Fame è il mio paese natio nella terra delle passioni. Fame
di comunione umana, fame di rettitudine: una comunione
costruita sulla rettitudine e una rettitudine realizzata in
comunione.
Soltanto la vita soddisfa le richieste della vita. E questa
fame si sazia solo nell’essere la vita foggiata in modo che
la mia individualità si realizza come ponte verso gli altri,
pietra nella casa celeste della rettitudine.
Non aver paura di se stessi bensì vivere fino
all’esaurimento la propria individualità, per intero ma per
il bene. Non seguire gli altri per comprarne la comunione, non
erigere a legge la convenzione invece di vivere la
rettitudine.
Farsi liberi e responsabili. Solo un essere vivente è stato
creato così e se egli tradisce il contributo che avrebbe
potuto essere suo mancherà in eterno. […]
È povera la vita? Non è piuttosto la tua mano a essere
troppo corta, le lenti dei tuoi occhi troppo opache? Sei tu
che devi crescere.
Non lasciar mai nascondere al successo il suo vuoto, al
contributo recato la sua nullità, alla vita di lavoro la sua
desolazione. Così serbi lo sprone a giungere più oltre,
quella pena dell’anima che ci spinge al di sopra di noi
stessi. Verso dove? Questo non lo so. Non chiedo di saperlo.
Oh tutta l’autodisciplina dell’anima, la bellezza
dell’anima l’elevato apprezzamento della vita che possiamo
permetterci noi che ce la passiamo bene e abbiamo ormai
raggiunto una certa prosperità! A buon mercato, certo non
molto meglio che vedere nel successo una ricompensa del merito
[...]
“Trattare gli altri sempre come fini e mai come mezzi”.
E me stesso come fine solo nella mia natura di mezzo: spostare
il confine fra soggetto e oggetto nella mia persona fino al
punto in cui il soggetto, anche se in me, è al di là e al di
sopra di me, e tutto intero il mio essere risulta così uno
strumento per quello che, in me, è più di quanto io sia.
È in questo momento che pago per quanto ho avuto. Il
passato va in archivio col debito riportato al presente. Né
sul futuro io ho alcun diritto.
Forse che la bellezza non si crea ogni qualvolta l’uomo è
posto a confronto con la vita e ripaga il proprio debito col
far convergere sul momento del vivere tutta la forza che la
vita gli ha dato come un dono obbligante? La bellezza per chi
salda il proprio debito. Ed anche per altri, forse.
Dag
Hammarskjold
Segretario
generale dell’ONU
Premio Nobel per la Pace 1962 |