Alarico Gattia 

Nato il 9 dicembre 1927 a Genova, Alarico Gattia si forma nell'ambito artistico milanese e all'inizio degli anni Cinquanta esordisce nella pubblicità. Genovese di nascita ma milanese d’adozione, ha cominciato la sua attività collaborando anche con il periodico Grazia e ha poi lavorato per molte riviste e copertine del gruppo Mondatori. Alla fine degli anni Sessanta disegna le matite di alcune avventure di Diabolik e in seguito collabora per una decina d'anni al Giornalino, occupandosi soprattutto di riduzioni a fumetti dei classici della letteratura come "L'ultimo dei Mohicani" di James Fenimore Cooper e "Il fanciullo rapito" di Robert Louis Stevenson. Nella seconda metà degli anni Settanta disegna L'uomo del Klondike, L'uomo del sud e Il conte di Montecristo che gli hanno valso il prestigioso Yellow Kid e il premio Caran d’Ache nel 1984. In seguito collabora alla Storia d'Italia a fumetti della Mondadori e a due collane della Larousse: "A la decouverte du monde" e "Histoire du Far West". Presidente dell'Associazione Illustratori, nella seconda metà degli anni Ottanta ha scritto e disegnato alcune storie per "Comic Art".

In due parole. La Basilicata governata dai piemontesi, è percorsa dal risentimento per le disattese speranze dei contadini. Molti sono coloro che diventano briganti. Il "generale" (capo brigante) Carmine Donatelli Crocco ne comanda circa duemila. Ed è per questo motivo che il generale spagnolo Borjes viene inviato dal re in esilio Francesco II presso di lui a comandare la rivolta. Ma non c'è incontro tra la guerriglia intesa da Borjes, e le scorrerie che pratica Crocco. Dal loro primo incontro, con testimone Don Nicola Solinas (possidente di idee liberali), comincia uno scontro che avrà presto termine con Borjes disarmato e spedito via da Crocco. E sarà proprio Don Nicola (che deve la vita allo spagnolo) indirettamente, a provocare la cattura e la fucilazione di Borjes. 

Da http://www.ubcfumetti.com/uoa/15.htm il profilo biografico. I quadri dalla matita di Alarico Gattia (non esaustivi della narrazione), sono apparsi su L'Uomo del Sud Ed. Cepim nell’aprile 1978

      
Altri personaggi: Pizzicchio guardiacaccia di Don Nicola, Teschietta brigante, Capitano Pelizza dei Bersaglieri, Giuseppe Boero delegato di Pubblica Sicurezza alla Prefettura di Potenza, Sergente Traverso ex garibaldino e ora bersagliere, Maggiore Franchini bersagliere 
Luoghi:Avigliano, Rionero in Vulture, Stigliano, Potenza, Isernia, Matese, Marsica, Avezzano Tagliacozzo

Borgès(o Bories Borjes), quando fu preso alla cascina Mastroddi, non volle rendere la sua spada che a Franchini; e quando lo vide, gli disse: "Bene! giovane maggiore". - I prigionieri furono legati due a due e condotti a Tagliacozzo. Durante il tragitto Borgès parlò poco e fumò. Disse a varie riprese: "Bella truppa i bersaglieri!". Poi al luogotenente Staderini: "Andavo a dire al re Francesco II che non vi hanno che miserabili e scellerati per difenderlo, che Crocco è un sacripante e Langlois un bruto". Manifestò anche il suo dispiacere di essere stato preso tanto vicino agli Stati romani. "Ringraziate Dio che io sia partito questa settimana, un'ora troppo tardi; avrei raggiunto gli Stati romani e sarei venuto con nuove bande a smembrare il regno di Vittorio Emanuele". A Tagliacozzo Borgès e i suoi compagni vennero condotti in un corpo di guardia, ove dettero i loro nomi. Uno spagnolo, Pietro Martinez, chiese inchiostro e carta, ove non scrisse che queste parole: "Noi siamo tutti rassegnati a esser fucilati: ci ritroveremo nella valle di Giosafat, pregate per noi". Tutti si confessarono in una cappella e dopo furono condotti sul luogo dell'esecuzione. - "L'ultima nostra ora è giunta, esclamò Borgès: muoriamo da forti".Abbracciò i suoi compatrioti, pregò i bersaglieri a mirar diritto, poi si mise in ginocchio coi suoi compagni e intonò una litania in spagnolo. Gli altri in coro gli rispondevano. Il cantico fu rotto dai colpi: dieci Spagnoli caddero; dopo di che venne la volta dei Napoletani, fra i quali vi era un ultimo straniero il quale, prima che fosse fatto fuoco, gridò ad alta voce: "Chiedo perdono a tutti!"  

“L’Operaio” di Napoli (1861) - Fasti brigantesco-papalini
Scrivono da Roma, 7 dicembre 1861 alla Nazione:
Il comando e la polizia francese in Roma non solo non reprime, ma si può anche dire che favorisce il brigantaggio. Prima di tutto non si capisce come il Governo di Francia permette l’opera impunita dei comitati legittimisti di Marsiglia e di Parigi, i quali forniscono alimento al brigantaggio, in uomini, armi o denaro. In seguito posso darvi assicurazione dei seguenti fatti. È stato dato il cambio alle guarnigioni francesi del Frosinonese: nuovi mandati ebbero un’allocuzione del generale De Goyon nella quale disse di non ispiegare soverchio zelo contro i così detti briganti, perchè niuna ricompensa od onorificenza si dovevano aspettare, e non era cosa che riguardava la Francia. I briganti arrestati all’osteria di Alatri sono stati tutti rimessi in libertà, e a piccole squadre son tutti ripartiti per gli antichi covili, rivestiti, pagati a 4 paoli il giorno, e con regolare foglio di via pontificio. L’amministrazione delle strade ferrate si presta anch’essa a quest’opera buona, arruolando come lavoranti questa canaglia, radunandoli poi tutti in certo dato tempo a Ceprano, o in altro punto di confine dove poi al passaggio di Chiavone si trovano belli e uniti, e vanno con esso. Cosi appunto fecero 200 di costoro per la spedizione d’Isoletto e San Giovanni in Carico.
Il campo Chiavone sta ora nella provincia di Marittima, e da Fossanuova (abbazia) si vedeno i suoi fuochi e le sue tende: i Francesi li vedeno e li lasciano stare. Quattro pezzi da montagna furono condotti nel convento di Scifelli: ne fu dato avviso al comando francese di Veroli, ma questi rifiutossi ostinatamente a far perquisire il convento, e i quattro pezzi vi stanno ancora sicuramente a disposizione del brigantaggio. È falso falsissimo che i Francesi siensi mai affrontati coi briganti, tranne quella spedizione del tenente Antonmarchi, fatta appunto a Scifelli, dove i briganti trassero sui Francesi, e i Francesi risposero e li fugarono. Infine, lo scorso lunedì Chiavone era in Roma, e doveva alla sera alle ore 5 e mezzo pomeridiane avere una conferenza con parecchi capi-squadra di briganti, alla “locanda del sole” sulla piazza della Rotonda, nel centro della città. La polizia francese ne fu avvertita, ma Chiavone conferì sicuramente coi suddetti, concorsi in numero di trenta circa, e solo la seguente mattina, quasi a dileggio, si presentarono alcuni birri papali a domandare se v’era Chiavone. Questa, e non altra, è la cooperazione francese alla repressione del brigantaggio. Vi dissi già che quel Ferdinando Ricci, capo brigante, arrestato dai Francesi, è stato dimesso dal consiglio di guerra; qualche persona, che può essere al caso di saperlo positivamente, mi assicura che i giudici di detto consiglio furono il giorno innanzi, invitati a pranzo da Francesco II (abitava in Roma), e vi andarono. Ne meno sfacciata è la cooperazione del Governo papale in promuovere e fornire il brigantaggio: vi rammentate di quei sessanta briganti arrestati pro forma verso Palombara dai gendarmi papali, e custoditi poi nella stessa caserma dei gendarmi? Or bene, lo stesso giorno del loro arrivo, due uffiziali di gendarmeria si portarono in carrozza chiusa al magazzino d’abbigliamento militare a San Giacomo, e l’ho da persona che li vide cogli occhi propri, là caricarono una quantità di vecchie uniformi e pantaloni, e i briganti cosi rivestiti furono rimandati ad ingrossare la banda di Chiavone: parecchi di costoro colla detta uniforme si trovarono, e furono uccisi a San Giovanni in Carico.
Se poi volete sapere come dal Governo papale si alimenti il brigantaggio estero, ecco qual’è la trafila. Il Comitato legittimista di Marsiglia, che fa capo al signor Anatolio Lemercier, finge di arruolare dei Belgi e dei Francesi pel servizio della Santa Sede: a tal fine dà loro una carta con un bollo analogo. Gli arruolati vengono sui postali francesi a Civitaveccchia, donde il monsignor Delegato li spedisce colla ferrovia a Roma. Qui vengono subito presi in consegna dal signor Luzzi segretario particolare di De Merode, i quali hanno la posizione segreta e sono esclusivamente incaricati del servizio militare borbonico. Sopra un semplice ordine di De Merode, vengono forniti dal magazzino militare le vesti, gli armamenti, le cariche, senza sapere a chi, e mettendo solo come documento l’ordine suddetto. I signori Lepri e Luzzi passano immediatamente i detti arruolati nei ruoli borbonici: li fanno dormire alla spicciolata nei quartieri dei battaglioni esteri presso S.Maria Maggiore, e fanno ad essi somministrare il vitto dalla taverna di un certo Rufinoni, presso la detta basilica, in uno stanzone appartato dietro la cucina, ove non entra alcuno. Dopo qualche giorno i detti arruolati o vengono spediti ai confini per Chiavone, o vengono rimandati a Civitavecchia, dove il console napoletano signor Galera tiene in pronto i posti nei vapori postali francesi, e mediante questi li manda a Napoli, se possono andare senza sospetto o più ordinariamente a Malta,
Cosi si è formata la banda Boriès e Langlois che ora va desolando la Basilicata. Del resto è continuo l’andirivieni dei legittimisti di tutte le specie. Lo scorso martedì uno di costoro, che si dice gran signore si portò al conte di Trapani e gl’insinuò d’indurre Francesco Il a fare due proclami, uno agli operai, uno alla nobiltà di Francia. Con questo detto il signore sperava far gran concorso nelle file reazionarie ed assicurava più volte che il terreno era stato ben preparato all’uopo.
(lbidem; 22 dicembre 1861, n° 7)

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