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L'omicidio D'Antona
11 anni, un mese e quattro giorni: è durata un periodo così
lungo la normalità di un Paese che vive senza essere esposto ai
colpi mortali del terrorismo. Il 16 aprile 1988, a Forlì, era stato
Roberto Ruffilli, 52 anni, politologo, collaboratore dell'allora presidente
del Consiglio De Mita, l'ultima vittima delle Brigate rosse. Il 20 maggio
1999, a Roma, la stessa sigla di un partito armato che si credeva estinto
rivendica l'assassinio di Massimo D'Antona, 51 anni, consigliere del ministro
del Lavoro Bassolino. Tra queste due date un lasso di tempo che equivale
quasi al formarsi di una nuova generazione. L'attentato avviene in un
momento delicato della politica italiana che vede un governo di centro-sinistra
militarmente impegnato, tra mille lacerazioni, nei bombardamenti della
NATO sulla Serbia e sul Kosovo. Se a commettere l'omicidio D'Antona è
stata davvero una nuova forma di eversione, quell'attacco è stato
a freddo, ma vecchio nel metodo, nel linguaggio e nelle prospettive di
lotta armata che intende aprire. Il volantino di rivendicazione e la paternità
assunta da un gruppo di brigatisti irriducibili in carcere a Novara non
sembrerebbero lasciare dubbi. Lasciano perplessi, invece, buona parte
del contenuto e del linguaggio di quella rivendicazione, le modalità
anomale di esecuzione del delitto e soprattutto la sua episodicità:
con D'Antona le BR vogliono eliminare il simbolo, per altro perfettamente
intercambiabile, di quello che loro chiamano <<il progetto politico
neo-corporativo del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo">>.
E dopo questo attacco? Silenzio assoluto per più di un anno. Armi
rinfoderate, bocche cucite, progetti armati tornati di nuovo nel cassetto.
Quanto c'è di vero e quanto c'è di falso nell' omicidio
D'Antona?
Da "La Repubblica", 5 Aprile 2002
Michele Landi era stato consulente del ragazzo accusato di essere il telefonista
delle Br
Trovato impiccato in casa perito del caso D'Antona
Gli investigatori propendono per il suicidio
ROMA - Sta assumendo i contorni di un giallo la morte di Michele Landi,
36 anni, il super esperto di informatica, perito per il caso D'Antona,
trovato impiccato verso le 22 di ieri nel suo appartamento dove abitava
da un anno e mezzo, nel borgo di Montecelio a Guidonia, presso Roma.
Il corpo è stato scoperto dai carabinieri di Tivoli avvertiti dalla
fidanzata di Landi che, arrivata a Montecelio, ha trovato la porta chiusa,
la luce accesa e la finestra dell'appartamento aperta, senza ottenere
risposta, nemmeno sul telefonino. Landi aveva al collo una lunga corda
legata alla scala che porta al piano superiore. Gli investigatori non
hanno trovato messaggi. Stando ai primi accertamenti dovrebbe trattarsi
di un suicidio, ma l'uomo non avrebbe ha dato segni di depressione negli
ultimi tempi.
Michele Landi era responsabile di sicurezza del settore tecnologico della
Luiss Managment, dove i carabinieri, con il capitano Giuliano Palozzo,
oggi, hanno sequestrato dei computer oltre a due portatili e al computer
fisso trovati in casa. L'ultimo contatto con l'esterno che Michele Landi
ha avuto è stata una e-mail spedita ieri alle 4,30 del mattino
ad un amico. Nella stessa mattinata il perito ha spento il cellulare e
non ha risposto alle chiamate al telefono di casa.
La morte, secondo un primo accertamento medico, risalirebbe alle 18 di
ieri. Sul corpo nessun segno di violenza. L'uomo ha usato una corda lunga
30 metri usandone un metro e mezzo. Per ora gli investigatori considerano
il caso come un suicidio anche se sarà l'autopsia a dire una parola
definitiva.
Quello che non si riesce a capire è la ragione per cui l'uomo si
sarebbe tolto la vita. Landi era considerato una persona dinamica, positiva.
Negli ultimi tempi avrebbe avuto qualche problema economico e doveva essere
pagato per alcune consulenze ma nulla di più. Ieri mattina avrebbe
dovuto tenere un corso di tecnica di investigazione scientifica per i
sistemi informatici presso la Guardia di Finanza. I carabinieri della
compagnia di Tivoli oggi hanno interrogato la fidanzata, l'ex fidanzata,
amici e colleghi di lavoro. "Come molti di noi - dice una sua collega
- era senza stipendio da dicembre, scherzando dceva di non avere un soldo
ma non era un depresso, sinceramente mi sembra strano che si sia suicidato".
Michele Landi entrò nella vicenda dell'omicidio di Massimo D'Antona
in qualità di consulente informatico nominato da Alessandro Geri,
il giovane tuttora indagato dalla procura di Roma in quanto sospettato
di essere stato il telefonista che, il 19 maggio del '99, rivendicò
l'attentato di via Salaria con telefonate a due quotidiani.
Landi fu incaricato dall'avvocato Rosalba Valori, difensore di Geri, di
prendere parte alla consulenza disposta dal pool antiterrorismo della
capitale sul computer e sul contenuto di circa 200 tra cd e floppy disk
sequestrati nell'abitazione dell'indagato. Insieme ai due ingegneri nominati
dalla procura, Landi esaminò il materiale sequestrato per verificare
se fossero state inserite protezioni e sistemi di autodistruzione, per
cercare di recuperare i file esistenti prima della resettazione del computer
e accertare se ci fossero state manovre per modificare le date contenute
in alcuni file.
Indagini decise dalla procura nel tentativo di verificare l'alibi di Geri
(il quale sosteneva che il giorno dell'agguato a D'Antona aveva lavorato
al computer di casa con una collega) e se tra i file custoditi ci fossero
riferimenti alle Brigate Rosse.
Il comunicato di rivendicazione delle Brigate Rosse
Il giorno 20 maggio 1999, a Roma, le Brigate Rosse per la Costruzione
del Partito Combattente hanno colpito Massimo D'Antona, consigliere legislativo
del Ministro del Lavoro Bassolino e rappresentante dell'Esecutivo al tavolo
permanente del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo". Con
questa offensiva le Brigate Rosse per la Costruzione del partito Comunista
combattente, riprendono l'iniziativa combattente, intervenendo nei nodi
centrali dello scontro per lo sviluppo della guerra di classe di lunga
durata, per la conquista del potere politico e l'instaurazione della dittatura
del proletariato, portando l'attacco al progetto politico neo-corporativo
del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo", quale aspetto centrale
nella contraddizione classe/Stato, perno su cui l'equilibrio politico
dominante intende procedere nell'attuazione di un processo di complessiva
ristrutturazione e riforma economico-sociale, di riadeguamento delle forme
del dominio statuale, base politica interna del rinnovato ruolo dell'Italia
nelle politiche centrali dell'imperialismo. Un attacco che spezza la mediazione
politica neo-corporativa, su cui questo Esecutivo tenta di assestare un
consolidamento del dominio della borghesia imperialista, contrapponendovi
gli interessi generali del proletariato, con l'obiettivo di farne il piano
su cui organizzare la classe per costruire lo sbocco rivoluzionario alla
crisi della borghesia imperialista e alla sua guerra, in un momento in
cui gli stessi connotati dello scontro generale tra le classi vengono
investiti dalla guerra aperta che lo Stato italiano, nel quadro più
generale dell'Alleanza Atlantica, sta conducendo nei Balcani per assoggettare
la Jugoslavia. Una guerra, quella odierna, che ha i suoi presupposti nella
politica attuale fin dagli inizi degli anni '90, dalla Nato e dall'Europa,
per favorire la disgregazione della Federazione Jugoslava, con la creazione
di Stati o protettorati su base etnica, e che ora è rivolta a distruggere
il potenziale produttivo, e le risorse infrastrutturali della Repubblica
Serba, per ridurla in miseria, piegarne la volontà e annientare
l'entità statuale jugoslava per imporre i termini del dominio imperialista,
in un disegno folle che mira a costruire condizioni di insediamento politico-militari
dirette, funzionali ad esercitare funzioni di dominio politico con cui
governare le profondissime contraddizioni sociali generate in queste aree
dai riflessi della crisi dell'imperialismo e dall'inserimento dell'ex-campo
socialista nel mercato capitalistico. Un quadro politico generale che
impone al proletariato e alle sue avanguardie rivoluzionarie di assumersi
la responsabilità politica di costruire l'alternativa di potere
storicamente adeguata a questi progetti, attraverso la ripresa dell'attacco
rivoluzionario, sia al cuore delle politiche che consentono a questo Stato
di sostenere il suo ruolo imperialista, per logorarne il potere e in questo
avanzare nella costruzione delle condizioni della guerra di classe e del
Partito, che nei nodi centrali della contrapposizione tra imperialismo
ed antiimperialismo, per costruire le alleanze antimperialiste necessarie
ad indebolire il nemico comune nell'area politica Europea-Mediterraneo-Mediorientale,
attrezzandosi conseguentemente a sostenere lo scontro prolungato con lo
Stato e l'imperialismo. In questa prospettiva si colloca l'offensiva a
Massimo D'Antona, con la quale, le avanguardie rivoluzionarie che concretamente
l'hanno costruita, per la valenza politica che essa assume nello scontro
generale tra le classi, possono svolgere un ruolo d'avanguardia in continuità
oggettiva con la proposta delle Br-Pcc ed assumersi perciò la responsabilità
politica di prenderne la denominazione.
Massimo D'Antona, esponente di spicco dell'equilibrio politico dominante
e del progetto affermatosi come centrale nel corrispondere agli interessi
di governo dell'economia e del conflitto di classe della Borghesia Imperialista,
ha costituito cerniera politico-operativa del rapporto tra esecutivo e
sindacato confederale, un formulatore ed interprete della funzione politica
del "Patto Sociale" e della sede neo-corporativa in dialettica
con i caratteri storici della democrazia rappresentativa in Italia, e
del ruolo antiproletario e controrivoluzionario della corresponsabilizzazione
delle parti sociali e innanzitutto del sindacato, nelle decisioni sulle
materie di politica economica, a maggior ragione oggi, nel quadro delle
necessità implicate a livello, sia di esercizio della funzione
economica dello Stato, che della governabilità delle contraddizioni
sociali, dal contesto della coesione europea, e dal rinnovato interventismo
bellico rivolto ad assoggettare i popoli che resistono al dominio imperialista
ed a imporre l'ordine sociale del capitale. "Patto Sociale"
che opera specificatamente in funzione dell'isolamento e dell'accerchiamento
delle espressioni di autonomia di classe, che non accettano la subordinazione
degli interessi proletari alla centralità degli interessi della
b.i., oppure dell'inglobamento di quelle componenti che, per penetrare
i filtri che selezionano un ruolo negoziale sul piano della contrattazione
capitale/lavoro o un ruolo politico sul piano politico generale, attivano
un progressivo processo trasformistico, condizioni, quelle dell'accerchiamento
delle prime e dell'inglobamento delle seconde, che per l'equilibrio dominante,
costituiscono termini politici complementari necessari ad assicurare la
governabilità. Un progetto politico che ha consentito, già
dal governo Amato e poi con quello Ciampi, di tradurre, gli indirizzi
politici di controllo delle leve statuali del governo macroeconomico,
in elemento attivo nelle contraddizioni di classe, grazie al sostegno
del radicamento reale e diffuso, e ad un'azione soggettiva di ricomposizione
forzata del conflitto sul piano neo-corporativo, in dialettica con le
dinamiche politiche in sede parlamentare, del sindacato confederale, che,
in questi anni, ha assunto tutti i caratteri della soggettività
politica riferendo la sua progettualità non solo alla contrattazione
capitale-lavoro, ma ai nodi politici complessivi con cui confronta l'azione
dello Stato. L'accordo del '93 fu infatti momento di ratifica di un processo
di trasformazione dei soggetti coinvolti nel Patto, e momento di assunzione
di ruoli coerenti con l'azione di governo dei fattori critici dell'economia
e del conflitto sociale e di classe. Ogni soggetto, e cioè Confindustria,
Governo e Sindacati confederati, si impegnava a tenere una condotta in
linea sia con gli obiettivi dell'accordo (contenimento dell'inflazione),
che con i contenuti dello stesso, che riguardavano la struttura contrattuale
e le relazioni industriali in modo fondamentale, per cui lo snodo era
la subordinazione del salario all'inflazione programmata, con la quale
il paese viene agganciato al programma di Maastricht. In quelle circostanze,
se il governo (tecnico-istituzionale) aveva una sua maggioranza programmatica
che ne sosteneva le scelte, e la Confindustria era il soggetto che si
muoveva all'offensiva e non doveva fare altro che ripetere i suoi attacchi
e le sue forzature per assumere ruolo politico, il sindacato era il soggetto
che doveva operare le maggiori forzature al suo interno e soprattutto
nel corpo della classe, come dimostrò la forte opposizione e la
dura protesta anti-confederale all'accordo del '92 nell'autunno di quell'anno,
per potersi collocare sul terreno generale della negoziazione corporativa
e svolgervi il proprio ruolo politico. Un patto, quello per la politica
dei redditi del '92, che fu passaggio centrale che apriva la strada al
più organico Patto del luglio del '93, e contro cui si è
attuato l'attacco alla sede nazionale della Confindustria dei Nuclei Comunisti
Combattenti con cui veniva proposta la ricostruzione delle forze rivoluzionarie
attorno alla ripresa dell'iniziativa rivoluzionaria. Un progetto, quello
neo-corporativo, che oggi si è qualificato per l'assumere la direzione
di un avanzamento-assestamento con la definizione di un assetto stabile
ed articolato della politica neo-corporativa, per consolidare le forme
di dominio della borghesia nel rapporto con il proletariato, per sostenere
il carattere complessivo e generale dell'intervento sulle materie di ordine
economico-sociale, componendo gli interessi sociali in modo corporativo;
per articolare una capillare diffusione della dinamica negoziale centralizzata,
come funzione della competitività generale, per poter sfruttare
i differenti vantaggi competitivi locali; per l'allineamento agli indirizzi
centralizzati e per una garanzia rafforzata della prevenzione e controllo
del conflitto sociale; per l'inglobamento nella sede, con il suo allargamento,
dei soggetti sociali non rappresentati e socialmente rappresentativi,
se necessario, tramite regole e formule che spingano al riallineamento,
e in tutto ciò intendendo rafforzare, la dinamica dell'intero processo
di decisione politica, istituzionale e negoziale. Un progetto che oggi
si completa con l'elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica
e con l'incarico ad Amato al Tesoro, soggetti politici che hanno svolto
un ruolo storico nell'affermazione della politica neocorporativa e che
perciò rappresentano punti di unità politico-istituzionale
su cui maggioranza e opposizione, pur non senza contraddizioni, possono
convergere. All'interno di questo quadro si è collocato l'incarico
conferito a Massimo D'Antona, dapprima come esponente dell'Esecutivo nella
definizione generale del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo",
poi come responsabile della sua sede stabile, ossia il Comitato consultivo
sulla legislazione del Lavoro, il Comitato ha la funzione dare attuazione
alla strutturazione delle politiche neo-corporative, approvata con il
Patto nel dicembre del 1998, e cioè alla istituzione di una consultazione
continua tra esecutivo e parti sociali, e di occuparsi dell'adeguamento
della legislazione italiana alle direttive europee, di semplificazione
e delegificazione, di rivedere le norme sul contratto di formazione e
di potenziare l'apprendistato, perciò tende a svolgere una funzione
di pressione sul Parlamento, per velocizzare l'attuazione del Patto, e
sostiene l'esecutivo nell'esercizio delle deleghe su ammortizzatori sociali,
incentivi e collocamento. Un compito nient'affatto semplice date le contraddizioni
sociali che la crisi, e in particolare il ciclo recessivo, generano, perciò
l'incarico sanziona, in un ruolo complessivo, la funzione politico-operativa
svolta da Massimo D'Antona sulle principali contraddizioni su cui l'avanzamento
e capillarizzazione dell'assetto neo-corporativo va ad impattare, e cioè
regole della contrattazione, della rappresentanza e dello sciopero, tutti
piani inclinati su cui può scivolare la prevenzione del conflitto
che a sua volta è linea di affrontamento dello scontro ai fini
di garantire la governabilità; e perciò aspetti di riferimento
per condurre l'opera di revisione legislativa. E' infatti al Ministero
della Funzione Pubblica, con Bassanini, nell'Esecutivo Prodi, che Massimo
D'Antona elabora la normativa sulla rappresentanza sindacale dei lavoratori
per il pubblico impiego, modello di riferimento, nelle sue linee generali,
anche per la legge sulla rappresentanza nel privato, e sperimentato nella
sua capacità di garantire, la predominanza del sindacato confederale.
Mentre è con l'Esecutivo D'Alema che lavora alla modifica della
legge 146 sulla regolamentazione del diritto di sciopero in quei settori
strategici che vengono definiti "servizi pubblici essenziali",
in direzione dell'inasprimento ed estensione delle misure sanzionatorie,
passaggio a cui si intende pervenire avendo attestato su basi più
solide, almeno nel settore pubblico, la legittimazione della linea sindacale
che accetta di subordinare il diritto di sciopero agli interessi del capitale,
mascherati da diritti fondamentali di cui sarebbe portatrice la "categoria
degli utenti". Una legge con la quale si intende affiancare il processo
di privatizzazione e liberalizzazione in corso, di settori, soprattutto
come quello dei trasporti, e più in generale di quelli che abbiano
una funzione infrastrutturale. Processo di privatizzazione e liberalizzazione
che, oltre ad esercitare la funzione di abbattere i costi nel trasporto
delle merci, può svolgere un ruolo importante nelle politiche U.E.
di sostegno alla concorrenza del capitale monopolistico europeo, sia in
generale per il ruolo del trasporto delle merci nell'attuale sistema di
produzione incentrato sulla segmentazione e delocalizzazione del ciclo,
e nelle attuali dimensioni dei mercati, sia, in specifico, per la funzione
di traino che i settori infrastrutturali possono svolgere nell'investimento
di capitali. La nuova legge dovrebbe servire a superare quei limiti dimostrati
dalla 146, soprattutto nell'effettiva comminazione delle sanzioni, affinchè
funzioni da fattore di contenimento e prevenzione del conflitto in settori
in cui, avendo i lavoratori una forza contrattuale potenziale superiore,
costituiscono poli di attrazione oggettivamente rischiosi per la governabilità.
Nello scontro politico generale entro cui, secondo le intenzioni della
borghesia e del suo Stato si dovrà pervenire a ridimensionare,
in modo drastico, lo sciopero in quanto diritto, l'aggressione Nato alla
Jugoslavia ha costituito, per il sindacato confederale, Cgil in testa,
l'occasione per cercare di sfruttare le contraddizioni, presenti in seno
alla classe in questa fase, tramite l'invito rivolto ai settori che avevano
annunciato azioni di lotta a rinunciare a realizzarle, e la promozione
di attivazioni solidaridastiche e di pronunciamenti, per capitalizzare
sia un atto di lealismo nei confronti dello Stato in guerra che la subordinazione
degli interessi del proletariato a supposti superiori interessi "dell'umanità",
più concretamente della borghesia imperialista e concorrenziale
che trae vantaggio sia dall'assoggettamento della Jugoslavia che dalla
subordinazione del proletariato nazionale. Con ciò ha cercato di
realizzare il duplice obiettivo di affermare la subordinabilità
della lotta ad altre istanze e di incanalare la posizione dei lavoratori,
ad esprimere un consenso all'intervento dello Stato. La linea seguita
dalla Cgil, nell'aggressione Nato alla Jugoslavia, è stata quella
di fare assumere con gesti concreti una posizione ai lavoratori italiani,
nella polarizzazione del conflitto tra Jugoslavia e secessionismo kosovaro-imperialismo
Nato, per sfruttare ogni minima possibilità di attiva legittimazione
dell'intervento bellico, che viene qualificato dal suo segretario Cofferati,
come una "necessità contingente", in una posizione più
generale che preme il governo italiano e che, rivendicando una funzione
attiva dell'Europa nell'area balcanica, chiede che l'Europa stessa si
attrezzi politicamente, istituzionalmente e militarmente a svolgerla congiuntamente
agli Usa. Posizione che se ha dato bene il polso di quanto il sindacato
si attesti in una posizione di prima linea antiproletaria anche su questo
piano, non ha trovato spazio nella classe, la cui situazione difensiva
non è equivocabile con una disponibilità a farsi strumento
della propria oppressione. L'adozione di una normativa che ridimensioni
il diritto di sciopero, è strettamente connessa alla definizione
in via di legge delle regole della rappresentanza sindacale nei luoghi
di lavoro, affinchè le sanzioni siano applicabili come strumento
reale di prevenzione del conflitto e non finiscano per renderla debole,
come sarebbe possibile se la condivisione politica di questo passaggio
da parte del complesso dei lavoratori o la criminalizzazione delle azioni
di lotta operate dall'interno stesso della classe e quindi come sua propria
contraddizione, apparisse debole e incerta, a causa della inattendibilità
degli strumenti formali di verifica dell'entità di una forza sociale
quella del sindacato confederale, che non si manifesta esercitandosi in
azioni di lotta, e che deve sostenere questo ruolo imprescindibile di
quinta colonna dello Stato e della borghesia nei luoghi di lavoro.
La definizione del quadro delle norme sulla "rappresentanza sindacale
dei lavoratori", con le necessarie modifiche al testo in discussione
in parlamento, è a sua volta anche la base su cui quest'Esecutivo
intende sciogliere il nodo della struttura della contrattazione, affinchè
la contrattazione aziendale o locale, possa assumere il peso che gli si
vuole dare in modo che il salario, e le condizioni di impiego della forza-lavoro,
nel quadro delle compatibilità macroeconomiche, siano strettamente
legati agli obiettivi e alle sorti del capitale (qualità, produttività,
redditività). Nodo che va sciolto in modo tale che sia certa la
complementarietà tra il merito della contrattazione centrale e
quello della contrattazione aziendale, tra il ruolo della rappresentanza
associativa (e storicamente in massima parte confederale) e quello della
rappresentanza nei luoghi di lavoro, nell'intreccio e subordinazione del
secondo al primo, affinchè siano rese solide le basi di un sistema
di relazioni industriali fondato sulla dipendenza della variabile forza-lavoro
al capitale come principio, e sulla politica neo-corporativa come quadro
generale del governo delle contraddizioni sociali e di classe. Nodi questi
che Massimo D'Antona ha affrontato con l'organicità politica che
sintetizza il legame tra la maggioranza politica e sindacato confederale,
che gli ha fatto svolgere un ruolo di perno nell'equilibrio politico dominante
e gli ha valso un incarico decisivo. Nella sfera delle responsabilità
del soggetto, per il ruolo che il Ministero del Lavoro è approdato
a svolgere e intende svolgere nella ristrutturazione e riforma economico-sociale,
si collocano anche materie come la flessibilizzazione e l'incentivazione
del part-time, come strumento per spalmare la precarizzazione del lavoro,
per superare lo strumento del prepensionamento, e affrontare il nodo delle
pensioni d'anzianità. L'attacco alle conquiste storiche della classe,
come presupposto di una subordinazione strutturale della forza-lavoro
al capitale, viene cinicamente giustificato, con ragioni di equità
e tutela sociale, per quelle componenti di salariati arrivate di recente
sul mercato del lavoro e più precarie. La spinta alla trasformazione
del vecchio quadro normativo, quadro a cui queste componenti sono parzialmente
sottratte attraverso l'impiego di forme contrattuali e giuridiche specifiche,
è stata canalizzata e focalizzata, nell'operato di Massimo D'Antona,
verso una politica neo-corporativa caratterizzata dalla costruzione di
metodo e obiettivi comuni tra esecutivo e parti sociali, così che,
nelle scelte e nelle decisioni concrete, l'Esecutivo sia vincolato, in
modo formalmente legittimo, dalle istanze provenienti dagli interessi
antagonisti, in un contesto in cui, le finalità sociali, in riferimento
alle quali metodo e obiettivi si definiscono, è ovvio, sono date
e immutabili, e coincidono strutturalmente con le finalità della
frazione dominante della Borghesia Imperialista. In questo senso Massimo
D'Antona ha rappresentato una figura organica dell'Esecutivo D'Alema,
che ha assunto "la concertazione come metodo di governo" come
aspetto sostanziale del suo programma. D'Alema e il gruppo della Quercia
che ha incarichi nell'Esecutivo, infatti, intendono far pesare l'iniziativa
politico-legislativa del governo, ben all'interno delle dinamiche parlamentari
come termine di risoluzione, specificamente, delle contraddizioni interne
alla maggioranza e in particolare ai Ds, e in generale delle resistenze
della rappresentanza parlamentare al cambiamento, dovute alla sua impossibilità
di pervenire a mediazioni politiche sufficienti e organiche, all'interno
del quadro di compatibilità economico-politiche dettate dalla centralità
degli interessi della b.i. e dai suoi obiettivi di fase. Questo ulteriore
ruolo politico-legislativo, l'Esecutivo lo svolge adducendo la legittimità
delle parti sociali a pesare, nelle trasformazioni politico-giuridiche,
in virtù delle materie in oggetto sulle quali si riconoscono loro
facoltà autonome. Questa "autonomia", che per quanto
riguarda il sindacato confederale è fondata sul peso politico storico
del movimento operaio e derivata da questo, diventa la giustificazione
dell'accentuato intervento legislativo dell'Esecutivo, su temi che non
concernono semplicemente il piano capitale-lavoro, ma il modo di concepire
il ruolo del "lavoro" nella società e nelle sue finalità,
e che perciò necessitano di formalizzazioni giuridiche di livello
legislativo, e anche costituzionale, che investono il Parlamento e perciò
il ruolo della rappresentanza politica.
D'altra parte, nella sede politica, la contraddittorietà tra, i
contenuti costituzionali che riflettono il peso che ha avuto in essi l'interesse
politico autonomo del proletariato e il peso politico decisivo che tuttora
ha la classe e, il riferirsi, della dinamica politica, agli attuali rapporti
di forza generali tra proletariato e borghesia, si manifesta nella difficoltà
a superare il quadro normativo che è ancora significativamente
condizionato dal peso politico della classe, e che ostacola l'attuazione
dei nuovi indirizzi che devono operare aggirando i vincoli costituzionali
e perciò vengono frenati dalle contraddizioni generate dalla debolezza
di questa pratica, in termini di disorganicità o inconcludenza
dell'iniziativa legislativa parlamentare, che l'Esecutivo si incarica
di forzare. La tradizionale impostazione dell'azione politica dei partiti
che, in un contesto di impiego della spesa pubblica per stimolare la produzione,
poteva essere tesa a una gestione delle risorse statali, in funzione del
consolidamento del consenso politico-elettorale, si è dovuta riadeguare
alle istanze della borghesia imperialista a fronte delle odierne contraddizioni
della crisi del capitale. Ora, l'azione politica dei partiti, sostiene
la funzione economica dello Stato perseguendo linee di attivo di bilancio,
di contenimento dell'inflazione, di contrazione dei costi diretti e indiretti
di produzione, di definizione di meccanismi che stimolino la competizione
interna, come condizioni irrinunciabili affinchè il capitale a
base nazionale conservi quote di mercato e la formazione economico-sociale
non arretri nella scala gerarchica della catena imperialista. Le scelte
politiche assumono un carattere più spiccatamente antiproletario,
sia perchè per sostenere la funzione economica dello Stato in questo
contesto, il presupposto diventa il dispiegamento di un'offensiva complessiva
alle posizioni e condizioni della classe, sia perchè si riduce
strutturalmente la mediabilità degli interessi. Il carattere di
queste scelte è stato sostenuto con l'adozione di un sistema elettorale
sostanzialmente maggioritario, che corrispondesse alla oggettiva riduzione
del complesso degli interessi rappresentabili e mediabili. Questi fattori
nel loro insieme rendono tendenzialmente più fragile il dominio
politico-economico della borghesia. Se da una parte, quindi, la risposta
è quella di incrementare le misure repressive generali, rafforzare
organici e strumentazioni degli apparati di polizia (vedi pacchetto anticriminalità
Diliberto-Jervolino), inasprire le sanzioni anti-sciopero, estendere le
campagne di criminalizzazione e la pratica dell'incriminazione delle lotte
di settori che non accettano la subordinazione agli interessi della B.I.
ma anche alternativamente quella di assorbire e svilire l'opposizione
di settori di proletariato, dall'altra, l'istanza di una più forte
legittimazione dell'azione statuale viene soddisfatta affiancando al canale
di legittimazione istituzionale, politico-rappresentativo, quello negoziale
con le parti sociali, che tende a controbilanciare gli effetti negativi,
in termini di governabilità, dell'esecutivizzazione implicata a
livello di ri-disposizione dei ruoli delle istituzioni nell'ordinamento
politico-istituzionale materiale, dagli odierni indirizzi politico-economici
rispondenti alle istanze della classe dominante. Una manovra che, però,
ha il limite della sovraesposizione politica del sindacato confederale
e di acuire la crisi di legittimazione reale che lo investe. L'assestamento
in senso neo-corporativo della dinamica politica e sociale è il
progetto politico che tiene coeso l'equilibrio politico dominante, equilibrio
che a sua volta è la risultante del processo di trasformazione
e selezione delle forze dell'arco costituzionale nel rapporto organico
con il sindacato confederale, che hanno investito il capitalismo negli
anni '80 e '90, per candidarsi a rappresentare gli interessi della borghesia
imperialista nel nuovo corso, basandosi proprio sulla capacità
di effettuare la trasformazione funzionale, e nel contempo, garantire
la coesione e il consenso sociale necessario a governare, pur senza poter
adottare i tradizionali strumenti della spesa pubblica.
Questo equilibrio si puntella sul ruolo della negoziazione neocorporativa,
che a propria volta ha come principi fondanti la negazione degli interessi
generali del proletariato e la composizione forzata di interessi sociali
particolari e transitori intorno agli interessi generali della frazione
dominante di B.I., ed è indirizzata a completare il processo di
riforma e ristrutturazione economica e sociale per sostenere il ruolo
del capitale monopolistico nella competizione e nel quadro dell'integrazione
europea, e a strutturarsi come modalità di governo delle contraddizioni
di classe, sostanziando lo Stato imperialista neo corporativo, che vuole
ingabbiare le contraddizioni sociali in modo funzionale anche alla sua
assunzione di ruolo nelle politiche centrali dell'imperialismo. Così
la composizione neo-corporativa delle contraddizioni sociali, mentre è
modalità di affrontamento delle contraddizioni sviluppate dalla
crisi del capitale nell'ambito nazionale, è anche condizione politica
interna per affrontare il manifestarsi delle stesse sul piano internazionale,
condizione del sostegno alla borghesia imperialista che lo Stato può
espletare nelle sue funzioni di dominio non solo all'interno, ma anche
rivolto all'esterno, a spezzare le resistenze opposte alla penetrazione
imperialista e alla sua oppressione.
Dentro questo quadro generale si colloca l'intervento dell'Esecutivo e
delle parti sociali rivolto, come linea di fondo, alla ulteriore flessibilizzazione
e abbassamento del costo del lavoro, nel sostenere il rapporto concorrenziale
con altre aree economiche, incrementato dall'Uern e dalla crisi capitalistica.
Una linea che cerca di coniugare corrispondenza alle istanze di competizione
del capitale e risposta alla crisi occupazionale, ma nel concreto prevede
una condizione di lavoro privata di garanzie fondamentali, selettiva su
basi meritocratiche o produttivistiche e di controllo sociale, e mediamente
impoverita come condizione salariale e di sussistenza in genere. La delega
ottenuta dal Parlamento, per la riforma degli ammortizzatori sociali e
il riordino degli incentivi, assieme alla delega sul collocamento, e a
quella sulla sanità, e alla più complessiva politica fiscale,
(ben 7 sono le deleghe, nel collegato ordinamentale all'ultima finanziaria
su investimenti e occupazione), sono gli strumenti per un'opera organica
di redistribuzione del reddito a favore del capitale e di riorganizzazione
della società in funzione della competizione capitalistica e del
profitto. Le "politiche attive del lavoro" sono un aggiornamento
degli aiuti statali alle imprese, nel quadro dell'integrazione europea
e della liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali, che
impongono allo Stato di svolgere la sua funzione di sostegno economico
al capitale, stimolando non più i consumi, ma sostenendo e stimolando
l'accumulazione capitalistica, in modo selettivo. La finalità ideologica
è quella dell'occupazione, drasticamente contrattasi a partire
dal programma di Maastricht, su cui può essere convogliato il consenso
sociale. La concessione di tagli a oneri sociali e altri costi del capitale,
viene compensata con tagli e rifunzionalizzazione della spesa sociale,
in modo tale che le erogazioni siano, in parte circoscritte ad assistere
situazioni socialmente marginali e particolarmente svantaggiate, quindi
più universali, ma selettive, e in generale fungano soprattutto
da stimolo alla flessibilità interna ed esterna della forza-lavoro
incrementando la competizione tra proletari. La riforma amministrativa
e quella fiscale, nel quadro più generale di una riforma in senso
federale a livello costituzionale, sono tasselli di un mosaico di condizioni
che è in corso di costruzione e di completamento, nel quale gli
obiettivi di fondo di questo progetto possano trovare realizzazione, e
di questo fa parte anche la riallocazione a livello locale e regionale
della gran parte del sistema degli incentivi. Il complesso di questi passaggi
dovrebbe costituire un processo di frammentazione degli interessi particolari
e immediati della classe per poterli convogliare a una composizione subordinata,
in primo luogo e in generale, agli interessi della B.I., e anche a quelli
delle componenti di capitale concorrenziale e di borghesia locali, situazione
per situazione. Dopo la riforma pensionistica di Dini che, rovesciando
il criterio delle pensioni da retributivo a contributivo, introducendo
il sistema a capitalizzazione e aprendo la strada alla previdenza integrativa
privata, prospetta un futuro di povertà ai pensionati dei prossimi
decenni, il processo di riforma e ristrutturazione economica e sociale,
dovrebbe, oltre che velocizzare le scadenze della riforma pensionistica
stessa, cancellare istituti come la Cigs e i prepensionamenti che, assieme
alle pensioni di invalidità, criminalizzate ad arte negli ultimi
anni, costituivano le misure di un welfare state povero che aveva essenzialmente
consentito di governare gli effetti delle crisi e delle ristrutturazioni
degli anni '80. In un contesto in cui la disoccupazione non è solo
un effetto di crisi cicliche, ma è un dato strutturale non governabile
con questi strumenti tradizionali, nelle contraddizioni sociali che genera
e, dal momento che rapporti di forza favorevoli alla borghesia fanno reputare
di poter eliminare questi costi sociali, la linea che nasce dal progetto
centrale della B.I. prevede la loro sostituzione con un istituto come
quello del "reddito minimo di inserimento" che consenta di perseguire
l'obiettivo specifico di ridurre la spesa sociale, pur a fronte di incrementate
esigenze sociali, e quello generale di favorire la competizione tra proletari.
La natura e i caratteri di questo istituto in via di definizione, per
la limitatezza, transitorietà e proporzionalità dell'erogazione,
sono tali da farne una leva per la svendita della forza-lavoro che, affiancata
alle misure per la "flessibilità in uscita" cioè
per la liberalizzazione dei licenziamenti, svilupperà competizione
tra occupati e disoccupati. L' "incentivo" a competere è
dato dal rischio di perdita di questo reddito minimale e dello status
stesso di disoccupazione che, con la riforma in atto del collocamento,
si cerca di collegare alla ricerca attiva di lavoro, alla partecipazione
a corsi di formazione, all'accettazione del lavoro che c'è, alle
condizioni imposte. L'affermazione, attraverso una riforma organica degli
ammortizzatori sociali, della logica "premiale" dell'erogazione
di un reddito minimo, come corrispettivo dell'attribuzione all'iniziativa
e responsabilità del disoccupato, della ricerca del lavoro e dell'ottenimento
di un reddito, che consente di svincolare lo Stato da qualsiasi altro
dovere sociale, è passaggio necessario da affiancare all'affrontamento
del nodo della "flessibilità in uscita" ossia della libertà
dei padroni di licenziare. Lo scardinamento dei vincoli alla discrezionalità
del capitale nella disponibilità della forza lavoro (vincoli che
ora ruotano sul principio dell'ammissibilità del licenziamento
per giusta causa, da cui nascono significativi diritti di risarcimento
e reintegrazione) e che erano stati formalmente addirittura estesi nel
1990, con la legge 108, alle piccole imprese, diventa urgente ora che
i contratti di formazione-lavoro sono stati sanzionati dall'Ue come una
forma di sostegno mascherato alle imprese e quindi di concorrenza sleale,
e perciò vengono a diminuire i margini per aggirare questi vincoli
con i contratti a tempo determinato. Altre misure, quali la formazione
obbligatoria fino ai 18 anni (che assieme alla ridefinizione dello status
di disoccupazione, otterrà il risultato, sul piano statistico,
non certo sostanziale, di diminuirne il tasso percentuale), la generalizzazione
della figura dell'apprendistato al di fuori dell'ambito artigianale nel
quale aveva una qualche motivazione funzionale, con lo scopo di istituire,
senza chiamarlo con il suo nome, il salario d'ingresso (che viene a sancire,
come istituto di valenza generale, la pratica diffusissima negli ultimi
anni di prevedere a livello di contratti aziendali questa forma di salario),
sono tutti tasselli che raccolgono-sistematizzano-rilanciano trasformazioni
avvenute a macchia di leopardo o tendenzialmente, nei rapporti capitale-lavoro
e sfruttano il vantaggio di forza ottenuto dallo Stato, e dalla borghesia
in generale, nei confronti della classe, in un quadro organico di riforma
e ristrutturazione economico-sociale che ha inciso in modo acuto nel corpo
della classe in termini di condizioni di vita e contraddizioni e in cui
gioca un ruolo centrale la forma entro cui questo processo si è
sviluppata, cioè la negoziazione neo-corporativa, e in essa il
ruolo dei sindacati confederali. Questo governo non rinuncia nemmeno a
tentare di gestire in modo offensivo queste contraddizioni, coniando uno
slogan "meno ai padri, più ai figli" che, nel tentativo
di sintetizzare una supposta contraddizione sociale centrale, cerca di
intercettare e mobilitare un altrettanto supposto consenso di fasce giovanili,
per contrapporlo alle resistenze della massa dei lavoratori ad accettare
il ridimensionamento e la rifunzionalizzazione in senso antiproletario
di quel poco di sicurezza sociale che c'è stata in Italia. Lo scambio
che la "concertazione" e la maggioranza politico-sindacale offrono
al proletariato è quello tra sicurezza sociale e "sicurezza
pubblica" cioè in realtà, la difesa della proprietà
privata. Un passaggio come quello del "pacchetto anticriminalità",
ha seguito infatti, in modo puntuale la firma natalizia del Patto, preceduto
dalla campagna di "allarme criminalità" con cui il governo
ha iniziato il nuovo anno e, assieme alla criminalizzazione e incriminazione
delle lotte che non accettano la subordinazione ai nuovi rapporti di forza
favorevoli alla borghesia in generale e alla sua frazione imperialista
in particolare, sono l'arco più vasto di risposte, di indirizzo
riformatore, che questo equilibrio politico, intende dare al proletariato
e alle contraddizioni che la crisi del capitale rovescia sulle sue condizioni
di vita. Risposte, sostanzialmente inscritte in una strategia difensiva
nei confronti della crisi del capitale, e di attacco al proletariato,
che questo equilibrio politico intende dare alle contraddizioni generate
dall'approfondimento della crisi-sviluppo dell'imperialismo e dalle politiche
con cui sono state affrontate, in funzione degli interessi della frazione
dominante di B.I. Un approfondimento che è il portato dell'internazionalizzazione
dell'economia reale e finanziaria, tendenza a sua volta accentuatasi con
la modificazione degli equilibri internazionali prodottisi con il crollo
degli Stati aderenti al patto di Varsavia alla fine degli anni '80, e
che ha costituito la risposta complessiva di "sviluppo" alla
crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale e alla tendenziale caduta
del saggio di profitto, che ha indotto l'incremento della concorrenza,
della lotta per contendersi margini di profitto e spazi di mercato, e
ha spinto alla concentrazione e centralizzazione che si è combinato
con l'allocazione su scala internazionale di segmenti del ciclo produttivo,
laddove questo richiedesse elevato impiego di manodopera e fosse possibile
ottenere forza-lavoro a costi ridotti. I processi di concentrazione e
centralizzazione di capitale hanno accentuato la finanziarizzazione dei
capitali, tipica dello stadio imperialistico del capitalismo, così
che questa ha assunto una dimensione e mobilità tali da costituire
un fattore costante di potenziale destabilizzazione, aggravato dall'approfondimento
del legame di interdipendenza che caratterizza il rapporto tra capitali
e quello tra formazioni economico-sociali. Questa dinamica di crisi/sviluppo
dell'imperialismo, è alla base dell'aumentato peso della borghesia
imperialista che porta a far assumere agli Stati, e alla soggettività
politica della borghesia, il ruolo dominante della centralità dei
suoi interessi. L'interesse comune delle varie componenti nazionali di
borghesia imperialista si coagula e trova realizzazione nell'affermazione
di politiche di liberalizzazione, nella ristrutturazione delle diverse
formazioni economico-sociali, funzionali a sostenere questo livello di
concorrenza monopolistica e il mantenimento dei necessari livelli di governabilità
delle conseguenti contraddizioni di classe, e nella definizione di politiche
e organismi politico-militari atti a sostenere la penetrazione economica,
l'aggressione e l'oppressione politico-militare nei confronti di paesi
politicamente autonomi dagli Stati dominanti della catena imperialista,
in relazione all'attuale ridefinizione degli equilibri internazionali.
Il carattere non espansivo del capitalismo, in questa fase storica, rende
immediatamente tangibile che, se l'affermazione di queste controtendenze
consente di contenere gli effetti della crisi, in realtà ciò
si traduce in un approfondimento delle contraddizioni. Nei paesi del centro,
la borghesia imperialista ha premuto o preme sui rispettivi Stati nazionali
per la rifunzionalizzazione di tutti i fattori competitivi a partire dalla
gestione della forza-lavoro e, complessivamente, del ruolo dello Stato
nell'economia, con i conseguenti riflessi sul piano dei caratteri dell'assetto
politico-istituzionale delle democrazie rappresentative per corrispondere
ai nuovi termini di governo dell'economia e del conflitto di classe, e
al ruolo che può essere svolto negli attuali equilibri internazionali.
Su questi aspetti, la borghesia imperialista, tramite la soggettività
politico-istituzionale, media con le altre componenti della borghesia.
La pressione della borghesia imperialista sugli Stati si riflette nell'assunzione
di ruolo, degli Stati stessi, nelle politiche centrali dell'imperialismo.
Attraverso questo ruolo, corrispondente sia al peso assunto dalla competizione
a livello internazionale che alla funzione politico-militare e diplomatica
degli Stati, le varie componenti di B.I. ricercano condizioni politiche
di vantaggio competitivo sul piano economico. Un ruolo che colloca l'autonomia
e l'interventismo degli Stati, dentro il quadro integrato e interdipendente
delle aree economiche (ruotanti intorno ai poli statunitense, europeo
e giapponese), e nei rapporti di forza storici tra i paesi della catena
imperialista, in dialettica con la funzione e l'azione di organismi interstatali
(Ue, Nato, Fmi...). Queste condizioni costituiscono fattori di acutizzazione
dello scontro di classe, ulteriormente accentuato dal carattere non espansivo
dello sviluppo capitalistico, che produce conseguenze macroscopiche visibili
negli elevatissimi livelli di disoccupazione e nell'incapacità
del reddito da lavoro salariato di garantire la stabilità dei livelli
di sussistenza, con una tendenza di fondo all'impoverimento. Per altro
verso, le politiche centrali dell'imperialismo, per assestare le condizioni
politiche ed economico-sociali rivolte ad approfondire la qualità
della penetrazione economica degli interessi della borghesia imperialista
nei paesi dipendenti, e in particolare nei paesi ex-socialisti, hanno
costituito e costituiscono fattore di destabilizzazione di queste aree,
e definiscono il quadro politico in cui si colloca l'avanzamento della
tendenza alla guerra come portato delle contraddizioni intrinseche dell'imperialismo.
Contraddizioni che vengono affrontate collocandone progressivamente la
soluzione sul piano dell'accentuato intervento politico-militare, rivolto
alla stabilizzazione del dominio imperialista. Nell'area regionale europea,
la borghesia imperialista ha perseguito linee di integrazione e coesione
economica, politica e militare, al fine di rafforzare la capacità
di dare risposte comuni alle contraddizioni generate dalla crisi. L'ostacolo
alla liberalizzazione dei mercati e alla dimensione internazionale della
concorrenza tra monopoli costituito dalla frammentazione politica di una
regione del centro imperialista, quale quella europea che è storicamente
investita da tutti gli assi di contraddizione, quello proletariato/borghesia,
nord/sud ed est/ovest, è stato affrontato dalla frazione dominante
della borghesia imperialista con passaggi politici e indirizzi che rispondessero
sia all'istanza di unificazione e integrazione dell'Europa in quanto mercato
delle merci, dei capitali e della forza lavoro, sia a quella di una superiore
attivizzazione sul piano delle politiche economiche, e sul piano politico
e militare, degli Stati europei stessi che, isolatamente presi, sono privi
della dimensione e capacità per svolgere un ruolo che affianchi
gli Usa (e il Giappone) nell'affrontare le misure sempre più critiche
richieste per il mantenimento del dominio imperialista. Un progetto che
si è definito intorno al connotato di relazioni intestatari e non
sovrastatali, e che esprime, nei rispettivi ambiti nazionali, lo strumento
di pressione politica rappresentativa degli interessi comuni della frazione
dominante della borghesia imperialista, e in particolare, del ruolo del
capitale finanziario che, nell'imperialismo, tende a sussumere il capitale
industriale. D'altra parte, tale progetto, ha risposto anche alle specifiche
esigenze del capitale monopolistico a base europea, in quanto condizione
per poter esercitare il proprio ruolo nella concorrenza internazionale,
come richiedevano le nuove dimensioni dell'accumulazione capitalistica
raggiunte nella crisi subentrata all'espansione della ricostruzione post-bellica
e alle politiche liberiste avviate dal polo dominante statunitense. Nell'affermazione
del processo di coesione europea una funzione centrale di spinta è
stata svolta dalla Germania, nel suo ruolo di principale potenza economica
europea, che si è ulteriormente accentuato con la fine degli equilibri
di Yalta, con l'inglobamento dell'ex-Ddr e con l'esportazione di capitali
nei paesi dell'est europeo e con l'influenza politica che vi esercita.
Un approfondimento di ruolo economico a cui si è affiancato un
intensificato riadeguamento della capacità di intervento militare
e della legislazione che lo limitava, nel quadro dell'integrazione Nato
e con l'assunzione di iniziative di creazione di strutture militari interforze
a livello bilaterale nel quadro europeo (ad es. Francia). I differenti
gradi di sviluppo delle singole formazioni economico-sociali appartenenti
all'Ue e quelli all'interno delle stesse, con l'adozione di politiche
economiche comuni, e con linee di riforma economico-sociale omologhe,
costituiscono un fattore favorevole ai capitali monopolistici europei
nella concorrenza sul piano internazionale, perchè si avvantaggiano
della competizione interna alla Ue stessa e ai singoli paesi, che viene
imposta dalle politiche macroeconomiche, e incentivata dalle politiche
specifiche. Al contrario questa dinamica condanna all'inesorabile declino
quelle aree che non presentano sufficienti vantaggi competitivi e consente
al capitale operante in Europa, nel suo complesso, di esercitare una forza
superiore nella contrattazione salariale e nel mercato del lavoro. Un
progetto, quello della coesione europea, che sta operando il passaggio
cruciale dell'adozione di una moneta unica e si sta attrezzando politicamente
e istituzionalmente per l'inglobamento organico dei paesi dell'est-europeo
che riescono a stabilizzare quelle condizioni macroeconomiche che vengono
valutate funzionali all'investimento di capitali (l'allargamento dell'Ue).
Essa costituisce un nuovo ambito di relazione del quadro politico nazionale
che si aggiunge a quello Atlantico di cui ne supporta il ruolo di dominio
nell'area mediterraneo-mediorientale e nell'est-europeo, entro cui, e
in riferimento al quale, costruire le condizioni politiche istituzionali
e materiali che consentano ai suoi Stati di svolgere sia una funzione
economica più adeguata alle attuali dimensioni dell'accumulazione
capitalistica che un ruolo politico-militare più attivo e incisivo
nelle aree in cui il dominio imperialista deve essere stabilizzato, affinchè
la Nato nel suo complesso sia capace di affrontare anche un conflitto
in più teatri o generalizzato. Un ruolo che non è nè
antagonista al polo dominante statunitense nè asservito ad esso,
ma è unitario, a causa dei processi di internazionalizzazione e
dei legami di interdipendenza che si sono storicamente affermati tra gli
Stati dominanti della catena imperialista con la capillare presenza di
capitali Usa in Europa e viceversa. Infatti le politiche controrivoluzionarie
e militari, contemplate dal progetto di Unione Europea, e le politiche
di allargamento ad est, trovano motivo di definizione in specifici interessi
degli Stati europei, in modo complementare al progetto di ridefinizione
del ruolo della Nato, in funzione sia del dominio imperialista verso i
paesi dell'Europa orientale, balcanica e dell'area del mediterraneo-mediorientale,
che del rafforzamento del dominio interno. E ciò perchè
la dimensione del capitale finanziario, la sua concentrazione e centralizzazione
si è, fin dal dopoguerra, sviluppata trasversalmente nei paesi
dominanti della catena, e in un ambito separato da quello del campo socialista,
facendo prevalere sulle intrinseche, ma relative, istanze concorrenziali,
quelle dell'interdipendenza tra i capitali monopolistici, e conseguentemente
anche tra le formazioni economico-sociali, e si è progressivamente
accentuata man mano che, nelle crisi, le tendenze e le politiche, approfondivano
il grado di concentrazione e centralizzazione capitalistica. L'ambito
integrato europeo pesa nel favorire queste tendenze del capitale e perciò
anche la sua crisi di sovrapproduzione. Crisi che non può mutarsi
in una fase espansiva se non per un passaggio di ingente distruzione di
capitali e forze produttive che solo una guerra di estese proporzioni
può produrre, come gli esiti non-espansivi dei processi di penetrazione
nei paesi dell'est e delle aggressioni imperialiste, hanno ampiamente
dimostrato in questi anni.
Sul piano delle relazioni politiche tra le classi, nella loro determinazione
storica di fase, l'aspetto principale è lo spostamento dei rapporti
di forza nella contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, uno spostamento
dovuto all'attestamento di un processo controrivoluzionario. Un processo
controrivoluzionario che, nei paesi del centro imperialista, e in particolare
in Europa, si è dispiegato a partire dall'attacco militare e politico
al ruolo che, la Strategia della Lotta Armata per il Comunismo, ha svolto
come ridefinizione di una proposta politico-organizzativa adeguata a sviluppare
il processo rivoluzionario nelle attuali forme di dominio dell'imperialismo.
Una dinamica controrivoluzionaria che, con la crisi e la caduta degli
Stati a transizione socialista, ha modificato le condizioni di forza che,
a partire dalla Rivoluzione Sovietica, si erano prodotte nella contraddizione
borghesia imperialista/proletariato internazionale. Sebbene questa condizione
di vantaggio non sia assestata e sia impossibilitata ad eliminare il dato
storico-politico prospettico che, la rivoluzione del '17, ha fissato nella
storia del proletariato e dell'umanità, gli assetti internazionali
ne sono stati mutati profondamente, e alla situazione di sostanziale equilibrio
strategico tra gli Stati dell'Alleanza Atlantica e quelli del campo socialista,
che aveva favorito i processi di autodeterminazione dei popoli dei paesi
dominanti, è subentrata una situazione di squilibrio politico-militare
a vantaggio della Nato, che ha visto sia l'intensificarsi dell'impiego
della sua forza militare che dell'iniziativa politica per la legittimazione
degli interventi, con la formulazione di principi di diritto che sanzionassero
il nuovo quadro dei rapporti di forza internazionali, come quello dell'"ingerenza
umanitaria" su cui l'Alleanza imperialista cerca di basare la giustificazione
di un ruolo di gendarme e stabilizzare il retroterra politico sulla base
del quale poter aggredire qualsiasi popolo, o come quello che riconosce
la facoltà, ai tribunali degli Stati della catena, di processare
qualunque combattente antimperialista a cui gli Stati imperialisti abbiano
attribuito l'etichetta di criminale di guerra; fattori con cui si vuole
ratificare lo stato dei rapporti di forza internazionali in un ruolo di
dominio legittimato. Un quadro che, gli eventi bellici che si sono succeduti
in questo decennio, si incaricano sia di dimostrare quanto esso sia la
base sulla quale la tendenza alla guerra indotta dalla crisi di sovrapproduzione
di capitale, si possa trasformare in processo reale, sia che la direttrice
di questo processo, non è altro che la storica direttrice est-ovest,
stante il grado di interdipendenza maturato tra gli Stati della catena
imperialista, cementato dal comune attuale interesse di imporre il proprio
dominio ovunque questo non si sia assestato o non sia realizzabile nè
per via economica, nè con limitate offensive militari.
In Italia, il processo controrivoluzionario, avviato dai primi anni '80,
ha inciso in profondità, assumendo prioritariamente il piano dell'attacco
alle forze rivoluzionarie e in particolare al ruolo delle Brigate Rosse
e della loro proposta strategica, in quanto elemento caratterizzante lo
sviluppo dell'autonomia di classe in Italia. Un processo che ha operato
collegando il rapporto di scontro militare ad una strategia politica complessiva
rispetto allo scontro di classe, tesa a separare il piano della lotta
di classe dal piano rivoluzionario, e a sfruttare le contraddizioni interne
al Movimento Rivoluzionario e alle stesse B.R., espressione delle tendenze
critiche da sempre presenti nel movimento operaio e proletario ed espressione
soggettiva del carattere contraddittorio del ruolo della classe nei rapporti
socialisti capitalistici. Tendenze al soggettivismo, all'economicismo,
all'idealismo che si sono espresse oppositivamente al passaggio politico-organizzativo
allora in corso, cioè il passaggio di costruzione del Partito Comunista
Combattente. Contraddizioni aggravate dalle difficoltà di distinguere
i caratteri della proposta politica delle B.R., influenzati dall'essere
nata in un ciclo di lotte fortemente offensivo, dagli elementi strategici
che qualificavano tale proposta politica come avanzamento della strategia
della rivoluzione proletaria nell'adeguamento alle forme di dominio e
ai caratteri economico-sociali dell'imperialismo, in questa fase storica.
Il ricentramento dei termini dell'impianto politico-strategico, operato
dalle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente,
nel rapporto con lo scontro, secondo la dinamica prassi/teoria/prassi,
pur costituendo, per parte rivoluzionaria, termine di approfondimento
della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, si è confrontato
con le contraddizioni storiche che presiedono alle condizioni della Fase
della Ricostruzione delle Forze in quella più generale di Ritirata
Strategica, e si è prodotta una condizione di discontinuità
nel percorso rivoluzionario. Il rafforzamento delle posizioni della borghesia
realizzato con l'affermazione di questo duplice processo controrivoluzionario,
sul finire degli anni '80 comincia a riversarsi sul piano complessivo
delle relazioni politiche tra le classi. L'articolazione della dinamica
controrivoluzionaria è stata infatti, il piano su cui le forze
politico-istituzionali hanno avviato un processo di riposizionamento intorno
agli interessi della frazione dominante della B.I., modificando il riflesso
sulle stesse, del ruolo che lo sviluppo del movimento di classe aveva
prodotto sui caratteri generali dello scontro politico; un riposizionamento,
che ha riguardato principalmente le rappresentanze istituzionali della
classe. La necessità di evitare la congiunzione tra piano rivoluzionario
e piano della lotta di classe, aveva, infatti, contenuto l'attacco alle
condizioni complessive della classe; il consolidamento del processo controrivoluzionario,
determina le condizioni per riversare l'offensiva su tutta la classe,
in quanto i passaggi per sostenere il governo dell'economia, nei caratteri
storici attuali dell'accumulazione capitalistica, potevano avvenire in
un quadro ipotetico di governabilità del conflitto di classe.
In quegli anni le linee di politica economica, che avevano accompagnato
la risposta dello Stato all'offensiva di classe e rivoluzionaria, dovendo
sostenere l'accumulazione capitalistica e sufficienti margini di governo
del conflitto, raggiungono un punto critico di fronte alla ridefinizione
degli interessi della frazione dominante della B.I., in relazione ai nuovi
termini di concorrenza intermonopolistica e in relazione alle contraddizioni
aperte dall'approfondirsi della crisi, aggravate dalle condizioni di debolezza
dell'Italia collegate al posto da essa occupato nella divisione internazionale
del lavoro. La leva del debito pubblico, come sostegno alla domanda interna
e alla produzione, e come fattore su cui costruire equilibri sociali intorno
agli interessi della B.I., ha teso a saturarsi per i livelli raggiunti
e per gli effetti dell'investimento di capitali, tali da incrementare
il deflusso di risorse in favore dell'accumulazione finanziaria ed estera,
anzichè sostenere la produzione e il mercato interno.
La differenziazione valutaria come fattore di compensazione competitiva,
rispetto alle economie di paesi dominanti, venne ridimensionata per l'aumento
della spesa per interessi comportata dalla svalutazione, per i riflessi
delle politiche di unificazione monetaria, e per l'interesse della frazione
dominante della B.I., a favorire processi di concentrazione e centralizzazione
di capitale e, della borghesia nel suo complesso, a ricercare la competitività
del sistema economico. Tutto ciò, non ha peraltro impedito di ricorrere
a svalutazioni che hanno portato la lira fuori dallo Sistema Monetario
Europeo fino a quattro anni orsono. Anche il ruolo dello Stato come capitalista
reale, è stato ridimensionato, a fronte delle politiche di liberalizzazione
corrispondenti alle spinte alla concorrenza, alla concentrazione monopolistica
multinazionale e al recupero di settori sottratti alla competizione internazionale.
La frazione dominante della B.I., espressa dal capitale monopolistico
italiano, ha premuto sul quadro politico affinchè si facesse carico
di sostenere i nuovi termini di concorrenza connessi all'avanzamento del
progetto di Unione Economico-Monetaria-Unione Europea, e più complessivamente,
di collocarsi nelle politiche centrali dell'imperialismo, che si rapportavano
alla modificazione degli equilibri internazionali, in quanto il ruolo
dello Stato sul piano internazionale per sostenere gli attuali termini
di concorrenza intermonopolistica, assumeva, in questo contesto, un peso
ancor più significativo.
Questi elementi, tra cui l'approfondirsi di un ciclo recessivo, connessi
all'avvenuta modifica dei rapporti di forza tra rivoluzione e controrivoluzione,
fanno assumere, all'azione della soggettività politica della borghesia,
e in particolare dei diversi esecutivi che si sono succeduti, un connotato
offensivo e complessivo, rispetto ai rapporti con la classe, e i caratteri
di un sempre maggiore attivismo politico-militare nel quadro dell'Alleanza
Atlantica e della Nato. La crisi delle leve consolidate e strutturate
attraverso cui le forze di governo avevano costruito equilibri sociali
e politici intorno agli interessi della frazione dominante della B.I.,
spingendo a un riadeguamento dell'azione politica degli esecutivi, si
riversava anche sugli assetti istituzionali, sul ruolo del potere esecutivo,
legislativo, giudiziario, delle forze politiche, e sulle forme di rappresentanza.
Ciò, connesso agli esiti dell'offensiva controrivoluzionaria, assumeva
il carattere di una crisi e ridefinizione della mediazione politica; cioè
della sintesi del rapporto di forza e politico tra borghesia e proletariato
riferita sia al piano del rapporto sociale di produzione, che al piano
del rapporto classe/Stato, che a quello dello scontro tra rivoluzione
e controrivoluzione, in una determinata fase storica. Sintesi dei caratteri
storici, quindi, che informa gli aspetti di fondo di una fase, e cioè
i connotati delle strutture politiche, e delle forme della soggettività
politica istituzionale, e a cui, le politiche stesse devono riferirsi
per essere efficaci. Il sistema politico-istituzionale del dopoguerra
aveva esercitato il suo ruolo antirivoluzionario e antiproletario, attraverso
l'istituzionalizzazione e la massima rappresentatività in sede
parlamentare degli interessi conflittuali, per ricercare, in essa, equilibri
politico-istituzionali rappresentativi di equilibri politici generali,
che consentissero il governo dell'economia e del conflitto di classe,
avvalendosi del ruolo dello Stato nell'economia, per sostenere forze politiche
e maggioranze di governo, funzionali alla tutela degli interessi della
frazione dominante della B.I..
I nuovi termini del governo dell'economia, collegati all'approfondirsi
della crisi, che aveva già eroso la capacità di essere rappresentative
delle forze politiche storicamente al governo, inducevano la necessità
di ridurre la misura di rappresentatività con cui si dovevano andare
a comporre maggioranze di governo, e quella di accentuare il ruolo dell'esecutivo
rispetto al legislativo. Inoltre la modificazione degli interessi espressi
dalla frazione dominante della B.I., premendo per un'azione offensiva
antiproletaria degli esecutivi, comportava una necessità di selezione
degli interessi rappresentabili in sede politica decisionale.
La ridefinizione della mediazione politica, non ha assunto la tendenza
di un superamento della democrazia rappresentativa, ma quella della ridefinizione
dei caratteri particolari che essa aveva in Italia in relazione ai caratteri
dello scontro di classe e rivoluzionario. Rispetto a questi elementi,
si è verificata l'impossibilità, per le forze politiche,
di operare una ridefinizione organica del sistema politico-istituzionale
e dei poteri dello Stato, come progetto che consentisse di traghettare
il sistema politico-istituzionale, espressione della fase storica precedente,
nelle condizioni della fase attuale, creando quegli equilibri che permettessero
di governare linearmente una ristrutturazione complessiva del sistema
economico-sociale, ed in particolare del contenuto e del ruolo dello Stato
sociale. La saturazione critica delle politiche economiche che avevano
consentito di sostenere l'accumulazione capitalistica e il governo del
conflitto di classe, come politica di gestione dell'offensiva controrivoluzionaria,
si verifica sul finire degli anni '80 quando, l'approfondimento della
crisi, accentua la pressione del capitale monopolistico nazionale per
l'adozione delle politiche controtendenziali che, a livello internazionale,
si affermavano già come termine di sviluppo della crisi. Una pressione
indotta anche dalla necessità di sostenere i nuovi termini di concorrenza
intermonopolistica che si andavano definendo. Per cui, la frazione dominante
della borghesia europea, ha premuto sugli Stati per l'adozione di politiche
economiche aperte ai processi di concentrazione e centralizzazione del
capitale monopolistico (è nell'87 che i responsabili della politica
economica dei governi europei, sanciscono l'asimmetria degli accordi di
cambio nello S.M.E., quindi l'impegno alla stabilità valutaria,
solo per le monete sottoposte a svalutazione e non per quelle che si rivalutano,
e assumono gli accordi di Basel-Nyborg, sulla liberalizzazione del movimento
dei capitali, e sull'uso della politica dei tassi di interesse come strumento
per la stabilizzazione dei cambi).
Nel contempo si era avviata, con le aperture gorbacioviane, la prospettiva
della ri-definizione degli equilibri internazionali che si presentava
come possibilità di estensione della penetrazione capitalistica
nei paesi del blocco socialista.
In questo quadro, De Mita, sia come segretario della Dc, che come Presidente
del Consiglio, nell'assunzione della necessità di ridefinizione
complessiva della mediazione politica, richiesta dal dover corrispondere
ai termini del governo dell'economia che si prospettavano per dare risposta
alle spinte della borghesia imperialista e garantire la governabilità
del conflitto di classe, tentò di attestare un progetto, e i relativi
equilibri politici, che partisse dalla ridefinizione della rappresentanza
politica e dell'assetto istituzionale. Questo per condurre il sistema
politico in una condizione adeguata a sostenere lo scontro di classe,
implicato dalla ridefinizione dei termini di governo dell'economia, che
avrebbe investito complessivamente la regolamentazione dei rapporti sociali
e politici tra le classi assestati nella fase precedente, processo che
avrebbe inciso sulla rappresentanza politico-istituzionale. La concezione
che sosteneva questo progetto ruotava intorno alla tesi che il processo
controrivoluzionario avesse prodotto una condizione di modificazione dei
rapporti di forza tra le classi e una ridefinizione delle forze politiche
intorno agli interessi della B.I. L'attacco delle Br-Pcc al progetto di
riforma dello Stato, attuato con l'azione contro Ruffili in dialettica
con l'opposizione della classe, e le contraddizioni interne al quadro
politico-istituzionale legato anche ad altre frazioni della borghesia,
impediscono l'affermazione del progetto. Dato il rapporto di guerra in
cui le forze rivoluzionarie sono inserite, il vantaggio politico ottenuto
con la realizzazione della disarticolazione degli equilibri che sottostavano
al progetto di riforma dello Stato, non ha potuto trasformarsi in un lineare
avanzamento del processo di ricostruzione delle forze, a causa delle operazioni
di controguerriglia dell'88-89 a cui segue una condizione di discontinuità
nell'iniziativa di attacco al cuore dello Stato e nella costruzione del
complesso delle condizioni per l'avanzamento della guerra di classe. Così
pure, la rottura degli equilibri internazionali, aveva indotto una condizione
per la modificazione della divisione internazionale del lavoro e dei mercati,
e una spinta della catena imperialista a riassestare gli equilibri a suo
favore, e al suo interno, tra interessi comuni e contraddizioni. Il processo
controrivoluzionario raggiungeva l'obiettivo del crollo degli Stati socialisti
frutto della Rivoluzione sovietica e della resistenza all'offensiva imperialista,
ma anche dell'operato revisionista delle dirigenze politiche della transizione.
Questa evoluzione del quadro politico internazionale produceva una condizione
economica e politica di accelerazione delle controtendenze di sviluppo
della crisi, sulla direzione dell'internazionalizzazione, della concorrenza
e della concentrazione monopolistica, im un quadro di permanenza in una
condizione di non espansione. La frazione dominante della borghesia imperialista,
perciò ha premuto sugli Stati per definire una progettualità
politica che corrispondesse a queste condizioni, una progettualità
che assumesse i caratteri dello specifico sviluppo che la politica centrale
dell'imperialismo dell'Ue, nelle caratteristiche di Uem espresse con il
trattato di Maastricht, determinava il progetto di Uem, i in particolare
il trattato di Maastricht, definiva una prospettiva e un quadro di integrazione
e concorrenza tra capitali monopolistici multinazionali, che accelerava
le tendenze già in atto, scadenzandole e inquadrandole in politiche
economiche restrittive e di liberalizzazione. La frazione dominante della
B.I. ha premuto sul quadro politico-istituzionale per affermare i suoi
interessi di concorrenza nel contesto europeo, una pressione che, se da
un lato si è espressa contraddittoriamente rispetto ad altre componenti
della borghesia, dall'altro ha espresso il loro interesse comune per scaricare
sulla classe operaia e sul proletariato i costi della crisi; e che, date
le modifiche dei rapporti di forza tra le classi prodottesi nella fase
precedente, e le contraddizioni indotte dal governo dell'economia, ha
sviluppato un'azione offensiva a tutto campo da parte della soggettività
politica della borghesia.
Il quadro politico-istituzionale italiano, ha visto, le forze qualificatesi
nel processo politico come rappresentanze istituzionali della classe,
ridefinire, già nella fase precedente, la loro collocazione intorno
agli interessi della borghesia, sul piano controrivoluzionario e nella
priorità della difesa dell'accumulazione capitalistica. Un processo
graduale in cui la classe dirigente di tali forze politiche e sindacali,
ha cercato di conservare il radicamento sociale assunto come rappresentanza
istituzionale della classe, nella ricerca di formule politiche che mantenessero
questa base sociale, ricollocandola intorno all'interesse della borghesia
imperialista.
Un processo scandito dall'assunzione delle ferme priorità: dell'adesione
al progetto dell'Ue, dell'adesione alle politiche imperialiste di intervento
nell'area mediorientale e balcanica, dell'adesione al superamento dell'ordinamento
costituzionale, del riconoscimento della riforma dello Stato sociale etc.
Una ricollocazione peraltro niente affatto priva di contraddizioni per
il contrasto tra gli interessi da comporre. Le formule politico-sociali
che erano state adottate dalle forze politiche che nel dopoguerra si erano
collocate intorno alla priorità della rappresentanza degli interessi
della B.I, per sostenere la capacità di governo del conflitto di
classe, nel quadro dello sviluppo del processo rivoluzionario e della
lotta di classe espressasi in Italia, informate come erano dal tipo di
ruolo dello Stato nell'economia che aveva caratterizzato la fase precedente,
avevano prodotto il costituirsi di vere e proprie componenti sociali della
borghesia sorrette da questo sistema, la cui presenza all'interno dei
partiti che avevano governato il paese, rendeva difficilmente governabile
il processo di trasformazione e riadeguamento politico che doveva essere
operato. Il processo di trasformazione che doveva svilupparsi ed è
ancora in atto, a fronte dei nuovi termini di crisi-sviluppo dell'imperialismo,
e nel contesto di una sostanziale modificazione dei rapporti di forza
tra le classi in favore della borghesia, si definisce come una ristrutturazione
e riforma complessiva del sistema economico-sociale per riadeguarlo agli
attuali termini di concorrenza intermonopolistica e per ricollocarlo nel
nuovo quadro di concorrenza internazionale, attraverso il ruolo esercitato
dallo Stato nelle politiche centrali dell'imperialismo che, con la ridefinizione
degli equilibri e delle relazioni internazionali, modificano le posizioni
dei diversi sistemi economici nella divisione internazionale del lavoro
e dei mercati. Processo che mette in crisi il contenuto della mediazione
politica su cui si era strutturato il sistema politico-istituzionale,
entro cui la soggettività politica della borghesia aveva stabilizzato
relativi termini di governo dell'economia e del conflitto di classe.
Ciò che si è evidenziato negli anni '90, è stato
che l'aspetto principale sul piano della contraddizione Classe/Stato,
quello che si presentava prioritariamente ed emergenzialmente, non è
stato il riadeguamento dell'assetto dei poteri dello Stato, ma la costruzione
di equilibri politici e sociali che potessero realizzare, nello scontro
di classe, quella ristrutturazione e riforma complessiva del sistema economico-sociale
e della relativa politica economica dello Stato, che sostenesse i nuovi
termini di concorrenza intermonopolistica, e in essi, gli interessi della
frazione dominante della borghesia imperialista. Ciò nelle condizioni
che si andavano definendo in relazione alle modificazioni nel quadro europeo
e internazionale. E' quindi sui nodi politici dello scontro di classe
legato alle priorità dell'attuazione di questo processo di ristrutturazione,
che si sarebbe costruito quel processo di rifunzionalizzazione dello Stato
e del sistema politico tendente a definirsi, sui contenuti e dagli equilibri
politici che emergono in questo scontro, in un complessivo riassetto degli
istituti e dei poteri da codificare in un nuovo ordinamento costituzionale.
Le formule politiche ed economiche su cui si erano assestati gli equilibri
politici e sociali che avevano consentito il governo dell'economia e del
conflitto di classe, per i quaranta anni precedenti, erano minate dall'interno,
e per sostenere l'interesse della frazione dominante della B.I., dovevano
essere stravolte.
La contraddizione era data anche dal fatto che, la modificazione dei rapporti
di forza tra le classi collegata al processo controrivoluzionario, in
realtà non si era affatto riversata, in termini generali, e di
rottura storica, sulla legislazione che regolava i rapporti sociali tra
le classi, nella riproduzione materiale, espressione dei rapporti politici
attestatisi nella fase precedente.
Le modificazioni indotte da questo processo avrebbero avuto un portato
critico sull'assetto politico-istituzionale. Tale assetto, per garantire
l'accumulazione capitalistica di fronte al forte conflitto di classe,
si era fondata su un sistema parlamentarista che, grazie alla massima
rappresentatività della sede parlamentare, istituzionalizzava il
conflitto. Gli equilibri di governo dovevano rappresentare la maggioranza
reale nel corpo elettorale, il ruolo economico dello Stato era il contenuto
materiale per garantire maggioranze parlamentari, espressione di diversi
interessi di classe, da rendere compatibili con la priorità dell'interesse
della frazione dominante della B.I. Il processo di ristrutturazione e
riforma del sistema economico-sociale, attraverso la modifica della legislazione
che lo regolava e delle relazioni politiche tra le classi formalizzate
in essa, per corrispondere agli effetti dell'approfondimento delle contraddizioni
di classe, spingevano e spingono a ridimensionare la rappresentanza reale
e la mediabilità degli interessi, nelle sedi politiche decisionali.
Il rafforzamento del potere esecutivo e la modificazione della rappresentanza
degli interessi sociali in sede istituzionale, in modo da garantire il
mantenimento della rappresentanza formale, svincolando la sede politica
decisionale, sarebbe stato il piano su cui stabilizzare il governo del
conflitto di classe nei nuovi termini di governo dell'economia. La modificazione
dell'assetto istituzionale e costituzionale non si colloca a seguito del
crollo di uno Stato per una rivoluzione di classe o a seguito di un conflitto
tra Stati. C'è stato sì uno scontro rivoluzionario e un
processo controrivoluzionario che ha modificato le relazioni politiche
tra le classi e ha modificato i fattori che hanno caratterizzato la mediazione
politica, ma non tale da qualificare il passaggio attuale come crisi di
Stato.
I motivi del riordino dell'assetto istituzionale originano dalla ridefinizione
degli istituti e della materia legislativa attraverso cui lo Stato regola
i rapporti sociali in funzione del sostegno ai caratteri storici dell'accumulazione
capitalistica, una modificazione di portata complessiva, distinta dai
normali interventi di politica economica, in questo incidono, come quadro
di scontro in cui si svolge tale modificazione, i rapporti di forza e
politici tra le classi, e la collocazione della formazione economico-sociale
nella divisione internazionale del lavoro come condizione e margini economici
di compatibilizzazione delle contraddizioni. Il tentativo demitiano quindi,
mirava a costruire un equilibrio politico-istituzionale che, a partire
dalla rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato e del sistema politico-istituzionale,
ponesse le condizioni per trasformare linearmente il sistema politico,
come passaggio prioritario per affrontare e governare la ristrutturazione
del sistema economico-sociale. Le contraddizioni indotte dallo scontro
di classe e rivoluzionario, evidenziano come, la realizzazione di questo
passaggio non si presentava come la codificazione degli equilibri politici
tra le classi prodottisi nella fase precedente, ma la risultante, in sede
politico-istituzionale, dello scontro di classe collegato alle nuove contraddizioni.
La ristrutturazione e riforma del sistema economico e sociale, la sua
priorità di fronte all'accelerazione delle politiche di integrazione
europea, trova nel supporto tra esecutivo e sede neocorporativa, e nella
assunzione di questa a sede di valenza istituzionale, la formula politica
per costruire equilibri politici e sociali in grado di dare risposta alla
contraddizione dominante nella fase, sul piano Classe/Stato, cioè
affrontare tale priorità ridefinendo in essa i termini di governo
del conflitto di classe.
Una ridefinizione data dall'introduzione del contenuto neocorporativo
nella legislazione riguardante la regolazione del sistema economico-sociale,
e dalla trasposizione a tutti i livelli dello scontro di classe di strumenti
repressivi e preventivi sia di carattere politico-giuridico che di ordine
pubblico. Tale legislazione non risponde solo all'esigenza di finalizzare
tutti i fattori economici e sociali al sostegno dell'accumulazione capitalistica
nel quadro dei nuovi termini di concorrenza che pure è una precisa
necessità, ma incanala le contraddizioni di classe al fine di collocarle
sul terreno di una mediazione corporativa degli interessi. Con ciò
la mediazione corporativa degli interessi sociali si coniuga con l'approccio
riformistico e le istanze di ristrutturazione economico-sociale, per dare
una base materiale alla governabilità, cercando di legare agli
interessi della borghesia imperialista, quelli di settori di aristocrazia
proletaria e di piccola borghesia, che storicamente costituiscono il referente
sociale del riformismo. Un tentativo che, in particolare in un paese come
l'Italia, impatta con l'erosione reale di vantaggi e tutele che, anche
questi settori, hanno dovuto subire per gli effetti della crisi e delle
politiche adottate, e perciò è intrinsecamente debole. Nel
contempo il rapporto esecutivo-parti sociali, consente sia di sottrarre
la funzione decisionale dell'esecutivo ad un potere interdittivo, in quanto
le parti sociali, a differenza della rappresentanza parlamentare non hanno
titolo ad intervenire nella decisione politico-legislativa, che di costruire
equilibri politici nel paese atti a dare governabilità alle forzature
e di definirne la sostenibilità reale, nel rapportarsi ad apparati
radicati nel tessuto sociale perchè vi svolgono un ruolo di soggetti
della contrattazione tra capitale e lavoro. Un ruolo ridefinitosi in chiave
neocorporativa sulla base di una rappresentazione dell'interesse della
classe operaia esclusivamente come merce forza-lavoro, componente del
ciclo di accumulazione capitalistica, alla quale viene riconosciuta solo
una legittimità di contrattazione del proprio prezzo e condizioni
d'uso, nel quadro di una subordinazione alla priorità del processo
di accumulazione di cui essa è considerata solo funzione. Un ruolo
di contrattazione riconosciuto come fattore economico funzionale in quanto
garante della lineare gestione dei rapporti sociali di produzione capitalistici.
Ruolo economico-sociale che può mettere in grado di sostenere la
governabilità nell'attuazione delle politiche che vengono definite,
mentre nella sede neocorporativa, l'esecutivo, espressione di una maggioranza
parlamentare, come espressione dell'interesse generale del paese, dovrebbe
garantire la corrispondenza tra accordo in sede di trattativa neocorporativa
e produzione legislativa. La ristrutturazione e la riforma del sistema
economico e sociale, nel quadro del progetto di Ue-Uem, e la relativa
ridefinizione delle forme statuali e istituzionali, è la contraddizione
dominante sul piano Classe/Stato, la negoziazione neocorporativa Stato/parti
sociali, è stato il perno del progetto che ha costruito gli equilibri
politici e sociali che hanno consentito di garantire il governo del conflitto
di classe, la mediazione neo-corporativa è il contenuto generale
della composizione di interessi che viene operata e il piano di trasformazione
della mediazione politica che lo Stato vuole assestare, come base di un
processo più complessivo di ridefinizione che si sviluppa sia sul
piano dell'assetto dei poteri dello Stato che del rinnovato ruolo dell'Italia
nelle politiche centrali dell'imperialismo e dei suoi piani di guerra
nell'area Europa Mediterranea Mediorientale.
Nel breve-medio periodo i caratteri della contraddizione dominante sul
piano Classe/Stato sono riferibili nel complesso al passaggio che realizza
l'integrazione monetaria europea, informato dai criteri e dai vincoli
concreti del patto di stabilità, alle tendenze recessive, all'intensificazione
dell'intervento politico militare e diplomatico rivolto ad estendere e
stabilizzare il dominio imperialista. Per cui si rinnova e approfondisce
sia la necessità di un controllo centralizzato di tutti i fattori
del mercato delle merci e della I.I., che segue al passaggio ruotato intorno
al risanamento del bilancio statale e al controllo dell'inflazione finalizzato
a garantire l'ingresso dell'Italia nella moneta unica, che di equilibri
politici solidi che sostengano l'interventismo politico-militare. Il triennio
che si è aperto dal primo gennaio del 1999, si concluderà
con la sostituzione delle monete nazionali con la moneta unica europea,
che sancisce l'avvenuta integrazione economica. Un triennio durante il
quale i rapporti economici e monetari tra i paesi dell'area euro vengono
regolati dai patti di stabilità che costituiscono un approfondimento
dei vincoli macroeconomici fissati da Maastricht e dovrebbero garantire
la possibilità di attribuire all'euro, il valore di scambio voluto
per sostenere il capitale finanziario europeo nell'ambito della competizione
globale. Dato il nesso tra deficit di bilancio, indebitamento, Pil e valore
di mercato dell'Euro, il controllo sulla spesa statale continua ad essere
un asse della politica economica in funzione dell'osservanza dei vincolo
posti dal patto di stabilità.
Questa condizione e l'approfondimento dell'integrazione, omologa le politiche
economiche dei diversi paesi europei, sul piano delle politiche di bilancio
e per la liberalizzazione, per l'apertura alla concorrenza. Il tendenziale
risanamento del bilancio statale italiano e il taglio dei tassi di interesse
bancario, secondo i parametri di Maastricht, il controllo dell'inflazione
assunto nel corso degli ultimi anni, attraverso la politica dei redditi,
sono i presupposti su cui l'equilibrio politico dominante ha inteso procedere
a un completo riassetto, che andasse dai livelli della contrattazione,
a quello degli incentivi, dalla decurtazione del costo del lavoro alla
riforma degli ammortizzatori sociali, dal riordino delle forme contrattuali,
alla prosecuzione graduale della riforma del sistema pensionistico, dal
riordino dell'organizzazione dell'impiego della forza-lavoro (orario di
lavoro) alla revisione progressiva delle norme sulla licenziabilità,
dalla riforma della rappresentanza, alle politiche per la programmazione
industriale e il relativo impiego di risorse pubbliche interne o UE. Riassetto
complessivo tanto più necessario e urgente per l'accumulazione
capitalistica, a fronte dei riflessi negativi che la crisi asiatica ha
prodotto sulla competitività delle merci italiane e sui profitti,
e all'impatto economico negativo che ha la guerra alla Jugoslavia.
L'esigenza di governabilità, per essere assicurata, ha visto affiancare
al disegno teso a comprimere il costo diretto e indiretto della forza-lavoro,
a flessibilizzarne prezzo e condizioni di impiego, a cancellare o comprimere
certe garanzie e sicurezze sociali, un tentativo di promozione di uno
sviluppo competitivo che stimolasse e attirasse nuovi investimenti e profitti
anche attraverso un limitato e selettivo impiego della spesa pubblica,
in una formazione economico-sociale come quella italiana che è
tra le più fragili tra i paesi del centro imperialista, e questo
ha cercato di costituire il terreno di un consenso sociale che bilanciasse
le contraddizioni generate dalle misure adottate e che l'approfondimento
della crisi accentuerà. Il problema dell'accrescimento del Pil
o quantomeno della sua tenuta nell'attuale contesto di crisi, e la contraddizione
della disoccupazione, condizione comune a tutti i paesi europei (ma che
in Italia assume un particolare connotato di stabilità), e spinta
ad acuirsi dalle politiche economiche adottate nel quadro europeo, pongono
urgentemente il problema dello sviluppo, mentre la caduta delle residue
barriere all'integrazione dei mercati con l'adozione di politiche per
la liberalizzazione che acuiscono la concorrenza, pone il problema dell'assunzione
di un indirizzo teso alla competitività in generale dei fattori
produttivi, come condizione strategica per sostenere i vincoli dei patti
e nel contempo contrastare le tendenze recessive per conservare la collocazione
occupata dal paese nell'Uem e nella catena imperialista. Un indirizzo
di competitività, e per uno sviluppo ad essa congruo, che rinnova
e approfondisce l'adozione di una linea e di un controllo centralizzato
di politica economica e su tutti i fattori di mercato, che pone al centro
le istanze di flessibilizzazione della forza-lavoro e di compressione
del costo del lavoro nelle sue diverse variabili. Questa linea che pone
al centro queste istanze e che viene propagandata come funzionale allo
sviluppo economico e sociale, denuncia le sue motivazioni strettamente
difensive, attraverso le previsioni di crescita per l'anno in corso, che
sono ben lontane, essendo inferiori della metà, da quelle solo
molto relativamente rosee del 2,5%, rispetto alle quali veniva proposto
lo scambio tra conquiste del movimento operaio sul piano del diritto del
lavoro, e sviluppo, cioè occupazione. Una prospettiva su cui oltretutto,
a breve termine, incide negativamente l'impegno bellico per il rastrellamento
di risorse che dovrà essere effettuato per sostenere le spese,
e nella quale, in generale, le spese di riarmo che dovranno essere effettuate
per svolgere il ruolo politico-militare corrispondente agli interessi
della borghesia imperialista, previsto dai nuovi indirizzi strategici
della Nato, ipotecano gli indirizzi di gestione del bilancio e le linee
della programmazione economica.
Per l'attuazione di queste politiche è perciò fondamentale
il rapporto tra Esecutivo e sindacato confederale per la funzione economica
che questi svolge nella contrattazione tra capitale e lavoro e, sulla
base di questa, per la sua corresponsabilizzazione politica in un cambiamento
che necessita tanto dell'estensione capillare del suo ruolo, che di una
certezza della rappresentatività e capacità di rappresentazione
dei soggetti della contrattazione, secondo regole che selezionino a priori
la compatibilità delle istanze sociali con le politiche economiche
che informano il quadro generale dei contratti di lavoro, e la disponibilità
a contenere l'azione conflittuale. Da queste istanze nascono le linee
rivolte sia all'inglobamento, attraverso queste regole, di nuovi soggetti
sindacali, che all'allargamento della negoziazione centralizzata a un
arco più ampio di forze sociali; di qui nasce, anche un sistema
sanzionatorio più rigido, e conciliatorio più diffuso e
stringente.
Se è solo nell'ambito della sede neo-corporativa e delle relative
politiche che l'affrontamento di questi passaggi può trovare avanzamento,
la contrazione della base produttiva e la crisi occupazionale - accentuata
dalle politiche economiche adottate in questi anni, e aggravata dalle
prospettive di approfondimento del ciclo recessivo internazionale- , costituiscono
un forte fattore di contraddizione nel ruolo di questa sede, in particolare
nella capacità del sindacato confederale di garantire la tenuta
delle politiche che vengono adottate.
Intorno all'asse del neo-corporativismo, e intorno a questi equilibri,
si sono definiti e dovranno definirsi anche passaggi di rifunzionalizzazione
dello Stato: dall'accentramento di ministeri economici, alla riorganizzazione
della pubblica amministrazione, dalla riforma fiscale nel senso del sostegno
diretto della fiscalità generale al profitto e all'accumulazione
capitalistica e del federalismo fiscale, alla rifunzionalizzazione del
ruolo delle amministrazioni locali nel senso del rafforzarne il ruolo
di esecutivo locale attraverso il decentramento, alle privatizzazioni
e alla ridefinizione in senso privatistico dell'intervento economico dello
Stato. La necessità che si presenta per un equilibrio politico
in cui i Ds hanno ruolo centrale, in un passaggio come quello attuale,
è quella di dare soluzione alla contradditorietà intrinseca
di questo modello politico che vede due canali di legittimazione, attraverso
il rafforzamento del ruolo politico dell'Esecutivo, con un maggior intervento
di proposta legislativa, nell'opera di mediazione tra l'ambito della negoziazione
neo-corporativa e quello parlamentare. La rinnovata funzione dell'Esecutivo
e della componente Ds-Cgil, nel mediare le funzioni di questi ambiti,
nella ricerca dell'equilibrio sufficiente a sostenere il complesso delle
politiche che vanno adottate per governare la crisi e il conflitto, ha
stagliato il ruolo centrale che vanno ad assumere quei soggetti che rappresentano
l'Esecutivo nella sede negoziale, anche nel costruire le condizioni dell'unità
di questa stessa componente politica. L'affermazione del progetto di ridefinizione
del sistema economico-sociale e del ruolo dello Stato nell'economia, con
le politiche neocorporative, se ha dato risposta alla contraddizione prioritaria
ed emergenziale, è avvenuta in un contesto di permanente instabilità
del quadro politico-istituzionale. Un'instabilità che, però,
non ha affatto impedito allo Stato di effettuare quei passaggi politici
che costituivano interessi vitali per la frazione dominante della B.I.
Le ragioni di questa instabilità si presentano relativamente al
ruolo dell'esecutivo, un ruolo che è stato rafforzato con la riforma
della Presidenza del Consiglio, e progressivamente incrementato con forzature
rispetto al rapporto con la dialettica parlamentare, con gli strumenti
della decretazione, del ricorso alla fiducia, dell'introduzione del voto
palese, dei vincoli di copertura finanziaria per gli emendamenti, delle
deleghe legislative etc. Un ruolo che, di fronte alla crisi della rappresentanza
politica, si è ulteriormente rafforzato. Non essendo però
sancito formalmente, il suo rapporto con le forze politiche di maggioranza
è attraversato da instabilità.
Permane infatti la difficoltà a formare maggioranze di governo
omogenee e stabili e, nonostante l'introduzione di un sistema elettorale
maggioritario, non c'è stata una semplificazione del quadro politico.
Gli schieramenti politici odierni non sono equivalenti rispetto al riconoscimento
della sede neocorporativa, nè nel rapporto con il sindacato confederale,
disparità che sottopone l'impianto neocorporativo, non nel suo
contenuto, ma per il sistema di relazioni e l'equilibrio che lo deve sostenere,
al rischio di rimessa in discussione in relazione al prevalere o meno
di un determinato equilibrio parlamentare, oppure lo eleva a criterio
selettivo dell'equilibrio capace di dominare, in contrasto con il sistema
formale. Questo, in un quadro in cui la sede neocorporativa ha assunto
un particolare ruolo istituzionale, e ha valenza nel far avanzare gli
interessi della B.I., nella governabilità, costituisce elemento
di contraddizione.
La ridefinizione dei poteri locali, avvenuta con la riforma elettorale
per i Comuni e per le Regioni, e con i provvedimenti tesi a rafforzare
il decentramento amministrativo e il federalismo fiscale, non ha una collocazione
istituzionale definitiva, e impedisce a questi poteri di esercitare un
ruolo stabile e funzionale alla possibilità di utilizzare le significative
diversità economico-sociali, come fattore di frammentazione del
conflitto di classe e di ricomposizione corporativa degli interessi sociali
su una base di mediazioni locali sul criterio della unicità di
interessi alla competitività delle realtà territoriali.
In questi anni si è evidenziata la difficoltà da parte del
quadro politico di effettuare dei passaggi di avanzamento sul piano della
riforma istituzionale. Le realizzazioni su questo piano hanno riguardato
l'aspetto della riforma elettorale e sono state introdotte tramite forzature
maturate all'esterno delle sedi parlamentari. Il fallimento della Bicamerale
D'Alema, ha dimostrato l'impossibilità di separare, il piano delle
riforme istituzionali, dallo scontro di classe e dai riflessi sul quadro
politico-parlamentare. La frammentazione del quadro politico è
da riferire alla difficoltà, nonostante l'introduzione del sistema
maggioritario, di coniugare il posizionamento delle principali forze politiche
intorno agli interessi della B.I. con la rappresentanza di interessi sociali
di altre classi, in modo da raggiungere un consenso ampio tale da eliminare
la pressione di interessi non omologabili. Il Prc e la Lega esprimono
questa contraddizione, ma anche la necessità e la funzione di garantire,
attraverso la rappresentanza in sede parlamentare, l'istituzionalizzazione
di istanze di classe o di interessi particolaristici della borghesia concorrenziale.
Per il Prc, significativo è stato il ruolo svolto di compattare
settori del movimento di classe intorno agli indirizzi politici antiproletari
del governo Prodi.
Altro aspetto critico è l'affermazione di soggetti politici, quali
F.I., A.N. e Lega, estranei all'arco delle forze costituzionali, espressione
di un personale politico che, non essendosi selezionato nella fase storica
precedente, evidenzia un'inidoneità a rapportarsi ai caratteri
della mediazione politica storicamente definitasi, e quindi ad esprimere
una capacità di governo in grado di intervenirci calibratamente,
che, nel passaggio del governo del Polo e nelle posizioni assunte rispetto
alla Bicamerale per le riforme, ha dimostrato la inadeguatezza di questo
schieramento a garantire governo dell'economia e del conflitto di classe,
ma anche a saper collocare il proprio interesse particolare nel far affermare
l'interesse della frazione dominante della B.I. come interesse generale,
tra cui le ambigue posizioni rispetto ai passaggi dell'Uem. Una contradditorietà
acuita dall'anomalia della figura di Berlusconi e del suo gruppo di potere,
ma soprattutto legata all'estraneità alla sede neocorporativa e
a componenti sociali che organizzino e rappresentino significativamente
interessi di settori proletari intorno agli interessi della borghesia.
Infine, altro aspetto, è l'impossibilità di azzerare la
soggettività politica sulla base del criterio della opportunità
di introdurre formule di ingegneria istituzionale. E' il caso ad esempio,
del P.p.i. erede di quella componente della D.C. che più di tutte
ha rappresentato gli interessi della frazione dominante della B.I., in
equilibrio tra interessi atlantici ed europei, inquadrando intorno ad
essi, componenti sociali quali Cisl, primo tra i sindacati a proporsi
in un ruolo neo-corporativo e a rinnovarlo con il coinvolgimento dell'associazionismo
e della finanza cattolica, componente politica che ha espresso il suo
ruolo anche attraverso le massime figure istituzionali.
Le modificazioni dell'assetto politico-istituzionale sono quindi derivanti
dal processo politico collegato agli sviluppi dello scontro di classe
e alle contraddizioni prodotte dal governo dell'economia e del conflitto
sociale. Un processo politico che ovviamente con ha un rapporto meccanico
con lo scontro di classe, ma contempla un ruolo attivo, e offensivo, della
soggettività politica, un rapporto che si esprime come riflesso
dialettico sulla sede politico-istituzionale che ha una autonomia relativa
rispetto ai rapporti di forza tra le classi.
Un processo che, in una irriducibilità del quadro politico-istituzionale
a semplificazioni bipartitiche, si snoda intorno alla difficoltà
di costruire due coalizioni idonee a sostenere una dinamica di alternanza
tra equilibri politici di governo, in grado di rappresentare una continuità
dell'azione del governo intorno agli interessi della frazione dominante
della B.I., adeguata ai rapporti di forza reali tra le classi, e quindi
all'equivalenza rispetto alla sede neocorporativa. Un processo che avviene
nel posizionamento delle forze politiche intorno ai nodi congiunturali
dello scontro politico, che ha visto un'assestamento della posizione dell'Italia
intorno ai passaggi che ne riguardavano il ruolo nelle politiche centrali
dell'imperialismo, ma che ha caratteri maggiormente critici sul piano
interno e della politica economica.
Un ruolo particolare in questi anni è stato svolto dal Pds che
ha sostenuto organicamente le politiche di riforma e ristrutturazione
economico-sociale e di forzatura degli assetti politici. All'interno del
Pds è D'Alema che ha operato alla costruzione degli equilibri politici
che hanno sistituito il governo Berlusconi e ricondotto, l'opposizione
di classe ad esso, in un ambito funzionale all'esercizio di un ruolo di
governo. Un ruolo politico che ha incontrato, con la paralisi della Bicamerale
da lui presieduta, una caduta significativa, per la presunzione di pervenire
ad un riordino complessivo dell'assetto costituzionale e istituzionale,
in una piena autonomia della sede parlamentare dalle contraddizioni derivanti
dallo scontro di classe e dagli effetti dell'operato dell'Esecutivo. Un
ruolo quello di D'Alema, e dei Ds in generale, che viene rilanciato dalla
responsabilità assunta, dal suo governo, con il pieno impegno dell'Italia
nell'attacco alla Jugoslavia, responsabilità che gestisce le continue
forzature con un'articolata tattica di progressive ratifiche parlamentari
al coinvolgimento delle forze armate italiane nella infame e folle aggressione
al popolo Jugoslavo, ed è sorretta da una volontà politica
ad andare fino in fondo, consapevole sia del rischio costituito dal manifestarsi
di segnali di debolezza per un equilibrio politico strutturalmente fragile,
che del processo di selezione che è in corso all'interno della
Nato. Seppure il Ppi, per il ruolo del suo personale politico, abbia spesso
formulato le basi per la definizione di passaggi corrispondenti ai reali
equilibri parlamentari e quindi adeguati ad affermarsi, la coalizione
di centro-sinistra come maggioranza politica e come coalizione dell'Ulivo,
non costituisce una formula politica stabile, nè si potrà
istituzionalizzare la prassi della unificazione della coalizione intorno
alla designazione della figura che viene proposta come presidente del
consiglio come sintesi dell'equilibrio politico raggiunto all'interno
della coalizione stessa. Già la caduta del governo Prodi e l'uscita
di Rifondazione dalla maggioranza, dimostrarono come permanesse un processo
di trasformazione delle forze e delle formule politiche, processo riconfermato
dal successivo definirsi del progetto Prodi-DiPietro, teso non solo ad
una semplificazione del quadro politico, ma anche ad assumere ruolo in
essa, definendo un soggetto di centro-sinistra che superasse gli attuali
partiti che compongono la coalizione dell'Ulivo, progetto che l'incarico
di Prodi alla Presidenza della Commissione Europea ha ridimensionato in
modo sostanziale. Un processo di trasformazione critico, a causa della
difficoltà della coalizione di centro-sinistra a tradurre le scelte
politiche di chiaro connotato antiproletario adottate dal suo Esecutivo,
in formazione di un consenso elettorale sufficiente ad ottenere na maggioranza
parlamentare. Un processo in cui dapprima, la ricerca di semplificazione,
attraverso l'accentuazione del meccanismo elettorale maggioritario, ha
impattato sull'esito referendario, decretando il concludersi di una stagione
di forzature extraparlamentari legittimate con il voto referendario; poi,
avendo la compattezza della coalizione, subìto una frattura con
l'elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica ed essendosi determinata
una ridefinizione dei rapporti politici interni a vantaggio dei Ds, si
è riaperto alla prospettiva di riforme istituzionali.
Sul piano internazionale dominano, il quadro della crisi economica e finanziaria
con le sue prospettive di recessione mondiale, in particolare con il tracollo
dell'economia giapponese, e la crisi economica sociale e politica che
investe in specifico la Russia. All'interno di questo contesto si colloca
l'offensiva Nato contro la Jugoslavia, con il pretesto di una "crisi
umanitaria" nel Kosovo, passaggio odierno, e salto di qualità
di quel processo di destabilizzazione e successiva normalizzazione imperialista
dell'area balcanica e dei paesi dell'est europeo, su cui si è andato
ridefinendo il ruolo della Nato e dell'Ue e dei loro Stati membri. Un
ruolo che si colloca nel mutare dei termini della contraddizione est-ovest,
non più imperniati sulla contrapposizione di sistemi economico-sociali
e sulla deterrenza nucleare, ma sulla penetrazione economica e del modo
di produzione capitalistico, operata in funzione della ricerca di nuovi
ambiti di investimento di capitali, di forza-lavoro a basso costo e di
nuove quote di mercato, con cui contrastare la crisi del capitale. Penetrazione
economica e del modo di produzione capitalistico, che impossibilitata,
non solo a prospettare uno sviluppo economico per queste aree, ma anche
solo a mantenere, seppure nel medio-lungo periodo, gli storici livelli
di sviluppo delle forze produttive e di risorse sociali, e che perciò
non può essere sostenuta solo con i tradizionali strumenti usati
negli ultimi decenni. Perciò il ruolo di Nato, Ue e Stati imperialisti,
si è qualificato nel costruire le condizioni che la consentissero,
attraverso la destabilizzazione politica, l'intervento bellico diretto,
oppure attraverso l'integrazione dell'Alleanza Atlantica di alcuni Stati
ex-socialisti, e , per governare le contraddizioni economico-sociali che
genera questa penetrazione e il loro sviluppo politico, è stata
attuata una strategia di annientamento di quegli Stati che rappresentavano
punti di autonomia politico-militare, per l'assoggettamento politico e
per l'insediamento militare, e per allontanare il fronte dai paesi del
centro imperialista, e stringerlo intorno alla Russia e agli altri paesi
non assoggettabili nè semplicemente con la dipendenza economica,
nè con limitate offensive politico-militari. Processo in cui possono
costruirsi le condizioni e le forzature politiche interne al rapporto
Classe/Stato nei vari Stati europei, che mettano in grado di sostenere,
nella Nato, questo complesso ruolo politico-militare nei confronti dell'Est
europeo e dell'area mediterraneo-mediorientale. Un processo che, con i
passaggi interni alla costruzione dell'Unione europea, e in particolare
sul piano delle politiche repressive e controrivoluzionarie (Schengen),
con la rifunzionalizzazione e il rafforzamento delle forze armate e di
polizia, con la partecipazione attiva degli Stati europei alle iniziative
militari Nato, con il rafforzamento della complementarietà tra
Nato e Ue, nella funzione di quest'ultima di allargamento verso i paesi
dell'est europeo, costituisce una dimensione idonea per mettere in grado
i singoli Stati europei, di sostenere una proiezione offensiva su un piano
politico-militare degli Stati Uniti. Processo che trova proprio nell'attestamento
della mediazione politica in senso neo-corporativo, la principale base
di attuazione e sviluppo, per un paese come l'Italia che svolge un ruolo
cardine nella Nato, per la sua storica funzione di portaerei nel Mediterraneo,
e che vede nella penetrazione in quest'area e in quella dell'Est europeo,
uno sbocco non solo per il capitale monopolistico, ma anche, per quel
capitale a più bassa concentrazione e centralizzazione investito
in settori maturi, che può trovare quote di mercato e occasioni
di investimento laddove vada costruito o ricostruito un intero tessuto
economico (vedi la funzione svolta dall'Albania), interessi comuni a frazioni
di borghesia per i quali, l'intervento politico-militare dello Stato in
queste aree, costituisce una mediazione politica.
Il carattere dell'aggressione alla Jugoslavia, costituisce un ulteriore
significativo approfondimento nel costruirsi delle condizioni per cui,
la tendenza alla guerra accellerata dall'approfondimento della crisi di
sovrapproduzione assoluta di capitali, può trasformarsi in effettivo
sbocco bellico generalizzato per la sua maturazione, rivolta a forzare
ulteriormente il rapporto con la Russia attraverso la completa esautorazione
del ruolo dell'Onu; per il suo contenuto politico, attraverso il salto
di qualità dell'intervento militare diretto e aperto della Nato
che sulla base del principio dell'ingerenza umanitaria ha fondato la legittimazione
formale dell'aggressione, e ha attestato il consolidamento della riformulazione
della propria concezione strategica, riadeguata agli attuali caratteri
economico-politici dell'imperialismo che vedono nell'accentuazione dei
processi di internazionalizzazione del capitale i motivi della ridefinizione
degli strumenti di dominio, nella direzione della tutela della penetrazione
economica laddove le condizioni politiche degli Stati la consentano, e
nella direzione dell'insediamento politico-militare e della costruzione
delle condizioni politiche istituzionali e militari necessarie a stabilire
l'ordine dei rapporti sociali capitalistici, laddove esistano sistemi
politico-statuali che esprimano termini di autonomia rispetto all'ordine
imperialista o formazioni economico-sociali che non riescano a strutturare
un'ordinamento politico-istituzionale funzionale ad un'economia di mercato.
Un'aggressione che vuole affermare il principio dell'ineluttabilità
dell'intervento militare nel caso della non accettazione dei dettami politici
della Nato e che è espressione dell'organicità dei rapporti
Usa-Ue; che è apice pratico di quel processo di rifunzionalizzazione
del ruolo imperialista e controrivoluzionario da sempre svolto dalla Nato,
nel quadro degli attuali equilibri internazionali, e in cui infine, lo
Stato italiano non ha affatto assunto una posizione servile nei confronti
del polo dominante Usa; ma si è collocato in prima linea per rappresentare
gli interessi della propria borghesia e coniugarli con quelli delle altre
borghesie dei paesi dominanti della catena.
Un processo di rifunzionalizzazione della Nato e del ruolo dei singoli
Stati imperialisti in essa, che non è affatto privo di contraddizioni,
che si deve imporre sulle resistenze che trova all'interno dei paesi e
deve contrastare le tendenze al coagularsi dell'opposizione alla guerra
in opzioni offensive e rivoluzionarie; processo contro il quale, in Italia,
già nel 1994 i Nuclei Comunisti Combattenti collocarono la propria
iniziativa offensiva contro il Nato Defence College, in occasione del
Vertice Nato di Bruxelles con cui si sanzionavano le linee del Nuovo Ordine
Mondiale, in un quadro più complessivo di iniziative politico-militari
del Movimento Rivoluzionario attuale in questi anni, contro la Nato e,
che recentemente si sono affiancate ad attacchi al ruolo dei Ds nella
guerra imperialista alla Jugoslavia, in dialettica con la tendenza dell'autonomia
di classe a dare un contenuto offensivo alla opposizione all'imperialismo.
Sul piano politico europeo le velleità di un riformismo sociale
non liberista a cui in particolare in Italia aveva guardato il Prc, decadono
con l'uscita di scena di Lafontaine dapprima, e poi con l'inizio dell'aggressione
alla Jugoslavia, e il procedere di un processo di convergenza delle maggioranze
politiche dei paesi europei verso equilibri politici di governo analoghi
e politiche economiche omologhe, si è venuto a misurare con l'impegno
comune nella guerra, nuovo piano su cui si dovranno assestare sia questi
equilibri che le politiche economiche che dovranno essere adottate per
reperire le risorse per sostenere la guerra e la spesa per il riarmo e
il riassetto militare necessario, che i progetti per garantire i necessari
termini di governabilità interni. In questo quadro si colloca il
recente Vertice Nato di Washington che avrebbe dovuto sanzionare la nuova
strategia Nato, l'adesione ad essa di ex-membri del Patto di Varsavia,
e anche l'esito dell'offensiva contro la Jugoslavia. A causa della guerra
in corso, ha dovuto avere funzione di costruire alcune condizioni per
proseguirla e per concluderla raggiungendo l'obiettivo politico di scardinare
l'assetto politico Jugoslavo. E' ora infatti questa guerra la cartina
di tornasole della validità della nuova dottrina, e della sostenibilità
del ruolo che la Nato si è data. Un vertice a cui manca la Russia,
formalmente invitata a svolgere un ruolo di mediazione tra la Nato e la
Jugoslavia, per evitarne una palese umiliazione che la destabilizzi ulteriormente,
in realtà delegata ai margini del quadro internazionale, in attesa
del suo turno. Un vertice che lo stesso recente plebiscitario voto del
Parlamento Usa al finanziamento dello scudo satellitare anti-missili balistici,
progetto rimasto per anni fermo, indica quanto sia indirizzato a strutturare
le linee del nuovo ordine mondiale, ossia di un dominio imperialista che
deve essere imposto con la forza.
Nel quadro generale di processi e tendenze presenti a livello europeo
e internazionale, in Italia, il governo, i sindacati confederali, la confindustria
e altre sigle del mondo della piccola e media impresa e sindacali, firmano,
nel dicembre del 1998, il "Patto per l'occupazione e lo sviluppo".
Il Patto rinnova le linee di politica dei redditi già presenti
nel '93, e ne rilancia i contenuti di fondo, a partire dal principio che
sono le imprese il motore primo dell'occupazione, e perciò, il
destinatario del sostegno dello Stato, e in funzione dell'emergenza occupazione,
approfondisce il ruolo della politica dei redditi nella direzione di un
intervento che si articola a tutti i livelli di governo, dal nazionale
al regionale al locale, e continua e riferirsi ai criteri macroeconomici
di controllo dell'inflazione e del deficit pubblico, stabilendo un rapporto
più organico tra negoziazione e processi decisionali interni e
U.E. A sostegno di questi obiettivi e delle politiche "per lo sviluppo
e l'occupazione" e della "programmazione dei fondi strutturali
2000-2006", che il patto delinea, viene disegnata la struttura della
negoziazione corporativa come un articolato che attraversa tutti i livelli
di governo e capillarmente, come un vero e proprio assetto di carattere
istituzionale che palesa in modo esplicito, tutta la sua funzione non
solo economica, ma anche politica, di natura antiproletaria e controrivoluzionaria,
quando viene previsto che la concertazione si rafforzi nel campo dei servizi
di pubblica utilità, anche attraverso l'attivazione di sedi di
confronto, regole, e istituzioni specifiche, "in particolare laddove
si registrano un tasso di conflittualità elevato e forti esternalità
verso il sistema economico e sociale"!!
Il carattere corporativo, antiproletario e controrivoluzionario di questa
impalcatura economico-politica è inequivoco e profondo, perciò
in questo progetto politico la nostra O. ha individuato il ruolo politico-operativo
svolto da Massimo D'Antona, ne ha identificata la centralità e,
in riferimento al legame tra nodi centrali dello scontro e rapporti di
forza e politici generali tra le classi, ha rilanciato l'offensiva combattente,
secondo i criteri dell'attaccoal cuore dello Stato, cardine della Strategia
della Lotta Armata per la conquista del potere politico e l'instaurazione
della dittatura del proletariato. Con questa offensiva, mirata a ostacolare
lo sviluppo programmatico del progetto centrale, che è teso ad
ottenere sia avanzamenti nel merito della ristrutturazione e riforma economica
e sociale, sia nel consolidamento del dominio della borghesia, con l'assestamento
di una mediazione politica di carattere neocorporativo, le BR-PCC si prefiggono,
in generale, il rilancio della prospettiva della conquista del potere
per l'instaurazione della dittatura del proletariato, come prima tappa
della costruzione di una società comunista, e, in specifico, di
ottenere un relativo vantaggio politico per il campo proletario, da impiegare
ai fini della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e degli strumenti
politici e organizzativi atti ad attrezzare la classe allo scontro prolungato
con lo Stato. La linea politica che indirizza l'offensiva combattente
è orientata a colpire le responsabilità centrali nell'opera
di istituzionalizzazione della sede neo-corporativa, nell'approfondimento
del ruolo politico dell'Esecutivo, e nella sua azione programmatica tesa
a tradurre in iniziativa legislativa quelle linee di riforma e ristrutturazione
economico-sociale, tutti aspetti, intorno ai quali oggi si gioca lo scontro
tra le classi, e rispetto a cui il consolidamento del progetto neo-corporativo
costituisce condizione generale attraverso cui l'Esecutivo intende gestire
le contraddizioni antagonistiche, trasformandole in passaggio di arretramento
politico per il proletariato. Un'iniziativa politico-militare che per
questo opera, nel contempo, sul piano immediato, aprendo un varco offensivo
nella situazione difensiva della classe, e su un piano di prospettiva
politica, facendo vivere offensivamente il nodo del potere: opera sul
piano progettuale e programmatico imponendo nello scontro, sul terreno
della guerra, gli interessi generali del proletariato, qui ed ora, portando
l'offensiva, al livello in cui si definiscono i rapporti di forza e politici
tra le classi, al livello cioè dell'iniziativa politica, e nel
merito dei nodi centrali dello scontro, nella congiuntura. In ciò
pone i concreti termini politico-programmatici su cui fare avanzare la
guerra di classe di lunga durata, nella dialettica con le istanze di potere
che sorgono dalla lotta del proletariato. Un attacco al "cuore dello
Stato" che è il portato della dialettica politica tra una
linea di continuità-critica-sviluppo del patrimonio comunista in
specifico dell'esperienza prodotta dalle Br nel nostro paese e peculiarmente
del ricentramento operato dalle B.R.-P.C.C. nella Ritirata Strategica,
e il concetto percorso di riaggregazione delle avanguardie rivoluzionarie,
in funzione della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e in particolare
di un'Organizzazione Comunista Combattente che agisca da partito per costruire
il Partito. Un processo di aggregazione che costituisce uno stadio peculiare
della Fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, processo che ha
visto come passaggio centrale il rilancio dell'iniziativa rivoluzionaria
operato dai Nuclei Comunisti Combattenti, con l'attacco all'accordo sulla
politica dei redditi tra governo confindustria e sindacati confederati,
nel '92 con l'attacco contro la sede della Confindustria, e nel '94 in
occasione del Vertice N.A.T.O. di Bruxelles, con l'iniziativa contro il
N.A.T.O. Defence College con cui veniva attaccato il disegno di nuovo
ordine mondiale e la strategia di "presenza avanzata" e la complessiva
rifunzionalizzazione della Nato e dell'architettura con cui il dominio
imperialista si attrezzava a sostenere il ruolo politico-militare aderente
ai caratteri odierni del modo di produzione capitalistico e della sua
crisi e a sfruttare i rapporti di forza favorevoli determinatisi negli
equilibri internazionali. Con queste iniziative, i N.C.C. sintetizzano
il rilancio dell'offensiva rivoluzionaria, con l'avvio di un processo
di aggregazione delle avanguardie rivoluzionarie, operando nel vivo dello
scontro e intervenendo nei nodi politici su cui ruota la contraddizione
classe/Stato e quella imperialismo/antimperialismo. Un processo con cui
inevitabilmente si misurano tutte le avanguardie che vogliano rilanciare
la prospettiva comunista e i suoi obiettivi storici, e avviare un processo
di superamento della attuale situazione di difensiva della classe. Un'esperienza,
quella dei N.C.C. che si sviluppa nel tradurre in prassi rivoluzionaria,
il contenuto offensivo dell'autonomia politica di classe, rapportandosi
con i termini più avanzati di autonomia politica espressi dal proletariato
nel paese, ovvero il patrimonio politico-strategico sviluppato dalle BR-PCC,
collocandolo nelle condizioni di difensiva della classe, prodottesi nel
duplice processo controrivoluzionario, che ha determinato una condizione
di discontinuità del percorso rivoluzionario, delle condizioni
interne sul piano Classe/Stato, e negli equilibri internazionali. Un rapporto
con le condizioni e con le contraddizioni della situazione di difensiva
della classe, che attraverso la soggettività rivoluzionaria, in
quanto parte dello scontro generale, che ha imposto di definire strumenti
politico-organizzativi e condizioni, che costituissero soluzioni politico-concrete
per rapportarsi in termini offensivi nello scontro di classe.
Solo organizzando le forze rivoluzionarie e proletarie, fin da subito
sul terreno strategico adeguato a sostenere una prospettiva di potere
a partire dall'attacco, e costruendo le condizioni politico-organizzative
e materiali, per assumere iniziativa d'avanguardia rispetto ai nodi generali
relativi alla contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, è possibile
avviare un percorso che, relazionandosi allo scontro di classe, nei suoi
caratteri generali, affronti le condizioni storiche di fase in termini
di avanzamento.
Su questo piano, le avanguardie rivoluzionarie si rapportano con i caratteri
storici presenti della Fase di Ricostruzione, cioè con la necessità
di operare un processo di aggregazione dal quale si possano selezionare
i termini complessivi necessari alla ricostruzione di un'Occ che agisca
da Partito per costruire il Partito e che, in quanto tale, possa costituire
il Nucleo Fondante il Partito. La costruzione di un soggetto organizzato
che affronti il nodo della ricostruzione delle condizioni per lo sviluppo
della guerra di classe di lunga durata, si può avviare solo a partire
dall'esercizio di un ruolo d'avanguardia rispetto allo scontro di classe
in generale. Per questo, l'avvio di tale percorso, deve essere impostato
dalla costruzione delle condizioni politiche, militari, tecniche e organizzative,
per mettere in campo e sostenere il rilancio dell'offensiva rivoluzionaria
nei nodi politici centrali dello scontro di classe, al fine di collocare
in questo scontro il dato politico assente, ovvero l'espressione dell'autonomia
politica di classe che, rispetto alle contraddizioni generali dello scontro,
definisce e colloca l'interesse autonomo della classe e le sue prospettive
di potere. In sostanza, il carattere principale dell'avvio di questo processo,
si definisce intorno al nodo di costruzione delle forze per l'offensiva,
della tenuta e della stabilità dell'organizzazione delle forze
sul terreno strategico. Dover superare questo stadio, nella tensione all'avanzamento,
come soggetto organizzato, verso l'obiettivo della ricostruzione di un'Occ
che agisce da partito per costruire il Partito, nel vivo dello scontro
rivoluzionario, consente di evidenziare le contraddizioni concrete, collegate
al rilancio della prospettiva rivoluzionaria, nelle condizioni politico-organizzative
danneggiate e disperse dal processo controrivoluzionario. Una definizione
di problemi che può dare concretezza ai caratteri della fase, altrimenti
assumibili solo ideologicamente, quali ad esempio la contraddizione costruzione/formazione.
Una concretezza relativa alla specificità delle condizioni di discontinuità
che, nella definizione dei caratteri dei nodi, ne delinea anche le possibili
soluzioni politico-organizzative, nella costruzione di un patrimonio politico
collettivo.
Il dato di fondo è che, la ricostruzione delle forze rivoluzionarie
e proletarie, nel quadro del passaggio della ricostruzione di un'Occ che
abbia funzione di nucleo fondante il Partito, riguarda tutti gli aspetti
che consentono di concepire il conflitto e di combatterlo: dagli elementi
di materialismo storico-dialettico, alle competenze operative per agire
nell'unità del politico e del militare, ai criteri che consentono
ad un soggetto organizzato di essere tale. Dati costanti sono che, ciò
è impossibile, se non si affronta operando immediatamente sul terreno
della prassi rivoluzionaria in una dimensione organizzata, riferita ai
nodi generali della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, e che
le avanguardie rivoluzionarie, l'insieme delle forze militanti, devono
tener conto della complessità e complessità su cui operare
per avanzare in termini di ricostruzione d'una forza rivoluzionaria. Le
condizioni attuali della Fase di Ricostruzione, sono state connotate da
questi elementi: - da un lato l'acutezza delle contraddizioni di classe
e l'operare offensivo della borghesia e del suo Stato, in un rapporto
di scontro immediatamente politico, in quanto inerente alla ridefinizione
della mediazione politica e al portato in essa dello scontro rivoluzionario.
- dall'altro, la mancanza nei nodi politici generali, che costituiscono
l'oggetto immediato dello scontro, di una posizione che definisse fattivamente
gli interessi generali della classe, sia in termini di critica di classe,
che di prassi offensiva, che di prospettiva di potere; che si definisse
nello scontro di classe attuale.
Il portato del processo controrivoluzionario e gli sviluppi dell'offensiva
della borghesia e del suo Stato, hanno indotto l'affermazione nel campo
proletario e rivoluzionario di tendenze difensive, prodotte proprio dal
rapporto di forza sfavorevole che rilancia tali tendenze approfondendo
le condizioni di arretramento, mentre nel contempo, la mediazione neocorporativa
è il piano proposto e imposto dallo Stato. Il contenuto prevalente
nell'opposizione proletaria ha avuto, in questi anni, un carattere di
critica sociale, aclassista o interclassista e, dentro questo contenuto,
si sono collocate componenti politiche e sociali che mettono in atto una
prassi che vagheggia ipotesi di riformismo sociale. In questo quadro si
sono collocate anche forze politico-istituzionali che fanno riferimento
al proletariato, la cui progettualità ha egualmente un carattere
di riformismo sociale e che, su questo punto di congiunzione, hanno incorporato
e istituzionalizzato istanze della autonomia di classe che scaturiscono
dallo scontro, ingabbiandole in pratiche di lealismo istituzionale.
Una tendenza questa, disarmante per gli interessi generali della classe,
che in alcuni passaggi politici, ha visto queste componenti farsi carico
del sostegno ai progetti dello Stato e alle politiche centrali dell'imperialismo.
Su un altro piano si è collocata una tendenza all'economicismo
che, svuotando le istanze di autonomia di classe del loro contenuto politico
generale, le ha indirizzate verso uno sbocco di subordinazione in quanto
riferite ad istanze rivendicative, parziali, storicamente prive di prospettiva,
proprio per le delimitazioni del piano di lotta assunto, che a maggior
ragione in una fase che vede la classe in posizione di difensiva, non
sono in grado di costruire rapporti di forza con prospettive di avanzamento
nemmeno in contesti particolari, tranne in settori strategici per il funzionamento
del sistema economico, rispetto ai quali lo Stato combina misure repressive
e un terreno di trattativa corporativa remunerativo per frammentare e
procedere gradualmente nel compatibilizzare tali settori. Per componenti
politiche che si riferiscono alla classe come classe in sè e per
sè, l'assunzione in termini difensivi di questo contenuto, ha portato
alla loro collocazione su un piano ideologico, se non ideale. Cioè
si è stabilito un rapporto immediatistico con la lotta di classe,
dove la politica rivoluzionaria costituisce esclusivamente un riferimento
ideale o tutt'al più interpretativo, senza nessuna ricerca di direzione
consapevole organizzata, dialettica ma finalizzata, della politica rivoluzionaria
sul piano della lotta di classe. Rapporto immediatistico che vede il piano
rivoluzionario come sbocco più o meno meccanico della lotta di
classe, della sua estensione come prodotto dell'approfondimento della
crisi capitalistica.
Il portato del processo controrivoluzionario, e il suo risvolto sul campo
proletario, in chiave di assunzione di tendenze difensivistiche, si è
manifestato anche in opzioni politiche che, nell'oggettiva difficoltà
di rapportarsi all'approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione,
(connotato dall'avanzamento dei termini strategici della guerra di classe
di lunga durata nei paesi del centro imperialista, conquistati nel mantenimento
dell'offensiva nelle condizioni di Ritirata Strategica, ma anche dalla
discontinuità delle forze e dell'iniziativa rivoluzionaria, e che
implica l'aumento del peso assunto dalla soggettività nello scontro,
essendo necessario che sia operato l'idoneo riadeguamento ai nuovi termini
del rapporto rivoluzione/controrivoluzione) hanno assunto le condizioni
di agibilità consentite dallo Stato, come principio in base a cui
ridefinire la strategia rivoluzionaria. Partendo da queste basi, azzerando
il rapporto tra forme di dominio dell'imperialismo e strategia rivoluzionaria,
come unico terreno su cui si può sviluppare la costruzione del
Partito e l'organizzazione rivoluzionaria della classe, hanno rinchiuso
lo sviluppo della strategia della Lotta Armata per il Comunismo, in un
incidente di percorso del movimento operaio, ricollocandosi nel riferimento
ideologico alla strategia terzinternazionalista dell'insurrezione. Azzerando
il dato politico che ha visto la ripresa del processo rivoluzionario in
Europa, nascere dalla critica a tale concetto strategico e alla prospettiva
revisionistica e riformistica in cui portava ad impantanare lo scontro
rivoluzionario, di fronte ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative.
Nonostante questa condizione di arretramento, è proprio dall'opposizione
di classe alle compatibilità politiche ed economiche, imposte attraverso
i passaggi di ridefinizione della mediazione politica in chiave neocorporativa
che, nello scontro, ha continuato ad esprimersi l'istanza di autonomia
del proletariato.
La valutazione dello scontro di classe nella fase, evidenzia come, nonostante
l'acutezza delle contraddizioni prodotte, e la crisi del sistema politico-istituzionale,
si sia affermato un dato politico di arretramento, un dato politico per
cui, nel generale e nel particolare dello scontro, gli interessi generali
del proletariato, e la sua contrapposizione complessiva alla borghesia
e al suo Stato, non costituiscono il contenuto, se non episodicamente,
su cui la classe o settori di essa, costruiscono il rapporto di scontro.
Tale contenuto si esprime implicitamente, nei contesti di lotta che si
contrappongono offensivamente alle compatibilità e alla subordinazione
della mediazione neocorporativa, ma tale latenza, oltre che la condizione
dei rapporti di forza, costituisce vincolo alla capacità di catalizzare
l'opposizione di classe. Questa condizione, la sua durevolezza, di fronte
all'offensiva della borghesia, si manifesta nella difficoltà ad
esprimere una critica di classe all'esistente, e a tradurre questa critica
in processi di mobilitazione e organizzazione che, dalla situazione concreta
presente, valutata storicamente e dialetticamente, costituiscono termine
di avanzamento possibile nel senso del contributo allo sviluppo di un
processo rivoluzionario. Una difficoltà che è nata dal venir
meno della prospettiva di potere come contenuto orientante, impostativo,
punto di vista necessario per una critica di classe e opposizione ai rapporti
sociali capitalistici, e degli strumenti teorico-politici e organizzativi
definiti dalla Rivoluzione Sovietica, dalla Rivoluzione Cinese etc. e
sviluppati dalla Strategia della Lotta Armata per il Comunismo. Un venir
meno, non tanto come contenuto ideologico, seppure anch'esso abbia un
peso, ma come contenuto politico, cioè come patrimonio politico
che scaturisce dalla collocazione di tale prospettiva di potere, coscientemente
perseguita, nelle condizioni di scontro presenti nella loro determinazione
storica. Una condizione indotta dal portato del duplice processo controrivoluzionario,
che conferma come l'autonomia politica di classe (ovvero l'istanza di
autonomia di classe oggettiva, generata dalla contraddizione antagonistica
tra borghesia e proletariato, tradotta in proposta politico-organizzativa
di sviluppo del processo rivoluzionario), sia un prodotto essenzialmente
politico, e non il meccanico e spontaneo sviluppo della lotta di classe,
anche quando l'acutezza delle contraddizioni di classe è estrema.
Una cognizione che lo Stato borghese ha ben compreso, assumendo come principale
fine della sua azione di controrivoluzione preventiva, la neutralizzazione
attraverso l'istituzionalizzazione, il riformismo o l'annientamento, degli
aspetti che, nelle varie congiunture, politicizzano l'opposizione di classe
e ne costituiscono prospettiva di potere. Il carattere politico dell'avanzamento
verso la ricostruzione dell'Occ che agisce da partito per costruire il
Partito, si definisce intorno alla costruzione della capacità di
assestare stabilmente nello scontro di classe i due aspetti mancanti,
di una posizione nello scontro che definisca gli interessi generali della
classe, e di una prospettiva di potere, nei vincoli delle condizioni di
fase.
Si tratta quindi di continuare ad operare, in termini di iniziativa politico-programmatica
e costruzione organizzativa, sul livello più avanzato di definizione
di strategia rivoluzionaria, ricostruendo nello scontro di classe, tutti
i piani di definizione di una progettualità e di una prassi rivoluzionaria,
considerando il soggetto organizzato, come ciò che, nello sviluppare
questo scontro, su tutti i piani, deve costruirsi e formarsi. Rispetto
allo scontro di classe in generale, si tratta di definire e collocare
l'interesse generale e autonomo del proletariato come classe, in riferimento
alle contraddizioni generali, politiche e materiali, prodotte dalla crisi
della borghesia e dalla sua azione offensiva espressa dallo Stato, per
scaricare sul proletariato il costo di questa crisi. Si tratta di affermare
nello scontro, di costruire il dato politico, per cui, colo a partire
dall'assunzione dell'interesse generale e autonomo del proletariato, come
punto di vista, contenuto e prassi conseguente, su cui impostare un rapporto
di scontro, anche particolare, è possibile sottrarsi all'offensiva
e alla crisi della borghesia, e alla subordinazione derivante dall'assunzione
dell'interesse particolare come piano di rapporto con le contraddizioni
di classe.
L'interesse particolare è infatti il piano che la borghesia, a
partire dalle condizioni ad essa favorevoli sul piano dei rapporti di
forza, impone come piano di rapporto alla classe, questo è, la
trasformazione della mediazione politica storica, nella mediazione politica
neocorporativa. L'assunzione offensiva dell'interesse generale e autonomo
del proletariato, non come somma di interessi particolari, ma come contenuto
di ogni rapporto di scontro particolare, è la condizione per sottrarsi
a un rapporto di forza sfavorevole e muoversi anche nella condizione di
difensiva della classe. Rispetto allo scontro rivoluzionario, si tratta
di collocare nello scontro di classe, in termini di attacco e di costruzione,
come costruzione/formazione, tutti quegli elementi di patrimonio comunista,
di proposta politico-strategica, e di linea, come sviluppo di tale patrimonio
in questa fase, che consentono di sviluppare una prospettiva di potere,
definendoli in relazione alle condizioni di fase, cioè di difensiva
della classe, di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e di Ritirata
Strategica.
- Dal carattere dell'autonomia politica della classe, non come dato che
si produce e riproduce spontaneamente nella lotta di classe, ma come prodotto
dell'inserimento nello scontro, di una prassi finalizzata all'affermazione
degli interessi generali e storici del proletariato.
- Al ruolo della strategia rivoluzionaria e al suo definirsi in riferimento
alle attuali forme di dominio dell'imperialismo, e cioè principalmente
ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative, che costituiscono
l'affinamento e l'assestamento del carattere controrivoluzionario del
ruolo dello Stato, che convoglia e struttura, attraverso un complesso
reticolo di filtri e passaggi, l'azione che opera su un piano prettamente
politico, alla legittimazione e al rafforzamento dello Stato stesso, svuotandola
dei suoi caratteri antagonisti e rivoluzionari. Stato, che soprattutto
assume, come qualificazione permanente della propria azione politica,
la mediazione degli interessi sociali particolari, storicamente e congiunturalmente
selezionabili, intorno agli interessi generali della frazione di borghesia
dominante, in funzione controrivoluzionaria preventiva al coagularsi e
all'organizzarsi del proletariato per l'affermazione dei propri interessi
generali di classe. A ciò si intreccia una vera e propria politica
controrivoluzionaria preventiva, intenzionalmente e specificamente perseguita,
che non consiste in un'azione semplicemente repressiva, ma questa si connette
strutturalmente a un'azione politica nei confronti delle contraddizioni
di classe, rivolta a prevenirne lo sviluppo in direzione della loro politicizzazione
e traduzione in organizzazione del proletariato sul terreno rivoluzionario.
Oltre che in riferimento ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative
la strategia rivoluzionaria si definisce in rapporto alle forme di dominio
storiche entro le quali gli Stati espletano le loro funzioni di dominio
sul piano internazionale e che, nella nostra area geo-politica, fanno
perno sull'Alleanza Atlantica e sull'integrazione politico-militare nella
Nato e sui processi di coesione europea. Tali riferimenti alle attuali
forme di dominio dell'imperialismo, impostano fin da subito i caratteri
della costruzione del Partito, in qualità di Partito Comunista
Combattente, dell'organizzazione della classe sul terreno rivoluzionario
nell'unità del politico e del militare, definiscono la centralità
del Fronte Antimperialista Combattente per la costruzione di alleanze
politiche che operino all'indebolimento dell'imperialismo nella nostra
area, e gli assi e i caratteri dell'iniziativa politico-programmatica,
in quanto contenuto strategico che consente di sviluppare un processo,
che costruisca, seppur nella sua linearità, una prospettiva di
potere. - Al ruolo dei principi teorici che consentono di sviluppare un
agire politico che si costruisce in un processo, che si dà nella
dinamica prassi/teoria/prassi, rapportandosi a condizioni storiche di
fase, prodotto degli esiti delle fasi precedenti, a partire da cui definire
i passaggi di avanzamento.
- Al ruolo dell'avanguardia rispetto alla classe, e all'inscindibilità
di questo ruolo da quello concretamente esercitato dall'avanguardia sul
piano politico della contraddizione classe/Stato.
- Agli elementi politico-organizzativi che consentono al soggetto organizzato
di muovere come un corpo unico. Il saldo riferimento al patrimonio comunista
in generale, e in particolare a quello prodotto dalle BR-PCC nella direzione
dello scontro rivoluzionario nel paese, e alle sue discriminanti teorico-strategiche,
è ciò che guida le avanguardie rivoluzionarie nell'assunzione
di ruolo politico nello scontro, sia nell'avviare un processo di ripresa
dell'iniziativa rivoluzionaria che di aggregazione e di selezione in essa
dei termini della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie. Tra queste
discriminanti teorico-strategiche, Innanzitutto la valenza politica della
Strategia della Lotta Armata, come modo in cui si rende praticabile un
processo rivoluzionario in riferimento alle attuali forme di dominio dell'imperialismo,
e si materializza lo sviluppo della Guerra di Classe di Lunga durata contro
lo Stato, processo in cui l'avanguardia politico-militare si pone come
direzione e organizza fin da subito i settori rivoluzionari di classe
che si dialettizzano e si dispongono sul terreno della lotta armata.
Da ciò ne deriva l'assumere il principio dell'unità del
politico e del militare che agisce come una matrice nel processo rivoluzionario,
dai meccanismi che permettono ad una forza rivoluzionaria di essere tale,
al suo modo di sviluppare prassi rivoluzionaria, al processo rivoluzionario
nel suo complesso. Adottare il principio dell'unità del politico
e del militare nei paesi del centro imperialista, fa assumere alla lotta
armata la forma della Guerriglia che svolge la funzione di direzione dello
scontro di classe, affrontando contemporaneamente e globalmente i principali
piani del processo rivoluzionario, ed è volta a disporre e strutturate
le forze per sostenere il livello di scontro dato, e ai fini della fase
rivoluzionaria, sul terreno strategico della lotta armata.
La conduzione della guerra rivoluzionaria, adotta termini che sono interni
alla fase in corso, che oggi è quella della Ritirata Strategica,
e che sono indirizzati verso l'evolversi di successivi livelli di ricostruzione,
compattamento e direzione delle forze proletarie sul terreno rivoluzionario,
fintanto che non abbiano maturato l'assestamento necessario per superare
le posizioni di relativa debolezza nel complesso dei rapporti di forza
tra le classi.
Per quanto riguarda il Partito, questo si qualifica come Partito Comunista
Combattente; il riferimento centrale è all'unità del politico
e del militare che evidenzia come il problema del Partito sia la costruzione-fabbricazione
delle condizioni stesse della guerra di classe, cioè problema di
una direzione politica e di strutture organizzate, adeguate a sostenere
lo scontro e a rilanciarlo ed approfondirlo, assolvendo alle necessità
e ai compiti dettati dalla congiuntura politica che scaturiscono dalla
contraddizione dominante che oppone la classe allo Stato, disponendo e
organizzando le forze attivabili intorno ai compiti imposti dalla fase
rivoluzionaria, compiti che in generale sono sempre riferibili allo stato
dei rapporti di forza tra le classi, agli equilibri dei rapporti tra imperialismo
e antimperialismo, allo stato delle forze proletarie e in ultima istanza
ad un determinato passaggio del rapporto di scontro tra rivoluzione e
controrivoluzione. In questo riferimento più generale la costruzione
del Partito è un processo risultante dall'agire dell'O.C.C., da
partito per costruire il Partito, e dal prodursi delle condizioni necessarie
e sufficienti a qualificare e configurare il Partito Comunista Combattente
come tale.
Per quanto riguarda il rapporto Partito/masse, esso non viene concepito
in altro modo che come termine di costruzione/organizzazione di quelle
componenti proletarie che esprimono termini di autonomia di classe, sul
terreno della lotta armata, calibrato, nelle forme e nei modi, alle fasi
rivoluzionarie che si attraversano, ma sempre fin da subito nell'unità
del politico e del militare.
Ma innanzitutto l'operare della Guerriglia, nella dinamica Attacco-Costruzione-Attacco,
momenti tra i quali vi è interdipendenza e interrelazione, è
teso a lacerare il piano degli equilibri politici tra Classe e Stato e
a costruire le condizioni materiali per un equilibrio politico e di forza
favorevole al campo proletario che può partire solo intervenendo
con l'attacco al punto più alto dello scontro. E ciò perchè,
un processo rivoluzionario, non è la risposta agli attacchi della
borghesia alle condizioni politiche e materiali della classe (cioè
un atto difensivo), anche se nel suo sviluppo conosce fasi di resistenza
più o meno prolungate, ma è nella sua sostanza un processo
di attacco per affermare gli interessi generali del proletariato.
Per quanto riguarda il programma politico, il piano di contraddizione
Classe/Stato è il principale terreno programmatico su cui si costruiscono
i termini dell'organizzazione di classe sul terreno della lotta armata:
con l'attacco al cuore dello Stato, alla sua centralità politica
congiunturale e non semplicisticamente al suo apparato centrale, le Br-pcc
hanno riproposto la centralità che ha, per i comunisti, la questione
dello Stato. L'attacco al cuore dello Stato poi, si ripercuote come effetto
su tutto l'arco dei rapporti fra le classi fino al piano capitale/lavoro,
una dinamica di intervento che apre uno spazio politico che può
e deve essere sfruttato con la costruzione di organizzazione di classe
sul terreno della lotta armata, calibrata nelle forme e nei modi alla
fase di scontro e ai rapporti di forza generali. Vantaggi momentanei derivanti
dall'attacco operato che vanno tradotti in organizzazione, perchè
lo scontro rivoluzionario diretto dalla Guerriglia nelle metropoli imperialiste
non può costruire "basi rosse" stabili, non può
avere retroterra logistico, perchè lo scontro rivoluzionario nei
centri imperialisti, è una guerra senza fronti, dove l'attività
controrivoluzionaria dello Stato si dispiega contro l'intero campo proletario
(Guerriglia, movimento rivoluzionario, classe); dove il processo rivoluzionario
avanza in una condizione di accerchiamento strategico, almeno fino alla
fase finale del processo rivoluzionario. Per questo la Guerriglia nella
metropoli è impostata sui principi di clandestinità e compartimentazione,
cioè conseguentemente li adotta come criteri di organizzazione
e mobilitazione.
La centralità della questione dello Stato, per i comunisti, deriva
dall'essere, il piano politico, il rapporto fondamentale su cui si determinano
i rapporti di forza generali tra le classi. Le avanguardie rivoluzionarie,
possono concepire ed articolare la Strategia della Lotta Armata, riferendola
alle forme di dominio dell'imperialismo, e il suo programma in qualsiasi
fase si trovi lo scontro di classe, solo rimettendo al centro un criterio-guida
del marxismo-leninismo, che vede nella funzione di mediatore dello scontro
inconciliabile tra le classi e nel contempo di rappresentante dell'interesse
generale della classe dominante, gli elementi che connaturano lo Stato,
e perciò il fondamento del ruolo sia di organo politico-istituzionale
del dominio della borghesia, sua sede e soggettività politica,
che di ordinamento dei rapporti politici e sociali.
Lo Stato, infatti, non viene concepito solo come una sommatoria di apparati,
solo sotto il suo profilo, meccanico-oggettivo, ma essenzialmente sotto
un duplice profili: quello politico, di organo di dominio della borghesia,
e contemporaneamente, quello giuridico-formale, di ordinamento politico-giuridico;
cioè secondo la sua sostanza soggettiva e oggettiva. E perciò,
l'analisi dello scontro e l'intervento rivoluzionario, sono tesi a individuare
gli equilibri politici generali che permettono l'attuazione dei programmi
congiunturali allo scopo di scardinarli e renderne ingovernabili le contraddizioni,
secondo il criterio di centralità di identificazione, all'interno
della contraddizione dominante, del progetto politico centrale della B.I.,
per lacerarli, adottando il criterio di selezione che individua il personale
politico che assume una funzione di equilibrio delle forze che sostengono
tale progetto, e per calibrare l'attacco allo stato delle forze proletarie
e rivoluzionarie, nel paese e negli equilibri internazionali.
Essendo i rapporti sociali e politici regolati in modo storico nel corpo
legislativo-istituzionale, carattere giuridico-formale della natura dello
Stato, attraverso l'azione soggettiva dello Stato che traduce, sanziona
e rilancia in norme e istituti imposti sulla società in generale,
gli esiti dello scontro sociale che volta per volta si determina, riferendosi
alla mediazione politica mediamente assestata storicamente, e attraverso
la capacità cogente e sanzionatoria data dal monopolio della forza,
l'intervento volto a scardinare gli equilibri politici colpendo l'azione
soggettiva dello Stato, sui nodi centrali della contraddizione Classe/Stato,
va a incidere sulle concrete possibilità di governo delle contraddizioni,
in quanto inserisce, attraverso l'esercizio di forza, il dato politico
degli interessi generali della classe nel quadro generale dei rapporti
di forza e politici tra le classi, impedendone quindi la lineare sanzione
in senso antiproletario, facendone termine a cui deve riferirsi lo scontro
successivo, e le posizioni delle classi antagoniste in esso. E questo
è il modo attuale e prospettico di "spezzare la macchina statale",
innescando una concreta dialettica politica tra proposta comunista e autonomia
di classe. Questi elementi di concezione a cui si riferisce la Strategia
della Lotta Armata, consentono anche di comprendere la funzione che può
svolgere dall'interno stesso di una fase difensiva per il campo proletario,
in quanto, riferendosi alla funzione dello Stato nella sua duplice natura
di organo politico della dittatura della borghesia, e ordinamento politico-giuridico
di una società divisa in classi antagoniste che incorpora i dati
storici sia dello scontro di classe che delle trasformazioni strutturali,
l'intervento combattente può concretamente incidere, con l'offensiva,
laddove si definisce l'iniziativa che costruisce l'equilibrio politico
che consente di sanzionare i vantaggi e gli avanzamenti ottenuti dalla
borghesia e dallo Stato nello scontro, ottenendone vantaggio politico.
Vantaggi e svantaggi, avanzamenti e arretramenti che non costituiscono
solo elementi della storia dello scontro di classe, ma vengono incorporati
nell'ordinamento politico-giuridico a costituire fattori della nuova base
di partenza, parte di un nuovo quadro a cui deve riferirsi lo scontro,
in cui la forza e il peso politico delle classi e delle loro frazioni,
si struttura, riferendosi alla mediazione politica storica, in dato dal
carattere generale incidente su tutta la società, e così
pure vi si riflette il dato dell'intervento rivoluzionario. Perciò,
anche in una condizione di difensiva della classe, come quella attuale,
l'attacco al cuore dello Stato, consente di contrapporsi ai vincoli politico-concreti
che spingono il proletariato in una posizione di svantaggio politico,
e che oggi sono costituiti dalla costruzione dei termini complessivi di
una mediazione politica neo-corporativa, e di condizionare i processi
di scontro. Potendo svolgere questa funzione, la Strategia della L.A.,
nelle moderne democrazie rappresentative dei paesi del centro imperialista,
essendo l'unica base da cui può essere rilanciata la progettualità
comunista anche in condizioni di rapporto di forza sfavorevole per il
proletariato, e perseguite le finalità di estinzione della società
divisa in classi, attraverso la tappa della conquista del potere politico
per la dittatura del proletariato, è anche irrinunciabile ai fini
di sottrarsi all'offensiva complessiva che la borghesia ha lanciato contro
il proletariato e costruire rapporti di forza più favorevoli.
La tappa della conquista del potere politico e della dittature del proletariato
è storicamente necessaria, avendo tuttora e sempre, il dominio
della borghesia un carattere politico, ben e irrinunciabilmente radicato,
nel ruolo che svolge la proprietà privata nell'ordinamento politico-giuridico;
avendo, i rapporti tra proletariato e borghesia, tuttora e sempre, carattere
antagonista, in quanto questo carattere è afferente al ruolo sociale
(di forza-lavoro e di capitale) che viene sostenuto nella produzione e
nella società, e non alla funzione sociale, nè tantomeno
alla forma giuridica in cui questa viene svolta, nè alle condizioni
materiali di vita; ed essendo, un ordinamento politico-giuridico, caratterizzato
dal potere impositivo e sanzionatorio che nasce dall'esercizio del monopolio
della forza da parte dello Stato. Perciò la dittatura del proletariato
non è equivocabile, com'è usuale e strumentale fare, con
una forma, più o meno democratica, del processo di decisione politica,
ma deve essere concepita nel suo senso reale, cioè come la sostanza
dei rapporti di potere tra le classi, e quindi delle corrispondenti centralità
di interessi nei rapporti sociali, e perciò la conquista del potere
politico è obiettivo di un processo rivoluzionario, e condizione
di fondo imprescindibile per la costruzione della società comunista,
in quanto solo attraverso l'esercizio del potere statuale gli interessi
generali di una classe, possono essere garantiti e tutelati, a maggior
ragione se questa classe è il proletariato che non è portatore,
nella storia dell'umanità, di una forma di proprietà privata
su cui si erige un modo di produzione che compete con quello che lo ha
preceduto storicamente.
In sintesi la Strategia della Lotta Armata è unica base di rilancio
della progettualità comunista, in quanto possibilità concreta
di far pesare, qui e ora, nello scontro, gli interessi generali della
classe, ed esercitare forza, che incide ad aprire e far avanzare la prospettiva
rivoluzionaria, e termine imprescindibile della ricostruzione di condizioni
politiche e di forza favorevoli al campo proletario.
Se l'attività della Guerriglia, può avere un riflesso positivo
sulle condizioni di vita immediate della classe, come ha avuto negli anni
precedenti, non è questo il criterio che guida la sua iniziativa
politico-militare, in quanto lo scopo che si prefigge è quello
di incidere sui rapporti di forza generali tra le classi, per lavorare
alla costruzione del Partito Comunista Combattente e affermare la prospettiva
di potere, espressione degli interessi generali del proletariato, favorendo
con ciò lo sviluppo dell'autonomia di classe, condizioni queste,
che sono termini concreti per il rafforzamento delle posizioni del proletariato
nel rapporto di scontro con la borghesia e che conseguentemente incidono
positivamente anche nelle condizioni immediate della classe, in quanto
è solo sul piano politico che la classe può stabilire un
rapporto di forza generale.
Perciò la proposta politica delle Br-Pcc si concretizza su due
aspetti: da un lato organizzando le avanguardie più coscienti intorno
alla strategia politica dell'Organizzazione; dall'altro rappresentando
l'elemento di riferimento di spinta e di coagulo per le istanze più
mature della lotta di classe rapportandosi ad esse con il programma politico.
Infine, l'altro asse su cui le Br-Pcc intendono sviluppare il proprio
programma politico, è sul piano della contraddizione imperialismo/antimperialismo
al fine di indebolire e ridimensionare il dominio imperialista, costruendo
offensive comuni contro le sue politiche centrali, con le forze rivoluzionarie
e antimperialiste che operano nell'area Europea-Mediterraneo-Mediorientale.
Perciò le Br-Pcc pongono al centro del proprio progetto politico
la promozione e costruzione del Fronte Combattente Antimperialista, in
cui la ricerca di unità politico-militare tra forze antimperialiste
dell'area, sia funzionale a costruire le alleanze politiche necessarie
a indebolire il dominio imperialista, a partire dalle differenze storico-strutturali
della lotta di classe delle singole formazioni economico-sociali, dentro
cui si collocano e maturano le esperienze e le forze rivoluzionarie e
antimperialiste, ma anche dal ruolo unico e unitario che svolgono gli
Stati dominanti della catena imperialista.
Concepire la necessità politica di costruire un Fronte Combattente
Antimperialista non significa escludere la ricostruzione di un'Internazionale
Comunista, ma significa non trascurare di attivare tutte le forze disponibili
contro il nemico imperialista al di là delle differenze tra tappe
rivoluzionarie e concezioni che supportano le forze antimperialiste, e
costruire una condizione favorevole al perseguimento anche dell'obiettivo
dell'Internazionale Comunista che presuppone un'unità superiore
nei caratteri di classe, nei fini e nelle concezioni delle forze appartenentevi.
Promuovere la costruzione del F.C.A. implica porre al centro dell'offensiva
combattente il rapporto organico tra il ruolo della Nato, come alleanza
politico-militare degli Stati dominanti della catena imperialista, guidata
dal polo Usa, e quello della Ue, quale progetto politico centrale dell'imperialismo
nella nostra area geo-politica che affianca la Nato nell'azione di penetrazione
e assoggettamento dei paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell'Est
europeo e nella costruzione delle condizioni dell'approfondimento della
tendenza alla guerra. Asse di combattimento che deve avanzare sempre complementariamente
allo sviluppo dell'iniziativa combattente nei nodi centrali che oppongono
la classe al proprio Stato, perché è sul piano Classe/Stato
che si scioglie il nodo del potere che qualifica la tappa rivoluzionaria.
Lo stadio aggregativo che investe la Ricostruzione delle Forze, in relazione
alle peculiarità legate alla contraddizione costruzione/formazione,
rappresenta il nodo con cui si confronta lo sviluppo del processo di costruzione
di un'Organizzazione Comunista Combattente. In questo quadro il rilancio
dell'iniziativa politica offensiva nei nodi centrali che opponevano Classe
e Stato e Imperialismo e Antimperialismo, operato dai Ncc ha costituito
un'espressione di progetto, di linea politica e di linea politico-organizzativa
definiti in base alla comprensione politica dei nodi centrali che poneva
lo scontro e la Fase strategica. L'avanzamento da un fisiologico stadio
aggregativo iniziale, verso la costruzione di una forza rivoluzionaria
che punta a qualificarsi come O.C.C. che agisce da Partito per costruire
il Partito, necessariamente si confronta con il problema della riproduzione
di forze militanti complessive che esercitino un'azione politico-operativa
e organizzativa d'avanguardia; e quindi la dinamica che dall'Attacco costruisce
aggregazione e forza per esprimere un livello più avanzato di capacità
offensiva, politicamente e militarmente intesa, è strettamente
connessa ad un processo di costruzione/formazione di ruoli militanti complessivi
che operino materialmente ulteriore costruzione.
Lo snodo della riproduzione di tali ruoli è a sua volta strettamente
connesso con l'espressione di forza complessiva dell'organizzazione, che
è data dalla costruzione delle condizioni e cognizioni per un movimento
unitario e unico, pur nella diversità, delle forze organizzate,
sul terreno dell'attività politico-programmatica ed in particolare
nella costruzione dell'offensiva. Un movimento riferito alla costruzione
delle condizioni e degli strumenti per l'operare di una dinamica di centralizzazione-decentralizzazione.
I termini progettuali in cui viene inquadrato lo sviluppo del processo
rivoluzionario, qualificano il ruolo dell'avanguardia nella direzione
e organizzazione della classe sul terreno rivoluzionario, in un processo
di scontro finalizzato all'instaurazione della dittatura del proletariato
come prima tappa del processo rivoluzionario. Un processo di scontro che,
nei termini strategici di riferimento, si dà fin da subito nell'unità
del politico e del militare. Costruire una forza rivoluzionaria significa,
quindi, costruire una forza che, nel complesso, ma anche in generale,
cioè in ogni militante, possa riprodurre il ruolo di organizzazione
e direzione della classe sul terreno rivoluzionario. Si tratta quindi
di costruire-formare delle avanguardie nella loro caratterizzazione complessiva
politico-militare e il loro movimento centralizzato e decentralizzato.
Un processo che trova nel rapporto tra responsabilizzazione complessiva
e impiego operativo, la leva della costruzione/formazione delle forze
e dello sviluppo dell'autonomia politico-operativa, che si può
produrre nel concreto esercizio della responsabilità politica nel
lavoro rivoluzionario, in termini di "conduzione", ossia di
esecuzione dell'attività con impostazione complessiva, e collocandola
nella dimensione organizzata.
Un processo di costruzione, che si confronta con la centralità
di fase cioè quella della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie,
andando a definire linee di costruzione e mobilitazione delle forze sul
piano politico-programmatico, a partire dal dato che le forze non sono
già formate nè organizzate e che la soggettività
di classe, in questa fase, anche quando si dialettizza in termini di militanza
organizzata, con il piano rivoluzionario, mediamente riproduce una tendenza
allo spontaneismo intendendo con ciò tutto quello che si produce
al di fuori di una prassi finalizzata e funzionale allo sviluppo della
progettualità rivoluzionaria.
Nella tendenza spontaneista va inscritta la tendenza all'approccio ideologico,
che può qualificare, il rapporto con la militanza rivoluzionaria,
in termini di adesione, un rapporto che si riconosce in un patrimonio
e che si schiera, prendendo posizione nello scontro e rendendosi disponibile
ad essere attivato, ma che non stabilisce un rapporto politico con tale
patrimonio, intendendo con ciò, il rapporto con cui si pone il
problema di come operare soggettivamente per collocare e riarticolare
questo patrimonio, quindi svilupparlo, in riferimento al problema di definire
come agire, in modo che, a partire dalle contraddizioni oggettive e materiali
presenti, che hanno sempre un inquadramento sul piano storico-politico
ed economico-sociale, si possa operare per far avanzare verso le finalità
rivoluzionarie, utilizzando in questo, il patrimonio complessivo, stabilendo
con esso un rapporto di continuità/critica/sviluppo. L'approccio
ideologico, vede l'ideologia come ciò che fa avanzare queste motivazioni
verso gli obiettivi politico-generali; non si vede il ruolo dell'"ideologia",
come concezione, nell'indirizzare la prassi nell'immediato e nel concreto,
e non si vede il ruolo della prassi nell'approfondire il rapporto politico
con la concezione e nello svilupparla. L'ideologismo porta a non vedere
come, l'avanzamento nella prassi e nella comprensione della concezione
si produce solo se, a mettere in rapporto questi due piani, c'è
il soggetto che opera nello scontro, e che, dal dare soluzione al problema
dell'operare funzionalmente all'avanzamento del processo rivoluzionario,
approfondisce la comprensione e lo sviluppo della concezione stessa.
Da questo se ne ricava che è antimaterialistico pensare che, la
risoluzione del problema, si dia sul piano della formazione ideologica,
per operare, poi, successivamente, nello scontro, perchè, non sviluppando
un ruolo soggettivo nella realtà dello scontro, la comprensione
del piano ideologico è fittizia, cioè sfocia sul piano idealistico
e in posizioni opportunistiche o massimaliste, mancando di risolvere il
problema politico di dare sviluppo al processo rivoluzionario.
Limiti connessi all'ideologismo sono anche quelli dell'esecutivismo che,
non essendo espressione di una disposizione complessiva d'avanguardia,
ma di una dipendenza politico-operativa, caratterizza un contributo alla
prassi rivoluzionaria sganciandolo dall'inquadramento politico-operativo
più generale dei problemi che vengono affrontati e delle finalità
perseguite, e del genericismo, causa ed effetto di una posizione di adesione
che non si misura con il dettaglio dei problemi concreti assunti soggettivamente,
ma con i problemi di discriminazione di una posizione di schieramento
o interpretativa.
Altro limite può vedersi nell'immediatismo, cioè l'attenzione
rivolta esclusivamente all'aspetto specifico del problema o dell'attività
a cui si vuole dare soluzione, ad una necessità particolare che
si vede in funzione dell'avanzamento della prassi rivoluzionaria, limite
questo che, nonostante il volontarismo e l'abnegazione rivoluzionaria,
può portare all'inefficacia nell'attività, perchè
essa è inquadrata in una progettualità e in uno scontro
politico-militare, ma può portare anche alla difficoltà
di fare di questa prassi un'occasione di avanzamento nella costruzione
soggettiva, dell'impianto teorico atto ad impostare una prassi più
avanzata: oppure alla difficoltà a confrontarsi con problemi nuovi
e complessi che, se mai affrontati e in assenza di un'impostazione che
sappia riarticolare scelte funzionali alla progettualità rivoluzionaria,
di fronte a novità e complessità particolari, possono mettere
in crisi.
Un ulteriore aspetto in cui si manifesta lo spontaneismo può essere
anche la difficoltà ad operare in una dimensione organizzata, una
dimensione organizzata che si differenzia dall'organizzazione di classe
sul piano rivendicativo (anche quando questa rivendicazione assume un
carattere offensivo), la quale non determina il proprio agire in relazione
al problema di produrre un movimento unitario e unico nella diversità,
di avanzamento rispetto ad obiettivi strategici, congiunturali, e secondo
una linea che costituisce sintesi tra fine e mezzo. Una dimensione organizzativa
che risponde quindi a leggi e problematiche proprie dell'operare collettivo,
su questo piano, e influenzate dai termini di strategia politica, di collocazione
di classe, di condizioni storiche, fattori questi, che trovano sempre
il modo di affermarsi come aspetti concreti e materiali. Dallo spontaneismo,
infine, può dipendere anche la difficoltà di riadeguarsi
ai caratteri particolari dell'operare sul terreno della Guerra di Classe
di Lunga Durata, che è piano assunto soggettivamente e offensivamente
come unica prospettiva per dare sbocco rivoluzionario alle contraddizioni
di classe, i cui caratteri, in questa fase, non sono il prodotto spontanei
dello scontro sociale o della vita civile. Anche quei caratteri di offensività
proletaria che possono prodursi spontaneamente sul piano dello scontro
di classe, sono inadeguati rispetto ad una prassi che colloca l'agire
offensivo sul piano degli interessi generali e storici del proletariato
in una dimensione storicamente continua, scientifica e organizzata.
Il rapporto con le necessità imposte dall'operare offensivamente
nello scontro, e l'essere inseriti in una relazione organizzata, che rapporta
istanze superiori e inferiori, mette immediatamente in evidenza gli aspetti
inadeguati della disposizione spontanea sul terreno rivoluzionario. Il
confronto tra, gli obietti generali che si perseguono, rappresentati concretamente
dalle realizzazioni programmatiche da attuare, i problemi della prassi,
la dimensione organizzata, nel momento in cui si opera un riadeguamento
rispetto alle modalità spontanee con cui si è operato, e
si analizza teoricamente il limite legato all'inefficacia, produce necessariamente
un passaggio di approfondimento nella responsabilizzazione complessiva,
e negli strumenti cognitivi per sostanziare l'autonomia politico-operativa.
Queste tematiche e contraddizioni, trovano in generale spazio significativo
nel dibattito delle forze organizzate impegnate in processi rivoluzionari,
finalizzate all'instaurazione della dittatura rivoluzionaria del proletariato,
in particolar modo nella fase di costruzione del Partito. Ciò è
dato dal carattere sociale e politico della Rivoluzione Proletaria, dai
termini che informano il ruolo dell'avanguardia comunista nello scontro,
dalla concezione comunista di tale ruolo e del rapporto avanguardia/masse,
concezione connessa alla tesi che, la coscienza rivoluzionaria, viene
portata alla classe dall'esterno, un esterno che però politicamente
non va inteso come riferito nè al ruolo degli intellettuali, nè
ad un ruolo didattico del Partito, ma va riferito al collocarsi dell'operato
rivoluzionario sul piano politico dello scontro generale tra le classi,
o in esso, all'approfondimento della contraddizione antagonistica tra
proletariato e borghesia attraverso la contrapposizione, nella lotta per
il potere, degli interessi generali e storici delle due classi antagonistiche.
L'avanguardia rivoluzionaria svolge un ruolo imprescindibile rispetto
allo sviluppo dello scontro rivoluzionario, se e perchè, opera
in funzione dell'affermazione dell'interesse generale e storico della
classe, un'operare che si sviluppa per linee interne alle masse, ma che
è un piano esterno rispetto alle contraddizioni sociali capitalistiche
particolari e congiunturali, è appunto il piano generale e storico.
Questa concezione, riportata sul piano dell'organizzazione comunista da
costruire, concepisce il Partito come Partito di quadri. Da questo se
ne ricava come, il problema del superamento dei caratteri spontaneistici
presenti nella soggettività di classe, sia problema generale, da
affrontare programmaticamente nella costruzione del Partito e dell'O.C.C.
che agisce da Partito per costruire il Partito. Si capisce quindi, come
le tendenze all'esecutivismo, all'immediatismo, al genericismo, all'ideologismo,
siano espressioni di spontaneismo che si contrappongono alla costruzione
di una forza rivoluzionaria e siano contraddittorie, quindi, con la progettualità
e con la finalità in cui ci si riconosce, anche se questo riconoscimento
è dato con tutta l'onestà rivoluzionaria possibile e come
la lotta contro tali tendenze, operata non ideologicamente ma per l'affermazione
di soluzioni concrete funzionali all'avanzamento della prassi rivoluzionaria,
sia un fattore del processo di selezione che distingue il ruolo dell'avanguardia
comunista e della ricostruzione degli strumenti per attrezzarne l'esercizio,
dal complesso dei ruoli e delle condizioni che vanno ricostruiti nella
Fase Rivoluzionaria della Ricostruzione delle Forze.
Se queste tematiche hanno spazio in genere nel dibattito dei comunisti,
in questa fase assumono problematicità e caratteri particolari.
La fase attuale, infatti, è caratterizzata dal nodo della Ricostruzione
delle Forze, connotato dalla contraddizione costruzione/formazione e dal
permanere di una tendenza di depoliticizzazione legata al processo controrivoluzionario
e al conseguente agire offensivo dello Stato rispetto al governo delle
contraddizioni sociali, alla ridefinizione della mediazione politica e
della funzionalizzazione della politica neo-corporativa a sostenere una
condizione di governabilità interna che pur in un contesto critico,
consenta la assunzione di ruolo politico-militare dello Stato sul piano
internazionale. La discontinuità dell'intervento rivoluzionario
capace di incidere al livello più alto dello scontro, è
un fattore concreto di queste contraddizioni.
Rispetto a questi nodi, i militari rivoluzionari che hanno operato nei
N.C.C. hanno affrontato la Ricostruzione esercitando un ruolo d'avanguardia
rispetto al non politico generale dello scontro rivoluzionario, dando
una prima soluzione al problema della discontinuità attraverso
il rilancio dell'iniziativa politico-offensiva nei nodi politici centrali
dello scontro di classe, e misurandosi con il problema di estendere e
approfondire il processo di costruzione presente nell'iniziativa rivoluzionaria
all'aggregazione di forza ottenuta. Avanzare, necessariamente significa
trasformare l'attacco in costruzione per operare ad un nuovo attacco nel
quadro di gestione del complesso di aspetti prodottisi con il proprio
operato.
La costruzione di un O.C.C. attraverso l'esercizio di un ruolo complessivo
d'avanguardia nello scontro è in rapporto con il problema di costruire-formare
delle avanguardie politico-militari, a partire dallo sviluppo dell'autonomia
politico-operativa e della responsabilizzazione complessiva come termini
per l'avanzamento verso l'agire da partito per costruire il Partito.
Un processo in cui l'assegnazione, l'assunzione e la gestione dell'attività
in termini di direzione-conduzione è collocare lo sviluppo dell'autonomia
politico-operativa e la responsabilizzazione complessiva nel quadro della
dimensione organizzativa del lavoro rivoluzionario, e il metodo politico-organizzativo
è il mezzo per l'assunzione di iniziativa nella proposta e nell'attività,
rispetto ai problemi generali e particolari della prassi rivoluzionaria.
Metodo di conduzione politica dell'attività a tutti i livelli (cioè
di esecuzione di ogni attività progettata) che costituisce uno
strumento politico-organizzativo che, a prescindere dal livello di competenza
espresso, può consentire un affrontamento della prassi idoneo all'efficacia
politica e che consiste in quell'impostazione e quelle pratiche che consentono
di connettere i compiti parziali ad una responsabilità progettuale,
intendendo con ciò il progetto politico dell'o., come fattore che
media le finalità rivoluzionarie nel rapporto tra soggettività
e realtà sociale storica. Un metodo che parte dalla definizione
del nodo politico-organizzativo a cui dare soluzione - procede con l'individuazione
di un'attività idonea allo scopo - per definire preventivamente
gli elementi costitutivi di ogni attività -politici, tecnici, operativi-
per l'individuazione delle caratteristiche problematiche di un lavoro
in riferimento alle finalità complessive- per la gestione dei tempi
funzionalizzata alle esigenze di centralizzazione - fino alla conduzione
dell'esecuzione - e al bilancio tecnico e politico dei risultati ottenuti,
concludentesi con la centralizzazione del patrimonio d'esperienza realizzato.
E che quando non può valersi di un patrimonio teorico pratico sviluppato
si affida all'attivazione pratica con carattere sperimentale, cioè
a una prassi svolta mantenendo un approccio di ricerca rispetto ai nodi
problematici da sciogliere, rispetto a cui si cercano elementi oggettivi
funzionali a darne definizione teorica, che possa sviluppare un'esecuzione
idonea al massimo dell'efficacia. Esso costituisce uno strumento fondamentale
affinchè la ricostruzione delle forze che viene perseguita, operi
al contempo alla formazione di avanguardie complessive, in quanto costituisce
l'alternativa concreta e funzionale all'efficacia della prassi, agli aspetti
di spontaneismo, ideologismo, immediatismo, inesperienza a lavorare in
modo organizzato e sul terreno politico-militare, che connotano mediamente
la soggettività rivoluzionaria oggi. Se il metodo politico-organizzativo
è lo strumento per esprimere e costruire autonomia politico-operativa
ed esercitare responsabilità politica, l'autonomia politica è
rapportarsi autonomamente, nelle scelte che si devono compiere per condurre
la prassi rivoluzionaria, al patrimonio collettivo, espressione storica
e politica dei termini generali della progettualità rivoluzionaria,
patrimonio in continuo avanzamento rispetto al rapporto che la prassi
innesca con la realtà, e alla teorizzazione generale che si opera
di essa e che si collega ai termini teorici storici.
Patrimonio che si concorre a definire in relazione alla propria specifica
collocazione e percorso, e che vede la necessità di partecipazione
e dialettica, proprio al fine di sviluppare un patrimonio massimamente
efficace nel rapporto di trasformazione rivoluzionaria della realtà.
Il piano aggiornato con cui il patrimonio d'organizzazione stabilisce
una relazione storica con i termini di progettualità politico-strategica,
la collocazione in questo quadro degli elementi di contraddizione e di
avanzamento emersi nella prassi svolta, concorrono ad impostare la definizione
di una "linea politica generale" che, riferendosi alle problematiche
di fase, deve vivere funzionalmente in tutte le definizioni e realizzazioni
programmatiche, per consentire quel movimento centralizzato in cui tutte
le attività possono essere funzionali all'avanzamento complessivo.
Linea che ha poi diversi momenti di specificazione, nascenti dalle difficoltà
che scaturiscono dal collocarla materialmente nei momenti attuativi.
Metodo politico-organizzativo e riferimento alla linea politica generale
come orientamento relativo agli aspetti generali del quadro politico entro
cui si colloca lo specifico nodo politico-organizzativo da affrontare,
costituiscono gli assi principali intorno a cui può operarsi un
processo di formazione delle forze rivoluzionarie.
L'aspetto della costruzione delle forze rivoluzionarie vede nella disposizione
delle forze sul programma, il piano centralizzato su cui si definiscono
le attività che le forze devono condurre e la suddivisione delle
responsabilità necessaria. Anche la disposizione delle forze sul
programma può essere operata progettualmente sintetizzando, nel
calibramento dei compiti, gli elementi che consentono l'efficacia nelle
realizzazioni programmatiche con l'avanzamento del complesso dei termini
necessari per andare a sciogliere il nodo di fase, cioè la Ricostruzione
di un'Organizzazione Comunista Combattente che agisca da partito per costruire
il Partito, tra cui lo sviluppo dell'autonomia politico-operativa, quale
obiettivo legato a questo nodo e ai caratteri della tappa attuale. Progettazione
della disposizione delle forze sul programma che si dimostra efficace,
sul piano tanto delle realizzazioni programmatiche, specifiche, che della
costruzione politico-organizzativa, in relazione alla capacità
derivante dalla prassi concreta, e dalla sua analisi scientifica, di analizzare
i compiti e le responsabilità, capendone il livello di complessità
e di complementarità con altri compiti e ruoli.
In sintesi: ideologismo e spontaneismo, ed esecutivismo e genericismo,
come portato dei primi, costituiscono i limiti di formazione dell'autonomia
di classe che si dispone sul piano rivoluzionario, che solo le fratture
soggettive necessarie per l'assunzione di una responsabilità di
avanguardia, l'adozione del metodo politico-organizzativo e il riferimento
conseguente alla linea generale che viene definita possono governare-superare,
mettendo in grado di assumere il metodo prassi-teoria-prassi come riferimento
reale e non formale dell'agire rivoluzionario, consentendo di costruire
un patrimonio politico-operativo collettivo e di accedervi, consentendo
di qualificare l'identità comunista e di stabilizzarla a livello
di concezione della realtà e del proprio ruolo di avanguardia in
essa. Al contempo, la costruzione di una O.C.C. si misura con la costruzione
di quegli strumenti e passaggi politico-organizzativi che ne consentono
la mobilitazione e l'azione programmata (progettazione-programmazione-pianificazione-esecuzione-verifica),
i termini dei quali si definiscono nel processo prassi-teoria-prassi e
nel maturarsi di quelle condizioni politiche e materiali che consentono
di sperimentarli e ricentrarli, e che, a loro volta, costituiscono la
concretizzazione di un metodo politico-organizzativo del lavoro collettivo,
nel quale ogni compito, seppur parziale costituisce momento di esercizio
di un ruolo di avanguardia che collega, nella definizione degli obiettivi
dell'agire e del modo di operare per conseguirli, l'aspetto della progettazione
politica, cioè dell'articolazione funzionale della linea politico-generale
e della progettualità, alla programmazione e pianificazione sviluppata
con metodo scientifico, alla conduzione dell'esecuzione, al bilancio e
riadeguamento della prassi, alla centralizzazione dei risultati, problemi
e patrimonio. La prassi evidenzia come i piani di fondo su cui avanza
la ricostruzione di una forza rivoluzionaria siano: la qualificazione
dei caratteri d'avanguardia, esprimibili nell'esercizio di conduzione
dell'attività a tutti i livelli, come espressione di autonomia
politico-operativa e di responsabilizzazione complessiva, la regolarizzazione
degli apporti, e la militanza regolare.
Su questi poggia la possibilità di trasformare lo stadio aggregativo
delle forze rivoluzionarie, in Organizzazione Comunista Combattente, e
questo è un processo che, per quanto abbia conseguito il significativo
passaggio del rilancio dell'iniziativa combattente e dell'esercizio di
un ruolo di direzione politica nello scontro, è solo avviato, e
ha come propria tappa la costruzione di un'O.C.C. che agisca da partito
per costruire il Partito e, che, in quanto tale, possa costituire il Nucleo
Fondante il Partito.
E' perciò questo l'obiettivo che le Br-Pcc propongono alle avanguardie
rivoluzionarie congiuntamente all'obiettivo della ricostruzione del complesso
di strumenti politico-militari-teorici e organizzativi necessari al campo
proletario per sostenere lo scontro prolungato con lo Stato per l'affermazione
degli interessi generali della classe. Parallelamente, alle forze e istanze
rivoluzionarie e antimperialiste della nostra area geopolitica, le Br-Pcc
propongono la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente per la
realizzazione di attacchi convergenti e comuni contro le politiche centrali
dell'imperialismo al fine di indebolirne il dominio, quadro entro cui
sviluppare i processi rivoluzionari nei singoli paesi.
Attaccare e disarticolare il progetto neo-corporativo, cuore politico
della rifunzionalizzazione dello Stato imperialista e della ristrutturazione
economico-sociale in Italia Costruire le condizioni della guerra di classe
di lunga durata per la conquista del potere politico e la dittatura del
proletariato Rilanciare la prospettiva della presa del potere politico
come sbocco alla crisi della borghesia o alla sua guerra, e unico piano
di avanzamento della lotta di classe Agire da partito per costruire il
Partito Comunista Combattente Attaccare la coesione europea che rafforza
la B.I. nei confronti del proletariato del centro imperialista e dei paesi
dominanti Attaccare la Nato e lo sviluppo della guerra imperialista. Promuovere
la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente Trasformare la guerra
imperialista in avanzamento della guerra di classe e rivoluzionaria
Guerra alla guerra
Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti
BRIGATE ROSSE per la costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE
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