gli anni Ottanta dell'Ottocento e il 1914 l'abitato si arrampicherà fino in cima alla cerchia delle colline, colmando tutta la conca. Poi, dal 1944, deborderà al di là delle colline, quadruplicandosi, quintuplicandosi nell'immensità circostante la città socialista. Esistono in Europa città-soli e città-pianeti. Le prime sono quelle che brillando di luce propria hanno irradiato bellezza (Parigi, Firenze, Vienna, Roma, Venezia), le seconde sono quelle che hanno assorbito bellezza riflessa (come San Pietroburgo, Vilna, Cracovia, Praga). Fra le città-pianeti, Leopoli è una delle più straordinarie. Cantata dai poeti come una Firenze galiziana per la sua elegante magnificenza e celebrata quanto Roma per via dei sette colli su cui si estende, Leopoli è collocata alla stessa latitudine di Praga e Cracovia. A nord di Vienna. E sta a sud del Bug, sulla longitudine di Brest e Kaunas (città lituana). Trovandosi sull'altopiano Volino-Podolico, fa anche da spartiacque fra due bacini idrografici fondamentali: quello dei fiumi che - a nord-ovest - si gettano nel Baltico e quello dei fiumi che - a sud-est - sfociano nel Mar Nero. Leopoli, però, è orfana di corsi d'acqua che la bagnino. E' una Vilna senza fiumi, una Cracovia con le colline. Ricca di chiese ancor più di Cracovia e Vilna. Di qui passa il confine del mondo. Quello romano-cattolico da una parte e quello russo-bizantino dall'altro. Una città, due mondi. Leopoli è in Europa la regina delle metamorfosi. Qui la comune bevanda si divide in chai e herbata , qui il caffé può essere alla turca o alla viennese, l'alfabeto latino o cirillico, il cristianesimo cattolico o ortodosso (oppure dal 1596, della Chiesa uniate, di rito ortodosso bizantino ma dipendente dal Vaticano coi preti sposati detto anche di rito orientale). Qui finisce l'estrema propaggine meridionale della penetrazione del Barocco nelle terre orientali, di cui Vilna (Vilnius capitale contesa della Lituania *) è l'avamposto settentrionale (entrambe hanno il centro storico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco). Hic sunt leones : anche il leone alato di San Marco è volato fin qui. Per annidarsi sulla facciata della residenza dell'ambasciatore veneziano. Adesso fronteggia, nella piazza del Mercato, la coppia di leoni indigeni che sorvegliano, impietriti, l'ingresso del Municipio. Fino alla prima guerra mondiale, Lemberg (Lwow- Lvov- Lviv- Leopoli) è una città absburgica, capitale della Galizia** orientale, estremo lembo dell'Impero austro-ungarico. Dal dopoguerra al 1939, Lwow è una città sud-orientale della neonata Repubblica polacca. Dal 1939 al 1941, Lvov è una città prima occupata dall'Armata Rossa, in attuazione del patto segreto con i nazisti per la spartizione della Polonia, e poi annessa con un "plebiscito" alla Repubblica socialista d'Ucraina, di cui diventa l'estremità occidentale. Dal 1941 al 1944, Lemberg è il capoluogo del Distrikt Galizien, appendice sud-orientale del Generalgouvernement tedesco durante l’operazione Barbarossa. Dal 1945 al 1991, Lvov è una città occidentale della Repubblica d'Ucraina dell’Urss poi a partire dal 1991, L'viv è una città nord-occidentale della post-comunista Repubblica d'Ucraina. Una volta lasciatisi alle spalle l'aeroporto e le periferie socialiste (che parlano russo), a interrogarla con lo sguardo la città risponde esclusivamente in due lingue: italiano e tedesco. L'italiano dell'architettura rinascimentale e barocca, il tedesco dello storicismo eclettico e dello Jugendstil. Chi non ama le città in quanto tali non venga a Leopoli. Chi è attirato solo dai tesori d'arte conservati nei musei o dalle occasioni di vita culturale (mostre, concerti, spettacoli) che una città può offrire scelga un'altra destinazione. Il bello di Leopoli consiste,unicamente e semplicemente, in Leopoli. Leopoli non ha da mostrare altro che se stessa, quale l'hanno plasmata i secoli. Una città siffatta appartiene, in definitiva, a tutti e a nessuno. A tutti quelli che vi hanno lasciato traccia della propria presenza, a nessuno di coloro che vi sono passati senza imprimervi la propria orma. 120 ettari di centro storico, con un'altissima densità di capolavori usciti indenni dalla guerra, costituiscono un tessuto urbanistico-architettonico di rara ricchezza in Europa, al di fuori delle città d'arte italiane. Su quest'area in leggero pendio, completamente preclusa al traffico (salvo i tram che sferragliano lungo il lato meridionale del Mercato), si affollano - fin dal XIV secolo - chiese di ogni epoca e stile, dove vengono celebrate funzioni in ogni rito e ogni lingua (russo, latino, polacco, armeno, ucraino, ebreo*). Il momento culminante, che segnò una svolta cruciale sotto il profilo religioso e architettonico, si colloca tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo quando nasce la Chiesa uniate e arrivano da Roma, per l'offensiva controriformistica , Gesuiti e Barocco (1610-30 all'architetto Briano la costruzione cattedrale sul modello della romana chiesa del Gesù) poi conventi e chiese e cappelle che verranno edificati dai più svariati ordini religiosi cattolici: Bernardini, Francescani, Carmelitane scalze, Benedettini, Cappuccini, Clarisse e, buoni ultimi, i Domenicani (Jan de Witt terminerà la loro cattedrale solo nella seconda metà del XVIII secolo). Gli architetti che realizzano questi luoghi di culto, nonché palazzi di mercanti e residenze patrizie, sono perlopiù italiani: Barbona, Gisleni, Paolo Romano, Nobile, i Quadro, Pietro da Lugano. Rinascimento e Barocco hanno dunque conferito un aspetto decisamente occidentale alla città vecchia, stemperando l'originaria fisionomia russa di Leopoli, edificata prevalentemente in legno. Le più antiche costruzioni in pietra rimaste sono la deliziosa chiesa ortodossa di San Nicola (fine XIII secolo) situata ai piedi dei ruderi del Castello e la Cattedrale armena della seconda metà del XIV secolo. Ma, fra i tanti gioielli architettonici, quello a mio avviso più seducente è San Giorgio, la "San Pietro" degli uniati. Questa cittadella della fede - costituita dalla chiesa, dal monastero, dalla residenza del metropolita, dal parco - si innalza su un colle ameno con armoniosa eleganza di forme barocche-rococò. Costruita alla metà del XVIII secolo da Jan de Witt, domina la città con le sue magiche cupole sfavillanti di verde. Non escludo che il pathos suscitato in me dalla visita alla cattedrale greco-cattolica sia dipeso anche dall'appassionante lettura di A Journey through Illusions (1994), il libro di memorie scritto da Kurt I. Lewin, il figlio del rabbino di Leopoli salvato nel 1942 dal metropolita uniate Szeptycki. Bellissima è dunque Leopoli: uno dei vertici della civiltà urbana europea. Ma il contrasto fra bellezza e povertà è stridente….Mica facile elemosinare in una città povera come questa. Ci vuole inventiva. Il più scontato è l'ometto malandato che suona la fisarmonica all'angolo della strada. Meno banali il terzetto delle cieche che mendica canticchiando in coro oppure la vecchia chitarrista allampanata in cappotto e ciabatte. Sublimi la madre "ejzenstejniana", muta nel suo dolore, col piccino in grembo e accanto la monumentale carrozzina ….. Ma, in fondo, non è neanche tanto la miseria nera che stride col fulgore della città. Quanto un altro elemento, affatto peculiare di Leopoli. La marea contadina che ha investito la città uscita intatta dalla guerra. Appropriandosene. E' un caso unico nel vecchio continente: un centro storico evacuato dei suoi cittadini e colonizzato da contadini. Totale lo scollamento fra le vie, i palazzi, i parchi - costruiti e vissuti, nel corso delle epoche, da altri - e i tutejszy che attualmente vi si aggirano: al tempo stesso, da padroni e da estranei. Sulla numerosa comunità ebraica si accanirono nazisti prima e sovietici poi, annientandola. Il genocidio, consumato soprattutto nel vicino campo di sterminio di Belzec, fu accompagnato dalla completa distruzione di ogni testimonianza della presenza ebraica. Sotto questo profilo Leopoli detiene, nell'Europa centro-orientale, un record negativo forse ineguagliato: *neanche una delle tante sinagoghe è però sopravvissuta, neanche uno dei due cimiteri preesistenti (quello "vecchio" del XIV secolo e quello "nuovo" del 1875) è rimasto. Solo l'ospedale moresco del 1903, sormontato da una cupola azzurrina, è tutt'ora in funzione (nessuno l'ha distrutto perché, evidentemente, tornava utile a tutti...). Oggi, in conclusione, su 800.000 abitanti (più del doppio dell'anteguerra), circa ventimila sono gli ebrei e intorno ai trentamila i polacchi. E, con la recente derussificazione della città, è stato scompaginato definitivamente il quadruplice mosaico di popoli e tradizioni di vita su cui si reggeva il complesso equilibrio multietnico e pluriculturale della Leopoli novecentesca. Decisamente più brillante la fine secolo precedente, quando la città era ancora "imperial-regia". Il tramonto del XIX secolo e gli albori del XX sono stati davvero una belle époque per Leopoli. E' il periodo in cui, abbattute le mura, si dispiega l'impetuoso sviluppo edilizio della città nuova. L'omogenea estensione dei quartieri moderni, tutti di raffinata eleganza, è espressione della felicissima congiuntura economica compendiatasi nell'Esposizione del 1894. Nella bellezza architettonica di Leopoli si rispecchiavano le intraprendenti attività commerciali e industriali della borghesia galiziana, così come la contemporanea bellezza di Praga aveva radici nel trionfo economico della borghesia moravo-boema. E laddove Cracovia, come sottolinea Alexander Wat (Mój Wiek), rappresentava in Galizia il volto burocratico-amministrativo dell'Impero absburgico, Leopoli interpretava a meraviglia l'aspetto leggero, allegro dello spirito viennese, pervaso di cosmopolitismo e d'una grande gioia di vivere. Questo mondo finisce bruscamente con la prima guerra mondiale, che interromperà, insieme alla "dolce vita" rievocata da Józef Wittlin (Mój Lwòw), anche il grandioso sviluppo urbanistico della città. Esemplare il caso della stazione ferroviaria, che se ne sta in disparte, distante più del dovuto dall'abitato (Leopoli è un centro di snodo delle comunicazioni ferroviarie e di qui passava la quasi totalità dei soldati Italiani impegnati in Ucraina con l’Armir). Arrivarci è un'impresa. D'accordo che, essendo una stazione di transito, la cintura dei binari non doveva soffocare il respiro della città; ma è chiaro che era stato preventivato un ulteriore sviluppo edilizio che poi è venuto a mancare. La città non le è andata incontro a colmare il vuoto. Ultimata da Władysław Sadłowski nel 1904, è un gaio esempio di Jugendstil, un po' padiglione da esposizione universale, un po' stabilimento termale, un po' giardino zoologico. Con un'aggettante pensilina d'ingresso, in vetro e ferro battuto, che conferisce slancio floreale all'imponente facciata d'un giallo squillante. Il complesso, fresco di restauro, è dominato dall'orgoglioso cartellone che scandisce "Viva l'Ucraina". (1772-1914) Leopoli si arricchisce di molteplici edifici pubblici e delle infrastrutture essenziali - tribunali, poste, teatri, ferrovie, scuole, banche, ospedali, perfino un circo - assumendo quella configurazione urbanistica che ancor oggi la caratterizza.
Questo assetto architettonico si rivelerà talmente lungimirante che ben poco resterà da fare ai polacchi negli anni Venti-Trenta del Novecento. E così Leopoli salterà totalmente l'esperienza del razionalismo e del funzionalismo, che verrà recuperata nel secondo dopoguerra dai sovietici nelle forme sciagurate che ben conosciamo in tutto il Centro-Est europeo. Principale protagonista dell'onesto eclettismo Kaiserlich & Königlich di fine secolo è Alfred Zachariewicz, autore del Politecnico (1877), della Galicyjska Kasa Oszczędności (1891) e, insieme a Jan Lewinski, del Passaggio Mikolascha (1900), andato distrutto durante la seconda guerra mondiale e oggi modernamente ricostruito col nome di Passaggio Roksolana. A Lewinski si deve inoltre anche la stupenda sede delle Assicurazioni "Dnestr" (1905, con T. Obminski), così come Hochberger progettò il palazzo della Dieta regionale (1877-81). Ma indubbiamente l'episodio culminante di questo periodo resta la realizzazione di quello che da cinquant'anni si chiama Viale della Libertà (Prospekt Svobodi) e che da sempre (anche quando si chiamava Karl-Ludwig-Strasse, anche quando si chiamava ulica Legionòw) funge da corso principale, affollato di banche, alberghi, caffè, negozi, uffici, cinema, musei, ristoranti. Un'impresa colossale degli amministratori austriaci, paragonabile all'apertura del Ring viennese o alla praghese piazza San Venceslao. L'ampio viale occupa lo spazio reso disponibile, a sud-ovest della città murata, dallo smantellamento dei bastioni e del fossato. Si tratta di un lungo rettangolo sontuosamente alberato che fa da cerniera fra la città antica e i nuovi quartieri. Il viale-piazzale è delimitato, a un capo, dal Teatro dell'opera e del balletto - splendido complesso, degno di Vienna o Parigi, costruito nel 1897-1900 da Zygmunt Gorgolewski, che ne realizzò uno analogo anche a Odessa - dedicato (come del resto l'Università e il Parco adiacente) allo scrittore Ivan Franko e, all'altro capo, dal neorinascimentale Hotel George, lussuosamente progettato per un albergatore inglese nel 1901 da Ferdinand Fellner e Hermann Helmer. Passeggiarci in una giornata festiva è uno spettacolo avvincente. Vi si dà infatti convegno la più varia umanità. A cominciare dai devoti raccolti intorno alla statua immacolata della Madonna, contornata di fiori, che si erge non lontana da quella di Mickiewicz, alta sulla sua colonna (1905). Folti capannelli maschili stazionano intorno a ogni panchina dove silenziosi giocatori sono impegnati, fino a tarda sera alla luce dei lampioni, in estenuanti partite a scacchi, domino o carte. Anche dopo il tramonto, sotto una luna piena sfuocata dalla foschia, continua il viavai della gente: famiglie al completo, coppie d'innamorati, gruppi di ragazze o di soldati in divisa mimetica. Intorno ai caffè all'aperto, dove si esibiscono complessi rock, folle di giovani ballano sul marciapiede brandendo coni di gelato. A metà del Viale - fra il Grand Hotel da un lato e la Wiener Kaffeehaus dall'altro - un crocchio di ambosessi attempati intona canti patriottici sotto il monumento a Shevcenko, dove ogni tanto approdano anche giovani coppie appena sposate, essendo di buon augurio farsi fotografare accanto a questa statua (così come, a San Pietroburgo, posare accanto a quella di Pietro il Grande). Più in là, mani e dita sfarfalleggiano concitate nel cerchio dei sordomuti che hanno un sacco di cose da raccontarsi. Poi ci sono le macchinine elettriche e i venditori di palloncini per i bambini e i fotografi ambulanti per i gitanti. Infine, davanti al Teatro - dove stasera va in scena un'Aida non spregevole - adesso suona una banda militare. E dietro il Teatro si dipana l'ex-quartiere ebraico con i suoi edifici di sempre più sommesso Jugendstil man mano che si scivola verso la periferia e si esce dalla città. Leopoli è circondata dalle "terre nere" ucraine, un mare sconfinato di culture estensive e campi indivisi solcato da antiquati trattori sulla cui scia - come gabbiani dietro le navi - volteggiano le cornacchie. Già dall'aereo avevo visto interrompersi le variopinte listerelle del parquet agricolo polacco e cominciare a dilagare la massa scura della superficie ex-kolchoziana. Enormi mandrie di cavalli e di vacche pascolano in libertà su ondulate praterie punteggiate dal riverbero del sole sulle cupole argentee delle chiesette rurali. Branchi di cani randagi scorrazzano nei villaggi, dove sono meli gli alberi dei viali e nei giardini pubblici razzolano oche e galline. Falò giganteschi increspano di fumo bianco l'orizzonte, mentre lunghe file di contadine e contadini zappano i solchi a perdita d'occhio. Ma la natura non si esaurisce fuori della città. La invade. Le mucche giacciono stravaccate anche sui ciuffi d'erba che s'insinuano fra i bloki periferici di Leopoli, sotto i cartelloni che inneggiano ai primi sette anni d'indipendenza del paese. Nel parco collinare dedicato a Shevcenko sono state trasferite dai Carpazi - che stanno a Leopoli come i Tatra stanno a Cracovia - non solo case e chiese lignee di eccezionale rilievo storico-etnologico, ma anche alberi e piante che ricreano in piena città il tipico ambiente della montagna. Il principale grande magazzino di Leopoli non è altro che un confuso bric-à-brac di rudimentali mercanzie da bazar contadino. La bigliettaia è una brava donna in grembiule e ciabatte che sputa il torsolo di mela e viene a vendervi lo scontrino mentre la collega scarmigliata fa ripartire il tram. In fondo a un corridoio dell'Hotel George, accanto alla men's room (come recita l'elegante targa della toilette), dalla porta della stanza 18 filtrano voci femminili che intonano canzoni folcloristiche: sono le cameriere che trascorrono così il pomeriggio della domenica, come fossero sull'aia a festeggiare la trebbiatura. La stazione centrale è un formicolio di famiglie contadine che arrivano dal circondario oberate da sacchi di patate e ceste d'ortaggi. In definitiva, l'intera città - col caldo estivo, la scarsità d'acqua corrente e le fogne decrepite - olezza di stalla e di fienile. E' piena campagna. Non c'è neanche bisogno di allontanarsi da Leopoli per capire che qui il confine più incisivo è quello fra civiltà e natura. Fra un certo modello di convivenza civile e una realtà geografica che suggerisce una diversa dimensione dello spazio fisico e del tempo storico. Questo è il discrimine cruciale che si avverte in maniera palpabile a Leopoli. Una città immersa in un universo contadino, con la terra che assedia la città e vi irrompe dentro per mille vie. A oriente di Leopoli si dissolve il tessuto della civiltà urbana che ci è abituale: una certa tipologia architettonica, un certo ritmo di distanze fra i centri abitati, una certa umanizzazione delle campagne. E si spalanca un'altra configurazione del rapporto fra uomo e ambiente, fra cultura e natura. Ci si avventura in spazi da Far East europeo o, per dirla con Karl Emil Franzos, da Halb-Asien. Leopoli capolinea, dunque. Dove naufragano i concetti di grazioso, pittoresco, sublime, romantico foggiati dalla modernità occidentale per connotare il nostro approccio col paesaggio. Da qui in poi valgono solo le categorie dell'estensione e della spazialità, della vastità e della smisuratezza. Sopravvento della natura sull'uomo, della terra sulla città. Si capisce allora che per poeti di frontiera come Venclova, Brodskij, Herbert città come Vilna, San Pietroburgo, Leopoli abbiano costituito isole di libertà, modernità e cultura. Foci diverse di un medesimo fiume, che essi hanno faticosamente risalito per raggiungere la sorgente: Roma classico-cattolica, in definitiva. Per questi "barbari nel giardino" città è libertà - la terra eterno ritorno dell'identico, città è modernità dello sradicamento - la terra tradizione delle radici, città è cultura (patrimonio di bellezza e invenzione del futuro) - la terra corso "naturale" degli eventi. Guerra austriaca a Leopoli e sul fronte orientale nel 1914 http://www.ariannaeditrice.it/ricerca.php?search2=4&search3=Le%20battaglie%20di%20Leopoli%20nell%27agosto-settembre%201914 http://en.wikipedia.org/wiki/History_of_Lviv e il massacro degli Ebrei dal 1941 al '44 http://www.olokaustos.org/geo/ghetti/lvov/lvov.htm
Prima della guerra Leopoli (oggi Ucraina) possedeva la terza maggior popolazione ebraica in Polonia che raggiunse e oltrepassò le 200.000 unità quando i rifugiati entrarono nella città a seguito degli eventi bellici. Nell'Estate del 41 due pogrom portarono alla morte di circa 10.000 Ebrei (ma anche di più secondo altre fonti). Gli altri vennero deportati. Nel 1944, quando i russi rientrarono in possesso di Leopoli, solo 200-300 ebrei erano ancora in vita. Il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal fu uno dei più famosi sopravvissuti ebrei di Leopoli. A fine guerra, a ripetute richieste di edificare un monumento alla barbarie nazista nella russa Leopoli, Stalin rispose - No ! At the time, there were about 175,000 Jews living in Kiev (Ucraina) and its suburbs. Sixty-five years ago today, on September 29, 1941, thousands of Jewish men, women, and children reported as ordered, expecting to be taken onto trains and deported. At the meeting-place they were surrounded by German soldiers and local collaborators from the Ukrainian auxiliary police, who drove them into small groups of ten, forced them to the edge of the gorge, and then opened fire with machine guns. The mobile killing unit Einsatzgruppe C, which kept records of the massacre, reported that they systematically killed 33,771 Jews from Kiev in two days, on September 29th and September 30th. After the end of World War II, Stalin’s regime became increasingly anti-Semitic, and the Soviet government refused repeated demands to build a memorial to the dead.
Many years
before 1920, Vilna had been taken over by Russia (1795). Historically, Vilna had
been the capital of Lithuania when the state had existed in the Middle Ages (La
città era sempre stata la capitale storica della Lituania, fin dai tempi
dell’omonimo Granducato). After World War One, Lithuania had been re-established
and Vilna seemed the natural choice for its capital. However, by 1920, 30% of
the population (in the district) was from Poland with Lithuanians only making up
2% of the city’s population. In 1920, the Poles seized Vilna. Lithuania asked
for League help but the Poles could not be persuaded to leave the city. Vilna
stayed in Polish hands until the outbreak of World War Two. The use of force by
the Poles had won !!!. Nella città vecchia, vennero creati due ghetti per la numerosa popolazione ebraica. Una rivolta degli abitanti del ghetto, fallita il 1° settembre 1943, fu seguita dalla definitiva distruzione dello stesso (l’altro lo era già stato). Nel complesso, circa il 95% della locale popolazione ebraica fu assassinata. Nel luglio 1944, l’Armia Krajowa (partigiani polacchi) ed in seguito l’Armata Rossa riconquistarono Vilnius, che fu subito riannessa all’Unione Sovietica come capitale della restaurata RSS Lituana. L'11 marzo 1990, il Soviet supremo della RSS di Vilnius proclamò l’indipendenza dall’URSS, restaurando la Repubblica di Lituania. Il governo sovietico, il 9 gennaio 1991, inviò truppe ed il 13 gennaio successivo, durante l'attacco dell'Armata Rossa all'edificio della radiotelevisione lituana, vennero uccise quattordici persone e più di 700 rimasero gravemente ferite. Solo in agosto l'Unione Sovietica riconobbe l'indipendenza della Lituania. ** GALIZIA (e BUCOVINA) per conoscere meglio la Galizia e la grande guerra http://www.trentinograndeguerra.it/UploadDocs/176_libretto_Galizia_completo.pdf La Galizia è una regione storica Polacco/l'Ucraina ex provincia dell'Impero Austro-Ungarico dal 1772 al 1918, con capitale Leopoli. Comprendeva i territori a Est di Cracovia, Przemysl, Lvov (leopoli) che erano altrettante fortezze nella grande guerra (vedi sopra), Stanislau o Stanisławów e Tarnopol. Stanisławów/oggi Ivano-Frankivs'k in Ucraina è un centro storico situato nella parte occidentale del paese, oggi capoluogo dell' Oblast' russo omonimo ed è un raion a sé stante nell'oblast'. Prima del 1962, la città era conosciuta come Stanyslaviv (Станиславів) o Stanisławów.
1867: Dualismo
Austria-Ungheria. Anche se i piani cechi e polacchi per far sì che le loro parti
della monarchia venissero incluse nella struttura federale fallirono, prese il
via un lento ma stabile processo di liberalizzazione del dominio austriaco in
Galizia. Dal 1873, la Galizia fu de facto una provincia autonoma dell'Austria-Ungheria
con il polacco e a un livello molto inferiore l'ucraino, come lingue ufficiali.
La Camera dei deputati della Polonia galiziana e l'amministrazione provinciale
ebbero privilegi e prerogative estese, in particolare nel campo di istruzione,
cultura e affari interni.
Janett Margolies-Il
salto dal treno Quando i Tedeschi conquistarono Tarnopol, circa 18.000 Ebrei vivevano in città. La prima deportazione dal ghetto di Tarnopol verso Belzec fu organizzata il 31 Agosto 1942 - 5.000 persone vennero deportate in questa occasione. Solo un piccolo gruppo di giovani uomini fu selezionato e spedito al campo di lavoro di Janowska a Leopoli. Prima di questa deportazione centinaia di Ebrei della città erano già stati massacrati durante pogroms o esecuzioni di massa. Gli Ebrei rimanenti di Tarnopol molto presto ebbero informazioni riguardo Belzec. Abitanti del ghetto ricevettero lettere da Leopoli che raccontavano il destino dei loro parenti. La successiva deportazione da Tarnopol venne organizzata il 30 Settembre e il 5 Ottobre 1942, quando 1.200 ebrei furono deportati a Belzec (Lublino). L’ultima deportazione da Tarnopol verso Belzec avvenne l’ 8 Dicembre 1942, allorché 1.400 Ebrei furono inviati nel campo di sterminio (qui furono uccise mezzo milione di persone).
Una piccola
comunità nelle vicinanze
http://www.youreporter.it/video_Leopoli_parco_e_cimitero_monumentali_1 http://www.youreporter.it/video_Passeggiata_a_Leopoli_L_viv_-_Ucraina
http://www.ladigetto.it/article.aspx?c=11&a=19900 cimiteri della Grande
Guerra "italiani trentini" in
Galizia |