PICCOLE STORIE DIARI MINIMI
NELL'AFFRICA
ITALIANA
di
Ferdinando Martini
L'avvenire della Colonia Eritrea
Milano, Fratelli
Treves, 1896,
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Io, sebbene mi piacesse di discorrere dell'Affrica con chi vi nacque,
come la signora Teresa Naretti, o come il signor Giacomo, marito di lei,
vi fece lunga dimora, cercava tra la folla con gli occhi la figura
mingherlina e segaligna di un uomo, che la conosce anche meglio di loro:
cercava Giorgio Schweinfurth, botanico illustre, uno dei più ardimentosi
e fortunati tra gli esploratori del continente nero; che appunto in quei
giorni, dopo aver passato un mese in indagini scientifiche a Gheleb, era
sceso dall' altipiano e si preparava a partirsene per la Germania.
Avevamo avuto con lui la mattina una lunga conversazione; ma io
desiderava mi ripetesse alcune delle cose dette e che non aveva bene
afferrate, o m'illustrasse alcune delle opinioni espresse, che non
m'erano nella mente ben chiare. Perché sta bene il proporsi, ed io me
l'era infatti proposto, di vedere co' propri occhi e dedurre con la
propria testa; ma in paesi nuovi, così diversi dal nostro, se qualcuno
non vi guida all'osservazione, c'è il rischio vi sfugga, per attento e
diligente che siate, quanto più importa notare e accertare. Dai colloqui
coi negozianti europei di Massaua, oltreché si riferivano più
specialmente ai commerci dell' isola, non mi era riuscito cavare un gran
che; tutti erano d'accordo rispetto al Sudan, col quale, date certe
condizioni, potevano avviarsi larghi e fruttuosi negozi; ma rispetto
all'Abissinia propriamente detta, i pareri erano alquanto discordi.
Dicevano alcuni: « Noi parliamo dello stato presente; ridotti dalle
guerre e dai disastri continui a quello stato d'inopia che tutti sanno,
che cosa volete gli Abissini mandino sul mercato di Massaua ! È gala
(già molto) se vengono tuttavia a prendervi della dura (Una specie di
cereale). |
Ma se pur tornassero le
floridezze di un tempo, sarebbe un ingannarsi volontariamente lo sperare
commerci di qualche importanza coll' Abissinia; l'esperimento fu fatto e
i numeri parlano chiaro. Diciamone qualcuno, così a occhio e croce. Che
cosa portarono, che cosa possono portare dall' interno nell'Isola?
Cinquecentornila pelli di bue; nel 1885 che fu un anno prospero non ne
arrivarono più che tante; a un tallero l'una, mettiamo mezzo milione di
talleri. Un centomila talleri di burro dagli Habab, che una volta si
smerciava a Gedda, a Aden, a Hodeidah e lungo tutte le coste del mar
Rosso; un cinquantamila talleri di cera, un centocinquantamila di
zibetto, duecentocinquantamila tra avorio e oro in verghe; caffè poco e
da non computarsi, perche, sebbene aromatico e buono di sapore, ha grana
irregolare e perciò scarso credito sui mercati. Resta la madreperla:
quand'anche il Governo italiano, a furia di pedanterie e di dazi, non
l'avesse sviata e spinta verso Aden e Suakin, quanta ne potrebbe venire
a Massaua? Trecentomila talleri negli anni grassi, a dir molto."
-Questo per l'esportazione,
ma ...
- Ma, sicuro, c'è da tener conto anche dell' importazione; si fa
presto a sbrigarsene.
Nell'Abissinia non entrano
che granaglie, zucchero e tessuti di cotone; le granaglie vengono
dalle Indie, lo zucchero da Trieste (austriaca), i tessuti dall'
Inghilterra, alla quale noi non
possiamo fare la concorrenza,
sebbene le merci inglesi paghino alla nostra dogana l'8% di dazio
sul valore, e le italiane
neanche un centesimo. |
Ferdinando Martini
(Firenze, 30 luglio
1841–Monsummano Terme, 24 aprile 1928)
politico, scrittore, professore alla
Normale di Pisa viene nominato
Governatore (dal 30/11/1897 al 1907)
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Sicché, vedete, c'è poco da stare allegri; e quand'anche il commercio
presente coll'Abissinia si triplicasse, basterebbe a malapena
all'operosità e al discreto guadagno dei mercanti che ci sono; se altri
ne venissero dall'Italia dovrebbero adattarsi a mangiare di magro. Per
carità non ci culliamo fra le illusioni. Altri opponeva: le cose non
stanno così; ora come ora le faccende vanno male e si sa perché, e
nessuno nega nè gli effetti nè le cause. Ma se l'Abissinia tornasse in
pace come una volta, oh ! se ne trarrebbe molto di più di quanto si
immagina. Tutti questi numeri, tutti questi calcoli donde si levano? Dai
registri della dogana di Massaua. I registri della dogana di Massaua non
contano nulla, perché non dicono la verità: per regola vostra i bey che
dirigevano la dogana a tempo degli Egiziani, di molte mercanzie
passatevi non lasciavano nessuna traccia sui registri, per intascare una
parte, anzi la maggior parte dei dazi che riscotevano.
Questo circa la
esportazione: da importare, non v' ha dubbio, finché gli indigeni non
mutino i loro costumi, ci sarà sempre poco, specialmente poi dall'
Italia; nondimeno ora alcune derrate nostre nell' interno ci penetrano:
pacchi di cotone rosso filato, moltissimi; qualche bottiglia di cognac,
tonno, scatole di sardine; poco, ma in queste cose tutto sta nel
cominciare. Per carità, non dipingiamo il diavolo più brutto di quello
che sia.
Le opinioni erano, come ognun vede, disparate, inoltre troppo
particolari; mi pareva che lo Schweinfurth dovesse mirare le cose
dall'alto e avere innanzi a sè per conseguenza più ampi orizzonti. Lo
rinvenni alla fine, e parlammo; le sue parole riferirò quasi
testualmente ; mi dispiace di non potervi mettere il tono franco e rude
de' Tedeschi in genere e dello Schweinfurth in ispecie; il quale da
principio secca e alla lunga piace; si sente che chi parla a quel modo
non vi inganna per strisciarvi con un complimento, e per levarsi
d'impiccio con uno scappavia. |
« Mio caro signore - disse passandosi la mano ne' capelli che porta
buttati all' indietro, e fissando ne' miei gli occhi piccoli e vivaci -
mio caro signore, un popolo quando s'è persuaso che sa far bene una
cosa, dovunque vada vuoi fare quella cosa medesima. Noi Tedeschi se
invadessimo il Sahara, prima che a ogni altra cosa, penseremmo a
provvedere un'orchestra. Voialtri Italiani fabbricate dei mattoni
magnifici e se non adoperate mattoni non siete contenti. In tutto
l'Oriente si costruisce con materiali e con metodi molto meno costosi di
quelli che usate a tirar su i vostri palazzi, ne' quali avete a questo
modo sprecato parecchi denari, più che sufficienti a scandagliare la
fertilità dell'Eritrea, di cui sapete, dirò meglio, sappiamo assai poco.
Se aveste adoperato altrimenti, sarei venuto io a domandare notizie a
voi, non voi a me. lo che posso dire? Non conosco le abitudini del
contadino italiano, non so se abbia la facoltà, la forza di mutarle. Per
ora la colonia è molto angusta; e se dovesse restar sempre ne' confini
presenti, sarebbe stoltezza l'immaginaria rifugio alle parecchie diecine
di migliaia di persone che ogni anno emigrano dall'Italia; ma i terreni
migliori sono di là, non di qua del Mareb. Nel Samhar, cioè nella
regione tra il mare e l’altopiano, per il contadino spicciolo non c’è
nulla né da fare né da sperare; molto, secondo me, da fare e da sperare
vi è per grandi compagnie, con danaro adeguato all' impresa. Potrebbero
coltivarvisi cotone, indigo, sesamo, tabacco; caffè no; sono stato
l'anno scorso nel Yemen, conosco il terreno adatto a una tale
coltivazione e l'Eritrea non ne ha. Nel Samhar si alleverebbero
facilmente, volendo, i cammelli. |
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Una decisione che
ritiene improcrastinabile sia per la vivibilità sul mar Rosso («Massaua
non è un gradevole soggiorno per un europeo e prima che essa sia in
grado di accogliere non alcuni ma parecchi italiani, c’è molto da fare.
Bisognerà costruire un ospedale, carceri tanto più vaste quanto più è
raffinata la civiltà che ci proponiamo di diffondere nella colonia») che
per controllare il potente nemico lo spostamento della capitale
sull’altopiano ad Asmara. Primo decreto governativo nel 1898 per dare al
centro di Asmara un dignitoso assetto urbano e il regolamento per la
nettezza urbana nel quartiere europeo e distribuzione di acqua potabile
con proibizione di lavare i panni o di inquinare in qualsiasi maniera
l'acqua del Mai Bele nella zona di attraversamento cittadino. Sono
censiti nel Commissariato dell'Hamasien (Asmara) 31.441 abitanti di cui
910 europei. Primissima decisione nel dicembre 1897 rinunciare a Kassala
in Sudan
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Il cammello, lo sapete, vive
bene là dove il bue non trova da mangiare: tra un fastello d'erba medica
e un cespo d'acacia spinosa, sceglie l'acacia. Nel Sudan, in terreni
simili, ho veduto greggi di più che trenta mila cammelli, per i quali
chi li possedeva, là era straricco, e sarebbe uomo facoltoso anche in
Europa »,
S'accorse che stavo per aprir bocca ad obbiettare e soggiunse.
« Risparmiatevi le obbiezioni
per ora. L' Eritrea dovete ancora vederla e gli Abissini dovete ancora
imparare a conoscerli. So quel che volete dire: se tanto può fruttare
questa landa, come va che gl'indigeni non ne ricavarono mai nulla? E io
vi domando alla mia volta: come va che il Samhar quando il Munziger vi
passò, circa trent'anni sono, era pieno d'alberi della gomma e ora vi se
ne trovano pochi esemplari a gran stento? L'abissino distrugge tutto per
ignoranza, e per inerzia lascia tutto decadere e distruggersi. La
popolazione del Samhar, dell' Hamasen e del Tigrè, sulle cui miserie vi
siete già probabilmente impietosito, è volontariamente miserabile e
profondamente corrotta. Gente che non è capace a nulla e non vuole
addestrarsi a nulla; meglio i Sudanesi, meglio gli stessi negri dell'
Affrica centrale. Qui gl' indigeni sono ancora nello stato infantile e
ve ne accorgerete quando avrete a servirvene; non sanno né legare un
carico né equilibrare un peso. Sebbene l'argilla abbondi, non si fa qui
il minimo lavoro in terra cotta; il menomo lavoro in vimini; potete
cercare quanto volete, non troverete traccia di alcuna delle forme
rudimentali dell' industria umana. La guerra, il colera, le rapine sono
state certamente cagione di molti guai: ma nonostante le rapine, il
colera, le guerre, gli Habab e i Beni-Arner, i quali sono operosi,
vivono agiatamente. La miseria, universale nei Bogos, nei Mensa, nell'
Hamasen, nel Tigrè, nel Samhar, deve dunque essere effetto di altre
cagioni più potenti e più intime; quelle che ho dette. I Mensa, nella
cui regione gli animali selvatici d'ogni specie abbondano, potrebbero
nutrirsi di selvaggina come gl'Indiani di America; niente; anche la
caccia è una fatica, e prescelgono morire di fame. |
Diffondere la civiltà fra certa gente, pretendere di educarli con
l'esempio è sogno da Arcadi, non proposito di colonizzatori. Bisogna
sostituire razza a razza: chi dice altrimenti chiacchiera, non ragiona.
Circa allo avviare qui gli emigranti italiani, lo ripeto; non conosco il
vostro contadino, nè tutta quanta la vostra colonia; ma la fortuna
dell'Eritrea è di avere cinque terreni diversi, cinque diverse flore,
cinque climi diversi: il Samhar, l' Hamasen, i Bogos, gli Habab, le
isole Dahlac. Così intanto che a Massaua il clima fiacca in certe
stagioni ogni vigoria fisica e intellettuale; a Keren, effetto forse
della siccità dell' aria, quelle vigorie crescono in modo
sensibilissimo. La patata può coltivarsi in più luoghi, come l'ulivo e
la dura: e la dura, più rimuneratrice del frumento, e cibo più nutriente
del granturco e non mette nel sangue pellagra. Inoltre la coltura delle
piante tessili può dar molto frutto; fra Ghinda e l'Asmara ho trovato
innumerevoli esemplari di Sanseviera Eheremberghi, con la quale in
Arabia si fanno cordami per usi marittimi; forse la pianta abbonda anche
altrove. Ma chi ne sa nulla? Non ve ne abbiate a male, mi parete
tuttavia impreparati. Perché, ad esempio, per distillare l'acqua
adoperate a Massaua il carbone che a cagione dei trasporti è così caro?
Nel Perù, nella Bolivia si fa lavorare il sole. Quando ci si mette nelle
imprese coloniali, bisogna stare a giorno dei più recenti trovati della
scienza e aiutarsene: altrimenti si fa, vi domando scusa un'ultima
volta, ciò che avete fatto voialtri: si spendono quattrini a iosa con
scarsissima utilità ». |
Mal d'Africa
«Chi vide tramontare il sole sul Mar Rosso non
scorderà se campasse cent’anni, tanta festa degli
occhi, tanto bagliore di raggi, tanta vivezza di
tinte. Un globo d’oro s’era da poco nascosto
dietro un fulgido padiglione sanguigno, coronato
d’archi gialli, i quali digradando di tono in tono
dall’arancio al canario, si perdevano, sfumavano
in luci opaline, che animali non più visti, draghi
crocei recanti sul capo gigli d’argento, ippogrifi
azzurri cavalcati da dimoni color di rame, parevano
volare a diffondere per la vôlta del cielo. Ora,
noi, scorta per la prima volta e salutata co’ versi
danteschi la Croce del Sud, navigavamo tra vapori
perlati, vicendevolmente ricordandoci e
descrivendo gli
sfolgorii di quegli occasi
meravigliosi».
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