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Arischia (L'Aquila)


Appunti sul paese


Arischia è una frazione dell'Aquila, del cui comune costituisce una circoscrizione. Fino all'anno 1927 era comune autonomo, denominato Arischia, del quale non faceva parte il paese di San Vittorino, che era frazione di Pizzoli, e che oggi forma una circoscrizione insieme ai quartieri pedemontani a ponente del capoluogo (Pettino, Canzatessa). E' un centro di dialetto aquilano.

La presenza nel territorio di Arischia dei resti di mura ciclopiche note come Murata testimonia la presenza di un tessuto insediativo non elementare già in epoca italica. Più tardi, nel periodo romano, è il municipio di Amiternum a costituire il più cospicuo centro di aggregazione, prima di tramontare definitivamente agli inizi del medioevo, perdendo il ruolo di diocesi e poi completandosi la totale diruzione. In tale contesto, Arischia potrebbe essere nata come vicus di Amiternum, ma la prima attestazione del toponimo, che sarebbe del X sec. (...super Ariscle...), non è affatto sicura, dato che il nome arischia è una diffusa voce toponimica che ha riscontri nel lessico, come 'arista, barba del grano'. E' invece posteriore, dell'epoca normanno-sveva, la prima attestazione di Arischia come castrum. Nel periodo delle grandi abbazie è inizialmente il Monastero di Farfa a svolgere un ruolo predominante nella zona, con la fondazione di San Severo e dei suoi casali che fungono da grancie; poi sono i cisterciensi, che fondano il complesso monastico di San Benedetto alle Cafasse, ora convento francescano di San Nicola, a sviluppare l'economia della montagna, con la pratica della transumanza su larga scala. Successivamente alla fondazione della città dell'Aquila, alla quale Arischia partecipa erigendo nel locale assegnatole la chiesa di San Benedetto, viene l'inizio del periodo dell'infeudamento, e quindi l'affrancamento napoleonico, fasi storiche che vedono Arischia uscirne come comune fino alla citata soppressione del 1927.

Dei monumenti di Arischia, continuamente danneggiati da terremoti, va citata la chiesa parrocchiale di San Benedetto (sec. XII), più volte rimaneggiata, interessante per la facciata a tre portali, nonché numerose altre emergenze situate appena fuori dell'abitato.


Appunti sul territorio


Il vecchio comune di Arischia, ora circoscrizione dell'Aquila, comprendeva una vasta area montana, sia sulla catena del Gran Sasso vera e propria, sia sulle propaggini meridionali che guardano la vallata aquilana. Inoltre, fu assegnata ad Arischia gran parte della montagna, prima privata, di Chiarino, sul versante settentrionale della catena, che in questo studio costituisce un tenimento autonomo.

Il primo settore è formato da una porzione della montagna di sèrre (2132 m), dal valico della piàna egli cavallàri (1789 m) alla cima. Da quest'ultima si stacca un crinale secondario che funge da spartiacque fra la valle del Vasto, tributaria del torrente Raiale, ed i fossi che gettano le acque nell'Aterno a monte della stretta aquilana. Tale crinale parte dalla sella nei pressi della cappelletta di Sant'Antonino, elevandosi con il còlle elle spiàzze (1504 m) e poi con il còlle ella ròscia (1546 m), il quale prelude alla cima della stabbiàta (1650 m), a confine con Collebrincioni. Un altro crinale, quello delle màcchje, è diviso con Marruci ed interessa il territorio di Arischia solo marginalmente.

Al di fuori della zona compresa nel Parco Nazionale, che ha per limite meridionale il corridoio vallivo che unisce Arischia con Collebrincioni, si estende la zona recentemente ribattezzata 'Area Verde Fuori Porta la Montagna'. L'ossatura orografica di questa regione è la linea che separa le acque confluenti a monte ed a valle della stretta dell'Aterno presso San Vittorino. Tale spartiacque sale dal citato centro al pianoro di fornemàju (874 m), si abbassa in una selletta dove c'è la chiesetta della Madonna della Piaia, per rialzarsi con i cocuzzoli dello schìtu (907 m) e del cannàru (944 m). Segue poi la lunga cresta che culmina con la cima di pàcu martìnu (1270 m), oltre la quale lo spartiacque piega in direzione nord per toccare il cocuzzolo di còlle ribbàrdu (1209 m), il còlle egliu macchjó (1213 m), nonché la cima del tavolato del macchjó (1254 m). Da questo nodo orografico, si ricollega al sistema displuviale che interessa Collebrincioni e la montagna della stabbiàta. Ad ovest di tale linea, le acque confluiscono nel fùssu e fónde néra - fùssu ella éce e nella mallassàna, mentre ad est dello spartiacque nella màlle càscia - fùssu ella muràta, nella valle del parahó - fùssu cinàglia, nonché nell'importante bacino della valle di San Giuliano.

Tutto il tenimento di Arischia è costellato di notevoli presenze storico-architettoniche, che connesse con un antico sfruttamento agro-pastorale di buona parte delle località montane. Basterà ricordare, in questa sede, i ruderi della chiesa di San Severo, il convento di San Nicola, le chiesette di Santa Maria della Piaia e di Sant'Angelo, le cappellette rurali della Madonna della Quercia e di Sant'Antonino, il complesso archeologico megalitico della Murata, la fonte monumentale degli Archi, l'eremo montano di San Franco d'Assergi, le numerose casette situate nei pressi delle frazionate proprietà agricole, delle quali le meglio conservate appaiono alcune situate nelle contrade Casci e San Severo, le altrettanto numerose sorgenti, molte delle quali sistemate con abbeveratoio, che si trovano in tutto il territorio, dal paese fin quasi alla cima della montagna di sèrre.

Per quanto riguarda la sentieristica, si è fatto riferimento all'itinerario n° 12 della carta CAI del Gran Sasso, che percorre la cresta delle sèrre, oltre alla maggior parte delle proposte di sentiero contenute nella guida 'Arca' sulla 'Area Verde FPM' (sentieri A, B).


La toponomastica


La Montagna di San Franco

1. La più occidentale delle maestose montagne che compongono la catena del Gran Sasso d'Italia trae il nome ufficiale (M. S. Franco sulla cartografia IGM) dall'eremo di Franco d'Assergi, ricavato in una grotta sul versante meridionale, a quota 1730 m, oggidì raggiungibile con una breve salita dalla sterrata che percorre tutto il settore sudorientale della montagna. Ancora dall'agionimo deriva il nome della sorgente che scaturisce proprio sotto l'eremo, indicata come Sorg.te S. Franco sulla carta del CAI, nonché il rigagnolo che da essa ha origine, per i locali di Arischia, come di Camarda, fùssu e sanfràngu. Infine, una ulteriore località, frequentata in passato dai pastori, sono ji jaccìtti e sanfràngu, a 1980 m sulla cresta ad est della cima. Al culto del santo va poi ricondotto il toponimo fùssu egli lumìtti, che si riferisce al fosso immediatamente ad ovest del precedente, indicato come F.so Lumitti sulla cartografia IGM, che trae il nome dai lumini (dialettale lumìtti) votivi lasciati dai pellegrini. La stessa montagna, nel suo complesso è detta, a Marruci, mondàgna de sanfràngu.

2. Non così è, però, ad Arischia, dove il nome locale per tutta la montagna 'di San Franco' è sèrre, così come per i montanari di Camarda è la sèrra. A tale nome va collegato innanzitutto il toponimo pì sèrre, ovvero 'piedi Serre', che indica le pendici della montagna che guardano la strada provinciale del Vasto nei pressi di una pinetina di rimboschimento, come riporta anche la cartografia IGM con la dizione Piè di Serre. In secondo luogo, il toponimo sèrre si ritrova nella designazione della vetta (2132 m), la massima elevazione dei tenimenti di Arischia e Marruci, che è la pùnda e sèrre, ovvero 'la punta di Serre'. Infine, un valloncello che scende dalla cima, alimentato di acque dalla Sorg.te Serre è localmente detto ju fùssu e sèrre, e sulle carte IGM F.so delle Serre. Questo nome, che è riflesso del latino serra, in origine 'sega', poi traslato con riferimento alla dentellatura di una cresta, deve essere considerato come il nome primitivo della montagna, poi sostituito (in parte ad Arischia, del tutto a Marruci) dall'agionimo in seguito alla popolarità assunta dal culto per l'eremita. Ciò è vero soprattutto se si nota che per i Camardesi il nome la sèrra indica piuttosto la lunga cresta, ad Arischia nota come ji coppìtti de sèrre, che va dalla cima al valico della Piana dei Cavallari.

3. Tale cresta è indicata sulla cartografia IGM col nome Cresta di Rotigliano, ma questo toponimo dipende dal dialettale còlle e rotigliànu che si riferisce alla seconda elevazione della cimata, di poco più bassa della 'punta' (2096 m), che sovrasta l'omonima sorgente, che sulle carte IGM è Sorg.te Rotiglione. Il nome Rotigliano è formalmente di origine prediale, formato col suffisso -anus da un personale Rotilius, e lo si ritrova anche nel nome del Piano di Rotigliano in tenimento di Marruci, citato in documenti del sec. XI.

4. Il già citato valico (1789 m) che chiude ad est la suddetta cresta, dividendo la montagna in esame da quella della Ienca è localmente detto piàna e cavallàri, anche piàna egli cavallàri a Camarda, da un appellativo cavallaro 'pastore di cavalli', in quanto si tratta di una piana adatta al pascolo. Tale designazione non ha riscontro sulla cartografia IGM, dove è usato il toponimo Belvedere, corretto sulla carta CAI in P.so del Belvedere.

5. Procedendo dal valico in direzione est, si incontra, lungo la sterrata che sale dalla strada provinciale del Vasto, la fonte dei rignìtti (1750 m), senza nome sulla cartografia IGM, emendato in F.te Rignitti sulla più recente carta del CAI. Il toponimo viene interpretato come nomignolo dato agli abitanti di Aragno, 'Aragnetti' (così anche nella I edizione di queste note, sul Bollettino III serie, n° 32), ma più verosimilmente si tratta di un diminutivo del noto termine vregno 'vasca per abbeverare gli animali, truogolo', con plurale metafonetico.

6. Più avanti, è il ricovero che si trova alla testata (1713 m) del vallone di fùssu nìzzola, tributario della valle del Vasto, poco sopra una sorgente. Il toponimo dipende dall'appellativo dialettale nizzola 'moscardino', ed è ripreso dalla designazione Fossonìzzola, presente sulla cartografia IGM.

7. Il costone ad est del ricovero, aggirato con una secca curva dalla sterrata, è chiamato dai locali di Arischia la smèrza, con un termine che risulta da un prefisso s- (latino ex) applicato alla voce mmèrza, a sua volta risultato di anversa, 'luogo posto di fronte', dalla locuzione latina (terra) adversa. Il motivo di tale designazione è che il lato sud del costone si trova 'dirimpetto' all'eremo di San Franco, al di là dell'omonimo fosso. C'è da ricordare che lo stesso costone, più in basso, è chiamato dai locali di Camarda còlle egliu véndu, ossia 'colle del vento', per via dei forti venti che vi soffiano, e da questo nome deriva il toponimo riportato sulle carte IGM, C.le del Vento.

8. Poco a monte della strada provinciale del Vasto, a quota 1423 m, si trova una casetta segnata anche sulle carte IGM che conserva presso i locali il nome di jàcciu e caròfanu, da una voce dialettale del tipo jaccio 'stazzo, ricovero', dal latino iacere. La specificazione del toponimo è invece un personale locale, un soprannome, ripreso nella designazione 'ufficiale' come Garofano. Recentemente, è stato edificato nella stessa zona un fontanile.

9. Al di là del fosso 'dei lumetti', già citato in precedenza, scende dalla cresta sommitale il primo di tre stretti costoni che si allargano solo a monte della strada provinciale. Si tratta del còlle elle vàcche, un colle nel senso specifico di 'costone', che dal basso sembra un'altura a sé stante. Il secondo crinale è il còlle bianghìnu, chiamato così anche sulla cartografia IGM (C.le Bianchino), dal nome dialettale del 'pioppo bianco'. Il terzo costone è, infine, il còlle ella confìna, sul quale passavano i confini comunali fra Arischia (ora L'Aquila) e Pizzoli.

10. Fra gli ultimi due costoni dei tre appena citati, passa il sentierino detto della janzàna, ovvero della genziana, un fiore diffuso a queste quote. La viarella tocca diverse sorgenti che si trovano appena a valle della vetta, fra le quali, in tenimento di Arischia, la Sorg.te Rotiglione e la Sorg.te Serre.


La Valle di San Franco

11. La parte alta della valle del Vasto comincia dalla confluenza, a quota 1203 m di due valloni. Il ramo che confluisce da sinistra è apportatore di acque, scendendo dalla sorgente che si trova nei pressi dell'eremo di San Franco. Nella parte bassa, inoltre, si trova la sorgente di fónde renósa, segnata anche sulla cartografia IGM, come F.te Renosa che, in effetti, è un toponimo derivato da rena 'rena, sabbia', che è una caratteristica morfologica del sito. Nei pressi, ma l'esatta collocazione non è stata identificata, si trova anche una fónde manéru, che prende il nome da quello del manéru, un 'mestolo di legno' usato per versare l'acqua.

12. Il fosso che confluisce alla destra è più lungo, avendo la testata più di 2 km a monte. Seguendolo, si ha sulla destra (nord) la solàgna ella fòja, ovvero i pendii che guardano a sud (il termine solagna indica per l'appunto un luogo esposto a sole, cioè a sud), nei pressi di una località fòja che a giudicare dal nome, il quale riflette il latino fovea, 'fossa', sarà da collocare nell'insellatura fra il cocuzzolo che domina la Fonte Renosa (1354 m) ed il costone che scende dal ricovero di Garofano. In corrispondenza di questo avvallamento (una 'fossa') le carte IGM segnano, infatti, dei coltivi.

13. Sulla sinistra (sud) della valle, dirimpetto alla confluenza, c'è il crinale di còlle fargóne, che culmina con una spianata a quota 1390 m. Il toponimo è correttamente C.le Falcone sulla cartografia IGM, e deriva dal nome dell'animale, diffuso in queste aree montane.

14. Più oltre, si estende il caratteristico bosco della soloétta. Come dice il nome, che va interpretato come un diminutivo di selva, si tratta di un bosco ceduo. Il significato 'tecnico' associato al tipo toponimico selva è, infatti, 'bosco dove si fa legna', in contrapposizione con altre denominazioni specifiche per diversi tipi di bosco. Va inoltre detto che il valloncello che solca il lato orientale del boschetto è noto ad Arischia col nome di fùssu ella soloétta.

15. Sul lato destro orografico (sud) della valle, passa anche l'antica mulattiera del Vasto, che va a risalire tutto l'impluvio fino a Sant'Antonino. Il tratto percorso su questo lato è conosciuto come le pacìne, utilizzando la voce comune per indicare i versanti esposti ad ombra - pacina, dal latino (terra) opacina -, ma la designazione è assente sulla cartografia IGM.

16. Più a monte, la valle riceve da sinistra il fosso 'dei lumetti', oltre il quale si stringe nel tratto detto la pappalórda. Si tratta di un nomignolo che riprende il nome del pastone per gli animali, in modo speciale per il maiale, ma l'origine di tale designazione non è nota. Il toponimo usato sulla cartografia IGM per indicare questo tratto della valle del Vasto, F.so della Pappalorda, dipende dal nome dialettale.

17. Il cocuzzolo (1481 m) che svetta appena a sud della provinciale del Vasto (km 13,600), a ridosso del tratto più stretto della valle, è il còlle ella cróce. Anche le carte IGM riportano il toponimo C.le della Croce, e pare che una croce, forse di legno, dovesse trovarsi sulla cima del cocuzzolo. Di poco più bassa, verso la strada, è invece la località le jettarèlle, che prende il nome da qualche casetta rurale, dette in loco jetta (dal latino adiecta), della quale dovrebbero ancora essere visibili i ruderi, segnati sulla cartografia IGM.

18. L'ultimo chilometro della valle è contraddistinto da una fitta rete di sentieri, sterrate e mulattiere che si intersecano fra di loro. Salendo, sulla destra si devia per guadagnare la provinciale e l'innesto della sterrata che va al valico della Piana dei Cavallari. Sulla sinistra si innalzano i primi contrafforti della montagna della Stabiata. Da questo lato, su un'esile crestina, si trova l'àra degliu còlle, uno spiazzo sufficientemente largo per effettuare la trebbiatura dei cereali coltivati nei più alti coltivi della zona, cioè un aia nel senso 'tecnico' del termine, piuttosto che un semplice slargo. Il colle citato dalla designazione è il vicino còlle elle spiàzze (1504 m), nome riportato anche sulla cartografia IGM che ancora richiama il concetto di spiazzo.

19. Questo ultimo tratto della valle si fa più profondo rispetto ai dossi circostanti. Per questa ragione geomorfica assume il nome di vàlle egliu cùpu, dal sostantivo cupo che indica una 'valle incassata, forra'. Alla testata, oltre la cappella di Sant'Antonino (1455 m), c'è la fónde egliu cùpu, anche detta egliu cùpe, con una oscillazione fonetica (come in lùpe per lùpu) tipica della zona di Arischia, dove forse nel passato si parlava un dialetto affine a quello della valle del Raiale. Questa sorgente è riportata sulle carte CAI, come F.te del Cupo.


La Montagna della Stabiata

20. Nel complesso di monti, per lo più nudi e sovrautilizzati in passato per il pascolo, che si estendono a sud della valle del Vasto, spicca per altezza la stabbiàta, culmine di una catena che si trova in territorio di Collebrincioni, ma le cui propaggini più orientali appartengono ad Arischia. Il nome di questo monte coincide con quello storico ed ufficiale, riportato sulla cartografia IGM come M. Stabiata, e deriva dalla voce stabbio 'luogo concimato (e coltivato)' (latino stabulum), in quanto presso la cima il carico pascolativo deve essere stato notevole.

21. Il settore pertinente ad Arischia comincia, lungo la sterrata Arischia-Collebrincioni, dopo la confluenza nel Fosso di Fonte Nera del lungo e selvaggio vallone del feró. Questo nome, F.so del Ferone sulle carte IGM, andrà piuttosto interpretato come forone, da foro, che è un non raro idronimo, indicante valloni incassati, forre, come l'equivalente bùcio. La voce dialettale feró puó invece indicare un animale selvaggio, una grossa 'fiera'.

22. Dopo una breve deviazione per il Casale Ciano, la sterrata comincia una serie di tornanti che portano nella zona detta le retòrte, dove sono alcune casette ad anche un boschetto. Il toponimo deriva dalle svolte compiute dalla vecchia mulattiera preesistente alla sterrata, essendo un nome intensivo (prefisso re-) dell'aggettivo torto 'curvo'. La cartografia IGM riprende questa designazione, come le Ritorte.

23. Proseguendo lungo la sterrata, si perviene dapprima al bivio con un sentiero che permette di scendere alla località detta castellòmmera, individuata da una costruzione a quota 1108 m a ridosso della Valle di Fonte Nera, ai margini di un boschetto di mandorli. Il toponimo dialettale, assente sulla cartografia IGM, richiama la presenza di una qualche fortificazione, e presenta una specifica che può derivare dal latino glomus, -eris 'gomitolo', forse con riferimento al tortuoso fosso sottostante.

24. Più avanti, si entra nella località sandujànni, a confine con Collebrincioni, che è una valletta tributaria della Valle di Fonte Nera, coltivata, dove erano delle casette. L'agionimo è Santo Ianni, versione locale di San Giovanni, che è il nome riportato sulle carte IGM. Forse il nome della località ha a che fare con il toponimo còlle ella chjésa, registrato a Collebrincioni, che si applica ad un cocuzzolo (1181 m), proprio ai margini della contrada.

25. Dalle Ritorte, invece di continuare lungo la sterrata, si può deviare sulla sinistra, risalendo con una mulattiera l'ampio costone di fatubbiànu, sul quale sono campi e qualche casale, dei quali uno è segnato sulla cartografia IGM come C. Fatubiano (1329 m). Il nome è riferito, dapprima, alla località coltivata, giacché ha evidentemente origine prediale con il tipico suffisso -anus, da un personale che è però oscuro.

26. Il casale di Fatubiano è situato a ridosso di un dirupo che si apre sul sottostante fùssu e camàrda, che solca i ripidi bastioni a sud della cimata della Stabiata. Non è però chiaro se l'appellativo camarda dipenda dal nome del vicino paese, il cui territorio comunale confinava, per tramite del tenimento di San Pietro della Ienca, con quello di Arischia, o è del tutto autonomo, ed allora rifletterà la stessa voce che è anche alla base del nome di Camarda.

27. Al di là del vallone, si estende un piccolo promontorio (1376 m) al quale la cartografia IGM dà il nome le Sìole. Ma si tratta piuttosto del càpu le sìole, con l'appellativo sìole che è derivato di una voce latina silvula, diminutivo con suffisso atono -ulus di silva 'selva, bosco dove si fa legna', e si riferisce ad una minuscola porzione di bosco che si trova più a valle (1171 m), verso la zona di Santo Ianni.

28. A monte di Fatubiano, si guada alla testata un valloncello che si getta nel fosso del Ferone, che prende il nome di pàgu egliu fìlu, ripreso anche dalla cartografia IGM, nella versione Rio Pago del Filo. Il termine pago sarà utilizzato nell'accezione originaria di 'termine (di un territorio rurale)', mentre per quanto riguarda la specifica filo, essa sembra possedere in alcuni dialetti un significato di 'margine', semanticamente affine alla locuzione italiano filo di cresta, il chè renderebbe il toponimo composto quasi una tautologia.

29. Oltre il fosso, si perviene nella pianetta un tempo coltivata della màcchja elle pére, che prende il nome dalla boscaglia (macchia) che ivi si trovava forse prima della messa a coltura. Più in basso, verso il fondo del vallone del Ferone, i coltivi lasciano il posto agli impervi dirupi delle scùrole. Tale toponimo, presente sulle carte IGM (le Scùrole) è derivato dell'aggettivo scuro nel senso di 'cupo, profondo', attraverso un diminutivo atono.

30. Continuando a salire lungo la mulattiera si raggiunge in breve la sorgente dell'àcqua frédda (1403 m), che si trova in uno dei valloncelli che danno origine al vallone del Ferone. La fonte è riportata sulla cartografia IGM, come F.te Acqua Fredda, e trae il nome dalla caratteristica dell'acqua sorgiva.

31. Dalla fonte, la mulattiera si biforca: un ramo risale oltre il valloncello verso le Case Micantoni ed il Colle delle Spiazze, mentre deviando verso destra, si risale l'impluvio fino ad uscire sulla spianata delle pratèlla, sul crinale nordovest della Stabiata. Il toponimo le pratèlla è femminile plurale, ma in origine neutro plurale, ed è diminutivo di prata 'pianura coltivata'. La cartografia IGM riporta correttamente il nome le Pratelle, nonché il toponimo C.le delle Pratelle attribuito all'elevazione (1546 m) che chiude a nord la piana. Questo colle è invece chiamato dai locali di Arischia ju còlle ella ròscia, poiché si trova in cima all'impluvio della ròscia, un fosso che confluisce nel vallone del Ferone all'altezza delle Case Micantoni. Quanto al nome roscia, esso deriva presumibilmente dal latino arrugia 'galleria mineraria', di provenienza iberica.


La montagna delle Macchie

32. Il crinale alle cui pendici si trova Arischia fa parte del complesso della montagna delle Macchie, la cui cima si trova in tenimento di Marruci. Seguendo la statale n° 80 fuori dal paese, si passa a monte del lungo pendio delle piàje, che va dal cimitero di Arischia fin oltre il primo tornante della statale, verso la fonte della Vece. Tale toponimo va riferito al tipo piaia, che riflette il latino plagia, a sua volta prestito dal greco, che significa 'fianco di monte, riva di un fosso', spesso incolto, in contrapposizione ad una costa che invece è coltivata.

33. Dopo il primo tornante, fra il km 15 ed il km 16 della statale, si passa sotto l'importante elevazione di mónde òme, o mónde òmo, che è la montagna 'domestica' di Arischia. Il toponimo è riportato come M. Omo sulla cartografia IGM, ma esso piuttosto riflette un appellativo domo, ossia 'casa' o nel senso altomedievale di 'pieve' o in quello più probabile di 'proprietà rurale, fundus'. Tale designazione si ritrova nei documenti medievali (in Domo) ad indicare un vasto territorio compreso fra il fiume Aventino ed il fiume Sangro, in provincia di Chieti, comprendente gli attuali centri di Pennadomo e Montenerodomo.

34. Poco prima del pónde òmo (974 m), sulla destra si trova l'imbocco dell'antica via che porta i locali di Arischia in montagna. Oggi questa mulattiera (sentiero P del Parco Nazionale sulla guida Arca) attraversa per lo più una vasta pineta di rimboschimento, uscendo allo scoperto dopo aver guadato il fùssu elle macchjòle, un arcuato vallone che prende il nome da quello della località le macchjòle, che si trova più a valle, a ridosso del Fosso della Vece. Attualmente anche questo colle è in buona parte occupato dai pini, ma anteriormente al rimboschimento doveva essere un costone sodo e caratterizzato da rada boscaglia. Il termine macchia, infatti, dal latino macula 'macchia', indica in toponomastica una 'boscaglia intricata', nella quale non si va a fare legna.

35. Dopo il guado del Fosso delle Macchiole, come già detto si esce allo scoperto alla piàna ella mbìcca, un ripido costone che viene aggirato fino alla spianata sommitale. Il nome sembra formato dal termine piana, che indica il tratto pianeggiante di una via, e di un appellativo che può rientrare nella serie dei nomi del tipo becco, picco, che significano 'punta'. A quota 1290 m, le carte IGM riportano dei ruderi, probabilmente di casette.

36. Una seconda piana si trova poco avanti, ed è la piàna ella mòla, il cui nome riprende quello dialettale della 'macina'. Anche su questo tratto a mezza costa si trova un rudere, a quota 1299 m. Ci si trova alle pendici del dosso detto sèrra retónna, per via della forma arrotondata, la quale culmina con il cocuzzolo (1527 m) del péschju pezzùtu. Si tratta di una cimetta rocciosa, visto che il termine peschio, molto diffuso, ha il valore di 'macigno, punta rocciosa'. L'aggettivo che specifica il toponimo è invece pizzuto, ossia 'aguzzo, appuntito', da pizzo 'punta'.

37. Più avanti, a quota 1392 m, si guada il breve fùssu e nucìcchja, che più a valle confluisce nel fosso del Ferone. Il toponimo dipende dal nome della località nucìcchja la quale, come indica pure la cartografia IGM, è un cocuzzolo (1349 m) che si eleva sotto la mulattiera. Il nome deriverà dalla forma del colle, che richiama quello di una piccola noce.

38. Si giunge così all'importante sorgente della fónde de ìnnole (1461 m), riportata anche sulla cartografia IGM col nome F.te Ovindoli. In effetti il nome della sorgente sembra lo stesso del paese in provincia dell'Aquila, Ovindoli, il quale deriva da un personale romano-germanico, Guindulus, attestato in documenti altomedievali. Lo stesso nome è stato usato nel designare la cima che si trova sopra la sorgente, la quale è detta còlle ìnnole per i locali, e C.le Ovindoli sulle carte IGM, ma è un po' tutta l'area che viene semplicemente detta ìnnole.

39. A valle della mulattiera, si trovano a questo punto i profondi burroni che sulla cartografia IGM sono chiamati Terra Ardenza, ma dai locali detti ji àuzi, ovvero 'i balzi'. Il latino balteum, infatti, originariamente significava 'cintura', ma in toponomastica è traslato ad indicare un 'dirupo', forse perché delimita, 'cinge', un terreno praticabile. Quanto al toponimo Terra Ardenza, esso sembra richiamare un altro personale romano-germanico Ardengus, che ha pure dato il nome a Civitaretenga (Aq), ma presso i paesani tale toponimo non è stato riscontrato.

40. Continuando lungo la mulattiera, si supera lo sperone che conclude ad est la cresta delle Macchie, passando sul versante rivolto a nord. Qui, a pacina, si trovano i coltivi delle pràta, e pure diversi mandroni. La località è chiamata le Prata anche sulla cartografia IGM, il nome essendo un riflesso del termine prata, in origine di genere neutro, che indica una 'pianura coltivata'. In cima sulla cresta delle Macchie, invece, a confine con Marruci, si trovano ji cóppi, un'alternanza di dossi (1552 m, 1569 m, 1579 m) ed insellature, fino alla cima più elevata che appartiene a Marruci. Va ricordato che ad Arischia il termine coppo ha un valore oscillante fra quelli di 'dosso', cioè una 'convessità' del terreno, e di 'avvallamento, concavità'.

41. Un altro coppo si trova più avanti lungo la mulattiera, ed è ju cóppo egliu mìlu, oltre il quale si scende decisamente nella vàlle egliu mìlu, che è la parte più alta del fosso del Ferone. La cartografia IGM riporta solo il toponimo Valle del Melo, e tale designazione dipenderà da qualche albero di melo selvatico presente nella zona (il melo veniva piantato in associazione al seminativo).

42. La parte più bassa della Valle del Melo dovrebbe essere la famosa vàlle sarracciàno dove, secondo una diffusa tradizione, sarebbero stati seppelliti quei saraceni (arabi) che, venuti dal Meridione per fondare l'abitato di Arischia nel sec. X, non vollero convertirsi al cristianesimo.


Per la seconda parte di questo capitolo, ci si avvale dei toponimi riscontrati in un sopralluogo preliminare ad Arischia, ma soprattutto di quelli presentati nell'articolo La toponomastica, di E. Beccia, A. Ragone e C. Tobia, riportato nel volume Fuori porta la montagna. Area storico-naturalistica del comune dell'Aquila, realizzato dal Gruppo culturale 'L'Arca' di Arischia, Andromeda Editrice, Colledara, 1998.


La regione del Macchione

43. L'ampia regione che si estende a est dell'abitato di Arischia è formata da un tavolato culminante con la quota 1263 m, caratterizzato da una intricata alternanza di vallecole, funni e collinette. Il nome della regione è ju macchjó per i locali, ovvero il 'macchione', da macchione 'boscaglia intricata', dato che ancor oggi, nonostante l'intenso sfruttamento pastorale, rimangono alcuni boschetti, per lo più di roverella. La cartografia IGM riporta il toponimo Macchione, nonché altri da esso dipendenti. Un cocuzzolo che si eleva alquanto defilato rispetto alla parte centrale del tavolato (1213 m) è indicato col nome C.le Macchione, a cui dovrebbe corrispondere la designazione dialettale còlle egliu macchjó. La valle che chiude il pianoro in direzione sud, tributaria del Fosso della Vece, è indicata come Valle del Macchione, ma la dizione dialettale per questa valle è piuttosto mallassàna, una formazione che dovrebbe corrispondere a 'Valle Vassana', cioè 'valle di (un) Basso', dal personale latino Bassus, con una formante -ana tipica dei prediali. Del resto, anche sulle carte IGM tale deisgnazione compare, però nella svisata versione Malassano. Il toponimo vàlle egliu macchjó citato dalla guida 'Arca' potrà invece, se non è influenzato del toponimo 'ufficiale', riferirsi alla testata della valle, che compie una stretta curva ad U, col vertice in corrispondenza della casetta Fioretti (1152 m). A favore di questa ipotesi, il fatto che la conca a monte della casetta, racchiusa fra filari di noccioli, è chiamata fùnnu egliu macchjó, sempre secondo la guida 'Arca', laddove fùnnu è il dialettale per fundus, 'fondo, vallecola coltivata'. Infine, nella località indicata sulla cartografia IGM come Aia Raione si dovrebbe trovare una vera aia per la trebbiatura dei cereali, un tempo coltivati proprio nel suddetto fondo. Tale aia è detta dai locali l'àri egliu macchjó.

44. Altre casette si trovano ancora in piedi nella zona del Macchione. La guida 'Arca' cita le seguenti: le casétte e mericànu, ruderi a quota 1233 m, segnate ma senza nome sulla cartografia IGM, da un soprannome 'Americano'; la semidiruta casétta e congéssu (1197 m), segnata ma senza nome sulla cartografia IGM, da un appellativo derivato da cesa 'bosco ceduo' o 'debbio', tramite un prefisso intensivo cum- (che si confronterebbe con una omofona località nel piano di Cascina), o da un personale locale; la casétta e scarnìcchja, con vicino un aia lastricata in pietra, che corrisponde alla C. Gizzi riportata sulle carte IGM a quota 1238 m; la casétta egli ottóri (1176 m), anch'essa senza nome sulle carte IGM, 'dei dottori'. E' un rudere invece la casetta Beccia, visibile in cima alla valletta del Fondo del Macchione, a quota 1190 m. Secondo la nostra indagine, questa zona è anche conosciuta col nome la piàna e béccia.

45. Fra gli itinerari proposti nella guida 'Arca', quello più settentrionale è il n° 1B, il quale corre ai margini del Parco Nazionale. Usciti dal paese, con una stradina asfaltata si perviene alla chiesetta cimiteriale di Santa Maria della Cona, per scendere poi alla notevole fontana monumentale F.te degli Archi, in loco detta semplicemente j'àrchi (794 m). La fonte risale al sec. XIII-XV, ed ha una facciata in pietra con tre grossi archi, da cui il nome.

46. Proseguendo lungo una strada campestre, si tocca la località perélla (805 m), forse chiamata così per qualche albero di pero che si trova nelle vicinanze, lasciando sulla destra il piccolo pianoro delle pràta. Questo nome , di genere femminile, deriva dal neutro prata del latino pratum 'prato', ma ha assunto col tempo il significato specifico di 'piano coltivato'.

47. Seguendo il corso della valle, si percorre la località puzzìgliu (837 m), 'pozzillo', dove si incontra il tracciato dell'acquedotto, e si giunge in circa 1 km all'importante fonte della éce, ossia F.te la Vece, come è chiamata sulla cartografia IGM (875 m). Dal nome della sorgente deriva anche quello della valle sottostante, che si perde poco sotto Arischia, ju fùssu ella éce. Quanto al termine vece, esso ha un significato 'tecnico' di 'porzione di terreno seminativo di competenza del villaggio', ma con diverse sfumature da zona a zona. In effetti la fonte si trova a monte di un grosso sistema di coltivi seminati che comprende, a parte qualche boschetto, tutto il territorio pedemontano da Arischia a San Vittorino.

48. Nei pressi della sorgente, la valle riceve sulla destra orografica il fosso del Ferone, e da questo punto viene più comunemente detta fùssu de fónde néra, dal nome della seconda sorgente che si trova ben più a monte (1128 m), ai confini col tenimento di Collebrincioni. Questa si trova ai margini del Parco Nazionale, ed è correttamente chiamata F.te Nera sulla cartografia IGM, il toponimo derivando dal colore scuro dell'acqua. Le stesse carte, però, indicano la valle suddetta col nome di Valle Formaliscia, mentre è risultato che per i locali di Arischia il nome fórma lìscia si applicherebbe piuttosto alla costa boscosa a sud della valle. Questo toponimo contiene l'appellativo forma 'fossa, canale' che deriva dalla nomenclatura dei mulini, oltre all'aggettivo liscio che può anche essere interpretato come un sostantivo, liscia 'lastrone di pietra liscia'.

49. Dopo una breve salita, si guadagna una viarella che scende nell'amena valle di pratucciólu, tributaria della valle di San Giuliano. Il toponimo, come il nome del vicino còlle pratucciólu (1205 m) che da questo dipende, è formato da un derivato di prato, usato nel senso originario di 'prato', ossia 'terreno ad erba medica, trfoglio, ecc.', e si adatta a località umide. La cartografia IGM riporta sia il nome Praticciolo che quello di C.le Praticcolo che ha forse influenzato la citata dizione dialettale.

50. Sulla destra, in cima alla crestina di còlle pratucciólo, si trova la diruta Casetta Palombo (1183 m), mentre al di là della cresta si apre l'imbuto della canalécchja, a confine con Collebrincioni, che fa parte del sistema prativo di Santo Ianni. Quanto al nome, esso è un derivato di canala, in origine 'grondaia', ma in toponomastica 'fosso che porta acqua'.

51. Proseguendo lungo la valle di Praticciolo con l'itinerario 1B, si incontra sulla destra il breve solco della vàlle còrna, che costituisce una piccola contrada seminativa. Come altre designazioni analoghe (relative a fiumi, torrenti, ecc.) il nome, riportato come V. Corna sulla cartografia IGM, può dipendere dalla forma arcuata della valle, che ricorda quella di un corno.

52. Abbandonando il sentiero 1B, che si addentra in tenimento di Collebrincioni, si può guadagnare l'itinerario 2B che percorre tutta la cresta dell'altopiano del Macchione. Questa, scendendo dalla cima di quota 1254 m, si sviluppa con il roccioso pàcu elle màcchje (1243 m), senza nome su IGM, che domina i ruderi di una casetta (1228 m). Il termine pago è utilizzato anche altrove in quello che sembra un traslato geografico rispetto al senso originario di 'confine di un territorio rurale, cippo'. In area aquilana, infatti, piuttosto che il significato burocratico di 'territorio rurale', pago indica delle cime svettanti di monte. Occorre aggiungere che la specifica màcchje si confronta con il toponimo macchjóne che si applica a tutta la regione.

53. Scendendo in direzione ovest, si incontra l'amena vàlle tomé, prima aperta poi ricoperta da vegetazione, che si getta nel Fosso della Vece in corrispondenza della località puzzìgliu. Il nome della valle riprende un cognome locale, Tomei, come riporta la cartografia IGM, che ha Valle Tomei. Dentro il fosso, si trova la sorgente delle fondanèlle pezzàte (978 m), il cui curioso nomignolo alluderà a qualche caratteristica morfologica che ci è ignota. Comunque, la versione riportata sulla cartografia, F.te Pezzate, non rende la familiarità con la quale i locali chiamano la sorgente.

54. Scendendo lungo l'itinerario 2B, occorre portarsi alla sinistra della Valle Tomei, sulla pietrosa cresta di cistèrna, sulla quale non vi è però traccia della cisterna che le ha dato il nome, il quale è così riportato anche sulla cartografia IGM, Cisterna. La parte basse di questa cresta è coperta da una rada boscaglia, mentre sul versante che guarda a sud c'era forse qualche coltivo, ma ora la zona è incolta con mandorli.


La montagna di Pago Martino
55. La seconda montagna, allineata in direzione nordovest-sudest, della regione compresa fra Arischia, Collebrincioni e L'Aquila, che è stata recentemente battezzata 'Area Verde Fuori Porta la Montagna', è la cresta di pàcu martìnu, culminante con delle roccette a quota 1272 m (ma il punto trigonometrico, e il toponimo IGM Pago Martino è a quota 1270 m). Come per altri toponimi del tipo pago nella zona, l'origine di questa designazione sarà da cercare più nella forma della cimata, che fa pensare ad un 'termine' (latino pagus), che ad un 'villaggio' od insediamento rurale presupposto dall'accezione burocratica, altomedievale e tardoantica del termine.

56. Dalla cima, si staccano in direzione ovest due nude crestine. Quella più a nord è delimitata dalla faggeta della Valle Bassana (mallassàna), nella quale si trovano, a quota 1070 m, le rùtti e pataccó, riportate anche sulla cartografia IGM col nome Grotte di Pataccone, che deriva da un soprannome locale. Più in basso, la cresta si allarga nelle pendici che si affacciano sulla contrada seminativa delle Prata, e prende il nome di jàcci lùnghi, poiché vi si trovano diversi mandroni per gli animali, a partire da un panoramico cocuzzolo (1178 m) fino alla rada boscaglia pedemontana.

57. La cresta meridionale, invece, si abbassa dalla cima con il còlle egliu bòe (1204 m), segnato come C.zo del Bove sulla cartografia IGM. Questo toponimo apparentemente riprende il nome del 'bove', ma va ricordato che molte designazioni analoghe sono paretimologiche, derivate dalla sovrapposizione del nome bove ad uno molto antico, bova, dal significato di 'sprofondo'. E' questa, ad esempio, l'origine del nome di Bova (Rc), così come quella del Monte Bove, nel gruppo appenninico dei Sibillini.

58. Fra le due creste, si apre un profondo fosso, interessante dal punto di vista naturalistico, che la guida 'Arca' battezza Fosso di Pago Martino. Sul versante destro del vallone si trova la casétta e nucicannaìnole (998 m), segnata sulle carte IGM, ma senza nome, il quale è un composto di noce 'noceto', e di un diminutivo di cannavina 'canapina, terreno umido adatto alla coltivazione della canapa'.

59. Proprio sotto la cima di Pago Martino ci sono poi altre due casette semidirute, la casétta egli quagli (1229 m), segnata con pozzo sulle carte IGM, da un cognome Quagli o dal relativo zoonimo, e le due importanti casette appaiate dette le rùtti egli stìcchi (1194 m), più ad est alla fine della cresta sommitale, con vicino un boschetto di mandorli e noci. In quest'ultima designazione, il termine rùtti, formalmente 'grotte', assume il significato locale equivalente a casetta, perché la costruzione utilizza in parte uno sgrottamento naturale.

60. Una propaggine molto defilata della cresta di Pago Martino è costituita dal cocuzzolo di còlle ribbàrdu (1209 m), che domina il gomito della Valle Bassana (mallassàna), collegandosi orograficamente all'altopiano del Macchione. Quanto al nome, che si confronta con una analoga designazione presso San Vittorino, dipenderà da un personale franco-normanno Ribaldus o da un germanico Rikbalt, come puntualizza la guida 'Arca', e vale quindi il C.le Ribaldo riportato sulla cartografia IGM.

61. Il versante meridionale della cresta di Pago Martino è occupato dai pascoli di solégliu, che guardano la regione di Casci. Quanto al toponimo, si tratta di una designazione parallela a soleìgliu, citata dalla guida 'Arca', la quale riflette un diminutivo in -illus di selva 'bosco (dove si fa legna)', e quindi si confronta con quanto riportato dall'IGM, Selveglio. Nella versione solégliu, c'è stato incrocio con l'appellativo sole di termini come solagna, ecc., visto che il pendio, ora nudo, è esposto a sole, a sud.


La regione di Casci
62. La regione più frequentata e nota dell'intero tenimento montano di Arischia è indubbiamente l'allungata valle carsica di càsci. Tale toponimo indica un po' tutta la regione, mentre la variante màlle càscia è limitata alla zona indicata sulla cartografia IGM come Valle Cascio, entrambi essendo derivati dal personale latino Casius. Il primo nome è infatti la versione senza suffisso del personale, declinata al caso locativo in -i, come è la norma per i prediali non suffissati, ad esmpio Ari (Ch), mentre in màlle càscia si trova una aggettivazione del nome, al femminile per concordanza con valle.

63. Dal toponimo càsci dipendono altre designazioni nella zona. In primo luogo, il nome dell'imbuto carsico, separato da màlle càscia da una stretta soglia, il quale fa parte del bacino idrografico della valle di San Giuliano. Tale pianoro è detto ji pùzzi (e càsci), con riferimento alla morfologia, ma anche alla sorgente che ivi si trova, a quota 965 m. Inoltre, le boscose pendici che guardano la piana da sud sono note, secondo la guida 'Arca', con il nome le pacìne (e càsci), che si confronta con quello riportato sulla cartografia IGM, la Pacina, e che deriva dall'appellativo pacina, dal latino (terra) opacina, 'luogo in ombra, esposto a nord'.

64. La citata soglia carsica che divide i due settori di Casci è formata dal cocuzzolo del còlle ella rosétta (1052 m), indicato come C.le della Rosetta sulla cartografia IGM. Il toponimo è chiaramente un derivato di rosa, la 'rosa canina', e probabilmente si tratta di una formazione collettiva, col suffisso -eta femminile, analizzata per paretimologia come un diminutivo in -etta.

65. Sotto la cima del Colle della Rosetta, sulla sella che lo salda al costone di Pago Martino, si trovava l'àra elle nùci, una vera e propria aia per la trebbiatura dei cereali che si coltivavano nella contrada seminativa di Casci. La specifica richiama la forte presenza di alberi di noce nella zona.

66. Dirimpetto al Colle delle Rosetta, c'è un altro dosso che si stacca dal costone meridionale di Pago Martino. Si tratta del còlle elle castàgne (1091 m), così chiamato da un boschetto di castagni (in dialetto castàgne 'castagneto') che ancora esiste sul versante orientale, donde la versione 'ufficiale' del toponimo, C.le dei Castagni. In cima a questo colle si trova la casétta e minicó (1088 m), una delle meglio conservate della zona, di grande valenza architettonica.

67. Altre casette sono concentrate nella zona di Colle Rosetta, e precisamente: la casétta egli stìcchi (1022 m), che richiama nel nome le rùtti egli stìcchi presso la cima di Pago Martino, la casétta egli mògari (1009 m), le quali due sono le meglio conservate; ed inoltre la casétta e gioacchìnu (1000 m) e la casétta e marrunàru (1027 m), tutte designate a partire dal nome dei proprietari.

68. Anche sul versante a solagna sui Pozzi di Casci, a quota 974 m, si trova un insediamento, denominato le rùtti egli mataràzzi. Questo versante si compone di diverse località, a partire dalla parte alta della valle di San Giuliano. Il primo crinale, ad est, è quello del morcó, così chiamato per via di un cocuzzolo che vi sporge (1041 m) e che richiama nella forma un 'mutilo', un tronco tagliato, in latino murcus, confrontandosi col nome di Morcone (Bn).

69. Più ad ovest, c'è il largo crinale delle porcarécce, chiamato allo stesso modo anche sulla cartografia IGM, Porcarecce, con un nome che indica un 'luogo adatto al pascolo brado dei maiali', diffuso in epoca altomedievale.

70. A monte del recente pozzo di raccolta situato ai margini occidentali dei Pozzi di Casci, c'è un valloncello che la cartografia IGM chiama le Cese. In effetti, secondo la guida 'Arca', il toponimo le cèse è noto ai locali di Arischia, e deriverà dal fatto che vi si trovano minuscole porzioni di bosco ceduo (è questo uno dei significati del termine cesa).

71. In direzione del Colle della Rosetta, scende dalla cimata di Pago Martino un vallone che sembra non avere un nome presso i locali, mentre viene chiamato Valle Iannandrea, da un qualche personale, sulla cartografia IGM. Alla sua testata sono le rùtti egli stìcchi, mentre sul versante occidentale è un grosso casale diruto di cui si è perso il nome originario.

72. La regione di Casci è percorsa interamente dall'itinerario n° 8B proposto dalla guida 'Arca'. Esso parte come carrareccia dalla Fonte degli Archi e supera la contrada seminativa della piàja, su IGM la Piaggia, da non confondere con la quasi omofona contrada le piàje, la quale si trova invece sotto la statale n° 80. La carrareccia compie poi alcune svolte per salire alle vecchie alberate (mandorli) sopra la località schìtu (907 m). Questo toponimo, diffuso anche a Collebrincioni, riflette una formazione latina collettiva aesculetum 'eschieto, bosco di querce d'alto fusto', da aesculus, attraverso aferesi, passaggio del nesso -sc(u)l- in -schj-, e metafonia del suffisso -etum. La cartografia IGM riporta una versione non etimologica del nome, Schito, la quale si confronta col nome di Schio (Vi).

73. E' ineteressante notare che verso la cima dello schìtu si trova una radura (890 m) chiamata, secondo quanto riporta la guida 'Arca', caroségliu. Tale toponimo è un diminutivo (suffisso -ello, metafonetico) dell'aggettivo sostantivato caroso 'tagliato, pelato', e si riferisce alla porzione libera dalla vegetazione, in opposizione quindi al fitonimo schìtu.

74. Terminati i tornanti della carrareccia, si passa sotto la spianata del cannàru, culminante con la quota 944 m, indicata sulla cartografia IGM come C.le Cannaro. Quanto al toponimo, si tratta di un fitonimo derivato da canna, attraverso un suffisso aggettivale -aro (latino -arius, italiano -aio). Secondo la guida 'Arca', la cimetta in questione è anche nota come càpu ju cannàru, con capo che indica 'la parte alta' di una zona, un sentiero, ecc.

75. Passando a mezza costa sotto il Cannaro, si giunge a guadare a quota 863 m il fosso del parahó, il cui nome, come indica la cartografia IGM che lo riporta come V. del Paragone, riprende la voce dialettale parahóne 'cote, pietra per affilare', che discende dal greco parakone. L'origine del toponimo sarà allora dovuta al fatto che la valle è particolarmente sassosa.

76. Oltre il guado, si entra nella località masciarégliu, tradotta come Massariello sulla cartografia IGM, trattandosi proprio di un toponimo derivato dalla voce dialettale per massaro, che può essere anche un soprannome locale. Sulla destra (sudovest) c'è una deviazione per la contrada delle fiocàra, nella quale c'era la nota àri elle fiocàra, sulla spianata a quota 867 m. In tale aia convergeva la trebbiatura di tutta la produzione cerealicola della 'vece' di San Severo. Quanto al nome fiocàra (Fiocare sulle carte IGM), esso può riflettere una formazione filicaria 'felceto', da filex, -icis 'felce'.

77. Proseguendo lungo la carrareccia, si giunge in meno di 1 km ai ruderi della chiesa di San Severo, con annesso convento, risalenti al sec. VIII-IX e XV, per la cui storia si vedano le opere citate nella guida 'Arca'. Il toponimo dialettale, come riporta la stessa guida, oscilla fra sansiéru, sansivéru e, forse la versione più antica, santosuéru. Oltre i ruderi, comincia la contrada di scendolopó, che si estende lungo la valle, fino all'apertura della màlle càscia. Il toponimo è riportato come Scendolopone sulla cartografia IGM ed appare come un composto, forse del fitonimo variamente noto come scendella, scendorella, ecc. 'centonchio, mordigallina', e di un derivato di lupo. In questa località, si trova la casétta e penìcca (911 m), particolarmente integra, segnata sulla cartografia IGM.

78. Sulla destra della chiesa di San Severo si trova la deviazione che in breve conduce alla fónde ella sàucia (842 m), così chiamata dal nome dialettale del salice, albero che però non è più presente in zona. Gli estensori della IGM hanno tradotto il toponimo come F.te del Salice.

79. La Fonte del Salice si trova in un valloncello che è tributario dell'arcuato fùssu ella muràta, il quale costituisce la parte più bassa ed impervia del lungo impluvio che comincia con la màlle càscia. Il nome di questo tratto di valle deriva dei resti di due grosse mura megalitiche, realizzate a secco, che si trovano ai lati del fosso (750 m), chiamate localmente Murata del Diavolo o Murata delle Fate, per l'origine delle quali si veda il riassunto critico contenuto nella guida 'Arca', con annessa bibliografia. La citata guida rileva anche come la cartografia IGM abbia erroneamente collocato il toponimo Murata sulla destra orografica del fosso, anziché sulla sinistra (est).

80. Ancora dalla chiesa di San Severo, un'altra pista quasi in piano porta alla sorgente dei cupégli, sistemata con abbeveratoio, che sulle carte IGM è indicata col nome F.te Cupello (949 m). Il toponimo è diffuso come designazione di sorgenti (ad esempio a Forcella), e deriva dalla voce dialettale cupégliu 'cupello', un recipiente di legno (castagno) simile ad una botte che serviva per trasportare l'acqua sul basto dell'asino, ed, in ultima analisi, dal latino cupa 'arnia, botte'.

81. A monte della sorgente, si estende il versante settentrionale della Montagna di Pettino, che ad Arischia è noto col nome le pàcora, ripreso dalla designazione riportata sulle carte IGM, le Pacore. Il toponimo appare un derivato dell'appellativo opaco, paco, dal latino opacus 'luogo in ombra', cioè 'esposto a nord', come è il versante in questione. Non sembra quindi necessaria una derivazione dalla voce latina (quasi concorrente) pagus 'termine, cippo confinario', e poi anche 'territorio rurale'.


Il colle di Fronte Maggio
82. Per completare lo studio della toponomastica del tenimento di Arischia, si passa a descrivere le località situate nella regione di forma regolare compresa fra l'Antica via di Arischia ad est e la strada statale n° 80 a sud, ovest e nord, la quale include così anche il notevole centro di San Vittorino. La zona comprende il convento di San Nicola (805 m), fondazione cistercense del sec. XIII, a breve distanza dal tratto di statale che va da San Vittorino ad Arischia. Il convento sta su un colle isolato che guarda la sottostante valle del cafàju, chiamata Cafaio sulle carte IGM. Il nome deriva da una voce latina medievale cafagium 'bandita', dal longobardo gahagi, che ad Arischia ha assunto una specifica accezione di 'recinto fatto con pietre a secco'.

83. Un'altra emergenza storico-architettonica della zona è la chiesa di Santa Maria della Piaia (o dei Sette Dolori), a quota 834 m, chiamata semplicemente la Madonna sulla cartografia IGM. Il nome della chiesa, costruita nel 1583, riprende quello della sottostante contrada seminativa della piàja, ed è detta localmente di càpu la piàja perché si trova nel punto più elevato dell'Antica via di Arischia, al culmine della salita da Arischia. La chiesa è collegata al convento di San Nicola da una rete di piste e sentierini (itinerario n° 9A della guida 'Arca'), lungo la quale si trova la casétta e tarandégliu (809 m), nonché l'ampio prato di cuccuàja (810 m), citato dalla guida 'Arca', il quale presenta un nome assai curioso e di origine oscura, sul quale si possono fare solo congetture.

84. A sud dell'itinerario n° 9A, si estende l'amena zona di Frontemaggio, come indica la cartografia IGM. Il toponimo con ogni probabilità deriva dall'appellativo geografico fronte 'versante', che sta dirimpetto al paese, e dall'aggettivo maggio, dal latino maior 'grande, maggiore'. Qualche dubbio su questa interpretazione viene osservando che la dizione dialettale del toponimo è fornemàju, nella quale il primo elemento sembrerebbe piuttosto forno, ma ciò non è possibile, dato che la zona semmai guarda a nord. Una seconda casetta si trova fra i dossi che costituiscono questa contrada, ed è la casétta e tramajólu (848 m), riportata senza nome sulle carte IGM.

85. Uno dei cocuzzoli che si staccano dall'altopiano di Fronte Maggio domina il mulino dell'Acqua Oria sulla statale n° 80. La cartografia IGM lo chiama con l'oscuro nome di C.le Caliglio, che si spiega solo osservando la denominazione dialettale còlle caleìgliu. Questo toponimo va allora interpretato come riflesso di un *calvillus, dal latino calvus 'calvo', voce che non ha continuatori nel lessico, nel senso di 'colle la cui sommità è priva di vegetazione'. La resa del nesso -lv- è la stessa che si trova nel toponimo soleìgliu, il quale riflette un *silvillus. Una etimologia alternativa potrebbe far risalire entrambi questi toponimi a degli ipotetici personali *Calvilius, Servilius.

86. Un altro sperone che si stacca in qualche modo dal tavolato di Fronte Maggio è quello di còlle lùngu, il quale si estende a nordovest, a dominare la valle che divide da San Vittorino, dove passa l'acquedotto del Chiarino. Il nome del colle, Collelungo sulle carte IGM, è trasparente e dipende dalla forma allungata.

87. Ad est la regione di Fronte Maggio è delimitata dalla Antica via di Arischia, la vecchia mulattiera che collegava Arischia con L'Aquila. Dopo la salita alla chiesa di Santa Maria della Piaia, la strada scendeva lungo la valletta delle rùmmole, seguendola per meno di 1 km. Il toponimo V. Rummole (come riportato sulle topografiche IGM) ha a che fare con la voche rhombus del latino, derivata dal greco, col significato di 'trottola', tramite un traslato geografico nel senso 'a forma di trottola', e si riferirà a qualche caratteristica morfologica del terreno. In alternativa, si può pensare al latino grumus 'rialzo del terreno', sempre tramite lo stesso suffisso diminutivo atono -ulus, ma in definitiva il valore semantico sarebbe lo stesso.

88. Scendendo lungo la valle delle rùmmole, si incontra a quota 791 m una deviazione che porta verso la Murata, guadando il fosso del Paragone in corrispondenza del pondecìgliu (788 m), ovvero il 'ponticello'. Più avanti, si raggiunge in breve la cappelletta della Madonna delle Querce (765 m), in loco detta madònna ella cèrqua, e si scende sul bordo sinistro del fùssu cinàglia. Questa valle è chiamata sulle carte IGM V. Marina, da un appellativo che pare richiamare l'antico idronimo mara 'acquitrino, fosso fangoso', vitale ad esempio nel sardo. La designazione dialettale, invece, dipenderà da un personale locale. Sulla sinistra, scendendo, si lambisce la piòneca, una zona dove è segnalato un rudere di casetta (866 m), il cui nome riflette un termine dialettale per 'miseria, fame', dal latino *pilonica, a sua volta da pilum 'pestello'. La Antica via di Arischia devia ora verso Canzatessa, uscendo al Casino del Barone (678 m). Quanto alla Valle Marina, essa sfocia al piano in contrada Vasche, nei pressi della rótte isabbèlla (672 m).

89. Per concludere, per la zona di San Vittorino la guida 'Arca' riporta i toponimi còlle ribbàrdu e ju pèrracu. Il primo è un cocuzzolo appena a sud della statale (777 m), indicato come C.le Ribaldo sulla cartografia IGM ed omofono al toponimo nella zona di Pago Martino, del quale condivide l'origine. Il secondo, che corrisponde all'IGM Ricciòla, ci è invece oscuro.


Last modified: March 10, 2003
by Antonio Sciarretta
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