DA I PARTIGIANI ITALIANI IN BIELORUSSIA - PATRIA
INDIPENDENTE 20 GIUGNO 2004 (rivista “storica” dell’ANPI)
Anche il movimento partigiano bielorusso non si sarebbe affermato
senza l’aiuto della popolazione civile, tanto da essere storicamente
considerato, come in Italia, sua diretta espressione. Ciò rende reale e non
retorica la definizione della resistenza come “guerra patriottica e popolare”,
con la variante supplementare che qualifica la resistenza bielorussa anche
“guerra della rotaia”, date le sistematiche azioni di sabotaggio del sistema
ferroviario.
Tra le fila partigiane bielorusse, come in Italia, c’erano molti stranieri:
circa 40 mila fuggiti dai reparti di lavoratori o ausiliari che forzatamente
erano al seguito delle truppe germaniche, polacchi, slovacchi, cechi, jugoslavi,
francesi, spagnoli e disertori austriaci. Ma anche italiani. Le notizie in
merito sono scarse. Come in tutti i movimenti di resistenza venivano distrutti i
documenti personali, alcuni nomi sono storpiati. Possiamo tracciarne la storia
solo a grandi linee. Gli italiani arruolati come ausiliari dei tedeschi prima
dell’8 settembre 1943, con l’armistizio e l’occupazione nazista del nostro Paese
erano stati rinchiusi in campi di concentramento in Bielorussia assieme ad altri
militari italiani fatti prigionieri non si sa dove e come. È una pagina oscura
probabilmente resa tale dal fatto che una volta giunti nelle località dove
c’erano italiani dell’ARMIR catturati dai sovietici, i tedeschi non li
liberarono, e venuto l’8 settembre, ne aggravarono anzi le condizioni non
riconoscendo loro, come ai soldati italiani nei lager in Germania e in Polonia,
i diritti stabiliti dalla convenzione di Ginevra, in quanto “traditori”.
Ricerche – la fonte è Irina Voronkova dell’Istituto Storico di Minsk – dicono
che all’8 /9/43 c’erano almeno 10 mila nostri ufficiali e soldati in mano
germanica sul territorio bielorusso. Non pochi, come abbiamo scritto, fuggirono
e finirono tra i partigiani. Ma solo pochi sono i nominativi pervenuti: Brigo,
Disdro, Loriso, Cerebello, Ianello e Klimentdeum (difficilmente, questo, da
ritenere italiano). Un’indagine impossibile da compiere a tanti anni di distanza
per ricostruire le vicende di un numero così rilevante di vittime delle
esecuzioni capitali, del freddo, della fame, delle malattie. Pochissimi,
certamente, i sopravvissuti. Non si sa neppure a chi realmente appartengano i
resti. Infatti, quasi tutti i corpi di soldati italiani e sovietici giacciono
insieme mai identificati. Nel campo di Masjukovshchina, vicino a Minsk, dove ci
sono le più grandi fosse comuni, un monumento è dedicato ai soldati che là
riposano, «vale anche per gli italiani» precisa la Voronkova. I funzionari del
nostro Ministero della Difesa hanno recuperato, nel corso del primo dopoguerra,
poco più di un centinaio di corpi, specialmente scavando in un luogo di
inumazione presso Gomel, per tumularli nei cimiteri in patria. C’è qualche nome
inciso lì vicino sugli alberi del “boschetto della memoria”, illeggibile….
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Tra
il febbraio e il marzo del 1943 ritorneranno da
- KLINZY: 1.500 uomini del raggruppamento CC.NN. 23 Marzo
- SHLOBIN-BUDA-: 16.000 uomini del C.A. Alpino
- GOMEL 15.000 dei reparti a cavallo, artiglieria e genio di Armata
- BOBRUISK: 10.000 uomini del XXXV C.A.
- GOMEL-NOVO BELIZA: 8.000 uomini dell'Intendenza
- DNJEPROPETROVSK-PERVOMAJSK: 9.500 uomini dell'Intendenza
- LEOPOLI: 1.500 uomini
- KIEV 500 uomini.
Resta in Russia il II CdA con comando a GOMEL così costituito: - Comando, truppe
e servizi di C.A. uff. 480 truppa 11.500
- Divisione Ravenna uff. 400 truppa 9.600 - - Divisione Cosseria uff. 420 truppa
9050 - - Intendenza uff. 560 truppa 8500
Per un Totale di uff. 1.860 e truppa 38.650
(dati da verificare)
Il 22 maggio 1943 terminano anche le operazioni di rimpatrio delle unità
dipendenti del II C.A. compreso l’ultima batteria .... La Ravenna lasciò per
ultima la zona del Don, proteggendo la ritirata delle truppe alleate. Chiudevano
la lunga colonna i cannoni della (predetta) 5a batteria (XXVIII gruppo cannoni
da 105/28), unici a essere stati salvati. L’avanzata russa se li ritroverà di
nuovo contro a Taly, quando in appoggio alle truppe tedesche, vengono riportati
indietro di ca 30 km. Successivamente i medesimi cannoni, sempre con lo stesso
ufficiale, intervennero in azioni contro carri armati che tentavano di assalire
gli ultimi fanti della Ravenna. L’opera della Ravenna fu possibile per la
considerazione in cui venne tenuta la Divisione Ravenna dal Comando tedesco,
rifornendola nel limite del possibile. Dal 16 al 22 gennaio 1943 da lwanovka,
nei pressi di Woroscillovgrad, gli stessi cannoni e lo stesso ufficiale,
coadiuvato dal sottotenente F. Poggesi, respinsero fino al Donez la minacciosa
avanzata di grandi unità corazzate, per circa 8 Km, con un «fuoco d’inferno»
secondo un giudizio del Comando tedesco. La 3a e la 1a batteria dello stesso
Gruppo (comandato dal Cap. F. Lacquaniti) dotate di artiglierie di piccolo
calibro rinvenute presso la base dell’Armata (agli ordini del Cap. G.G. Morando
e del capitano Giuliano Nostini, il grande campione dì scherma) dopo un primo
intervento d’insieme appoggiarono le fanterie della Divisione nell’occupazione
del terreno sgombrato dalle unità corazzate sovietiche. In quella occasione la
Divisione tenne la zona con rabbiosa resistenza «a oltranza» per consentire alla
div. Goering partita da Marsiglia di giungere a prendere possesso di quel
fronte. Raggiunta Minsk e consegnati i militari delle altre Divisioni al Comando
dell’ARMIR, la Divisione venne avviata nella zona di Stara Krupez per la
riorganizzazione, in quanto il Comando tedesco la voleva a rappresentare
l’esercito italiano sul fronte russo. Mussolini si oppose alla proposta tedesca
e nel mese di maggio la Divisione lasciò il fronte russo, buon’ultima, e tra il
rispetto degli eserciti alleati e del nemico.
Italo Firmani, Roma |