Luoghi

Il quartiere ebraico di Palermo

 

 

Nella città cosmopolita, dove fino al XV secolo convivevano diverse etnie, prevalentemente composte da

musulmani e cristiani, ogni quartiere rispondeva ad una precisa funzione politica e sociale. La comunità

ebraica, presente in Sicilia già dall' epoca romana, fu una  delle comunità più consistenti, che visse in mezzo

ai cristiani, sia pure con l'obbligo di contraddistinguersi.

 

Essi rimasero fino al 1492, quando R e Ferdinando "il cattolico" li scacciò da tutti i territori sottoposti al

dominio spagnolo. Della loro esistenza si ha notizia sin da quando, nel 590, il papa Gregorio Magno ordinò

alle autorità ecclesiastiche di restituire i beni tolti agli ebrei durante il lungo periodo di persecuzione.

 

Nei periodi arabo, normanno e svevo, essi conobbero una relativa prosperità e il loro numero aumentò. Si

presume che nel 1492 gli ebrei in Sicilia fossero circa 30.000, quasi il 5% della popolazione totale, allora

composta da circa 600.000 abitanti.

 

Nel 1172 Palermo, stando alle informazioni del viaggiatore ebreo Beniamino da Tudela, nel suo libro

"Viaggi di Beniamino da Tudela", edito nel 1543, contava già ottomila semiti residenti, molti dei quali, ricchi e

influenti, erano occupati nell' industria della seta ed in quella della pesca e possedevano interi edifici.

 

 

 

 

 

Erano inoltre attivi come prestatori di denaro e

 particolarmente famosi come medici, sebbene in alcuni periodi

 fosse stata loro vietato di esercitare questa professione nei

 confronti dei cristiani.

 

 Un secolo prima della loro rovinosa cacciata, la comunità

 semita di Palermo è considerata da Martino V la fondamentale

 dell'isola, ove pongono la sede della Corte Suprema; oltre ad

 avere propri magistrati, posseggono scuole e ospedali.

 

 Gli ebrei palermitani portavano come segno di distinzione

 una "rotella rossa", di piccole dimensioni, che attaccavano ai

 loro indumenti.

 

 I tempi bui cominciarono alla fine del 1200 e peggiorarono nel

 periodo aragonese, terminando con la loro cacciata da parte di

 Ferdinando, spagnolo. Questi, con il suo editto del 18 Giugno

 1492, spazzò via dalla vita siciliana una componente

 fondamentale, basata sulla forza economica, e ne cancellò le

 tradizioni e la storia. E' probabile che dietro l'intolleranza

 religiosa di Ferdinando vi fosse il desiderio di confiscare i beni

 degli ebrei siciliani.

 

 

 

 

 

 

Il luogo fisico in cui essi abitarono già dal X secolo fu il 

 quartiere arabo della moschea di Ibn Siglab suddiviso in due

 rioni: Harat-abu-Himaz (Meschita) e Horat-al-Jahudin

 (Guzzetta), costituiti da edifici lungo il corso del torrente 

 Kemonia, con al centro la moschea.

 

 Essi abitarono al di fuori del perimetro cittadino costituito

 dall'antica Paleopoli e Neapoli (Cassero). Le loro residenze

 erano confinate e cinte da mura dal quartiere degli 

 schiavoni, a nord del Cassero, e a sud dalla fortificata Kalsa.

 Il quartiere possedeva uno sviluppo a fuso allungato che 

 seguiva l'ampia curva prodotta dal torrente Kemonia che vi 

 scorreva.

 

 Si accedeva al quartiere degli ebrei attraverso la porta di 

 Ferro, o porta Judaica, comunicante con il Cassero.

 

 La giudecca palermitana del XV secolo era composta da

 abitazioni che avevano due caratteristiche particolari: lo 

 sviluppo in altezza, per aggiunte successive, e la "gheniza",

 in pratica un'incavatura nella porta d'ingresso, all'altezza

 dello stipite, in cui si conservava un piccolo rotolo con un 

passo della Bibbia.

 Oltre a botteghe, giardini, una sinagoga con due cortili, bagni di purificazione per le donne, un ospedale un

 macello e, immediatamente fuori dal centro urbano, il cimitero (fuori porta di Termini, l'odierna zona dove

 inizia il corso dei Mille.

 

 La Sinagoga, il punto mediano della loro cultura religiosa, ricadeva nell' aria dell' attuale  complesso del

 convento di San Nicolò da Tolentino, oggi in gran parte adibito ad archivio comunale.

 

 I due rioni, Meschita e Guzzetta, erano uniti da una pubblica via, l'attuale via Ruggero Mastrangelo, che 

 conduceva al macello sito in contrada Guzzetta nei pressi dell' attuale piazza S.Cecilia.

 

 Leggere oggi la giudecca ebraica non è cosa facile  poiché spiccano  nel tessuto minuto i grandi interventi di

 subentro che avvennero dopo il XV secolo: laddove c'erano giardini e orti s'innalzarono dei fabbricati

 alquanto mediocri, creando una fitta maglia di vicoli, ancor oggi esistenti ed inalterati rispetto all' epoca della
 loro costruzione. Solo alcuni oratori settecenteschi affiorano da questo tessuto urbano.

 

 La contrada della Meschita presentava un impianto allungato a fuso, ed era delimitata dalle vie

 Giardinaccio e SS.40 Mastri a sud, via Calderai, piazza Ponticello a nord, dalla via S. Cristoro ad est.

 

 La contrada della Guzzetta, che si salda alla superiore della Meschita in prossimità della piazza San'Anna,

 è delimitata dalla via Ruggero Mastrangelo a nord-ovest, dalle vie Lattarini e Calascibetta a nord, e dal vicolo

 dei Corrieri ad est.

 

 A sud della Meschita era l'antico percorso del torrente Kemonia, oggi via Giardinaccio, dal punto di vista

 urbanistico di scarso valore. Esistevano solo dei giardini tra cui quello di Scipione Sottile e di Pietro A.

 

 

 Imperatore che erano utilizzati per le colture. Dopo la

 deviazione del corso del Kemonia, la zona fu resa per uso

 comunale e, al centro di questo abitato, la via

 Giardinaccio risultò l'asse viario fondamentale.

 

 La via Lampionelli, perpendicolare alla prima, congiunge

 via Divisi con via Calderai. Deve il suo nome alla presenza

 d'artigiani stagnai  che costruivano delle piccole lanterne,

 volgarmente detti lampionelli. ampiamente utilizzati dai

 cittadini prima che il Senato di Palermo installasse gli

 impianti di illuminazione notturna.

 

 Orti e giardini si spingevano fino alla zona detta dagli

 arabi "daysin", oggi via Divisi, ed era anche sede di piccoli

 stabilimenti e commercio particolareggiato. Il suo

 incremento urbanistico si ebbero intorno al XV secolo,

 quando questa divenne l'arteria che collegava il mercato di

 Ballarò con quello della Fieravecchia, odierna piazza della 

 Rivoluzione.

 

 Adiacente alla via Divisi e confinante con la Sinagoga vi

 era l'ospedale ebraico che determinò la denominazione

 alla zona, detta dell' ospedaletto . L'edificio, risultava essere

 presente fino all'800 ed era adibito a conservatorio per

 fanciulle.

 

Tutto il quartiere ebraico, nei secoli, fu scompigliato: nel 1600 la realizzazione della via Maqueda mutò

l'aspetto civico della parte occidentale, a levante un altro taglio, praticato per la realizzazione della via Roma,

nel 1922, distrusse la continuità interrompendo diverse strade che da monte portavano verso valle, strade in

cui operavano antichi artigiani ancora presenti nei vicoli del vecchio ghetto ebraico. Il taglio della via Roma

fu, tra l'altro, realizzato a circa 200 metri dal luogo in cui si presume sia esistita la sinagoga, determinandone

probabilmente, nel tempo, la distruzione.

 

Di recente il Comune di Palermo, in collaborazione con la "Charta delle Judeche", cioè la Federazione tra i

comuni che ospitano comunità ebraiche, il cui presidente è Titta Lo Jacono, ha istallato delle targhe stradali

di colore bruno e bianco in cui si legge in tre lingue (italiano, arabo ed ebraico) il nome della strada. Tali

targhe sono state apposte agli angoli delle vie che delimitavano il perimetro di quello che poteva essere il

ghetto nella nostra città, con i relativi annessi sino al 1492.

 

In questo modo si ha la possibilità di seguire l'itinerario ebraico sopra descritto, seguendo il quale si

recepisce il forte sentimento di tolleranza e di civile convivenza delle tre religioni presenti a Palermo.

 


Bibliografia: il testo integrale della monografia, corredato da foto e cartine planimetriche, è consultabile

presso l'Archivio Storico Comunale di Palermo alla seguente segnatura:

I - B -60, Aut. Carlo Di Franco - La Giudecca di Palermo - Palermo 1995

 

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