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Il massiccio di Monte Càvola


Il massiccio che viene studiato in questo capitolo si estende fra le vallate dell'Aterno e del Velino, affluente del Tevere, a cavallo delle provincie dell'Aquila e di Rieti. Si tratta di una regione allineata in direzione nordovest-sudest, limitata verso oriente dalle vaste piane dell'Aquila e di Montereale. I comuni interessati sono: Montereale (fraz. Gabbia), Cagnano Amiterno (fraz. Fiugni, Termine), Barete (fraz. Colli), L'Aquila (circ. Preturo, fraz. Forcella, San Marco, Cese), Pizzoli (fraz. Cavallari), Scoppito (fraz. Scoppito, Vigliano, Corno). In totale 11 tenimenti.

La linea pedemontana che è stata scelta quale limite verso valle della montagna parte dall'abitato di Cesaproba fraz. di Montereale, segue la carrozzabile per Gabbia e da qui quella per Fiugni; devia ai margini della piana di Cagnano per raggiungere la soglia carsica dove sorge il Termine, e poi le ville di Colli nei pressi della carrozzabile per Collicello; unisce la villa di Teora a quella di Cavallari, per poi seguire quasi il corso dell'Aterno fino a Pozza; devia all'interno per lasciare fuori il territorio a valle di San Marco e di Colle di Preturo, per tornare a Preturo ai margini della piana amiternina; si stacca quindi dal fondovalle del torrente Raio per toccare i centri di Cese e, tagliando un colle, Scoppito; seguendo le strade comunali pedemontane che uniscono quest'ultimo centro alle sue frazioni, giunge a Cave e da qui torna a seguire l'alveo della valle di Corno, che segue fino alla testata della Sella di Corno, lambendo i centri di Vigliano e Corno. Rimangono completamente dentro questa linea, i soli abitati del Termine e della Forcella.




La toponomastica


Il nome del massiccio riprende quello della sua cima più alta, svettante sulla catena che guarda il valico stradale di Corno, che mette in comunicazione, ai margini meridionali della regione, le due provincie, e un tempo costituiva la via di transito dall'Aquila per Roma.

La montagna in questione, alta 1898 m, è nota universalmente come Monte Calvo. Sia la cartografia IGM, sin dalle prime edizioni alla fine del secolo scorso, sia le indicazioni locali (sovente Montecalvo) non hanno esitazioni. D'altronde, già nel 1808 (Rizzi-Zannoni) e addirittura nel 1558, secondo la Corografia dell'Antinori, si trova il toponimo Montecalvo, Monte Calvo.

Senonché, si nota subito che l'aggettivo calvo, dal trasparente significato nella lingua italiana, non ha, viceversa, riscontro nei dialetti locali, né in generale in quelli sabini, al cui gruppo tutte le parlate della zona appartengono. L'aggettivo per 'calvo' è, in tali volgari, un riflesso del latino pelatus, sia se riferito a persona, sia, ed è questo il caso che qui interessa, se usato in toponomastica come traslato geomorfico, per descrivere la nudità della sommità di un monte, al di sopra del limite del bosco.

Inoltre, a conferma dell'ipotesi che il nome in questione sia di origine dotta, non si riscontrano toponimi equivalenti né nei comuni considerati, né nei massicci limitrofi dell'Appennino Centrale. Ciò è vero nonostante gli appellativi del tipo Pelato o Caroso (del quale si ha anche un esempio proprio in tenimento di Vigliano, mónde carùsu, tradotto M. Caruso sulla cartografia IGM) siano, invece, assai numerosi e vitali.

Il nome Monte Calvo appare allora, come già detto, forma di origine dotta o semidotta, certo piuttosto antica, ma non già dovuta alla descrizione di una caratteristica della montagna, bensì falsa interpretazione di un toponimo locale, ad essa assonante, ma avente tutt'altra origine.

La montagna, infatti, possiede ancora oggi un nome dialettale, sebbene, come ovvio, nell'uso dei turisti, degli escursionisti ed anche dei paesani più giovani, sia diffusa unicamente la versione ufficiale Monte Calvo. Questo nome locale è praticamente lo stesso in tutti i paesi che se ne dividono il territorio, tranne che in uno di essi.

Procedendo in verso orario, il primo settore della catena di Montecalvo, che si estende dall'altopiano di Cinno fino al centro di Preturo, è quello del Termine, la più alta delle frazioni che costituiscono il comune di Cagnano. Il tenimento del Termine occupa le pendici settentrionali della montagna, che guardano il piano di Cascina, il più vasto dei pianori carsici nella regione qui esaminata, dove in epoca altomedievale sorgeva un insediamento sparso, munito in seguito di castello, che concorse autonomamente alla fondazione dell'Aquila, ed anzi disponeva di una dipendenza nel vicino piano di Palarzano.

Ebbene, nella toponomastica originaria di Cascina, poi 'ereditata' dagli abitanti del Termine, il nome generico della montagna, riferito specialmente alle nude groppe che si alternano sulla cresta sommitale, è mónde càola. Questo toponimo non può che essere interpretato formalmente come composto di monte e di un termine che riflette una formazione romanza cavula, diminutivo di cava nel senso di 'avvallamento, buca nel terreno', essendo l'indebolimento di -v- in posizione intervocalica, un noto fenomeno comune a tutte le parlate dell'area. Anche a livello lessicale, tale interpretazione appare corretta, anche se si pensa al nome di un'altra montagna, per giunta assai vicina, quale è Monte Cava, fra Tornimparte e Corvaro (Ri), noto anche semplicemente come càva. In quest'ultimo caso, è chiaro che l'origine del nome è da cercare nell'ampio coppo (detto localmente cóppo e càva) che si estende a circa 1700 m (la cima tocca i 2000 m) sul suo versante meridionale. Il nome della montagna, deriva cioè dalla presenza di un importante avvallamento, molto frequentato per il pascolo, che la caratterizza. Anche nel caso di Montecalvo-mónde càola, quindi, sarà la depressione che si estende nel versante meridionale, a cavallo delle due province, ad aver fornito il nome a tutta la montagna, come si vedrà tra breve.

Procedendo con ordine, ad est del Termine viene il territorio della Forcella, già frazione di Preturo, passata con questa durante il ventennio al comune dell'Aquila. Questo insediamento è composto da tre ville disposte lungo una vallata, tributaria dell'Aterno, e precisamente attorno al punto dove la valle si biforca, generando la forca che sta alla base del toponimo. Questi paesi detengono un cospicuo settore di Montecalvo, nonché l'intero versante settentrionale di un'elevazione minore sulla cresta, in loco detta Colle Alto (collàutu), a differenza di Scoppito, dall'altro versante, dove è Monte Bianco (mónde biàngu). Della montagna principale non è stato, però, rintracciato un nome peculiare presso i forcellani, per cui è lecito ritenere che essi abbiano adottato quello vigente presso i centri contermini.

Dopo la Forcella, verrebbero i centri di San Marco e di Cese, entrambe frazioni di Preturo, entrambe dotate di settori non vasti della catena di Montecalvo. Poiché questi settori sono piuttosto distanti dal gruppo centrale, protesi come sono verso la piana amiternina, nei centri suddetti non esiste designazione locale per la montagna in esame.

Di grande importanza è invece Scoppito, con il quale si passa sul versante meridionale della catena, che guarda alla vallata di Corno, dirimpetto alle propaggini del massiccio del Velino. Scoppito ha come tenimento tutta la testata del vallone della Crovella (la coroélla), che costituisce un profondo solco fra la catena principale ed il ramo secondario, ma non meno imponente, della Serra (la sèrra), che dalla cima si porta fin sopra la stazione di Vigliano. Ebbene, i nudi pendii alla testata di questa valle, per i locali di Scoppito sono mónde càole, ed a tale nome si attribuisce esplicitamente il valore di càvole 'piccole cave', per via della fitta serie di dossi e vallette che si alternano nella zona sommitale, in una delle quali trova posto un laghetto stagionale.

L'indagine effettuata nel successivo centro di Vigliano, frazione di Scoppito, non ha invece prodotto un nome autenticamente locale per Montecalvo, giacché questo tenimento è formato da una breve valle che si incunea fra il crinale della Serra, e di Colle Maggio (commàju), ed il costone meridionale del gruppo centrale, non arrivando quindi alla cimata vera e propria.

Infine, a Corno si presenta la situazione più chiarificante. Presso questo gruppo di case, nato come castello autonomo che concorse alla fondazione dell'Aquila, la montagna di Montecalvo, nonstante i cartelli stradali che indicano la carrozzabile che sale al Ponte Radio, è senza dubbio mónde càru, e d'altronde anche la cartografia ufficiale ha adottato questo nome, nella versione Monte Caro, applicandolo al costone meridionale.

A questo punto, sembra chiaro che il cambio di genere avvenuto nella resa dotta Monte Calvo che, come già detto, deriva dai nomi locali mónde càola, càole (femminile), sia da attribuire al quasi omofono mónde càru, di genere maschile, versione locale di Corno del nome della montagna.

Quanto a quest'ultimo nome, mónde càru, esso si presta a diverse interessanti considerazioni, relativamente al termine càru, per il quale sono ipotizzabili almeno due etimologie, entrambe formalmente e lessicalmente plausibili:

  • derivato di cava 'avvallamento, buca nel terreno', attraverso un suffisso -arius, ossia -aro, equivalente all'italiano -aio, con valore relazionale. Da *cavàru verrebbe quindi càru, per indebolimento della -v- in posizione intervocalica, fenomeno largamente attestato nelle parlate della zona. Tale ipotesi ha come conforto la circostanza che la stessa base, in definitiva il termine cava, sarebbe alla base di entrambe le denominazioni: mónde càola (o càole), e mónde càru;
  • relitto linguistico, dalla base *car- ascrivibile al sostrato prelatino, dal significato presunto di 'roccia', che ben si adatterebbe ad un toponimo di area montana. In questo caso, si tratterebbe dello stesso toponimo Monte Caro riscontrabile anche nei Pirenei, nella regione di Tortosa.

Tale tipo toponimico, caro (anche *car(r)a) avrebbe prodotto una vasta serie di nomi di luogo, il cui numero è stato sovente esagerato dai più tenaci (ed arditi) assertori delle teorie sostratistiche. In area appenninica centrale, sono stati individuati alcuni presunti derivati, quali *carmo, che sarebbe alla base del nome di Caramanico (Pe) o *carapo, nella cui serie rientrerebbero i toponimi del tipo Carapelle. Per entrambe queste forme derivate, sono stati postulati dei significati più specialistici, quali 'sperone roccioso' per la prima, assai vitale in area ligure, e 'burrone, voragine' per la seconda, giacché nel lessico di alcuni dialetti del Lazio compare la voce carapone 'gorgo'. Altri illustri toponimi sovente inclusi in questa serie sono i nomi, prelatini, del Carso e della Carnia, note regioni delle Alpi Orientali.

Alla base *car- viene poi spesso associata la variante *cala, in virtù di una supposta alternanza fra liquide tipica della fonetica 'mediterranea', per la quale vengono ipotizzati significati diversi, da 'cala', come in italiano, a 'rocca', forse tutti riconducibili al concetto di 'riparo'. Per tale base è famoso l'esempio del nome di Calagurris, fortezza iberica preromana, inserito nel quadro della toponomastica preindeuropea con il significato di 'rocca rossa', il secondo termine essendo quella base *corro/gorro 'rosso, rossastro, bruno' che ha prodotto numerosi continuatori nel lessico, anche romanzo.

Tutto il problema della linguistica pre-indeuropea, o 'mediterranea' che dir si voglia sarà discusso nelle pagine relative alla Toponomastica dell'Antica Europa (vai). Appare cionondimeno opportuno citare a questo punto altri toponimi relativi al massiccio di Monte Cavola (ché da ora verrà così chiamato), riconducibili in qualche maniera a qualcuna delle basi lessicali postulate per tale sostrato linguistico.

A Scoppito, la località camicìlla presenta un nome che va interpretato come diminutivo di un tipo camicia, presente altrove (ad es. il Monte Camicia nel Gran Sasso), inquadrabile in una serie di toponimi derivati dal tema *cama (Camarda, Pietracamela, ecc.), relativo al concetto di 'cespuglio', alcuni però spiegabili in altro modo. Del resto, anche per qualcuno dei toponimi del tipo camicia può aver concorso un personale latino Camisius.

Nomi come chiccherégliu, a Cese di Preturo, e cucurùzzu, a Colli di Barete, sono interpretabili partendo dalla base cucc-, vitale come cucco in Piemonte, Sardegna, ecc. Il significato è quello di 'poggio', ed è equivalente all'italiano cocuzzolo. In entrambi i toponimi menzionati, è presente un'estensione in -r- della base originaria.

Ad una base *lond-, di fonetica 'tirrenica' per la presenza dell'occlusiva sonora, potrebbe essere accostato il toponimo màcchja londéru di San Marco di Preturo. Tale base avrebbe il significato di 'acquitrino, pantano', ed ad essa sarebbe collegato nientedimeno che il nome britannico di Londinum, l'odierna Londra capitale del Regno Unito.

La serie dei toponimi del tipo morro include nella zona esaminata il nome della vàlle murìna, in tenimento della Forcella di Preturo, nonché vàlle morésca, presso Colli di Barete. Tale base, di origine preromana, presenta, ed il caso di entrambi i toponimi citati, un'alternanza r/rr, ritenuta tipica dei nomi di fonetica 'mediterranea'. Essa è anche diffusa al femminile, morra, che nel lessico abruzzese significa 'mucchio'. Il significato in toponomastica è infatti quello di 'macigno, gruppo di sassi'. Un ulteriore esempio è il nome del paese di Morino (Aq).

La base preromana mara 'palude, acquitrino', vitale nel sardo, è alla base del nome còlle marétta, a Colli di Barete. La stessa voce, con diverso suffisso, ha prodotto il toponimo Marana, frazione di Montereale (Aq), contigua all'area del massiccio di Monte Cavola.

Risulta stranamente poco o affatto rappresentato, nella zona di interesse, lo strato linguistico romano-germanico (prevalentemente longobardo), che pure ha fornito alla toponomastica dell'Appennino Centrale importanti appellativi quali gualdo, guardia, fara, sala, cafaggio, arengo ed altri ancora. A questo periodo va fatta risalire però la serie dei toponimi dedicati al culto di San Michele Arcangelo, localmente Sant'Angelo. Tale culto è sempre legato alla presenza di grotte, e nell'area esaminata presenta diversi esempi.

Fra Vigliano e Scoppito, nei pressi di un valico sul crinale secondario delle Serre, si trovano pochi resti di quello che la tradizione locale vuole che sia stato un convento dedicato a Sant'Angelo. Tale località è detta sandàgneru in entrambi i centri. Un fùssu sandàngelu si trova vicino a San Marco, alle pendici di Monte Rua, ad est del quale sono forse alcuni sgrottamenti, coperti da murature. Anche a Fiugni si ha un còlle sandàgnelu, non lontano dal paese, ad est della strada che porta a Collicello.

Ad un epoca di poco posteriore a quella longobarda sono da ascrivere i numerosi toponimi relativi alla presenza di rocche e castelli, significativi della fase dell'incastellamento che riguardò l'intera zona in un'ampio periodo a cavallo del millennio.

Mentre Gabbia e Fiugni non presentano tracce di tali fortificazioni (Fiugni è villa del castrum di Cagnano del contado amiternino), presso il Termine si trova il toponimo castellàcciu che si riferisce al diruto castrum di Cascina, situato sulla cresta dell'Appacima, fra l'omonimo piano ed il piano di Palarzano, che di Cascina costituiva una dipendenza.

A monte di Colledisù, una delle ville di Colli, si trova la località detta la rocchétta, o anche madònna della rocchétta, nella quale si rinvengono resti di una chiesa, sovrspposta forse ad una preesistete 'rocca' di cui non si conosce nulla.

Presso Casaline della Forcella, vi è invece la cimata che ancora conserva il nome di castégliu. Si trovava qui il castello di Cesura, risalente al sec. XII, che concorse alla fondazione dell'Aquila dopo aver fatto parte del contado reatino. Le tre ville di Casaline, Menzano e Santi sono invece note come castrum della Forcella. Nella stessa vallata, sopra l'odierna frazione di San Marco, si trova la ròcca, della quale sono visibili ampi resti. Non si ha invece documentazione dell'origine e del ruolo svolto da questo impianto difensivo.

Passando al tenimento di Scoppito, presso la frazione Cave si trova il toponimo castégliu relativo ad una collinetta sulla quale sono evidenti i resti di muratura. Si tratterebbe, in questo caso, di un 'castelliere' del VI sec., piuttosto che di un castello medievale, ma le notizie su questo insediamento sono piuttosto scarse. Sempre nello stesso comune, ma in tenimento di Vigliano, compare il toponimo castellàcci (a Corno le castellàcce), ma qui si tratta certamente di un traslato geomorfico, applicato a due cocuzzoli gemelli, che dominano una valle tributaria di quella di Corno. I toponimi, ancora viglianesi, castégli e castigliùcciu, si riferiscono invece a località situate oltre il solco di detta valle, e quindi appartenenti al massiccio di Monte Velino.

Interessante è, ancora a Vigliano, il toponimo còlle ju bùrgu, presente anche a Scoppito, che indica un cocuzzolo sopra la stazione ferroviaria. Esso deriva dal latino burgus, nel significato originario 'fortificazione, torre di guardia', e forse potrebbe collegarsi all'antico insediamento sabino di Fisternae, che doveva sorgere presso Vigliano.

Infine, a Corno, i ruderi del castrum che dominava l'insediamento attuale e che contribuì alla fondazione dell'Aquila, sono tuttoggi visibili sul cocuzzolo denominato castéllu, il quale neanche rientra nei limiti orografici del presente capitolo, essendo situato a sud della Sella di Corno.


I dialetti


Tralasciamo di parlare in questa sede dello strato linguistico latino e romanzo, giacché la quasi totalità dei toponimi dell'area, come del resto in tutto l'Appennino Centrale, ha questa origine. Basti solo ricordare come le voci del latino regionale, nel passaggio al dialetto, presentino una serie di fenomeni fonetici, fra i quali i più importanti sono i seguenti.

Per il vocalismo tonico, la metafonia da -u e da -i. Tale fenomeno consiste nell'alterazione della vocale su cui cade l'accento tonico, per effetto di una -u o una -i finale. Questa situazione si presenta in maniera vistosa nei sostantivi maschili e neutri della seconda declinazione (latino -us, -um, latino regionale -u) e, rispettivamente, nei plurali dei primi (latino -i). Per effetto della metafonia, le vocali medio-alte (è, ò) si alterano in é,ó (secondo lo schema della metafonia sabina, giacché in quella napoletana si ha dittongazione, ie, uo), mentre le vocali medio-basse (é, ó) si chiudono in ì, ù. Nelle parlate della zona, tutte riconducibili al ceppo sabino, non si manifestano casi di metafonia della -à-.

Per il vocalismo atono, è significativo l'esito delle vocali finali latine -u, -o che rimangono distinte. E' questo uno dei tratti distintivi dei dialetti umbro-sabini: tale gruppo di parlate si differenzia dal complesso toscano (e romano) proprio perché in questi ultimi le citate vocali finali confluiscono nell'unico esito -o, oltre al fatto che essi non conoscono metafonia. Del resto, le parlate umbro-sabine si differenziano dalla contermine area dialettale forconese-marsicana perché qui le vocali atone latine si sono conguagliate nel vocoide medio ('vocale indistinta', o 'schwa') indicato con ë negli altri capitoli della TAC.

Per quanto riguarda il consonantismo, oltre ai fenomeni generalmente centromeridionali, quali le assimilazioni di -nd- e -mb- a -nn- e -mm-, la tendenza alla riduzione di b a v, le svariate soluzioni per certi nessi consonantici di liquida più occlusiva, come -lt-, -lb-, -lp-, ecc., occorre citare un fenomeno che divide dialettologicamente in due porzioni l'area esaminata. Si tratta della resa palatale dei nessi -li-, -lu-, -llu-, -lli- che riguarda l'area propriamente aquilana del dominio umbro-sabino, mentre tale fenomeno è sconosciuto nei paesi di dialetto reatino-novertino. Appartengono al primo gruppo (aquilano) i centri di Vigliano, Scoppito, Cese, San Marco, Forcella, Colli, nonché le frazioni di Cagnano attorno al capoluogo San Cosimo e la valle dell'Aterno a sud della stretta di Marana (San Pelino, Barete, Pizzoli, ecc.). Al gruppo reatino-novertino sono invece da ascrivere Corno, Termine e Fiugni (reatino), Gabbia (novertino), così come l'intera area a nord della stretta di Marana, ossia Montereale, Capitignano e Campotosto con le relative frazioni, già appartenenti al contado novertino di Amatrice.



Orografia


Il massiccio in esame è costituito da un allineamento principale che separa il bacino idrografico del fiume Aterno, ad est, da quello del fiume Velino, tributario del Tevere, ad ovest. Tale spartiacque comincia, per quanto qui interessa, dal passo di Cesaproba (1004 m), frazione di Montereale, per innalzarsi subito al Monte di Gabbia (1504 m, mónde de gàbbia a Fiugni, la mondàgna a Gabbia). Questa cima fa in realtà parte di un vasto tavolato, che presenta poco più a sud l'altra cima della Monda (1427 m, la mónna sia a Gabbia che a Fiugni).

Ad est di questa montagna, si estende il piccolo Piano del Monte (piànu ellu mónde a Gabbia), chiuso, in direzione della valle dell'Aterno, da una linea che passa per il cocuzzolo di Capo Antico (1226 m, capandìca a Gabbia, càpu andìcu a Fiugni) e per il Monte Gelato (1285 m, mónde gelàtu a Fiugni). Da questa cima, lo spartiacque piega verso ovest per tornare alla Monda, separando così il Piano del Monte dall'altro bacino endoreico di Santo Nunzio.

Quest'ultimo (sandunùnziu a Fiugni, sandonùnzio al Termine), ha una quota minima di 1127 m. Il braccio che lo serra verso est prosegue, oltre l'allineamento Monda-Monte Gelato, piegando verso sud con la cima di Monte Catabio (1219 m, mónde catàbbiu a Fiugni), e scendendo all'insellatura di Colle Croce (1182 m, còlle cróce a Fiugni, cìma cróce al Termine). Da qui, risale al Monte del Termine (1263 m, lu mónde al Termine, mónde dellu tèrmine a Fiugni), per proseguire in direzione ovest con il lungo crinale del Serrone (lu serróne a Fiugni, lu serró al Termine), con la cima del Colle del Ceraso (1410 m, lu ceràsu a Fiugni, còlle dellu ceràsciu al Termine). In corrispondenza di tale cima, lo spartiacque assume direzione nord, per portarsi al nodo orografico della Monda.

Un altro piccolo pianoro chiuso è il Piano del Termine. E' delimitato rispetto al bacino dell'Aterno da una linea che tocca il Monte del Termine, l'insellatura dove è situato l'abitato stesso, ed il boscoso crinale del Lato (1275 m, lu làtu al Termine, ju làtu a Colli). La cresta che, da questa cima, passa per la Selva (1274 m, la sélva al Termine) separa il Piano del Termine dalla vallata forcellana, mentre dalla Selva fino al crinale del Serrone corre la linea spartiacque fra detto bacino e l'ulteriore pianoro di Palarzano.

Il piano di Palarzano (993 m, palarzànu al Termine) è un allungato bacino endoreico delimitato dal seguente allineamento di cime: verso nordest dal Serrone alla Selva, attraverso il valico stradale di Santa Maria delle Piagge; verso sudest dalla Selva ai Pizzi (1316 m, li pìzzoli al Termine, ji pìzzi alla Forcella); poi verso sudovest da questa cima per una soglia allungata, fino ad un secondo valico stradale, da cui si innalza la cresta dell'Appacima (1104 m, l'appacìma al Termine), fino ai confini con la provincia di Rieti.

Il più grande dei pianori carsici della regione è però quello di Cascina, che occupa buona parte del settore occidentale dell'area considerata, essendo compreso per lo più nel tenimento del Termine. La cresta dell'Appacima lo separa dal piano di Palarzano, mentre verso sudest resta diviso dalla vallata forcellana dall'allineamento Selva-Pizzi, che prosegue con la montagna di Vallecupa (1221 m, vàlle cùpa alla Forcella) ed il valico stradale, percorso dalla provinciale di Cascina, della Croce dei Casalini (1125 m, la cróce egli casajì alla Forcella). A sud della strada, salgono subito le pendici settentrionali di Monte Cavola (1898 m, mónde càola al Termine, mónde càole a Scoppito, mónde càru a Corno), sulla cui cresta si guadagna lo spartiacque rispetto al bacino del fiume Velino, seguito anche dai confini regionali. Seguendolo in direzione nordovest, dopo il solco della Valle Lunga (vàlle lónga al Termine), questo si abbassa in corrispondenza dell'articolata insellatura di Cinno (1353 m, cìnnu al Termine), attraverso la quale si transita verso Antrodoco. Da Cinno, la linea spartiacque esce dai confini regionali, per cui tutto il rimanente territorio appartiene all'impluvio di Cascina.

L'ultimo dei pianori intermontani della zona è quello dei Prati di Foce (791 m, le pràta e fóce a Colli, lo piàno de fóce a San Marco), diviso fra Colli e la Forcella. Il cerchio che lo delimita passa per il Lato, scende attraverso i poco pronunciati poggi attorno ai quali sono le ville di Colli, si deprime alla soglia carsica di Colle Maretta (799 m, còlle marétta a Colli), per risalire verso la montagna di Rua (1235 m, rùa rànne a Cavallari, cìma rùa a San Marco). Da qui piega in direzione ovest, passando per la cimata del Castello di Cesura (1108 m, castégliu alla Forcella) e poi sul lungo scrimone dei Pizzi. Della montagna di Rua, una propaggine orientale è il Colle Rubino (còlle rubbìnu a San Marco).

Dal nodo orografico di Monte Cavola si diramano tre bracci secondari che separano fra di loro vallate egualmente tributarie del fiume Raio e, attraverso questo, dell'Aterno. Il più settentrionale di questi crinali divide la vallata della Forcella dalla valle di Scoppito. Dalla cima della Croce (1898 m, la cróce a Corno), tocca il cocuzzolo del Colle Alto-Monte Bianco (1478 m, collàutu alla Forcella, mónde biàngu a Scoppito) e indi i tavolati di Fiatavento (1281 m, fiataéndu a Scoppito) e della Torretta (1102 m, la torrétta a Cese).

Un secondo crinale secondario che fa capo alla cima di Monte Cavola divide la valle di Scoppito dal Fosso della Crovella (ju fùssu ella coroélla a Scoppito), a partire dal Colle Alto-Monte Bianco. Un terzo crinale è quello, ben più importante, è quello che separa il Fosso della Crovella dall'impluvio del piano delle Cupelle (cupèlle a Vigliano). Tale spartiacque si abbassa dalla cima della Croce lungo la Costa Serpentana (còsta serpendàna a Scoppito), fino alla testata del Fosso della Crovella, e da qui risale con le cime di Falenotte (1424 m, falenótte a Scoppito), della Serra (1361 m, la sérra a Scoppito, sérra a Vigliano) e di Colle Maggio (1316 m, commàju a Scoppito). Dalla Serra, un'ulteriore propaggine è il crinale di Monte Caroso (1319 m, mónde carùsu a Vigliano), che divide la valle di Vigliano dal fosso delle Pilacce (le pilàcce a Corno).

Infine, la linea spartiacque principale, fra il bacino dell'Aterno e quello del Tevere, si stacca dalla cima della Croce di Monte Cavola, per scendere lungo il costone di Monte Caro fino al valico stradale di Sella di Corno (990 m), a sud del quale cominciano i rilievi appartenenti orograficamente al massiccio di Monte Velino.



Last modified: August 13, 2002
by Antonio Sciarretta
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