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Chiediamoci perché
LUIGI PINTOR


Per la prima volta nella sua storia l'America ha visto la guerra entrare nelle sue metropoli, nelle sue strade e nei suoi grattacieli, nei suoi centri istituzionali, e seminare strage nella sua popolazione civile. E' un evento epocale, tanto imprevisto nelle sue modalità quanto imprevedibile e incommensurabile nelle sue conseguenze politiche e militari.
Mentre scriviamo non conosciamo con precisione neppure il numero delle vittime, certamente pauroso. Non conosciamo da chi è partito l'attacco, anche se viene genericamente ascritto al terrorismo arabo che mai però ha dato prova di una simile capacità militare. Non sappiamo spiegare la vulnerabilità mostrata dagli apparati di sicurezza e dai sistemi di emergenza della più grande potenza mondiale. Di sicuro le immagini che abbiamo visto, non al cinematografo ma in presa diretta, resteranno nella nostra memoria come un momento di storia che non tollera e non tollererà interpretazioni superficiali.
L'opinione pubblica americana, sconvolta e incredula, chiederà conto di questa tragedia e non sarà la solidarietà internazionale e la nostra a confortarla. Il presidente Bush che vola sul suo aereo speciale perché la sua capitale è insicura faticherà a capire come sia possibile che il fantastico sia reale, che succeda a lui quel che succede ad altri, e cercherà una risposta che può far tremare il mondo. Grande è l'emozione di tutti per il presente, altrettanto grande è l'ansia di tutti per il futuro.
Ho sentito un telespettatore mormorare, mentre guardava Manhattan bruciare e crollare quelle torri e un grande viale carico di macerie: sembra Beirut. Ma poteva dire molti altri nomi, perché non è vero che abbiamo alle spalle cinquant'anni di pace e di convivenza e di civiltà universale, è vero invece che le scene di sofferenza e morte sono entrate nella quotidianità. E adesso scopriamo che non ci sono né confini né isole.
Questo ci sbalordisce, ci lascia attoniti: che il mondo si rivela oggi più globale di ieri nella sua instabilità e vulnerabilità. Che cosa faremo, ci rallegreremo che la confusione non sia stata mai così grande sotto il cielo? Invocheremo la Bibbia? Ci adatteremo a vivere in uno stato d'emergenza permanente? E' un po' ridicolo dirlo in quattro righe e in un momento come questo (o è invece il momento giusto?) ma lo diciamo lo stesso: diciamo di no, conserviamo la buona speranza.

il manifesto 12 Settembre 2001