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Le
86 lettere di Moro
Pagina 3
61) A Agnese Moro
(non recapitata)
Mia dolcissima Agnese, casa
mi viene l'atroce dubbio che le mie lettere siano state tutte o quasi
sequestrate. Capisco così certi vuoti
angosciosi e temo che si siano disperse alcune lettere di addio che vi
avevo indirizzato. Le rifarò ora
male, purtroppo, sperando che questa resti in deposito fin quando non
possa esserti sicuramente
consegnata. Volevo dirti Agnesina (e lo faccio tanto male) tutto il mio
amore e l'angoscia di doverti
lasciare. Ricordo la tua dolce faccina (campagna, fiori e altre cose).
Ti sono stato sempre vicino con tutto il cuore, anche se posso avere sbagliato,
posso non averti capito e
soddisfatto. Di qui qualche breve strillotto. Ma poi subito dopo il sorriso,
l'abbraccio, la richiesta
affettuosa. E l'attesa la sera, angosciata, finché non fossi tornata.
Il tuo saltellare sulla gamba del cuore.
E starti dietro per la scuola, la tua esperienza e il tuo lavoro (nel
quale devi perseverare) distante nella
forma, vicinissimo nella sostanza. Ora sei più sola, ma hai carattere
forte e serio e camminerai nella vita
sulla tua strada. Non dimenticare, come mi promettesti d'estate, e non
far dimenticare l'amatissimo
Luca. La mia tremenda angoscia si attenua, se penso a te, che ci sei,
che sei al mio posto nel letto, che
controlli la porta ed il gas chiusi. Lasciami pensare che sarà
così fin quando sarà necessario.
Ricordati che a Bellamonte c'è una tua carissima lettera a me da
Helsinki. Non ricordo se nell'armadio
della matrimoniale o in un mio pulloverino. Mi è cara. Tienila.
Ti stringo forte forte in un abbraccio
pieno di amore e di augurio. Che Iddio ti benedica, ti dia la tua gioia,
ti conforti nell'amore, ti faccia
sentire vicino vicino, giorno e notte il tuo amato
papà
62) A Nicola Rana
(Il
testo non è mai stato reso noto)
63) Testamento in favore della figlia Anna
(Il
testo non è mai stato reso noto)
64) A Maria Luisa Familiari
(Il
testo non è mai stato reso noto)
65) A Sereno Freato
(non recapitata)
Dott. Sereno Freato
Via San Valentino 21
Carissimo Freato,
non so, se scrivo o riscrivo, perché molte cose devono essere state
sequestrate e non si è certi di niente.
In questa vicenda allucinante ho pensato spesso a noi ed anche agli errori
delle nostre scelte. Desidero
ridirLe, dopo tanti anni di collaborazione, quanto le voglia bene e Le
sia grato di tutto. Per noi è oscuro
d'ora in avanti. Una sola cosa è chiara: Le affido i miei carissimi
con la collaborazione di Rana; Le affido
Luca mio amore. Mi ricordi ai Suoi, mi ricordi agli amici. Non voglio,
lasciando dire niente di cattivo,
anche se ci sarebbe da dire e da stupire di fronte al poco che è
stato fatto per me.
Domani magari si pentiranno.
Con tanta amicizia ed amarezza l'abbraccio con tutto il cuore affidandomi
a Lei
Suo
Aldo Moro
Dott. Sereno Freato
Via S. Valentino 21 Roma
66) A Don Antonello Mennini
(non recapitata)
Carissimo Antonello,
temo - e mi angoscia - che siano state, senza darne notizia, sequestrate
lettere di affetto tra persone care
in una situazione drammatica come questa. Alcune le ho ricostruite. Altre,
contenenti alcune indicazioni
chissà dove e come si potranno ritrovare. Ho pensato dunque di
unire il tutto, di chiamarti, di darti il
pacchetto, perché lo tenga per te. Evidentemente sorpassando casa,
si rischia (credo) la perquisizione.
Terrai tutto per te e, a tempo debito, ne parlerai a voce con mia moglie,
per vedere il da farsi. Dovrebbe
esserti di consiglio il mio ex capo gabinetto S.E. Manzari ora al Ministero
degli esteri come capo ufficio
legislativo, senza il cui consiglio non far niente. Anzi ti prego, a voce
(abita in via Livio Andronico, non
lontano da me) digli tutta questa vicenda perché la veda anche
legalmente e ti aiuti a recuperare quel che
fu sottratto. Del nuovo nulla fino ad accordo con mia moglie e lui. Tieni
tutto. Poi si potrà vedere.
Bisogna essere certi che all'entrata in casa non si sia intercettati.
Non mi pare giusto che s'impedisca in
queste circostanze di parlare tra persone che si vogliono bene.
Il fatto che tu te ne occupi mi tranquillizza. Aggiungi la tua preghiera,
sempre cara e sempre valida. Il
Papa non poteva essere un po' più penetrante? Speriamo che lo sia
stato anche senza dirlo. Benedicimi
e aiutati. Ti abbraccio
Aldo Moro
le lettere fuori casa, essendo in zona, si potranno dare allerta però
a Rana e Freato salvo non le ritirino
personalm [...]
[...] questa frase è monca e di difficile lettura
67) A Eleonora Moro
(non recapitata)
Non mi disperdere le cose da vestire [...]. Fa come se fossi lì
non disturbarti per la tomba
Mia dolcissima Noretta, (casa)
mi viene ora il dubbio atroce che un'infinità di mie lettere e
due piccoli testamenti siano stati
sequestrati, incomprensibilmente, dall'autorità. Come spiegare
l'appassionata reiterata richiesta di un tuo
messaggio stampa, mai pervenuto? E altre, e altre cose. Avevo scritto
a tutti i nostri cari in punto di
morte, con l'animo aperto in quel momento supremo. Volevo lasciare qualche
certezza di amore e
qualche motivo di riflessione. Ed ora temo che tutto questo sia disperso,
per ricomparire, se comparirà,
chissà quando e come. Allora ho deciso di scrivere alla meglio,
per dire l'essenziale e di affidare tutto a
Don Antonello Mennini, che lo tenga con sé, finché non abbia
parlato di persona con te e sono certo di
poter dare senza pericolo.
Noretta mia carissima, in questa vicenda allucinante riconosco le mie
ingenuità, ma coperte dalla buona
fede che si lega alle mie scelte giovanili di passare dall'Azione Cattolica
alla D.C. Sono stato poco a
Torrita, tenetemi [...] con voi a Roma.
Mi è atroce pensare quanto questa vicenda vi toglie e soprattutto
all'amatissimo Luca che avrebbe avuto
diritto all'assistenza e alla gioia. Quanto mi è angosciante lasciarlo
solo. Prego Iddio che gli susciti
intorno volti cari, sorrisi teneri, autentico interessamento. Io pregherò
per lui fino all'ultimo istante. E
l'immagino con te, con Agnese, con tutti i suoi cari, con qualche ricordo
del nonno che gli evocherete
con qualche fotografia, con qualche richiamo. Mi sarebbe dolce sentirmi
non assente.
E a te, gioia amata, grazie di tutto. Nel fondo credo di averti dato tutto
l'amore anche se con qualche
distrazione d'ufficio.
Quanto meno bisognerebbe dare all'ufficio e più alla famiglia.
Sei stata la mia gioia più grande, fonte,
talvolta di piccola gelosia, solo non ti vedessi magari rivolta a me.
Che Iddio ci aiuti tutti. Freato e Rana
dovrebbero aiutarvi. Iddio vi benedica dal profondo e mi stringa a voi
in un amore eterno. Mi consola
pensare che, prendendo quel che viene, lo storno da voi. Eri troppo
(la
lettera si interrompe qui)
68) A Eleonora Moro
.(Il testo
non è mai stato reso noto)
69) A Eleonora Moro
(non recapitata)
per Noretta
Dammi la felicità di un messaggio tramite Guerzoni per sabato mattina
forse si fa ancora in tempo e
dimmi se hai ricevuto lettere ai figli e nipoti e due piccoli testamenti.
70) Ai familiari
(recapitata il 24 o il 25 aprile)
A tutti i miei carissimi ed a Noretta, amata sposa e madre. Mi piacerebbe
avere un cenno, anche
minimo di risposta, per tranquillizzarmi sulla salute di tutti.
Aldo
71) Alla Democrazia Cristiana
(recapitata il 28 aprile)
Lettera al Partito della Democrazia Cristiana
Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche,
ma sostanzialmente negative
posizioni della D.C. sul mio caso, non è accaduto niente. Non che
non ci fosse materia da discutere. Ce
n'era tanta. Mancava invece al Partito, al suo segretario, ai suoi esponenti
il coraggio civile di aprire un
dibattito sul tema proposto che è quello della salvezza della mia
vita e delle condizioni per conseguirla
in un quadro equilibrato. E' vero: io sono prigioniero e non sono in uno
stato d'animo lieto. Ma non ho
subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile
per brutto che sia, ho la mia solita
calligrafia. Ma sono, si dice, un altro e non merito di essere preso sul
serio. Allora ai miei argomenti
neppure si risponde. E se io faccio l'onesta domanda che si riunisca la
direzione o altro organo
costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un
uomo e la sorte della sua famiglia, si
continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del
dibattito, paura della verità, paura
di firmare col proprio nome una condanna a morte.
E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non avrei creduto possibile)
il fatto che alcuni amici
da Mons. Zama, all'avv. Veronese, a G.B. Scaglia ed altri, senza né
conoscere, né immaginare la mia
sofferenza, non disgiunta da lucidità e libertà di spirito,
abbiano dubitato dell'autenticità di quello che
andavo sostenendo, come se io scrivessi su dettatura delle Brigate Rosse.
Perché questo avallo alla pretesa mia non autenticità? Ma
tra le Brigate Rosse e me non c'è la minima
comunanza di vedute.
E non fa certo identità di vedute la circostanza che io abbia sostenuto
sin dall'inizio (e, come ho
dimostrato, molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra,
uno scambio di prigionieri
politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave
sofferenza, ma vivo, l'altro viene
ucciso. In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente
mi permetto sottoporre al S.
Padre) non solo a chi è dall'altra parte, ma anche a chi rischia
l'uccisione, alla parte non combattente, in
sostanza all'uomo comune come me.
Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta
tanto, un innocente sopravvive e, a
compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso
è tutto qui. Su questa
posizione, che condanna a morte tutti i prigionieri delle Brigate Rosse
(ed è prevedibile ce ne siano) è
arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la D.C., sono arroccati
in generale i partiti con qualche
riserva del Partito Socialista, riserva che è augurabile sia chiarita
d'urgenza e positivamente, dato che
non c'è tempo da perdere. In una situazione di questo genere, i
socialisti potrebbero avere una funzione
decisiva. Ma quando? Guai, Caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila
come filavano i miei
ragionamenti di un tempo.
Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della D.C. che in moltissimi
casi scambi sono stati fatti
in passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti.
Ma è tempo di aggiungere
che, senza che almeno la D.C. lo ignorasse, anche la libertà (con
l'espatrio) in un numero discreto di
casi è stata concessa a palestinesi, per parare la grave minaccia
di ritorsioni e rappresaglie capaci di
arrecare danno rilevante alla comunità. E, si noti, si trattava
di minacce serie, temibili, ma non aventi il
grado d'immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio
era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola
della legalità formale (in cambio c'era l'esilio) era stata
riconosciuta. Ci sono testimonianze
ineccepibili, che permetterebbero di dire una parola chiarificatrice.
E sia ben chiaro che, provvedendo
in tal modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo
mancare di riguardo ai paesi amici
interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e
fiduciosi rapporti . Tutte queste
cose dove e da chi sono state dette in seno alla D.C.? E' nella D.C. dove
non si affrontano con coraggio
i problemi. E, nel caso che mi riguarda, è la mia condanna a morte,
sostanzialmente avvallata dalla D.C.,
la quale arroccata sui suoi discutibili principi, nulla fa per evitare
che un uomo, chiunque egli sia, ma poi
un suo esponente di prestigio, un militante fedele, sia condotto a morte.
Un uomo che aveva chiuso la
sua carriera con la sincera rinuncia a presiedere il governo, ed è
stato letteralmente strappato da
Zaccagnini (e dai suoi amici tanto abilmente calcolatori) dal suo posto
di pura riflessione e di studio, per
assumere l'equivoca veste di Presidente del Partito, per il quale non
esisteva un adeguato ufficio nel
contesto di Piazza del Gesù. Sono più volte che chiedo a
Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al
posto ch'egli mi ha obbligato ad occupare. Ma egli si limita a dare assicurazioni
al Presidente del
Consiglio che tutto sarà fatto come egli desidera.
E che dire dell'On. Piccoli, il quale ha dichiarato, secondo quanto leggo
da qualche parte, che se io mi
trovassi al suo posto (per così dire libero, comodo, a Piazza ad
esempio, del Gesù), direi le cose che egli
dice e non quelle che dico stando qui.
Se la situazione non fosse (e mi limito nel dire) così difficile,
così drammatica quale essa è, vorrei ben
vedere che cosa direbbe al mio posto l'On. Piccoli. Per parte sua ho detto
e documentato che le cose
che dico oggi le ho dette in passato in condizioni del tutto oggettive.
E' possibile che non vi sia una
riunione statutaria e formale, quale che ne sia l'esito? Possibile che
non vi siano dei coraggiosi che la
chiedono, come io la chiedo con piena lucidità di mente? Centinaia
di parlamentari volevano votare
contro il Governo. Ed ora nessuno si pone un problema di coscienza? E
ciò con la comoda scusa che
io sono un prigioniero. Si deprecano i lager, ma come si tratta, civilmente,
un prigioniero, che ha solo
un vincolo esterno, ma l'intelletto lucido? Chiedo a Craxi, se questo
è giusto. Chiedo al mio partito, ai
tanti fedelissimi delle ore liete, se questo è ammissibile. Se
altre riunioni formali non le si vuol fare,
ebbene io ho il potere di convocare per data conveniente e urgente il
Consiglio Nazionale avendo per
oggetto il tema circa i modi per rimuovere gli impedimenti del suo Presidente.
Così stabilendo, delego a
presiederlo l'On. Riccardo Misasi.
E' noto che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale
della mia lotta contro
la morte. In tanti anni e in tante vicende i desideri sono caduti e lo
spirito si è purificato. E, pur con le
mie tante colpe, credo di aver vissuto con generosità nascoste
e delicate intenzioni. Muoio, se così
deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana
e nell'amore immenso per una famiglia
esemplare che io adoro e spero di vigilare dall'alto dei cieli. Proprio
ieri ho letto la tenera lettera di
amore di mia moglie, dei miei figli, dell'amatissimo nipotino, dell'altro
che non vedrò. La pietà di chi mi
recava la lettera ha escluso i contorni che dicevano la mia condanna,
se non avverrà il miracolo del
ritorno della D.C. a se stessa e la sua assunzione di responsabilità.
Ma questo bagno di sangue non
andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti, né
per la D.C., né per il paese. Ciascuno porterà la sua
responsabilità.
Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio
vicino a me coloro che mi hanno
amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo
è deciso, sia fatta la
volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l'adempimento
di un presunto dovere. Le
cose saranno chiare, saranno chiare presto.
Aldo Moro
72) Alla Democrazia Cristiana [seconda versione]
(non recapitata)
Alla Democrazia cristiana [seconda versione]
edizione più stringata e prudente tenuto conto dei palestinesi
e dell'iniziativa Craxi.
E' in alternativa all'altra, valutare attentamente le circostanze.
Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche,
ma sostanzialmente negative
posizioni della D.C. sul mio caso, non è accaduto niente. Non che
non ci fosse materia da discutere. Ce
n'era tanta. Mancava invece al Partito nel suo insieme il coraggio di
aprire un dibattito sul tema
proposto che è tema della salvezza della mia vita e delle condizioni
per conseguirla in un quadro
equilibrato.
E' vero, io sono prigioniero e non ho l'animo lieto. Ma non ho subito
nessuna coercizione, non sono
drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita
calligrafia. Ma sono, si dice, un altro e
non merito di essere preso sul serio.
Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l'onesta
domanda che si riunisca la
direzione o altro organo costituzionale del partito, perché sono
in gioco la vita di un uomo e la sorte
della sua famiglia, si continua invece in conciliaboli.
Qualcuno sembra dubitare dell'autenticità di quello che vado sostenendo.
Come se io scrivessi sotto
dettatura delle Brigate Rosse. Ma tra le Brigate Rosse e me non c'è
la minima comunanza di vedute. E
non fa certo identità di vedute il fatto che io abbia sostenuto
sin dall'inizio (e come ho dimostrato,
molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio
di prigionieri politici. E
tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza,
ma vivo, l'altro viene ucciso. In
concreto lo scambio giova non solo al detenuto, ma anche a chi rischia
l'uccisione, alla parte non
combattente. Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina,
se una volta tanto un innocente
sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in
esilio? Il discorso è tutto qui. Su
questa posizione, che condanna a morte i prigionieri delle Brigate Rosse
(e potrebbero esservene) - è
arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la D.C., sono arroccati
in generale i partiti con qualche
rilevante riserva del Partito Socialista che non è lecito lasciar
cadere.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila
come filavano i miei
ragionamenti di un tempo.
Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della D.C. che in moltissimi
casi scambi sono stati fatti
in passato, dovunque, per salvaguardare ostaggi e salvare vittime innocenti.
Ma è tempo di aggiungere
che anche in Italia la libertà è stata concessa con procedure
appropriate a Palestinesi, per parare gravi
minacce di rappresaglia capaci di rilevanti danni alla comunità.
E si noti si trattava di minacce serie e
temibili, ma non aventi sempre il grado d'immanenza di quelle che oggi
ci occupano. Ma allora il
principio era stato accettato. Vi sono testimoni ineccepibili ai quali
far riferimento. E sia ben chiaro che,
provvedendo come la necessità comportava, non si intendeva certo
mancare di riguardo a paesi
profondamente amici, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli
e fiduciosi rapporti.
Questi rilievi in quali dibattiti sono stati fatti e, dico, con particolare
riguardo alla D.C., chiamata ad
affrontare con coraggio i problemi? E nel caso che ci riguarda è
la mia condanna a morte che sarebbe
sostanzialmente avvallata dalla D.C., la quale, arroccata su discutibili
principi, nulla fin qui fa, per evitare
che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio,
un militante fedele sia condotto a
morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la serena rinuncia
a presiedere il Governo ed è
stato letteralmente strappato da Zaccagnini dal suo posto di pura riflessione
e di studio, per assumere
l'equivoca veste di Presidente del partito. Sono più volte che
chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui
idealmente al posto che egli mi ha obbligato a occupare. Ma egli sembra
piuttosto intento a rassicurare
il Presidente del Consiglio che sarà fatto come egli desidera.
Possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale? Centinaia
di parlamentari minacciavano
tempo fa di votare contro il governo. Più modestamente non si pone
ora per taluno un problema di
coscienza? Ma come si tratta civilmente in Italia un prigioniero che ha
un vincolo esterno, ma l'intelletto
lucido? Lo chiedo a Craxi. Lo chiedo al mio partito, ai tanti amici fedeli
delle ore liete. Se altro non si
ritiene di fare, ricordo che io potrei convocare il Consiglio Nazionale
sul tema del mio impedimento e
del modo di rimuoverlo. Il Capo dello Stato ha il modo di far funzionare
tutti gli organi previsti dalla
Costituzione. Se poi nulla di costruttivo avverrà, sarò
costretto ad affermare la responsabilità della D.C. ufficiale e
di
quanti non si fossero da essa tempestivamente dissociati, è noto
poi che i gravissimi problemi della mia
famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte.
73) Alla Democrazia Cristiana [terza versione]
(non recapitata)
Lettera al partito.
Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche,
ma sostanzialmente negative
posizioni della DC sul mio caso, non è accaduto niente. Non che
non ci fosse materia da discutere. Ce
n'era tanta. Mancava invece al Partito, al suo segretario, ai suoi esponenti
il coraggio civile di aprire un
dibattito sul tema proposto, che è quello della salvezza della
mia vita e delle condizioni per conseguirla
in un quadro equilibrato. E' vero: io sono prigioniero e non sono in uno
stato d'animo
lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo
con il mio stile per brutto che
sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, matto e non merito
di essere preso sul serio. Allora ai
miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l'onesta domanda che
si riunisca la direzione o altro
organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita
di un uomo e la sorte della sua famiglia, si
continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del
dibattito, paura della verità, paura
di firmare col proprio nome una condanna a morte.
E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non avrei creduto possibile)
il fatto che alcuni amici,
da Mons. Zama, all'avv. Veronese, a GB Scaglia ed altri, senza né
conoscere né immaginare la mia
sofferenza, non disgiunta da lucidità e libertà di spirito,
abbiano dubitato dell'autenticità di quello che
andavo sostenendo, come se io scrivessi su dettatura delle Brigate Rosse.
Perché questo avvallo alla
pretesa mia non autenticità? Ma tra le Brigate Rosse e me non c'è
la minima comunanza di vedute. E
non fa certo identità di vedute la circostanza che io abbia sostenuto
sin dall'inizio (e come ho
dimostrato molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra,
uno scambio di prigionieri
politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave
sofferenza, ma vivo, l'altro viene
ucciso. In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente
mi permetto sottoporre al S. Padre)
non solo a chi è dall'altra parte, ma anche a chi rischia l'uccisione,
alla parte non combattente, in
sostanza all'uomo comune come me. Da che cosa si può dedurre che
lo Stato va in rovina, se, una volta
tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece
che in prigione, in esilio? Il
discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte
tutti i prigionieri delle B.R. (ed è
prevedibile ce ne siano) è arroccato il Governo, è arroccata
caparbiamente la DC, sono arroccati in
generale i partiti con qualche riserva del PSI, riserva che è augurabile
sia chiarita d'urgenza e
positivamente, dato che non c'è tempo da perdere. In una situazione
di questo genere, i socialisti
potrebbero avere funzione decisiva. Ma quando? Guai, Caro Craxi, se una
tua iniziativa fallisse.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila
come filavano i miei
ragionamenti di un tempo.
Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della DC che in moltissimi
casi scambi sono stati fatti in
passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti.
Ma è tempo di aggiungere
che, senza che almeno la DC lo ignorasse, anche la libertà (con
l'espatrio) in un numero discreto di casi
è stata concessa a Palestinesi, per parare la grave minaccia di
ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare
danno rilevante alla comunità.
E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado
di immanenza di quelle che oggi
ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità
di fare uno strappo alla regola della
legalità formale (in cambio c'era l'esilio) era stata riconosciuta.
Ci sono testimoni ineccepibili: i quali
potrebbero avvertire il dovere di dire una parola chiarificatrice. E sia
ben chiaro che, provvedendo in tal
modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare
di riguardo ai paesi amici
interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e
fiduciosi rapporti. Tutte queste
cose dove e da chi sono state dette in seno alla DC? E nello stesso Parlamento
in un dibattito
approfondito? Io ho scritto ai presidenti delle assemblee, ma non ho rilevato,
forse per la mia
condizione, alcuna risposta. A me però interessa la DC dove non
si affrontano con coraggio i Problemi.
E, sul caso che mi riguarda, è la mia condanna a morte, sostanzialmente
avvallata dalla DC, la quale
arroccata sui suoi discutibili principi, nulla fa per evitare che un uomo,
chiunque egli sia, ma poi un suo
esponente di prestigio, un militante fedele sia condotto a morte. Un uomo
che aveva chiuso la sua
carriera con la sincera rinuncia a presiedere il governo, ed è
stato letteralmente strappato da Zaccagnini
(e dai suoi amici tanto abilmente calcolatori) dal suo posto di pura riflessione
e di studio, per assumere
l'equivoca veste di presidente del partito per il quale non esisteva un
adeguato ufficio nel contesto di
Piazza del Gesù. Son più volte che chiedo a Zaccagnini di
collocarsi lui idealmente al
posto che egli mi ha obbligato ad occupare. Ma egli si limita a dare assicurazioni
al presidente del
consiglio che tutto sarà fatto come egli desidera. Possibile che
non vi sia una riunione statutaria e
formale, quale che ne sia l'esito? Possibile che non vi siano dei coraggiosi
che la chiedono, come io la
chiedo in piena lucidità di mente? Centinaia di parlamentari volevano
votare contro il governo. Ed ora
nessuno si pone il problema di coscienza? E ciò con la comoda scusa
che io sono un prigioniero. Si
deprecano i lager, ma come si tratta, civilmente, in Italia un prigioniero,
che ha solo un vincolo esterno,
ma l'intelletto lucido?
Chiedo a Craxi, se questo è giusto. Chiedo al mio partito, ai tanti
fedelissimi delle ore liete, se questo è
ammissibile. Le altre riunioni formali non le si vuol fare. E io ho il
potere di convocare per data
conveniente e urgente il consiglio nazionale avendo per oggetto il tema
circa i modi per rimuovere gli
impedimenti del suo presidente. Dovrebbe presiederlo per mia delega l'On.
Riccardo Misasi. Chiedo al
capo dello Stato che tali organi, previsti dalla costituzione, siano fatti
funzionare. Non può esservi
arbitrio in queste cose. Sono attento a sentire i nomi e ad accogliere
gli atteggiamenti. Se poi nulla
avverrà, dovrò affermare in pieno la responsabilità
della DC ufficiale e di quanti non si fossero da essa
tempestivamente dissociati. E' noto che i gravissimi problemi della mia
famiglia sono la ragione
fondamentale della mia lotta contro la morte.
(Le righe che seguono sono da rivedere a secondo dell'utilità che
possono avere per sua espressa
opinione).
E notò... k... contro la morte.
In tanti anni e in tante vicende i desideri sono caduti e lo spirito si
è purificati. E, pur vero con le mie
tante colpe, credo di aver vissuto con generosità nascoste e delicate
intenzioni. Muoio, se così deciderà
il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell'amore immenso
per una famiglia esemplare
che io adoro e spero di vigilare dall'alto dei cieli. Proprio ieri ho
letto la tenera lettera di amore di mia
moglie, dei miei figli, dell'amatissimo nipotino, dell'altro che non vedrò.
La pietà di chi mi recava la
lettera ha escluso i contorni che dicevano la mia condanna, se non avverrà
il miracolo del ritorno della
DC a se stessa e la sua assunzione di responsabilità. Ma questo
bagno di sangue non andrà bene né per
Zaccagnini, né per Andreotti, né per la DC, né per
il paese. Ciascuno porterà la sua responsabilità. Io
non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino
a me coloro che mi hanno
amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo
è deciso, sia fatta la
volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l'adempimento
di un presunto dovere. Le
cose saranno chiare, saranno chiare presto. Segue firma...
74) A Riccardo Misasi
(non recapitata)
Caro Riccardo,
avendoti prescelto, solo per l'antica amicizia e stima quale mio portavoce,
si tratti poi del Consiglio
nazionale, o della Direzione del Partito, invio a te alcune considerazioni
utili per il dibattito, le quali
però, a differenza delle altre, hanno carattere confidenziale e
non sono destinate alla pubblicazione. Ciò
vuol dire che tu richiamerai discretamente su di esse, a mio nome, l'attenzione
degli ascoltatori,
ovviamente insieme alle altre argomentazioni sulle quali, per essere state
esse già pubblicate si potrà
essere più netti e chiari. Mi pare però ci sia qualche cosa
che, nel foro interno, non è possibile ignorare.
Oltre ad essere parte in causa, quale Presidente pro-tempore del Consiglio
Nazionale, adempio con questi miei scritti la mia funzione di stimolo
alla riflessione non senza rilevare con disappunto che del
mio primo scritto si è profilata una specie di blocco o censura,
che reputo inammissibili.
Scorrendo rapidamente qualche giornale in questi giorni, fra alcune cose
false, assurde e francamente
ignobili, ho rilevato che andava riaffiorando la tesi (la più comoda)
della mia non autenticità e non
credibilità. Moro insomma non è Moro, tesi nella quale si
sono lasciati irretire, come ho documentato,
amici carissimi, ignari di prestarsi ad una vera speculazione. Per qualcuno
la ragione di dubbio è nella
calligrafia, incerta, tremolante, con un'oscillante tenuta delle righe.
Il rilievo è ridicolo, se non
provocatorio. Pensa qualcuno che io mi trovi in un comodo e attrezzato
ufficio ministeriale o di
partito? Io sono, sia ben chiaro un prigioniero politico ed accetto senza
la minima riserva, senza né
pensiero, né un gesto di impazienza la mia condizione. Pretendere
però in queste circostanze grafie
cristalline e ordinate e magari lo sforzo di una copiatura, significa
essere fuori della realtà delle cose.
Quello che io chiedo al partito è uno sforzo di riflessione in
spirito di verità. Perché la verità, cari amici,
è più grande di qualsiasi tornaconto. Datemi da una parte
milioni di voti e toglietemi dall'altra parte un
atomo di verità, ed io sarò comunque perdente. Lo so che
le elezioni pesano in relazione alla limpidità
ed obiettività dei giudizi che il politico è chiamato a
formulare. Ma la verità è la verità. E' per questo
che
ho ascoltato (dirò poco) con sommo rammarico la reazione dell'On.
Zucconi alla nota proposta
dell'On. Craxi. Si tratterebbe, cito a memoria, di una vana caccia di
voti delle sinistre democristiane. Del
resto il dialogo di altri esponenti politici con l'On. Craxi non è
di maggior delicatezza.
Ecco cosa resta, in Parlamento, di un'iniziativa e politica insieme: la
raccolta di qualche centinaia di voti.
Vogliamo, colleghi democristiani, alzarci un po' al di sopra di queste
cose?
Vogliamo occuparci un po' meno di voti e più di umanità
e di politica?
In un tema come questo gli argomenti sono quelli che sono, non si possono
moltiplicare. Ma quel che
importa è che su di essi cada una seria riflessione. C'è
un punto di partenza politico, sul quale mi
soffermerò un momento con delicatezza.
Perché non mi interessano le persone, ma la concatenazione degli
avvenimenti. Io non so che cosa sia
avvenuto, come non so tante altre cose, nei minuti tra il mio rapimento
e la presentazione del Governo
alle Camere con l'enunciazione della c.d. linea rigida di difesa della
Costituzione (ma in che senso, poi?).
Vi fu un fatto di rilevante gravità. La circostanza che il Governo
fosse appena formato, non senza
qualche riserva, autorizza a passare sopra al discorso dei fatti accaduti
e delle conseguenti
responsabilità? Il servizio di scorta era di gran lunga al di sotto
delle sue esigenze operative. Il rapito, del
resto trattato con rispetto, si trovava ad essere il Presidente del Consiglio
Naz. del Partito, carica, a mio
avviso, onorifica e ambigua, ma che, come i fatti dimostrano, aveva ingenerato
in altri l'impressione che
si trattasse del personaggio chiave della politica italiana e, per giunta,
presunto candidato alla Presidenza
della Repubblica (candidatura mai accettata).
Possibile che per questo personaggio il metodo tradizionale di scorta
palesemente insufficiente, non sia
stato almeno ritoccato data la particolarità delle circostanze?
Possibile che questa strategia dipendesse
da un modesto funzionario? Possibile che tutti i personaggi che si consultarono
sul fatto del giorno,
non abbiano almeno tenuto conto del fatto che la persona sequestrata fosse
persona di un certo rilievo
nella vita del Partito e dello Stato?
In proposito vi fu, nel mio primo messaggio, qualche cauto accenno, il
quale per altro non fu né
valutato né raccolto dai saggi che si avvicendarono ad esprimere
il loro consenso alla tesi intransigente.
Insomma: poco fu fatto prima, nulla fu fatto dopo.
E questa è la base, francamente incredibile, del rigore manifestatosi
successivamente. Leggevo ieri una
cosa ben chiara e netta dell'on. Riccardo Lombardi. In sostanza così
all'incirca ragiona l'anziano e saggio
parlamentare socialista, se i prigionieri in questa vicenda fossero numerosi,
e si ponesse per essi un
problema di scambio, non v'è dubbio che lo Stato tutelerebbe meglio
i propri interessi (a parte i
problemi umanitari) accedendo allo scambio e non li tutelerebbe negandolo.
Che cosa cambia in linea di
principio se il prigioniero è uno? Il che vuol dire che la persecuzione
ad ogni costo, in quella forma,
dell'atto illecito, non risponderebbe ad una ragione sostanziale. Nella
sostanza, nel merito delle cose
cioè sono le circostanze che debbono indurre a valutare che cosa
sia conveniente fare nel rispetto della
vita, nel rapporto tra detenzione ed uccisione, nella tutela dei giusti
interessi dello Stato, nel
riconoscimento delle ragioni umanitarie. Ecco perché queste cose
sono e non possono essere disciplinate nel segno dello Stato di necessità,
salvo le ipotesi più semplici alle quali fa riferimento
saggiamente l'On. Craxi. La casistica, sulla quale più volte mi
sono soffermato è al riguardo altamente
indicativa, dagli innumerevoli casi di salvezza di ostaggi fino ai casi
dei palestinesi di cui si è parlato. Del
resto, senza soffermarsi troppo su casi assai delicati e bisognosi di
approfondimento, non si può negare
che taluni fenomeni, a differenza di altri, hanno carattere di guerriglia
con una propria fisionomia
politica e giuridica, ponendo problemi che proprio le attuali circostanze
mettono in evidenza ed alla cui
soluzione (e ci si muove in questa direzione) non può essere estraneo
il Comitato per la Croce Rossa
internazionale ed il cosiddetto diritto umanitario che è in elaborazione.
E quanto alla natura dei fatti
basterà ricordare le vicende dell'Alto Adige.
E nella casistica cui accennavo si aggiunga il caso Lorenz nella stessa
Germania.
I fatti sono dunque tanto chiari che il categorico rifiuto di prenderli
in considerazione in questo
momento non può apparire che un partito preso, un allineamento
su posizioni esterne, una
deformazione del volto umano dell'Italia. Questa rigidezza non corrisponde
alla linea politica della
D.C., giunta all'assurdo rifiuto della proposta Craxi.
A questa deformazione la direzione D.C. deve dire basta prima che il danno
diventi ancor più grave e
irreparabile. (la lettera si interrompe qui senza firma)
75) Frammento (probabilmente si tratta di una parte di lettera mai
recapitata)
(fogli non recapitati)
(...) comprensibile ragione, con le cose serie.
_
Quello che io chiedo al Partito è uno sforzo serio di riflessione,
in spirito di verità. Perché la verità, cari
amici, è più grande di qualsiasi tornaconto elettorale.
Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi
dall'altra parte un atomo di verità ed io sarò comunque
perdente. Lo so che le elezioni ci sono
purtroppo, e pesano (dico, per questo, purtroppo) in relazione alla limpidità
ed obiettività dei giudizi
che il politico, in circostanze come queste, è chiamato a formulare.
E' per questo che ho ascoltato (mi
dispiace di non avere altra parola da usare) con disgusto la reazione
dell'On. Zucconi alla nota proposta
dell'On. Craxi. Si tratta, cito, a memoria, di una vana caccia di voti
della sinistra democristiana. Ecco,
dunque, che cosa resta nel Parlamento italiano di un'iniziativa umanitaria
e politica insieme: la caccia a
qualche decina o centinaia di voti. Del resto il dialogo tra l'On. Craxi
e altri esponenti politici è
ugualmente delicato. Vogliamo colleghi democristiani, alzarci un po' al
di sopra di queste cose?
Vogliamo occuparci un po' meno di voti e più invece di umanità
e di politica? Se il Consiglio non
sapesse farlo, esso sarebbe fallito. Che miserabile immagine di una nuova
D.C. (di cui è alfiere Zucconi)
ne verrebbe fuori!
In un tema come questo non è che gli argomenti possano essere moltiplicati
a dismisura. Essi ci sono,
sono stati enunciati, possono essere sviluppati ed integrati, ma quel
che è essenziale è che su essi cada la
più seria riflessione, senza affidarsi al caso.
Ed il discorso deve cominciare in sede politica, benché la cosa
sia spiacevole, dalla responsabilità per
quel che è avvenuto, non dal da farsi (più o meno bene)
visto che talune cose gravi e preoccupanti sono
avvenute. Sia ben chiaro che io non intendo infierire contro la persona
(la
lettera è stata troncata da qui in poi)
76) A Elio Rosati
(non recapitata)
Mio carissimo Elio,
non solo per l'antica e cara amicizia che ti porto, ma per istintiva intuizione
ho pensato a te, mano a
mano che andavo considerando, giorno per giorno, la situazione ed, in
essa, da un lato la mia, dall'altro
quella della D.C.. Del poco che so, so almeno questo, che fedele al tuo
costume, non hai avuto
incertezze e paure hai rifiutato il conformismo ed il quieto vivere, ti
sei impegnato con una posizione
autonoma, quando altri si andavano imbrancando acriticamente sotto il
pretesto dell'interesse di partito
e di una unità malintesa, della D.C. Oggi quello che si nota è
la mancanza di coraggio e questo fa sì che
il nostro appaia un partito acritico, tutto arroccato su una medesima
posizione. E tu sai che questo non
è invece mai avvenuto e che la dialettica è stata aperta
tra noi. Ebbene, oggi tu rimani pressoché solo ad
adempiere questo compito essenziale, tu rimani solo a rompere il ghiaccio.
Ma sai pure, che sotto la
scorza dell'indifferenza e del conformismo, una parte notevole della base
democristiana ripugna
profondamente alla mia attuale condizione ed al grosso rischio che essa
comporta. Nessuno parla, ma
molti temono. Ed io credo che se uno alzasse la sua voce, una voce limpida,
come la tua, proprio in
questi giorni che coincidono con una grossa riunione della Direzione DC,
le voci di consenso, sensibili,
anche se forse non maggioritarie, non mancherebbero. Io non vedo altri
che te che possa dire questa
parola e guidare, al massimo possibile insieme con Misasi, un movimento
di opinione pubblica che
bilanci le ferree esigenze di regime che si esprimono sulla stampa. Bisogna
parlare subito, alto, forte,
con chiarezza, utilizzando la stampa anche settimanale e, ovviamente,
tenendo d'occhio l'andamento
della Direzione sulla quale non mi faccio però soverchie illusioni.
Poiché si tratta di problemi di
coscienza (e nessuna è più limpida della tua), desidero
dirti, per così dire, solennemente che la proposta
di scambio od altra simile, specie se attuata immediatamente, sarebbe
stata la meno onerosa per la D.C.
Aggiungo che tutte le altre saranno forzatamente più onerose e
sarebbero perciò da evitare, se
prevalesse, come dovrebbe prevalere, il buon senso. Tutto quello che farai
nei prossimi giorni, con la
forza della disperazione, (e cerca di farlo capire agli altri) è
il meglio per la D.C., è un salto di salvezza su
di un abisso.
Non ti dico altro, perché so che tu capisci per immediata intuizione.
Mi auguro tanto che tu riesca,
associando tutte le altre forze disponibili. Perché tanti amici
sono diventati così timidi: se fossero
insieme quelli sui quali abbiamo sempre contato, la partita sarebbe vinta.
Il silenzio è un delitto. Che c'è
di male chiedere la salvezza di un amico quando, oltretutto, altrimenti,
si corre un rischio mortale? Datti
da fare dunque come avrai già fatto. Non si parli di elezioni.
Nelle condizioni presenti, pagheremmo un
prezzo estremamente alto.
Grazie per quanto farai, parlando in giro e nei corridoi delle camere,
raccogliendo firme, rilasciando
interviste.
Ricordami ai tuoi ed abbiti il più cordiale abbraccio
Tuo
Aldo
P.S. Anche gli amici di Bari hanno attenuato la loro voce per presunte
ragioni elettorali. Dì loro che
rischiano di essere puniti ben più gravemente, che se avessero
detto che intendevano salvare un vecchio
amico per ragioni umanitarie.
On. Elio Rosati
77) A Corrado Guerzoni
(non recapitata)
Guerzoni,
Telefonare a Bottai, per chiedere se Cottafavi ha notizie dell'esito del
mio appello a Waldheim e che
cosa conta di fare.
Dell'esito della telefonata Lei si tenga informato, in modo che, a momento
opportuno, si possa sapere
qualche cosa.
M.
78) A Giuseppe Saragat
(non recapitata)
Caro Saragat,
desidero ringraziarti nel modo più vivo per le alte e nobili parole
con le quali hai voluto esprimermi la
tua comprensione e solidarietà. Questo tuo atteggiamento è
in linea con l'ispirazione umanitaria che ha
qualificato e qualifica la tua figura nella politica italiana. Tutto ciò
mi conforta e mi incoraggia molto
nella difficilissima prova.
Grazie ancora e cordialissimi saluti ed auguri
Tuo
Aldo Moro
Sen. Giuseppe Saragat
Palazzo Madama
79) A Corrado Guerzoni
(non recapitata)
collegarsi sempre con casa
Indicazioni per Guerzoni con infiniti ringraziamenti
distribuire, senza fretta, le mie lettere a mia moglie e Sen. Saragat.
ricercare con urgenza l'on. Riccardo Misasi che dovrebbe essere alla Commissione
Giustizia della
Camera o Piazza del Gesù o Gruppo Parlamentare. La prima è
la più probabile. Sappia che egli è il mio
portavoce e deve mettere in moto la Direzione. Dargli copia dei miei tre
scritti, l'ultimo, come si legge,
dovrebbe essere destinato a riferimento orale senza pubblicazione. Se
però l'andamento della Direzione,
Dio non voglia, fosse davvero deludente e preclusivo di positivi sviluppi,
Lei potrà allora diramare alla
stampa il testo dopo averne lealmente informato Misasi. Il punto delicato,
come si intende, è il
comportamento del Ministro, di cui non vorrei forzare le dimissioni, poiché
preferisco soluzioni
costruttive. Ma se l'atteggiamento altrui mi obbliga non ho scelta. Grazie
tante ed i più affettuosi saluti
Aldo Moro
Gira ./.
Aggiungo una lettera appello per Elio Rosati, che è la persona
che più amo e stimo. Anch'essa è
urgente anzi urgentissima per una mobilitazione dell'opinione pubblica
che finora è mancata. Dispiace
molto questo scarso rispetto della verità e, poi, dell'utilità
del Partito. A parte i membri del Governo, la
cui posizione è particolare (ma che potrebbero ispirare altri),
ce n'è altri da recuperare. Freato ci riesce
almeno un po'? E' possibile far capire che quello che si propone ed ora
si respinge è il meglio per la
D.C. e sarà rimpianto tra pochissimi giorni? Che pensa dell'iniziativa
di Craxi? Ha uno spessore? Freato
riesce a pilotare Signorile?
Affettuosamente
Aldo Moro
Non so l'indirizzo di Rosati. O è alla Camera o in casa non lontano
dalla mia. Forse Freato lo conosce o
può conoscere.
80) A Eleonora Moro
(non recapitata)
Mia carissima Noretta,
vi sono molto vicino e gratissimo agli amici che, come vedo, vi confortano
vi aiutano. Io
discretamente. Mi spiace vedere la tua foto sulla stampa con atteggiamento
così provato. Che Iddio ci
aiuti.
Mi pare che le parole rivolte al Partito siano riuscite vere ed efficaci.
Speriamo che portino un salutare
ripensamento ed una giusta discussione sulla quale si sia, com'è
naturale, più sereni.
Vi abbraccio tutti dal profondo del cuore.
Aldo Moro
PS: Fai, ti prego, al più alto livello un ultimo sforzo con il
Papa per una soluzione mediatrice. Non puoi
immaginare quanto sia più costruttiva. Prego la Provvidenza di
ispirarlo e di spiegargli con umiltà
profondissima di non respingere questa mia. Il danno sarà grandissimo.
E' un dovere di coscienza. Pignedoli? Poletti?
81) A Benigno Zaccagnini
(non recapitata)
Zaccagnini,
ti scongiuro. Fermati, in nome di Dio. Fin qui mi hai sempre ascoltato.
Perché ora vuoi fare di tua testa.
Non sai. Non ti rendi conto di quale grande male tu stia preparando al
Partito.
Finché sei ancora in tempo, poche ore, fermati e prendi la strada
onesta di una trattativa ragionevole.
Che Dio ti assista.
Aldo Moro
82) A Benigno Zaccagnini
(non recapitata)
Caro Zaccagnini,
ecco, sono qui per comunicarti la decisione cui sono pervenuto nel corso
di questa lunga e drammatica
esperienza ed è di lasciare in modo irrevocabile la Democrazia
Cristiana. Sono conseguentemente
dimissionario dalle cariche di membro e presidente del Consiglio Nazionale
e di componente la
Direzione Centrale del Partito.
Escludo ovviamente candidature di qualsiasi genere nel futuro. Sono deciso
a chiedere al Presidente
della Camera, appena potrò, di trasferirmi dal Gruppo Parlamentare
della D.C. al Gruppo Misto. E'
naturale che aggiunga qualche parola di spiegazione. Anzi le parole dovrebbero
essere molte, data la
complessità della materia, ma io mi sforzerò di ridurle
al minimo, cominciando, com'è ovvio, dalle più
semplici. Non avendo mai pensato, anche per la feroce avversione di tutti
i miei familiari, alla
Presidenza della Repubblica, avevo immaginato all'inizio di legislatura
di completare quella in corso
come un vecchio al quale qualche volta si chiedono dei consigli e con
il quale si ama fare un commento
sulle cose, che l'età ed il personale disinteresse rendono, forse,
obiettivo.
Come più volte ti ho detto, fosti tu a deviare questo corso delle
cose, mentre furono ancora tuoi amici
che fecero riserve, sempre nell'illusione che io dovessi dare ancora qualche
cosa al Partito, non appena
si accennò ad una presidenza di Assemblea, per concludere in tal
modo la mia attività politica. Così mi
sono trovato in un posto difficile e ambiguo, che dava all'esterno la
sensazione di un predominio
(inesistente) della D.C. ed all'interno creava imbarazzi, gelosie, equivoci,
timori.
Essendoci lasciati in ottima intesa la sera del martedì, già
pochi giorni dopo, qui dove sono, avevo la
sensazione di avervi in qualche modo liberato e che io costituissi un
peso per voi non per il fatto di non
esserci, ma piuttosto per il fatto di esserci. E questo per ragioni obiettive,
perché non c'è posto, accanto
al Segretario Politico eletto dal Congresso, per un Presidente del Partito
che abbia rispetto di sé e delle
cose. E se il vostro profondo pensiero coincideva con quello che io avevo
fatto valere, perché non
accontentarci tutti in una volta? Aggiungerò poi (e questo va al
di là della Presidenza del Consiglio
Nazionale di cui abbiamo parlato sin qui) che io non ho compreso e non
ho approvato la vostra dura
decisione, di non dar luogo a nessuna trattativa umanitaria, anche limitata,
nella situazione che si era
venuta a creare. L'ho detto cento volte e lo dirò ancora, perché
non scrivo sotto dettatura delle Brigate
Rosse, che, anche se la lotta è estremamente dura, non vengono
meno mai, specie per un cristiano,
quelle ragioni di rispetto delle vittime innocenti ed anche, in alcuni
casi, di antiche sofferenze, le quali,
opportunamente bilanciate e con il presidio di garanzie appropriate, possono
condurre appunto a
soluzioni umane. Voi invece siete stati non umani, ma ferrei, non attenti
e prudenti, ma ciechi. Con
l'idea di far valere una durissima legge, dalla quale vi illudete di ottenere
il miracoloso riassetto del
Paese, ne avete decisa fulmineamente l'applicazione, non ne avete pesato
i pro e i contro, l'avete tenuta
ferma contro ogni ragionevole obiezione, vi siete differenziati, voi cristiani,
dalla maggior parte dei paesi
del mondo, vi siete probabilmente illusi che l'impresa sia più
facile, meno politica, di quanto voi
immaginate, con il vostro irridente silenzio avete offeso la mia persona,
e la mia famiglia, con l'assoluta
mancanza di decisioni legali degli organi di Partito avete menomato la
democrazia che è la nostra legge,
irreggimentando in modo osceno la D.C., per farla incapace di dissenso,
avete rotto con la tradizione
più alta della quale potessimo andar fieri. In una parola, l'ordine
brutale partito chissà da chi, ma
eseguito con stupefacente uniformità dai Gruppi della D.C., ha
rotto la solidarietà tra noi. In questa
(cosa grossa, ricca di implicazioni) io non posso assolutamente riconoscermi,
rifiuto questo costume,
questa disciplina, ne pavento le conseguenze e concludo, semplicemente,
che non sono più
democratico cristiano. Essendo scontata in ogni caso dal momento del mio
rapimento (e della vostra
mistica inerzia) il mio abbandono della Direzione e del Consiglio Nazionale,
restava, se il vostro
comportamento fosse stato diverso e più
costruttivo, la possibilità della mia permanenza senza alcun incarico
nella famiglia democratica cristiana
e che è stata mia per trentatré anni. Oggi questo è
impossibile, perché mi avete messo in una
condizione impossibile. E perciò il mio ritiro da semplice socio
della D.C. è altrettanto serio, rigido ed
irrevocabile quanto lo è il mio abbandono dalle cariche nelle quali
avevamo creduto di poter lavorare
insieme. Tutto questo è finito, è assolutamente finito.
Ed ora che posso parlare, senza che nessuno
pensi ad una pretesa di successione, a parte il mio durissimo giudizio
sul Presidente del Consiglio e su
tutti coloro che hanno gestito in modo assolutamente irresponsabile questa
crisi, c'è, per dovere di
sincerità ed antica appannata amicizia, la valutazione su di te,
come, per così dire, il più fragile
Segretario che abbia avuto la D.C., incapace di guidare con senso di responsabilità
il partito e di farsi
indietro quando si diventa consapevoli, al di là della propaganda,
di questa incapacità. Guidare e non
essere guidato è il compito del Segretario del più grande
partito italiano.
Giunti a questo punto, i motivi di dissenso, che non ci faranno incontrare
più, sono evidentemente
molti. Tu non penserai che possa trattarsi solo del modo chiuso e retrivo
che ha caratterizzato il vostro
comportamento in questa vicenda, nella quale vi
sembrerà di avere conseguito chissà quale straordinario
successo. Questa è una spia, la punta
dell'iceberg, ma il resto è sotto. Ho riflettuto molto in queste
settimane. Si riflette guardando forme
nuove. La verità è che parliamo di rinnovamento e non rinnoviamo
niente. La verità è che ci illudiamo
di essere originali e creativi e non lo siamo. La verità è
che pensiamo di fare evolvere la situazione con
nuove alleanze, ma siamo sempre là con il nostro vecchio modo di
essere e di fare, nell'illusione che,
cambiati gli altri, l'insieme cambi e cambi anche il Paese, come esso
certamente chiede di cambiare.
Ebbene, caro Segretario, non è così. Perché qualche
cosa cambi, dobbiamo cambiare anche noi. E, a
parte il fatto che davvero altri (socialisti ieri, comunisti oggi) siano
in grado di realizzare una svolta in
accordo con noi - il che possiamo augurarci e sperare - la D.C. è
ancora una così gran parte del Paese,
che nulla può cambiare, se anch'essa non cambia. E per cambiare
non intendo la moralizzazione,
l'apertura del Partito, nuovi e più aperti indirizzi politici.
Si tratta di capire ciò che agita nel profondo la
nostra società, la rende inquieta, indocile, irrazionale, apparentemente
indominabile. Una società che
non accetti di adattarsi a strategie altrui, ma ne voglia una propria
in un limpido disegno di giustizia, di
eguaglianza, di indipendenza, di autentico servizio dell'uomo. Ecco tutto.
Benché sia pessimista, io mi
auguro che facciate più di quanto osi sperare. Non era questa la
conclusione cui avevo pensato né
l'addio immaginato per te ed i colleghi. Ma le cose sono così poco
nelle nostre mani, specie se esse sono
troppo deboli o troppo forti. Che Iddio ti aiuti ed aiuti il Paese. Cordialmente.
Aldo Moro
83) A Benigno Zaccagnini
(non recapitata)
Caro Zaccagnini,
la lunga e tormentata vicenda della mia prigionia presso le Brigate Rosse
pone dei problemi ai quali è
doveroso e sempre più urgente rispondere. Mi riferisco all'atteggiamento
di totale indifferenza assunto
dal Partito nei confronti della mia persona e della mia famiglia, la quale
paga un prezzo altissimo per un
modo di fare che non ha assolutamente precedenti nella D.C..
Quest'ultima è venuta incontro, più o meno, alle necessità
che premevano sui suoi associati, ma mai,
come in questo caso, è restata del tutto fuori da una vicenda gravissima,
delicatissima e per la quale non
era certo priva di mezzi d'intervento. Si poteva fare, solo che si fosse
voluto rimuovere una
inconsistente pregiudiziale, ed invece non si è fatto. Il culto
esasperato del rispetto della legalità formale
ha reso rigidi e insensibili, ha ridotto ad essere soffocante, come mai
era stata, la disciplina di partito, ha
tolto ogni libertà di ragionevole movimento, ed ha sacrificato,
con me e con la mia famiglia, quelle
ragioni umanitarie che militano a favore, oltre che di vittime innocenti,
ma anche di persone
condannate le cui condizioni di salute e di vita abbisognano di particolare
cura e per le quali si offre
l'ospitalità, caritatevole o amichevole, di un paese straniero.
Questi sono i principi sanciti nella nostra coscienza civile, e nei paesi
più evoluti non manca mai una
giusta considerazione di ragioni umanitarie, siano esse prevalenti, di
volta in volta, per le vittime
innocenti o per persone ormai condannate. Io pensavo che, al di là
della mia persona sofferente ed in
pericolo, in un partito d'ispirazione cristiana a queste cose non si potesse
guardare con indifferenza. E
proprio mentre i socialisti, sia pure in modo incompiuto, si fanno carico
di cose delle quali ben prima
proprio i cristiani dovevano avere la maggiore sensibilità.
Da qui un profondo stupore ed un profondo disagio. Certo l'impresa portata
a termine dalle Brigate
Rosse è di notevole rilievo politico: ma è pur vero che
essa pone in luce quei problemi umanitari dei
quali parlavo innanzi e dei quali né il partito, né tu potete
assolutamente disinteressarvi. Ed invece ve ne
disinteressate con sfacciato cinismo, essendo del resto in buona compagnia.
Mi stupisco del fatto che
così si manifesti la tua sensibilità umana e cristiana.
Questo, a prescindere da tante altre cose, per gli aspetti personali e
per quelli obiettivi, è un capitolo
importante, ed altamente deludente, dei miei rapporti con la D.C. Questo
disagio di fondo l'ho capito
ogni giorno di più, questa incomprensione, questa diversità
tra noi diventano ogni giorno più vistose,
rendendomi impossibile di ritrovarmi con gli antichi amici con la scioltezza
e la naturalezza di sempre.
Questa irremovibile intolleranza, che nasce, sia ben chiaro, da un fatto
morale più che politico mi
induce a questo punto a rendere formali le mie dimissioni dal Partito,
intendo non solo dalle cariche,
comprese quelle ipotetiche e future, ma proprio dal corpo, dalla famiglia
della D.C. Passerò perciò, per
la durata della legislatura al Gruppo Misto. Dopo tanti anni di amicizia,
che ha sofferto anch'essa di
questa crisi ci troviamo su posizioni estremamente lontane ed incongiungibili.
Stranamente vedo in te quell'arroganza del potere che abbiamo tante volte
lamentato in altri e che,
ricordalo, il paese sente con crescente insofferenza, senza che possa
essere questa assurda gara di
resistenza nello sbarazzarci di ogni ragione umanitaria a farcelo perdonare.
Sia dunque ben chiaro, perché non vi siano equivoci, che non si
pone solo il problema della mia
persona per quel che poco significa per la D.C., ma il problema oggetto
del modo di reagire con senso
cristiano e democratico di fronte a situazioni di obiettivo pericolo e
che richiedono interventi umanitari.
Ritengo dunque sbagliata e urtante la linea del partito che hai assunto
e che incautamente si è fatto in
modo che tu assumessi. La colpa è grave in entrambi i casi. Siamo
guidati male, in modo insicuro e non
coerente ai principi.
Ma in un travaglio così complesso non sono solo queste le ragioni
della mia decisione. (la lettera si interrompe qui)
84) A Eleonora Moro
(non recapitata)
A Noretta
la lettera di dimissioni a Zaccagnini è da spedire o rendere pubblica
a giudizio concorde tuo, di Freato,
Rana e Guerzoni.
Credo ci sia una buona uscita dell'Università
85) A Eleonora Moro
(recapitata il 5 maggio)
Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza,
giunge incomprensibilmente l'ordine
di esecuzione.
Noretta dolcissima, sono nelle mani di Dio e tue.
Prega per me, ricordami soavemente. Carezza i piccoli dolcissimi, tutti.
Che Iddio vi aiuti tutti. Un bacio
di amore a tutti.
Aldo
86) A Eleonora Moro
(recapitata il 5 maggio)
Tutto sia calmo. Le sole reazioni polemiche contro la D.C. Luca no
al funerale.
Mia dolcissima Noretta,
dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco
circa quel che mi si
veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Non mi pare
il caso di discutere della cosa
in sé e dell'incredibilità di una sanzione che cade sulla
mia mitezza e la mia moderazione. Certo ho
sbagliato, a fin di bene, nel definire l'indirizzo della mia vita. Ma
ormai non si può cambiare. Resta solo
di riconoscere che tu avevi ragione. Si può solo dire che forse
saremmo stati in altro modo puniti, noi e
i nostri piccoli. Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità
della D.C. con il suo assurdo ed
incredibile comportamento. Essa va detto con fermezza così come
si deve rifiutare eventuale medaglia
che si suole dare in questo caso.
E' poi vero che moltissimi amici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall'idea
che il parlare mi
danneggiasse o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono
mossi come avrebbero dovuto.
Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare.
E questo è tutto per il passato. Per il futuro c'è in questo
momento una tenerezza infinita per voi, il
ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande grande carico di ricordi
apparentemente insignificanti e
in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà
di essere tra voi. Per carità, vivete in
una unica casa, anche Emma se è possibile e fate ricorso ai buoni
e cari amici, che ringrazierai tanto, per
le vostre esigenze. Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi
per occhi, capelli per capelli. A
ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte,
mia dolcissima, in questa
prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a
tutti i parenti ed amici con
immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore
eterno. Vorrei capire, con i
miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse
luce, sarebbe bellissimo. Amore mio,
sentimi sempre con te e tienmi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca
(tanto tanto Luca), Anna,
Mario, il piccolo non nato, Agnese Giovanni. Sono tanto grato per quello
che hanno fatto.
Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta.
Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo
(la lettera
è stata interrotta qui)
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