Per la prima volta nella sua storia l'America
ha visto la guerra entrare nelle sue metropoli, nelle sue strade e
nei suoi grattacieli, nei suoi centri istituzionali, e seminare
strage nella sua popolazione civile. E' un evento epocale, tanto
imprevisto nelle sue modalità quanto imprevedibile e
incommensurabile nelle sue conseguenze politiche e militari.
Mentre scriviamo non conosciamo con precisione neppure il numero
delle vittime, certamente pauroso. Non conosciamo da chi è partito
l'attacco, anche se viene genericamente ascritto al terrorismo arabo
che mai però ha dato prova di una simile capacità militare. Non
sappiamo spiegare la vulnerabilità mostrata dagli apparati di
sicurezza e dai sistemi di emergenza della più grande potenza
mondiale. Di sicuro le immagini che abbiamo visto, non al
cinematografo ma in presa diretta, resteranno nella nostra memoria
come un momento di storia che non tollera e non tollererà
interpretazioni superficiali.
L'opinione pubblica americana, sconvolta e incredula, chiederà
conto di questa tragedia e non sarà la solidarietà internazionale
e la nostra a confortarla. Il presidente Bush che vola sul suo aereo
speciale perché la sua capitale è insicura faticherà a capire
come sia possibile che il fantastico sia reale, che succeda a lui
quel che succede ad altri, e cercherà una risposta che può far
tremare il mondo. Grande è l'emozione di tutti per il presente,
altrettanto grande è l'ansia di tutti per il futuro.
Ho sentito un telespettatore mormorare, mentre guardava Manhattan
bruciare e crollare quelle torri e un grande viale carico di
macerie: sembra Beirut. Ma poteva dire molti altri nomi, perché non
è vero che abbiamo alle spalle cinquant'anni di pace e di
convivenza e di civiltà universale, è vero invece che le scene di
sofferenza e morte sono entrate nella quotidianità. E adesso
scopriamo che non ci sono né confini né isole.
Questo ci sbalordisce, ci lascia attoniti: che il mondo si rivela
oggi più globale di ieri nella sua instabilità e vulnerabilità.
Che cosa faremo, ci rallegreremo che la confusione non sia stata mai
così grande sotto il cielo? Invocheremo la Bibbia? Ci adatteremo a
vivere in uno stato d'emergenza permanente? E' un po' ridicolo dirlo
in quattro righe e in un momento come questo (o è invece il momento
giusto?) ma lo diciamo lo stesso: diciamo di no, conserviamo la
buona speranza.
il
manifesto 12 Settembre 2001 |