SULCIS

GUIDA ARCHEOLOGICA

Mario Frau

Renato Monticolo

 

Sant’Antioco

 

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Su nidu 'e su Crobu

Tomba di giganti costruita a filari murari. Su'architrave dell'ingresso era collocata in origine la cornice a dentelli trovata frammentaria nelle adiacenze della tomba. Questo elemento architettonico aveva la funzione simbolica di riprodurre gli elementi divini

I primi segni dell’antica frequentazione umana che si presentano alla vista dell’uomo moderno sono i due menhirs in roccia trachitica (il più alto di m. 3,12, il più piccolo di m. 2,05) che si incontrano percorrendo la statale 126, all’altezza dello stagno di Santa Caterina.

La fantasia popolare ha attribuito alla loro forma e vicinanza significati immaginari, poiché la silhouette conica richiama un qualche somiglianza con figure monacali, è sorta la leggenda del peccato sessuale tra un prete ed una monaca, con la seguente punizione divina della pietrificazione. Da qui l’appellativo moderno che gli contraddistingue, di “Su para  e Sa Mongia” (il prete e la suora).

Al di là contenuto leggendario, però, qualcosa di vero e contenuto nel riferimento sessuale. In realtà, queste due pietre verticali erette dagli uomini preistorici sono simboli fallici piantati ritualmente nel seno della terra per fecondarla nella loro diversità di forma, i due menhirs sembrano mostrare la volontà di distinguere le due diverse entità sessuali: il principio maschile è quello femminile. Quindi rappresentano il concetto di coppia.

Tutto ciò denota, pur nella sua semplicità un’evoluta capacità astrattiva della religione prenuragica, legata, nella sua ideologia di base, alle necessità della sopravvivenza. L’esistenza era legata al nutrimento, all’alimentazione, e questa alla buona annata dei raccolti, alla disponibilità di selvaggina e alla buona salute vitalità degli animali domestici, insomma alla fertilità del mondo vegetale e animale.

Per questo si credeva necessario impetrare la divinità sollecitandola con cerimonie e magia di fecondazione simbolica della terra, cerimonie che dobbiamo immaginare svolte intorno ai menhirs.

Oltre queste testimonianze, la striscia di terra che costituisce l’istmo non offre altre tracce delle antiche popolazioni prenuragiche, se non minuscole schegge di ossidiana, ciò che resta dei rifiuti della lavorazione degli strumenti o il risultato della consunzione determinata dall’uso.

Possiamo, però, immaginare le rive dello stagno orlate di capanne, forse palafitticole, con strutture di canne e frasche, intonacate o no con argilla, poggianti su un basso zoccolo di piccole pietre, come documentato dai ritrovamenti in altre zone della Sardegna.

 

Santa Caterina

Menhirs detti "Su Para e Sa Mongia", visibili sulla sinistra della strada statale per Sant'Antioco all'altezza del km. 4. Si tratta si simboli aniconici connessi con la relgione della fertilità delle popolazioni prenuragiche.

Più durature delle abitazioni dei vivi, due domus de janas si aprono sul pendio orientale della collina di Is Pruinis a circa 1 km. A sud dell’abitato moderno, non lontano dalla strada per Maladroxia.

Si tratta di due tombe scavate nella roccia trachitica, costituite da un corridoio di accesso per buona parte a celo aperto, da un’anticella e dalla camera funeraria. Le nicchie, separate da pilastri risparmiati, contenevano i cadaveri in posizione rannicchiate, mentre sul pavimento erano posti i corredi funebri: vasi di terracotta, arnesi e armi di pietra, probabilmente la statuina della dea madre, tutrice dei defunti.

Le due tombe si presentano oggi spoglie, come la maggior parte di quelle conosciute. Le violazioni subite, da parte di scavatori clandestini o il riutilizzo pure in tempi antichi, ci consentono oggi di ammirare soltanto ciò che il tempo ha risparmiato della loro architettura.

Dalle altre culture che hanno preceduto lo sviluppo della civiltà nuragica, Sant’Antioco non ci ha dato resti, forse però più per difetto di ricerca che per assenza reale.

Numerosi invece i resti monumentali riferibili al periodo nuragico.

Dalla pianura possiamo avvistare facilmente, sulla sommità di colline talvolta dai fianchi scoscesi, nuraghi isolati oppure con villaggio intorno, fitto di capanne, ma ridotto ormai a cumuli di pietra in cui solo a malapena si riescono a individuare le antiche strutture. Se è facile, però, individuare nelle strade asfaltate e di campagna che frammentano l’isola, i vari nuraghi, tuttavia raggiungerli può non essere facile. Affrontare di petto i pendii scoscesi, fitti di arbusti e cespugli, è lungo è faticoso.

Occorre conoscere sentieri più accessibili e meno disagevoli, probabilmente gli stessi percorsi dagli antichi nuragici, che in tempi brevi riuscivano a percorre le creste di più colline anche più volte al giorno e con relativa fatica.

Per visitarne qualcuno occorre quindi valersi di guide locali.

L’impegno di una passeggiata da una collina all’altra, nella parte più interna dell’isola è, in diversi casi, ripagata dalla visita a qualche nuraghe interessante, nonostante la boscaglia che ne    nasconde in parte le strutture e l’abbandono millenario alle intemperie e alle manomissioni degli uomini.

Facilmente raggiungibile è il nuraghe S’Ega Marteddu, che domina la spiaggia e le case di Maladroxia. Questo complesso, articolato in più torri minori addossate ad una torre centrale si sviluppa su una collina calcarea da cui furono ricavati i blocchi delle sue strutture. L’ingresso originario è ostruito da crollo e materiale di riporto, tuttavia attraverso una stretta apertura è possibile penetrare all’interno e osservare la volta intatta di una camera. Nonostante le condizioni di rovina, quanto resta di questo monumento ci lascia immaginare la ben più imponente figura che doveva avere origine, visibile, con i suoi muri di bianco calcare a chi si avvicinava alla costa.

Sulci - Tophet

Attuale ingresso con vista di alcune stele di pietra che accompagnavano spesso, ma non necessariamente, la disposizione delle urne cinerarie. La forma e i motivi talvolta scolpiti consentono di definire la cronologia dei riti funerari.

La posizione occupata dal nuraghe consentiva il controllo di tutto il traffico marittimo che si svolgeva nel golfo antistante. Sarebbe stato impossibile per qualche imbarcazione approdare nell’isola da questo punto senza essere individuata. Ma la funzione del nuraghe non doveva essere solo quella di controllo e avvistamento di chi solcava il mare.

Dalla torre si domina un ampio tratto dalla valle di Maladroxia , bagnata dal rio omonimo, e i declivi collinari dove pascolavano gli armenti della comunità e si svolgevano le attività agricole, che andavano protetti dalle razzie di tribù vicine.

A valle dovevano trovarsi il villaggio vero e proprio, e il complesso turrito della collina doveva essere l’abitazione del clan gentilizio più potente della comunità, e dei guerrieri preposti alla difesa del territorio. Intorno al nuraghe sembra, infatti, che non vi sia stato alcun agglomerato capannicolo, anche se la mancanza potrebbe attribuirsi alla spoliazione del materiale costruttivo per usi edilizi recenti.

Un esempio di complesso nuragico con villaggio annesso si trova nella parte occidentale dell’isola, in località Grutti ‘e Acqua. L’immensità del crollo visibile testimonia dell’esistenza di un grosso agglomerato, certamente uno dei più importanti di S. Antioco, ma forse della Sardegna stessa.

Decine e decine di capanne si sviluppano in zone piane e sui pendii più dolci che circondano una collina più alta, sulla cui vetta si erge, notevolmente ridotto, oggi, nella sua antica maestosità, il nuraghe.

Nei punti in cui la vegetazione è più rada e dove il crollo è meno consistente si riescono ad osservare i perimetri murari delle capanne, gli zoccoli abbastanza alti su cui si impostavano le strutture lignee o di frasche, alla maniera delle costruzioni che molti pastori realizzano ancora oggi per rifugiarsi: le “pinnetas””. Si tratta di capanne di non grandi dimensioni, con diametri intorno ai 4 metri, costruite addossate le une alle altre, oppure unite da cortine murare delimitanti cortili o recinti per il bestiame.

Dai manufatti delle genti che abitarono questo villaggio non restano, in superficie, che qualche frammento di macina, qualche pastello usato per frantumare semi o per polverizzare coloranti ed altro, qualche frammento di macina, qualche pestello usato per frantumare semi o per polverizzare coloranti od altro, qualche frammento di vaso (l’orlo di qualche ciotola, il bordo di qualche grosso recipiente usato per fare scorta di liquidi), teste di mazza forate (immanicate in bastoni in legno servivano come armi contundenti; tramite tirelle di cuoio o di corda, invece venivano lanciate per colpire uomini e animali ). Si tratta di una collina a forma di ferro di cavallo, con un’altezza massima di metri 273. Una torre semplice, isolata, domina i due versanti orientali ed occidentali, mentre alle due estremità settentrionale e meridionale si trovano due nuraghi complessi, rispettivamente il nuraghe Antiogu Diana ed il nuraghe S’ega de Funtana.

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Sulci - Tophet

Area culturale e sepolcrale insieme, ospitava dentro urne di terracotta coperte da piattello, le ossa combuste di bambini offerti alla divinità suprema.

Il nuraghe Antiogu Diana è del tipo “a tancato” con torre e cortile aggiunto, a sviluppo longitudinale est-ovest. Anche per esso si può constatare la posizione estremamente strategica, di difficile accesso, e il rafforzamento degli accorgimenti difensivi. L’importanza di questo complesso fortificato la si comprende osservando a valle: una vasta piana fertile, favorevole all’attività agricola; un corso d’acqua; colline boscose e ricche di selvaggina.

Una sorta di oasi naturale, che occupata, richiedeva vasti sistemi di protezione, a difesa degli inevitabili sconfinamenti delle tribù nemiche. Le difese organizzate, quindi, almeno nella fase più antica, contro genti della stessa razza, che avevano costituito entità politiche a sé stanti, nonostante  il comune patrimonio ideologico e culturale.

Dovevano essere frequenti le scorrerie da un territorio all’altro, il furto di bestiame o il loro sequestro in caso di sconfinamento di pascolo. L’uccisione di un membro della comunità determinava spedizioni punitive, vendette, guerriglie sanguinose che finivano con lo scavare anche tra tribù vicine territorialmente, barriere più insormontabili di un’impervia catena montuosa. E forse a questo antico frazionamento si riallacciano certe manifestazioni moderne di antagonismo spesso violente dall’ambiente pastorale.

Nell’ambito dell’architettura funeraria sono state individuate nell’isola diverse tombe di giganti, delle quali una è stata oggetto di scavo.

Si trova in località “Su Nidu ‘e Su Crobu”, a poche decine di metri da una strada di campagna, perciò facilmente accessibile.

La tomba si presenta priva della copertura e di buona parte dell’originaria altezza, ma conserva integri lo sviluppo planimetrico, riproducente il classico impianto a protome taurina.

Nei pressi del monumento è possibile osservare una lastra di pietra con delle profonde tacche artificiali. È ciò che resta di un elemento decorativo che sovrasta l’architrave dell’ingresso della tomba, e che è definito nel linguaggio specialistico come “cornice a dentelli”.

Dell’arrivo dei Fenici e delle vicende che succedettero, abbiamo già detto. Fu un avvenimento importante che sconvolse il ritmo evolutivo delle popolazioni indigene, se non interrompendolo, certamente modificandolo in modo profondo, con la fondazione di un centro abitato che andò sviluppandosi sempre più in estensione ed importanza.

Sulci - Panoramica del Tophet

L'area cimiteriale è caratterizzata da una serie di affioramenti trachitici, volutamente risparmiati nei cui anfratti le urne venivano collocate senza un ordine apparente.

Tuttavia, in rapporto a questo sviluppo, le testimonianze monumentali superstiti sono relativamente poche. La continuità della vita nel tempo, interrotta solo per qualche secolo a seguito delle incursioni piratesche, e soprattutto l’insediamento moderno hanno sepolto l’abitato antico.

Frequentemente, durante lavori edilizi riemergono resti dell’antica Sulci , ma sono soltanto frammenti della grande città che fu.

Sono ben conservate le aree della necropoli e del tophet, che con la loro vastità ci tramandano un’immagine grandiosa della città e dei suoi abitanti.

Le necropoli si estende a nord dell’abitato moderno, dalla zona antistante l’Antiquarium sin verso il monte Cresia.

La tipologia delle sepolture e abbastanza varia, ma il quadro culturale e cronologico espresso abbraccia un periodo di tempo piuttosto ampio, che va dal primo insediamento fenicio a quelli successivi, punico prima e romano poi. Il tipo di sepoltura più diffuso è quello dell’inumazione delle tombe a camera. Il loro schema tipo si presenta con camera di pianta quadrangolare e rettangolare, distinte in due ambienti da un tramezzo risparmiato nella roccia e posto quasi di fronte all’ingresso. A questo si accede attraverso un dromos gradinato. Nelle pareti sono ricavate nicchiette per la deposizione dei corredi.

Alcune tombe mostrano uno sviluppo più complesso, con articolazioni di più ambienti collegati tra loro. Tale situazione e in realtà dovuta a interventi più tardi che hanno messo in comunicazione più tombe prima isolate. Le manomissioni successive non si limitano ad ampliare spazi, ma spesso vi apportano sostanziali modifiche, come nel caso degli arcosoli, ricavati arcuando la volta di nicchie preesistenti, o costituiti ex novo scavando le pareti.

In alcuni casi sono presenti pitture o iscrizioni. Siamo però di fronte a testimonianze di epoca romana, come pure le tombe che occupano la superficie esterna della necropoli, caratterizzata dalla protezione del defunto con embrici e tegole (tombe cosiddette “alla cappuccina”).

Tarde sono anche le sepolture in urna litica o metallica, previa combustione del cadavere e quelle “a enchytrismòs”, cioè all’interno di anfore.

Ad alcune centinaia di metri più a nord rispetto alla necropoli, in località “Sa Guardia de Is Pingiadas”, si trova il tophet.

Sulci - Necropoli

Sepoltura di epoca romana, messa in luce nell'area della necropoli con tombe a camera. In epoca romana si continuò ad utilizzare l'area cimiteriale punica, sia i vecchi ipogei che l'area esterna.

Non vi si trovano strutture monumentali, ma soltanto un’area con affioramenti rocciosi trachitici, tra i quali uno presenta delle cavità artificiali. Nell’interpretazione tradizionale si tratta probabilmente dell’altare sacrificale dove le vittime (inizialmente i primogeniti delle famiglie aristocratiche, secondo rito del ”molk”, successivamente piccoli animali, secondo quello del “molkmor”) venivano sgozzate prima di essere bruciate.

I resti cremati erano poi conservati in urne di terracotta che venivano deposte, spesso insieme alla stele, nell’area sacra. Le urne che si osservano oggi nel tophet sono soltanto riproduzioni sostitutive di quelle originali custodite nei locali dell’Antiquarium. All’interno di quest’ultimo si trovano reperti provenienti dalle numeroso campagne di scavo condotte nelle aree citate e da recuperi accidentali. La maggior parte di essi è, però, pertinente al tophet e alla necropoli.

Frutto di un recente ritrovamento sono due statue di leoni in posizione araldica (opera di artisti fenici) e situati originariamente in qualche piazza dell’antica città a scopo ornamentale o per sottolineare l’importanza di qualche edificio di interesse pubblico.

La romanizzazione di Sulci è subito evidente alla conclusione dell’istmo, dove, a lato del ponte moderno che scavalca il canale recentemente aperto, è stato isolato l’antico ponte romano.

All’interno dell’abitato, in località Su Narboni., un mausoleo (denominato localmente “Sa Presonedda”) ne offre una conferma.

Uno dei monumenti più importanti della città e costètuito dal complesso catacombale esistente sotto la Chiesa patronale.

Si tratta di antichi ipogei punici in collegamento tra loro modificati notevolmente nel loro aspetto con lo scavo di numerosi loculi e arcosoli nelle pareti. Gli ambienti più importanti sono la cripta e la cosiddetta cella del Santo. La prima ospita il sarcofago–altare  che si ritiene abbia conservano le spoglie del Santo ed è adornata con colonne marmoree recuperate da edifici romani abbandonati. La seconda, invece, situata in una parte più interna, si sostiene sia stato il luogo in cui il santo trascorse il tempo del suo esilio, e dove morì.

Tra gli altri monumenti che meritano di essere segnalati è il fortino sabaudo, denominato Su Forti, costituito alla fine del 700.

 

Sant'Antioco

Statuetta di divinità femminile di epoca imperiale romana (II ec. d.C.), facente parte di un corredo funerario di personaggio certamente di classe sociale elevata.

   

Is Solus

Mosaico romano di epoca imperiale raffigurante due pantere rampanti su un vaso da cui si sviluppa un motivo vegetale (Antiquarium di Sant'Antioco).

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