Hanno ucciso la goliardia

Cori di ragazzi spensierati nei cortili universitari, scherzi, risate e trasgressione, ma anche seminari e ricerche al fianco di grandi menti, da cui c'era realmente e concretamente da imparare: questa era la vita d'ateneo, nel periodo di maggiore splendore goliardico. Ma cos'é la goliardia, quando nacque e come la si viveva ?  Nel Medioevo, i goliardi erano giovani uomini di chiesa e di studio - i cosiddetti clerici vagantes - che viaggiavano da una città all'altra alla ricerca dei centri dove più fiorenti erano la civiltà e la cultura e dove più libera era la vita. Spensierati, allegri e ribelli allo spirito mistico ed alle imposizioni chiesastiche, queste persone portavano spesso con loro soltanto pochi denari.  In epoca moderna, invece, il termine indicava la comunità degli studenti universitari che legano il loro periodo di studio a consuetudini spensierate di vita cameratesca e che si tramandavano i canti composti da chi, prima di loro, portava tale nome, specialmente tra gli "amatoria" e i "lusoria". Esattamente come i clerici vagantes, anche gli studenti sono sempre stati celebri per la loro indole contestatrice e ribelle e per il loro insaziabile desiderio di conoscenza, che portava a spingersi oltre quelle poche verità imposte dal potere e dai governanti che, in ogni epoca,  hanno  cercato di imporre censure alla scienza, agli studi e quindi all'insegnamento. Chi, per il suo desiderio di conoscenza, voleva oltrepassare i confini stabiliti del sapere, veniva considerato un ribelle, alle regole ed al sistema.  Da qui nacque l'idea della goliardia: burlarsi del potere. Burlarsi, quindi, capovolgendo l'ordine sociale sino alle sue estreme conseguenze:  il bidello diventò la più importante autorità dell'ateneo e lo studente fuoricorso una divinità, in quella gerarchia che definiva "matricole" gli iscritti al primo anno, "fagioli" quelli del secondo, "colonne" al terzo e "laureandi" al quarto. Quelli che oltrepassavano il normale corso degli studi, poi, meritavano il venerabile titolo di  "extracursi". Anche l'ordine dei voti venne rovesciato: dall'infausto 30 all'aureo 18.  Il simbolo più ricorrente della goliardia, tuttavia, restò il caratteristico capellino a punta o feluca, di colore diverso a seconda del corso di laurea: rosso per gli studenti di medicina, nero per quelli di ingegneria, blu per giurisprudenza, verde per agraria, giallo per economia e commercio, e così via. Portato senza ornamenti dagli studenti del primo anno, il copricapo veniva, col tempo, ornato da ciondoli, piume, frange ed altri fregi, in base all'anzianità. La gerarchia goliardica, tuttavia metteva alla berlina anche altri poteri, quali la chiesa e l'aristocrazia: nacquero così gli ordini, con le cariche di "Pontefice", "priore", "principe", "conte", "marchese" sino ai più modesti "paggi". La gerarchia serviva ad impedire ai più furbi di sfruttare le usanze goliardiche per vessare i più giovani come vorrebbe il nonnismo da caserma. Non mancavano neanche i testi sacri, come la "Ifigonia in Aulide", "Don Sculacciabuchi" ed "I canti goliardici". In questi testi, tutti i problemi e le difficoltà della vita trovano la loro giusta soluzione. La goliardia, difusissima prima della seconda guerra mondiale ricevette nuova linfa dagli Organismi Rappresentativi, quali l'Oruab, Organismo rappresentativo ateneo barese, in cui spesso militavano membri dei diversi ordini goliardici. Nell'Università, del resto, si era tutti colleghi e l'extraterritorialità garantiva la tolleranza nello spirito della solidarietà, dell'amicizia e della spensieratezza. Si faceva vita d'ateneo: si entrava alle 8:30, una breve colazione in compagnia e quindi si andava a lezione, seguita da un'ora di seminario. Tra un'ora e l'altra si cantava un poco, poi a mensa. Nel pomeriggio, di nuovo in seminario a studiare, poi si organizzava una proiezione cinematografica, una gita od una recita a teatro. Ancora un'esercitazione e, magari, una festa e quindi a casa, qundo ormai era sera. Goliardia, tuttavia, non significava aver tempo da perdere: il goliardo non era il figlio di papà eterno fuori corso. Era spesso, al contrario, uno squattrinato studente spinto dalla semplice voglia di trascorrere serenamente il suo periodo di preparazione alla vita nel modo più spensierato: cantando, bevendo, ballando, e fumando - sigarette, ovviamente. Si rideva dei tripli sensi, delle assonanze di una frase latina o dotta, rielaborandola o stravolgendola. Goliardi erano, spesso, anche i docenti. Il grande ricercatore, il grande pensatore é sovente un eccentrico burlone: chi sa, come diceva qualcuno, sa di sapere poco ed allaccia con gli altri un rapporto umile e schietto. Le università rappresentavano l'avanguardia: le ragazze, ad esempio, fumavano e portavano la minigonna vent'anni prima che la moda le lanciasse. Ai goliardi, poi, non servivano assemblee o mozioni: per colpire le istituzioni bastava poco, mentre le  contrapposizioni, le rivalità tra i gruppi restavano sconosciute. L'università era il luogo dove trionfava la contestazione ed i colori o le classi sociali non avevano alcun significato. La goliardia, insomma, andava spesso contro le regole: così quando negli anni '60 nacquero i movimenti di lotta e di ribellione, nei luoghi di studio la politica prese il posto degli Ordini e quell'atmosfera di convivenza e di fratellanza che sino a quel momento aveva regnato, scomparve per sempre. La goliardia, morì allora.                                                                                                                                                                                                                               Tony Colella