PICCOLE STORIE - DIARI MINIMI
Narrativa
contemporanea nel segno del Bersagliere
Alfio Caruso da
"In cerca di una Patria"
ALFIO
CARUSO, nato a Catania nel 1950, é autore di quattro romanzi, thriller
politici e di mafia:Tutto a posto (1991), I penitenti (1993), Il gioco
grande (1994), Affari riservati (1995) e di due saggi di sport con
Giovanni Arpino. Con LONGANESI ha pubblicato Da cosa nasce cosa (2000,
nuova edizione 2002), una storia della mafia dal 1943 a oggi; Italiani
dovete morire (2000), un'appassionata ricostruzione dell'eccidio di
Cefalonia cui nel 2001 sono stati attribuiti il Premio Hemingway e il
Premio Acqui Storia; Perchè non possiamo non dirci mafiosi (2002),
un'«autobiografia» della Sicilia tra storia e costume; Tutti i vivi
all'assalto (2003), il racconto dell'epopea degli alpini in Russia;
Arrivano i nostri (2004), sullo sbarco alleato in Sicilia nel luglio
1943; In cerca di una patria (2005), sui ragazzi che combatterono
nell'esercito del re dopo l'8 settembre. Presso SALANI è apparso Breve
storia d'Itala (2001). |
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La visione della Milano di agosto ha stretto il
cuore di Eugenio Bedina. E’ un ragioniere ventiduenne che da quasi tre anni sta
sotto le armi benché sia figlio unico di madre vedova. Ha avuto una licenza
straordinaria perché l’appartamento materno in via San Giovanni sul Muro è stato
lambito dalle fiamme durante i furiosi bombardamenti alleati. Il permesso scade
all’alba del 9 settembre. Alle 16 dell’8 la stazione Centrale pullula di
militari in partenza. Il treno per Bari è stracolmo. Bedina dondola in piedi di
fronte a una bella ragazza con un neonato in braccio. Ogni quattro ore lo
allatta: tira fuori dalla camicetta un seno turgido e Bedina non riesce a
ignorarlo, ha anche sete per il gran caldo e quella mammella gli pare
racchiudere ogni delizia. Sarà anche per questa visione che i mortaretti
solcanti il cielo dalle parti di Bologna non l’incuriosiscono. Immagina che tra
una pausa e l’altra delle incursioni aeree qualcuno in Italia abbia ancora
voglia di festeggiare il santo patrono.
I tre vagoni in coda al convoglio sono zeppi di fanti germanici diretti verso le
postazioni della linea Gustav. Il controllore riferisce che sono tranquilli ed
educati. Perdura il buio quando scendono sotto lo sguardo indifferente dei pochi
svegli. Alle 6 nella stazione di Bari Bedina scopre che cos’è accaduto la sera
prima, ripensa ai mortaretti. A Bitonto, sede del LI battaglione bersaglieri
d’istruzione, il tenente colonnello Trapani lo accoglie sarcastico: bravo lo
scemo, perché non sei rimasto a Milano? Se lo chiede anche il ragionier Eugenio.
Ma a Milano che cosa avrebbe combinato? Lui ha smesso di esser fascista dal
giorno della dichiarazione di guerra, tuttavia non può dirsi neppure
antifascista. Elucubrazioni e rimpianti vengono interrotti da una telefonata
concitata del generale Amato, comandante della 209a divisione costiera: servono
rinforzi per strappare il porto di Bari ai tedeschi. I bersaglieri se la
sentono? Tradotto in soldoni: da che parte stanno i bersaglieri del LI?
Il tempo per rispondere è quello di una moneta che vola per aria. Testa o croce?
Con il re o con Hitler? Trapani dà l’ordine di partenza immediata. L’ora
necessaria, cioè, a caricare armi, munizioni e uomini. La 3a compagnia rinuncia
alle moto, la 1a alle biciclette. Si va di fretta con tutto quello che c’è di
reperibile a quattro ruote. Alle 17 il battaglione prende posizione attorno al
porto. Le velleità germaniche sono state già piegate dall’intervento di altri
militari italiani, ma dentro resistono trecento granatieri. Le voci più
disparate li descrivono pronti a tutto, decisissimi a non mollare. Si odono rari
colpi di fucile. La 2a compagnia viene designata per l’attacco. Bedina si torna
a chiedere che cosa sarebbe stato di lui se fosse rimasto a Milano.
Si arrendono, si arrendono…
L’urlo precede la comparsa del drappo bianco nelle postazioni tedesche. I
bersaglieri con il dito sul grilletto assistono alla sfilata
degli ex camerati.
La 2a compagnia li scorta fino alla stazione per caricarli sul treno diretto a
Foggia, le altre due rastrellano il porto. Viene rinvenuto il cadavere di un
sottufficiale. Il LI è di nuovo in guerra.
In cerca di una patria
Longanesi - Collana: Il Cammeo
Pagine 292 - Formato 14x21 - Anno 2005
Note di Copertina
8 settembre 1943: la storia dei ragazzi di una generazione sfortunata
La sera dell'8 settembre 1943, alla notizia dell'armistizio, tanti militari
italiani impugnano le armi contro il tedesco. In Italia, in Francia, in
Jugoslavia, in Grecia, in Albania, nelle isole del Mediterraneo soldati,
ufficiali e diversi generali comprendono che per aiutare la Storia a voltare
pagina bisogna mettere in gioco la propria vita. In tre settimane sono circa
25.000 i caduti, non pochi di essi fucilati dopo la resa, come accade a
Cefalonia e Corfù, ma anche a Lero, a Spalato, a Nola, a Santi Quaranta. Si
dissolvono gli alti comandi, ma i ragazzi della generazione sfortunata, che
hanno già pagato un alto tributo di sangue a El Alamein e nella steppa
ghiacciata dell'URSS, rispondono alla chiamata per ricostituire un esercito da
schierare accanto agli Alleati. Molti di loro sono fascisti, hanno creduto nelle
fandonie del regime, tuttavia nello sfacelo di quei giorni si aggrappano
all'ultima àncora, l'Italia. Un'Italia senza aggettivi - né fascista né
antifascista, né monarchica né repubblicana - per la quale battersi e morire,
benché all'inizio serpeggino mugugni, diserzioni, incomprensioni. Attraverso la
dolorosa presa di coscienza di quindici giovani e giovanissimi fanti,
artiglieri, alpini, bersaglieri, "In cerca di una patria" racconta i venti mesi
di guerra al nazi-fascismo. Inconsapevoli di essere soltanto le pedine del
grande gioco - in cui Roosevelt, Churchill, Stalin, Alexander, Eisenhower,
Montgomery, Clark spesso si contrappongono a Vittorio Emanuele III, Umberto,
Badoglio, Bonomi, Messe - gli ex balilla di Mussolini affrontano le sanguinose
tappe di una lenta resurrezione. E allora può capitare che prima di un assalto i
paracadutisti della Nembo canticchino Giovinezza e i bersaglieri si ricordino di
Giarabub, mentre comunisti e socialisti tuonano contro 'l'esercito del re'. Alla
fine a morire sui campi di battaglia e nei lager tedeschi sono più di 86.000
militari. Di essi però non si parla mai, in ossequio al primo compromesso della
nascente Repubblica: l'Italia che si appoggiava agli Stati Uniti lasciò alla
Sinistra il monopolio e i meriti della resistenza; di converso, l'Italia che si
appoggiava all'URSS consentì che la borghesia e i moderati, spesso cementati
dalla comune appartenenza alle rinate logge massoniche, assolvessero, in certi
casi senza nemmeno processarli, i principali responsabili dell'8 settembre e
della Repubblica sociale.
http://www.alfiocaruso.com/archivio.htm
Il più
vecchio andava per i 35, il più giovane ne aveva 20 La moneta volò per aria, da
una parte c'era scritto morte, dall'altra vita. Uscì morte. Erano contadini,
artigiani, muratori, commessi, pasticcieri, commercianti, c'era un professore di
lettere, c'era un perito agrario, c'era un albergatore, c'era un medico, c'era
un pompiere, c'era un fotografo di roba d'arte. Erano 77 italiani di modeste
pretese e d'infinita pazienza precipitati nel peggior mattatoio della Seconda
guerra mondiale: Stalingrado. Spettatori del dramma più fosco vissuto da un
milione di uomini pagarono un conto che a loro non competeva. Appartenevano a
due autoreparti, il 127º e il 248º, più un oculista con il suo assistente
sanitario, più un ricco borghese con il gusto dell'avventura.
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