1° quaderno del comune
 
 
DALMINE,
IL MODELLO INAFFERRABILE
Il titolo del libro sulla storia di Dalmine, edito a cura dell’Amministrazione comunale, “il modello inafferrabile” è alquanto affascinante, ma abbastanza inquietante. Nel testo, a parte un accenno nell’introduzione, mancano elementi sufficienti per giustificare tale intitolazione. Dire di una persona che ha una personalità di questo tipo o essere considerato sfuggente, non è certamente un complimento! E per una città? Davvero Dalmine risulta così incomprensibile?
QUALE DALMINE?
È giusto porsi la domanda che si poneva don Giovanni Sibella, parroco di S. Michele in Sabbio, in una lettera del 7 ottobre 1909: ma la parola Dalmine (cosa) porta con sé e abbraccia”? Di che Dalmine parla questo libro? Non si parla del territorio che raggruppa i tre antichi comuni, ma solo di quella parte del “paese (che) è stato creato dallo stabilimento…” [1] .
Non c’è spazio nel libro per sapere qual era la situazione di questo territorio prima dell’arrivo della Mannesmann nel 1907, ma neanche nel periodo precedente l’unificazione. Ecco perché di Sforzatica non c’è alcun accenno, di Sabbio si parla solo come ente comunale. Si fa eccezione per Mariano, prendendolo a esempio di arretratezza del restante territorio di Dalmine. La descrizione, ad opera di un Commissario incaricato per la gestione provvisoria del Comune, viene utilizzata nel testo come controcanto a “tutto ciò che … è opera generosa dello stabilimento e particolarmente è opera magnifica e generosa del Direttore e Podestà Commedator Prearo” [2]. Si dimentica che il centro cittadino non fu opera del nuovo comune di Dalmine e dell’amministrazione Prearo, ma era il prodotto dell’iniziativa, del progetto e del finanziamento dell’azienda, che aveva dato apposito incarico all’architetto Greppi. Nessun dubbio viene sollevato sulla relazione del Regio Commissario, ritenendolo super partes per il semplice fatto di essere un dipendente statale, esterno al territorio. Per capire quanto non fosse al di sopra delle parti, basta leggere un passo della sua relazione in cui scriveva la parola duce tutta in maiuscolo, esaltava le virtù del governo e gettava anatemi sul socialismo. Dichiarazioni che da sole basterebbero per capire che non era un funzionario neutrale: la sua relazione andava vista perlomeno con qualche cautela. I problemi evidenziati per Mariano relativi a scuole, farmacia, situazioni igienico-sanitarie non furono certo affrontate e risolte da Prearo e dall’unificazione dei comuni.
Sono molti gli argomenti che restano indefiniti, avendo preferito dar spazio a quella parte di Dalmine ampiamente al centro della storiografia nazionale, perciò meno attenta alle dinamiche territoriali. Ha ragione Calvino quando consiglia: “Mai confondere la città col discorso che la descrive” [3] o, a proposito di una delle città immaginarie visitate da Marco Polo: “Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano…” [4] Il piano editoriale dell’Amministrazione comunale avrebbe dovuto permettere agli autori una miglior messa a fuoco del tema, diversificando il loro studio da altre ricerche, dando più spazio agli argomenti di carattere locale.
DA TRE COMUNI A UNO SOLO
Per gli autori il passaggio dai tre antichi comuni a quello nuovo di Dalmine avvenne per l’azione magnetica della località che ospitava lo stabilimento e per la “faticosa ricerca da parte dell’azienda siderurgica di un rapporto equilibrato con l’area di insediamento, … fino a che il “dentro” e il “fuori” finiranno sostanzialmente con il coincidere” [5]. In altro passaggio invece l’unificazione dei tre comuni “si configura ... come l’esito quasi inevitabile di un percorso … attraverso un radicamento degli stabilimenti Dalmine faticoso e talvolta turbolento” [6]. A commento va invece ricordato che “Il ruolo di subordinazione del territorio all’impresa” [7] è ormai un dato storico acquisito.
Sabbio [8], con la presenza di gran parte della fabbrica nel suo territorio, non era diventata più importante degli altri due comuni di Mariano e Sforzatica. A catalizzare l’accorpamento fu un quarto fattore, impersonato da un uomo, Ciro Prearo, rappresentante dell’azienda ed iscritto al partito fascista dal 1923. Nominato podestà dei tre comuni il 14 maggio del 1926, a Prearo “bastarono pochi mesi - delibera [9] del 4 gennaio 1927 - per deliberarne la fusione vincendo d’imperio ogni comprensibile reticenza” [10]. Non si capisce perché, gli autori abbiano dimenticato o trascurato di riportarne il testo. Da questa disposizione si sarebbe meglio potuto capire che la distinzione tra impresa e regime, da quel momento in poi, diventasse difficile da cogliere in Dalmine.
Allora la conclusione che si può trarre è diametralmente opposta a quella del libro: “Il raggiungimento da parte di Dalmine di una propria identità amministrativa, coincide in modo anche più significativo con la perdita della propria identità storico – culturale e della propria autonomia politica …” [11].
CONCLUSIONE
La privatizzazione dell’azienda nel 1996 e la nuova denominazione di Tenaris assunta nel 2002 ci pongono di fronte a un’azienda i cui confini e orizzonti sono, ancora più che nel passato, internazionali e multilocali. Dalla mostra “A ferro e fuoco” si ricavava l’immagine di un’azienda al passo coi tempi, che ha percorso il Novecento permettendo la realizzazione di “reti”: di acquedotti, di illuminazione pubblica, di trasporti ferroviari o di energia, come per il gas  e il petrolio.
Dalmine invece fatica ad elaborare il suo “lutto” di pensarsi come distinta dall’azienda, con una storia antica ancora tutta da scrivere, che è la storia di tre (cinque se si risale al XIV sec.) antichi comuni e quattro parrocchie, nel tempo divenute sette: un cammino inverso a quello di semplificazione avvenuto sul piano civile. Dalmine risulta “inafferrabile” se la si guarda isolata da quanto la precede, se non si tiene conto dell’artificiosità di un comune nato su convenienze e dinamiche per gran parte esterne al territorio, se non si tiene conto che per tanto tempo è stata una “comunità mancata” [12] .
Il tema dell’identità non ha solo rilevanza storica. Il Vescovo Mons. Amadei, intervenuto il 25 gennaio 2007 a S. Maria d’Oleno per celebrare i cento anni della presenza come parroco di don Angelo Roncalli, così parlava di Dalmine: “Questo territorio sta cercando la propria identità in questa realtà nuova. È una città prima legata allo stabilimento e ora sta diventando qualche cosa d’altro. Sta definendo la propria identità, la propria fisionomia …”[13]. Al termine della sua visita pastorale nel giugno 2003, tenne un discorso ai consigli pastorali sul tema “La Chiesa che è in Dalmine”, in cui così affermava: “Voi venite da un passato con tradizioni diverse; erano tre comuni e c’erano tradizioni diverse anche per le Parrocchie. Però il territorio ormai sta unificandosi, con fatica o altro, pertanto anche noi dobbiamo partecipare a questo processo di unificazione” [14].
Dalmine ha una lunga storia “plurale” e solo 80 anni di unione. Anche sul piano urbanistico sono ancora ben definiti gli antichi centri. Sono dati che non vanno dimenticati.
Claudio Pesenti
 
Note
  1. [1] Scudeletti, Giorgio, Leopardi, Bianca, Dalmine il modello inafferrabile. Territorio e impresa dalla costruzione dell’industria siderurgica all’istituzione del comune unico, 1907-1927,  pag. 91.
  2. [2] Scudeletti, Op. cit., pag. 91. Le affermazioni furono scritte nel 1936 dal presidente della Corte d’Assise di Brescia.
  3. [3] Calvino, Italo, Le città invisibili, Oscar Mondadori, 2000, pag. 61.
  4. [4] Calvino, Op. cit., pag. 10.
  5. [5] Scudeletti, Op. cit. pag. 69.
  6. [6] Scudeletti, Op. cit. pag. 92.
  7. [7] Della Valentina, Gianluigi, Dalmine: un profilo storico, in Amatori, Franco, Licini, Stefania (A cura di -), Dalmine 1906-2006. Un secolo di industria, Fondazione Dalmine, 2007, pp. 41- 42.
  8. [8] Sulle difficoltà finanziarie del Comune era consapevole anche l’azienda che per questo non intraprese azioni legali sulle inadempienze in campo scolastico. È un indizio per capire che i comuni con l’azienda non si arricchirono.
  9. [9] Giazzi, Gianantonio, Negri, Agostino, Spinedi, Alberto, Urbanizzazione e industrializzazione nell’area bergamasca. Il caso Dalmine: nascita e sviluppo della fabbrica totale, 2 Voll., Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Facoltà di architettura, A.A. 1978-1979. Vol. I, pag. 119-123.
  10. [10] Orlandi, Giacomo, Aspetti e problemi economico-sociali di Dalmine (1900-1927), Tesi di laurea, Università degli studi di Milano, Facoltà di lettere e filosofia, A.A. 1972-73, pag. 298: frase ripresa dalla relazione del Piano regolatore del Comune di Dalmine del 1954.
  11. [11] Giazzi, Negri, Spinedi, Op. cit., Vol. I, pag. 2.
  12. [12] Ottieri, Ottiero, La linea gotica, Taccuino 1948-1958, Edizioni Guanda, pagg. 93-96. Visitò la fabbrica nel 1952.
  13. [13] Amadei, Roberto, Giovanni XXIII costruttore di pace, Comunità S. Maria, aprile 2007, pp. 6-7.
  14. [14] Sforzatica S. Andrea, Ricchezza di storia… di volti. Consacrazione della Chiesa 1754-2004, 2004, pag. 215.