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“DOVE TUTTO è REALE NIENTE È REALE”

Tiziano Peraldo Eusebias: pittore di atmosfere e della memoria? Pittura del ricordo, forse. Rarefazione coloristica, spinta sino al monocronismo. Sono questi i processi di dissoluzione e di ricostruzione della memoria. Come se la natura concorresse alla formazione del suo linguaggio poetico, fosse partecipe alla sua visione del mondo e della vita. I dipinti di Tiziano, infatti, hanno la capacità di stupire, di sorprendere di meravigliare. Non si guardano come si guarda un paesaggio tradizionale, una bella cartolina, con occhio turistico. Non ci lasciano indifferenti. Sono apparizioni autentiche della realtà riflessa nella nostra anima. “Testimoni di un recente passato”, per esempio, ma ancor più “Il Santuario di San Giovanni” (del quale mi sono già occupato) con quel loro senso della  durata che sembra bloccare lo scorrere inesorabile del tempo. Visioni così si possono avere solo in sogno o negli stati assorti, soporosi, della mente. Novalis pensava che la vita “è una malattia dello spirito”; in quanto tale non può essere rappresentata altrimenti che per mezzo dell’interiorità. Rimbaut sosteneva invece che “la vera vita è assente: non siamo nel mondo”. è il mondo che è dentro di noi.
Ma il fatto è che l’artista Vallecervino, non ha nessuna intenzione di meravigliare, di fare della filosofia o di lanciare messaggi morali. Non gli passa neppure per la testa. “Io dipingo così e basta. Non sarei capace di dipingere diversamente. Io sono i miei  quadri. Più che vedere la natura, la sento. Siccome amo la musica non mi stupisco se qualcuno definisce musicale il mio linguaggio pittorico. Basta, non chiedetemi altro”. Obbedisce all’imperativo nietzscheano che dice: “Sii diverso da tutti gli altri e rallegrati se ciascuno è diverso dall’altro”. E questa diversità diviene un valore quando affonda le proprie radici nell’humus vitale della cultura autoctona, nella realtà storicamente determinata della propria “piccola patria”, come in “L’antico desiderio” o in “La lunga attesa”, interpretazioni mirabili, favolistiche, poetiche dell’artista. Per il quale – sembra volerci dire parafrasando Croce – senza il concorso della fantasia, nessuna parte della natura è bella”.
Le sue opere possono essere definite icone moderne, per quel loro esprimere stati d’animo, emozioni, ma anche idee e concetti moderni; per la loro adesione perfetta ad un’interiorità melanconica e riflessiva, ripiegata su se stessa. Icone ispirate al mondo surreale della psiche, dell’io profondo. “Nostalgia di un ricordo” e “Presenza nei tempi” fanno testo. Nel secolo scorso, rivolto agli artisti Castagnary osservava polemico: “Quale necessità abbiamo di risalire alla storia, di rifugiarci nella leggenda, di consultare i registri dell’immaginazione? La bellezza è sotto i nostri occhi non nel cervello, nel presente non nel passato, nella verità non nel sogno, nella vita non nella morte”.
Con la sua pittura Tiziano Peraldo ci dice che quella di Castagnery è solo la metà del vero; l’altra metà annaspa tra le idee, nella contemporaneità, nella nostra esistenza onirica. Guai se non tenessimo conto dei sommovimenti dell’interiorità, se rimanessimo sordi alle tensioni creative della fantasia. Il pittore romantico Friedrich era solito consigliare: “Chiudi il tuo occhio fisico così da poter vedere con il tuo occhio interiore”. è quello che fa Tiziano dipingendo il silenzio, dando un ordine architettonico all’immobilità e una cornice d’essenze alla solitudine. Quello che fa – se ne renda conto o no – è poesia; è musica.

                                                                                                        Bruno Pozzato 

 

 

“LA SILENZIOSA MUSICALITà” delle opere di Peraldo

In ciò che realizza, l’artista desidera regalare la possibilità di sconfinare oltre la finzione della realtà fotografata, per cogliere il senso dell’essenziale “invisibile agli occhi”, secondo una nota espressione di Antoine De Saint-Exupèry, e accompagna lo sguardo oltre i confini dell’immagine, dove la sua emozione si dilata, concedendo respiro per chiunque voglia immergersi nello spazio del ricordo emozionato dal tempo.
 La mostra “La nostra terra” ha offerto quindi la possibilità di ritrovare la descrizione razionale di ciò che è come appare nella sua fisionomia reale, ma ciò che “va oltre” e che si vuole fissare nel cuore, nella vibrazione di un sentimento, attraverso la mediazione dei colori che, in un certo momento della vita dell’autore, hanno dipinto la realtà in “quel modo” universale e al contempo personalissimo. Silenzi, ricordi, emozioni : forse i termini più significativi che, nel loro fondersi e combinarsi, schiudono la personalità di Tiziano Peraldo, il quale afferma di riconoscersi totalmente nelle sue opere, in ciò che “sente” e che, ancor prima di essere pensato e di diventare idea cresce interiormente per poi esprimersi e fissarsi nell’attimo più significativo e intenso.
Le opere di Peraldo sono un invito ad “ascoltare la vita” oltre che ad osservarla criticamente Sono una serena contemplazione del bello.

                                                                                                            Paola Riboldi

 

 

“BIELLA, OROPA, PASSOBREVE – E LA NEVE”

Ad ogni suo lavoro egli infonde una sensazione, un’emozione, uno stato d’animo che trapela e coinvolge chi lo osserva. Può essere il senso di pace infinita che spira da una chiesina sotto la neve, o il chiarore di una tenue luce che dirada appena un cielo plumbeo. La luce è speranza, è vita. Tiziano  ha dipinto il trenino della Biella – Oropa “29 marzo 1959 L’ultima corsa”, malinconicamente la vecchia tranvia va in rimessa e resta un ricordo.

 Anita Zordan Pozzo

(Associazione “Insieme per il Biellese”)

 

 

“IL PRESEPE DI TIZIANO PERALDO EUSEBIAS”

Sei alberi dritti come pali telegrafici (stilemi tipici della pittura di Tiziano) immersi in un cielo alto che non si vede, e poi la nebbia, la neve e, in primo piano, la Natività (il Bambino, la Madonna e San Giuseppe) immaginata in un bosco innevato, in una giornata fredda e immota come l'eternità dai momenti solenni. Sullo sfondo, presi in contro-luce, i Re Magi in groppa ai cammelli che (sulla neve!), pallidamente illuminati dalla cometa dell'Epifania, stanno per giungere a rendere omaggio alla nascita di Cristo. E' chiaro che qui, ad onta dei cammelli, non siamo in Palestina, ma in una valle del Biellese e segnatamente la Valle del Cervo, dove l'artista risiede e lavora. Non poteva essere diversamente. Se questa sintesi del Presepe non obbedisce ai canoni formali francescani (i quali suppongono una ricostruzione  virtuale della Gerusalemme celeste), lo è per il significato che il pittore vuole trasmettere: non c'è bisogno di andare in Terra Santa per celebrare con dignità e devozione un evento che ha cambiato il mondo. Tutto intorno è silenzio, solitudine, sospensione del tempo, come per dare rilievo, partendo dal niente, dal vuoto, da un bisogno inappagato, alla percezione d'una nascita prodigiosa. Tiziano non vuole spettacolarizzare la Natività affollandola di persone che rappresentino le varie classi sociali, i più disparati mestieri, uomini e donne conquistati dall'evento cristiano. Anche questa nudità, questa desertificazione  antibarocca della pittura, è una "licenza" che l'artista usa in tutti i suoi dipinti. In essi infatti non ci sono mai troppe figure, assembramenti, capannelli, quel via vai che dovrebbe rendere evidente la vita movimentata di ogni giorno. Egli predilige, come in questo caso, le atmosfere astratte, rarefatte, cariche d'una sottile e misteriosa  tensione; in pratica una visione interiorizzata e mentale (mistica) della realtà; e più ancora la sintesi, la riconoscibilità degli elementi compositivi, la loro lettura immediata e al tempo stesso simbolica; giacchè questa, a suo modo di vedere, gli sembra essere, con una vena di saggia malinconia e di rispetto per la poesia, l'essenza della vita contemporanea.

Bruno Pozzato

(Da "FOGLIE" RIVISTA DEL FONDO EDO TEMPIA - 2008)

 

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