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L’11
settembre l’umanità aveva fatto un balzo indietro. Il 7
ottobre ne ha fatto un altro. Non possiamo esimerci dalla condanna dell’attacco militare sferrato dagli Usa e dai suoi alleati contro l’Afghanistan perché ancora una volta si fa affidamento sulla forza delle armi piuttosto che sulla forza della ragione, sulla violenza dei missili piuttosto che sul diritto internazionale, sulla potenza di fuoco invece che sul dialogo e sulla capacità di estirpare alla radice le motivazioni che portano tanti ad aderire al terrorismo.
L’umanità avrebbe potuto meglio rialzarsi dall’orrore provocato a Washington e New York dimostrando di aver compreso che la sofferenza ha lo stesso colore a tutte le latitudini e che la lezione della storia mostra come la violenza non ha mai aiutato la ricerca della verità, il trionfo della giustizia e il godimento della pace piena. Per questo motivo abbiamo coscienza che gli attacchi missilistici ed aerei servano a prolungare il lutto della ragione inaugurato tragicamente con le stragi dell’11 settembre.
In questo momento ci pare che due strumenti rimangano nelle mani dei poveri: * La preghiera che da credenti nell’unico Dio vorremmo si alzasse forte e insistente da tutti i confini della terra. Al Dio della pace chiediamo di convertire il cuore dei violenti, di far tacere il fragore delle armi, di illuminare la mente dei governanti e dei leaders. La preghiera - autentica e profonda – fornisce una luce nuova per riconoscere le persone anche laddove altri vedranno solo i nemici, per continuare ad alimentare la speranza e per comprendere ancora che “è durante il diluvio che bisogna mettere da parte le sementi” come ci ricordava don Tonino Bello. *
Le Nazioni Unite nella cui autorevolezza continuiamo a porre la
nostra fiducia. E’ proprio in questa ora drammatica che ci
aspetteremmo uno scatto di dignità del “governo mondiale” per
decretare il superamento della guerra e l’avvento dell’era nuova
del diritto. Le civiltà si riconoscono soprattutto dalla capacità
che hanno di utilizzare della forza del diritto e non del preteso
diritto della forza. Intervenga con voce autorevole il Segretario
Generale dell’ONU a ricordare gli stessi fini per cui –
all’indomani di un’altra sconfitta dell’umanità – si scelse
di porre un patto tra i popoli perché mai più si dovesse ricorrere
alla guerra per risolvere le controversie. Resta comunque
l’urgenza di una riforma profonda di questo organismo in senso
democratico.
Alla luce di quanto sta avvenendo la marcia Perugia–Assisi prevista per domenica 14 ottobre assume significato e senso maggiore e diventa manifestazione di popolo, del popolo che crede che mai la guerra ha preparato la pace e che non si deve accettare di confrontarsi sullo stesso terreno del terrorismo. Il popolo della pace – numeroso e unito – sarà capace di porre un segno che i potenti della terra devono leggere come auspicio per il futuro. La nonviolenza ha un linguaggio universale perché parla all’impronta che il Creatore ha impresso in ogni donna e in ogni uomo.
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