Mariano: la grande proprietà medievale
 
 
La scarsa conoscenza che abbiamo della storia degli antichi abitati di Dalmine si scontra con l’abbondanza di antichi documenti mai presi in considerazione per uno studio coordinato di questi territori. L’unico studio che riguarda le antiche carte medievali è la tesi di laurea di Cesare Zambelli, Il territorio di Dalmine nei più antichi documenti, che risale al 1979 e si limita ad alcune pergamene tra il X e il XIII secolo. La ricerca che sto conducendo, insieme con l’arch. Agostino Negri, prende spunto dallo studio della torre chiamata, erroneamente, Camozzi (realizzata dai Suardi nel XIII sec.) per estendersi ai territori che oggi compongono Dalmine. Lo scopo è quello di comprendere come nel periodo medievale Dalmine sia stato terreno di conquista da parte di nobili famiglie cittadine o da parte di enti religiosi.
 
Per capire questo partiamo da una considerazione che un Capitano veneto scriveva nel 1596. Giovanni da Lezze calcolava che il 90% circa dei terreni fosse di proprietà di cittadini di Bergamo (per questo si parlava di perticato civile), mentre il perticato rurale, vale a dire terre di proprietà di residenti nelle campagne dei tre antichi comuni (Mariano, Sabbio e Sforzatica) consisteva in circa il 10%. Il rapporto città–campagna era tutto a favore della prima. In questa situazione era comprensibile la definizione degli abitanti che dava il capitano da Lezze: Questa gente è tutta povera lavoradori et brazenti, né mercantie perchè le terre sono de nobili bergamaschi….
La famiglia che un po’ alla volta si impadronì di Mariano fu quella dei Brembati, di cui alcuni personaggi furono nel ‘500 dipinti dal Lotto e dal Moroni. Negli anni venti e trenta del XV sec. i Brembati erano ai vertici della mercatura bergamasca. Nel 1432 Davide Brembati vendeva 400 centenari di guado tritato per 100 lire. Egli stesso era proprietario di terreni nella zona tipica di questa coltivazione come Treviolo, Lallio, Curno, nonchè a Mariano. Lo spoglio di una serie di atti notarili (archivio Secco Suardo) documenta come avvenne che questi signori di Bergamo divennero i maggiori proprietari. Fachino di Mariano (1347) e Lanfranco q. Landulfo de Mariano (1350) vendettero le loro pezze di terra a Leonardo de Brembate, così come Corradino e Pietro q. Giorgio di Bonate (1345). Nel 1366 fu la volta di Zambello e Giacomo q. Rubino de Tertio che vendettero a Leone Brembati. Sono decine i contratti di questo tipo attestati per il ‘300 e per i secoli successivi, come capitò a Bernardino (1506) e Maffeo q. Fioravante di Mariano (1509).
Una situazione esemplare del tipo di rapporto tra signori e contadini è quella di Rainerio q. Gualterio e suo figlio Bergamino, che ancora nel 1346 vivevano secondo la legge longobarda. Vendettero alcune loro terre poste in Mariano a Leonardo Brembati e subito dopo le presero in affitto. Capitò la stessa cosa a Gidino di Terzo  che nello stesso giorno (15 nov. 1362) vendette a Leonino Brembate alcune pezze di terra e case poste in Mariano e Sabbio e subito dopo le prese in affitto. Sono situazioni che ricordano certi film western, dove il latifondista costringeva il piccolo proprietario a vendergli le sue proprietà, facendolo diventare poi un suo lavorante.
 
Le cause che obbligavano i contadini a vendere le loro proprietà erano molteplici, tra cui la mancata restituzione di piccoli prestiti a causa del cattivo raccolto o le angherie dei signori. L’acqua per l’irrigazione (Coda di Serio) era stata portata in queste zone partendo dal fosso di Bergamo per iniziativa dei grandi proprietari terrieri, attraversando i paesi di Curno, Albegno, Sforzatica e Dalmine dove i Suardi la facevano da padroni. La possibilità di irrigare i campi aumentava il valore del terreno prativo di Mariano, fino a raggiungere le 47 lire alla pertica, rispetto alle 24 e 27 lire in media che si ottenevano nei due comuni di Osio. Di fronte agli interessi comuni, non c’era contrapposizione politica che impedisse di trovare accordi. Mentre i Suardi erano i capi dei ghibellini, i Brembati erano schierati con i guelfi.
Le descrizioni dei comuni effettuate nel 1393 e nel 1456 (inedito all’archivio di Stato di Milano) ci danno l’esatta dimensione di quanto fosse aumentata la presenza dei Brembati in Mariano. Nel 1393 solo una delle pietre di confine di Mariano, “ad Viam de Levate”, confinava con proprietà dei Brembati. Nel 1456 su otto pietre di confine posizionate, in sette casi confinano con proprietà dei Brembati.
 
Un’ultima considerazione riguarda il pagamento delle tasse. Secondo il sistema veneto, i proprietari di beni immobili pagavano non al comune dove i beni erano posti, ma a quello di loro residenza, cioè a Bergamo. Così i comuni rurali contribuivano due volte a rendere ricchi i proprietari cittadini e la città.
L’attribuzione delle proprietà era poi causa di liti tra gli stessi grandi proprietari. Verso la fine del ‘500 il comune di Mariano era in causa con i Canonici Lateranensi di S. Spirito di Bergamo, proprietari in Dalmine, ma anche in Mariano e Sforzatica. Proprio per documentare le proprietà fu prodotta una mappa che riportava la posizione dei nuclei abitati di Sforzatica, Dalmine e Mariano, con evidenziata anche la cascina Cimaripa, la roggia Brembilla, detta allora Marzola, e il fiume Brembo. Gran parte del terreno tra il centro abitato di Mariano e la cascina, sia nord che a sud della strada oggi chiamata Via cave, era coltivato a vite, interrotta ritmicamente da piante di gelso: una forma di coltivazione che veniva descritta come terra “aratoria vidata et moronata”. A Mariano il 30% del territorio era coperto da vigneti frammisti all’aratorio, detto perciò aratorio vidato. Lo scopo di tale carta non consisteva nella precisione della descrizione degli abitati, ma quello di mostrare una sommaria rappresentazione del territorio. Dagli atti notarili emergono alcuni toponimi che ancora oggi troviamo, come “agli orti”, oggi chiamato Via Orti.
 
Claudio Pesenti
da: Mariano al Brembo, Notiziario della parrocchia di S. Lorenzo, Novembre 2008  
Cascina Cimaripa e
la roggia Brembilla
La chiesa di Mariano