La notte di Natale del 1996 il Mediterraneo, culla di civiltà e intreccio di culture, diviene luogo di morte. Negli anni successivi soltanto la pratica incontrastata dell’oblio, con i corpi a diventare cibo per pesci.

Ricordiamo la tragedia per dovere di giustizia. Il sentimento che si deve a quanti muoiono, disperati, nel cuore del tempo globale.

Il dossier del naufragio

4 fogli da archiviare
di ATTILIO BOLZONI  

 

PORTOPALO DI CAPO PASSERO - Una nave pirata che affonda e 283 disperati inghiottiti dal mare in tempesta sono finiti in una cartellina gialla sottile quasi come un foglio di giornale, impolverata appena un po', frettolosamente archiviata come una noiosa pratica amministrativa. E' tutto lì il dossier sulla più grande tragedia nel Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale, tutto in quei quattro sgualciti comunicati conservati negli archivi della Capitaneria di Porto di Siracusa.

 

Sulla cartellina gialla c'è una scritta a penna: Probabile naufragio tra Malta e la Sicilia in data 29 dicembre 1996. Non è esatta neppure la data dell'affondamento: il 29 dicembre invece del 26. E poi agli atti di un'inchiesta mai fatta, c'è poco altro ancora: un dispaccio inviato a tutte le Guardie costiere, una breve relazione del comandante di una motovedetta, un fax illeggibile. Fine della storia di 283 uomini e donne e bambini asiatici spariti per sempre a 25 miglia dall'Isola delle Correnti.


Siamo venuti fin qui a Portopalo di Capo Passero - proprio nel paese più a sud della Sicilia, ancora più giù di Tunisi e proprio di fronte a La Valletta - per capire cosa accadde in quei giorni e in quelle notti d'inverno di quattro anni fa. Per scoprire come fu dato l'allarme alla Guardia costiera, per verificare quanto durarono le ricerche, per scovare una traccia su come le autorità marittime[bb] si adoperarono nel salvataggio di quegli immigrati scaricati come animali da una nave all'altra e poi scomparsi tra le onde. Abbiamo trovato solo quella cartellina gialla alla Capitaneria di Porto di Siracusa. Negli archivi della Guardia Costiera di Portopalo non c'è neanche quella. Non c'è un solo allarme, una segnalazione, una semplice informativa. Non c'è niente.
La Guardia costiera è in un condominio color rosa. I marinai semplici - i nocchieri di porto - sono dieci, poi ci sono un paio di sottufficiali e poi ancora c'è il comandante, l'aiutante Pietro Candido. Era lui il capo anche in quel dicembre del 1996.


Racconta: "Di questa vicenda ne ho sempre sentito parlare... tutti i pescatori che dicevano in giro di raccogliere cadaveri in mare ma nessuno che è venuto mai qui a presentare una denuncia... io ho saputo di quel naufragio vero o presunto dalla gente del paese, ma nessuno dei pescatori è venuto qui a dirmelo... avrei aperto un'indagine, avrei informato i miei superiori.... E racconta ancora: "Noi non abbiamo mai fatto nessuna ricerca in mare, non ho potuto fare altro che ascoltare il tam tam di radio banchina...".


I nocchieri di porto della Guardia Costiera di Portopalo di Capo Passero rovistano tra carte e registri. Dopo un'ora un sottufficiale fa rapporto all'aiutante Pietro Candido: "Comandante, atti riferiti all'evento non ce n'è proprio qui nei nostri uffici...". Ma lei comandante, ricorda le prime voci e i primi sussurri sui cadaveri ributtati in mare in quei giorni dopo il Natale 1996? "Non ricordo nulla". Un marinaio porta un appunto e l'aiutante" Pietro Candido tira un sospiro di sollievo: "Ecco, non ricordo nulla perché ero in licenza... sono andato via il 28 dicembre del 1996 e sono tornato la mattina del 7 gennaio 1997".


Tutto il paese ha sempre parlato del grande naufragio tra Malta e la Sicilia ma la Guardia costiera di Portopalo non ha mai messo il naso nemmeno sulla spiaggia. "E per forza, come avrebbero potuto farlo, hanno solo una barchetta, non potevano spingersi al largo dove era stato segnalato l'inabissamento di quella nave", spiega il capitano di vascello Ignazio Marino, comandante della Capitaneria di Porto di Siracusa. Sulla scrivania ha il "dossier". E' la ricostruzione ufficiale di come andarono le cose nelle due settimane successive a quella notte.


Quattro comunicati, una decina di fogli. Il primo dispaccio è del 31 dicembre 1996, ore 22,30. Proveniente da Catania informava tutte le Capitanerie della Sicilia orientale che "circa 300 clandestini" erano finiti in mare durante uno sbarco. Il secondo documento nel "dossier" è di due settimane dopo. E' datato 13 gennaio 1997. Anche questo proviene da Catania e informa le Capitanerie che "le ricerche sono ancora in corso". Il 14 gennaio una relazione riferisce che il comandante della motovedetta "Cp 407" perlustra "con esito negativo" il Canale di Sicilia, poi fa rientro nel porto di Pozzallo. Il quarto e ultimo dispaccio è del 15 gennaio 1997. E' un fax ormai bianco, un solo foglio. Commenta il comandante Marino: "Io non c'ero quattro anni fa, ma queste carte dicono che le ricerche sono andate avanti per almeno 15 giorni...".


Come? "Bisogna chiederlo a Catania, bisogna chiederlo alla centrale operativa delle Capitanerie di Porto che è a Roma...". Bisogna chiederlo più di quattro anni dopo. E intanto qui, alla fine dell'Italia, "radio banchina" continua a raccontare le sue macabre storie di mare.

 

(da Repubblica del 6 giugno 2001)

 

 

"Quella notte ho

visto i miei amici morire"
di FRANCESCO VIVIANO  

 

PALERMO - Piange, piange come allora, piange perché non ha mai dimenticato e non dimenticherà mai quelle grida di aiuto e di disperazione dei suoi amici che pian piano affondavano e morivano mentre lui era riuscito miracolosamente ad aggrapparsi ad una cima che qualcuno aveva lanciato dalla coperta della nave Johan. La nave che qualche ora prima li aveva trasbordati sulla barca della morte, la Friendship, affondata poco dopo con centinaia di persone.


Balachandran Vegnpawaran, "Tamil" dello Sri Lanka, allora, quel maledetto 24 dicembre del 1996, aveva 20 anni. Oggi ne ha 25 e vive a Londra dove si è trasferito dopo quella lunga odissea alla quale è sopravvissuto. Un suo amico che vive a Palermo ieri lo ha chiamato al telefono per dirgli che un giornale italiano, "Repubblica", aveva scoperto dov'era la nave affondata con il suo carico di morte.


Balachandran scoppia in lacrime e poi, dopo qualche attimo, trova la forza di raccontare quello che accadde quella notte.


"Adesso ci credono, grazie a voi, adesso devono credere che quello che avevo visto io e gli altri sopravvissuti era tutto vero. Adesso ci credono che quella nave e quegli uomini, i morti e quelli che riuscirono a sopravvivere non eravamo dei fantasmi?"


Ce la fai a ricordare quei tragici momenti?
"E come potrei dimenticare. Non dimenticherò mai quello che è accaduto. Non lo dimenticherò mai, non dimenticherò quelle facce e quelle braccia di chi era vicino a me e che come me tentavano di stare a galla e di essere ripescati".


Com'è cominciata quella tragica vicenda?
"Io, come tanti altri Tamil, avevamo lasciato lo Sri Lanka dopo anni di attesa, dopo anni di sacrifici per raccogliere la somma necessaria per trovare un "passaggio" per l'Europa. Dieci o quindici giorni prima di Natale io e gli altri eravamo riusciti a trovare un posto su un aereo che, dopo tante soste, ci aveva fatto sbarcare in Egitto, al Cairo. Appena giunti lì e dopo avere pagato la somma pattuita, oltre settemila dollari, ci portarono su una nave che era ormeggiata in un porto che si chiamava Ceylon".


E dopo?

"La nave, dove c'erano già altre persone, ha salpato ed abbiamo navigato per molte ore. Poi, quando la terra ormai non si vedeva da molto tempo, abbiamo incrociato un'altra nave e ci siamo trasferiti. Era la Johan con centinaia di persone a bordo di diverse nazionalità. Anche a bordo di quella nave abbiamo navigato per moltissime ore. Il mare non era tranquillo ma la Johan navigava bene. Poi un'altra sosta in mezzo al mare finchè incrociammo la Friendship. Era una nave più piccola della Johan e ci diedero l'ordine di salire a bordo. Quella nave si riempì subito era troppo carica e dopo qualche miglio, non so per quale motivo, cominciò ad imbarcare acqua. Furono momenti drammatici, la Friendship tentò di tornare indietro verso la Johan. A bordo c'era confusione, panico, paura e, improvvisamente, non so per quale ragione, non so se fummo speronati dalla Johan, la Friendship cominciò ad affondare".


Cosa accadde in quel momento?

"Molti si buttarono subito in acqua, gli altri poco prima che la nave affondasse. Fu un inferno, molti non sapevano nuotare ed in pochi attimi scomparivano in acqua. Gridavano aiuto, anch'io gridavo e cercavo qualcosa su cui aggrapparmi. Non so come, non ricordo come accadde, ma mi trovai tra le mani una corda, mi ci aggrappai e fui tirato su sulla Johan, mentre gli altri erano inghiottiti dalle onde. Non dimenticherò mai quel che accadde".


E quando la nave arrivò in Grecia?

"Quando sbarcammo fummo portati negli uffici della polizia, dove rimanemmo per alcuni giorni. Raccontammo quel che era accaduto, lo raccontammo anche ai nostri parenti che da anni vivevano in Francia, in Inghilterra ed in Italia. Ma ci presero per pazzi, dicevano che quello che avevamo vissuto, quello che avevamo visto con i nostri occhi, era pura fantasia. Ora ci sono le fotografie del vostro giornale, non eravamo pazzi, nessuno si era sognato quei corpi che finivano in fondo al mare, quella era la tragica realtà. Adesso non mi resta che sperare che i genitori ed i parenti di quei morti in fondo al mare abbiano almeno la possibilità di pregare su una tomba".

 

(da Repubblica del 17 giugno 2001)