Young
e l'esperimento dell'interferenza della luce
La
luce è fatta di onde
“L’esperimento di cui sto per parlare (…) può essere
ripetuto con grande facilità, purché splenda il sole e con una
strumentazione che è alla portata di tutti”. Così Thomas
Young, parlando il 24 novembre 1803 alla Royal Society di Londra, comincia
la sua descrizione dello storico esperimento di interferenza della luce.
Ecco come
lo aveva realizzato: un raggio di sole veniva deviato con uno specchio in
modo da entrare orizzontale nella stanza. Successivamente era reso molto sottile
facendolo passare per un piccolo foro creato in una superficie opaca. Quindi
il raggio veniva diviso attraversando due fenditure strette e vicine. Nelle
sue prime prove Young in realtà non usò una “doppia fenditura”
ma un foglietto che con il suo spigolo sottile separava in due il raggio.
Dalle fenditure la luce infine colpiva uno schermo. Young osservò che
sullo schermo non comparivano due immagini luminose corrispondenti alla forma
delle fenditure, ma che i raggi si allargavano, si sovrapponevano e nell’area
di sovrapposizione formavano delle bande luminose alternate a zone d’ombra.
Come le onde nate in due punti diversi di un lago, incontrandosi, sommano
la loro altezza in alcuni punti e si annullano a vicenda in altri.
“Neanche
i più prevenuti negheranno” osservò Young nel suo discorso
tenuto davanti ad un’assemblea di scettici, “che le frange osservate
sono prodotte dall’interferenza di due frazioni della luce”. La
conferenza, pubblicata l’anno successivo nelle Philosophical Transactions
of the Royal Society e destinata a diventare un classico, propone, con un
linguaggio brillante, la prima prova chiara e decisiva delle proprietà
ondulatorie della luce.
Dato che
la distanza fra le frange di interferenza dipende dalla lunghezza d’onda,
l’esperimento di Young offrì anche la prima misura diretta della
lunghezza d’onda della luce.
Gli ologrammi e la relatività di Einstein
La natura della luce, ossia se la luce sia fatta di particelle o se sia un’onda,
è stata una delle più affascinanti questioni scientifiche dei
secoli XVII e XVIII. Young, con le sue figure di interferenza, alla lunga
aveva convinto molti scienziati della validità dell’ipotesi ondulatoria.
Ma agli inizi del XX secolo furono osservati fenomeni che non erano in accordo
con questo schema. Il più noto è l’effetto fotoelettrico,
che si manifesta quando una sostanza colpita dalla luce emette elettroni.
Einstein lo spiegò ipotizzando che la luce sia fatta di quantità
elementari non divisibili: “quanti” di luce, battezzati fotoni.
La meccanica quantistica negli anni ’20 e ’30 stabilirà
che la natura materiale dei fotoni convive con quella di onda.
Oggi per mostrare l’interferenza della luce si usa il laser, che permette di ottenere facilmente il tipo di luce adatta. L’interferenza realizzata con i laser viene usata per produrre gli ologrammi, come quelli che compaiono sulle carte di credito e che danno l’immagine tridimensionale di un oggetto.
Si basano sull’interferenza della luce anche gli interferometri, strumenti
che misurano con precisione lunghezze o variazioni di lunghezza. Se il percorso
del raggio luminoso cambia, l’interferometro lo rileva, anche su grandi
distanze, perché si modificano le figure di interferenza. Dispositivi
basati su questo principio vengono utilizzati per seguire i movimenti delle
placche geologiche sulla superficie terrestre.
L’interferometro
di Michelson e Morley è stato utilizzato nel 1887 per dimostrare che
l’etere, il “supporto materiale” in cui avrebbe dovuto viaggiare
la luce, non esiste. Questo esperimento ha avuto un’influenza capitale
sulla teoria della relatività di Einstein, in particolare sull’ipotesi
che la velocità della luce nel vuoto sia costante.